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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 8 - Settembre 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
Riflessioni da spiaggia
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Sono in spiaggia, rilassato sul mio lettino con in mano uno
Spritz mentre penso a tutto e niente, guardando il mare che
si unisce al cielo in lontananza. Sorrido assorto nei miei pensieri
quando la vista dell’orizzonte mi fa venire in mente i terrapiattisti
e la loro convinzione che laggiù l’acqua cada nel
vuoto. D’altronde, come vuoi che siano i “pensieri da spiaggia”
se non frivoli e di poca sostanza? Accade poi che giro lo
sguardo e mi imbatto in un ragazzino di colore di 14 anni al
massimo. È magrissimo e suda molto mentre trascina faticosamente
il suo carrettino pieno di cappelli e giocattoli, dei
quali ha più importanza il peso che il misero prezzo di 1 euro.
Si ferma un secondo all’ombra di quelle cianfrusaglie che
quasi lo fanno sparire e si addormenta appoggiando la testa
sui suoi prodotti. Insieme alla tristezza di un’adolescenza
che non dovrebbe essere così per nessuno, mi tornano in
mente le foto super ammirate della coppia Ferragni-Fedez sul
jet privato per recarsi dove gli pare (mi sono rifiutato di leggere
l’articolo e quindi non lo so...). E allora tutto stride forte,
forse troppo per una mente preparata alla leggerezza estiva.
Ma non perché loro possono spendere per quel lusso mentre
quel ragazzino crolla dalla stanchezza invece di essere a divertirsi
come i suoi coetanei che lo circondano e che, chiedendogli
informazioni su quelle cianfrusaglie, lo svegliano
dal sonno. Non per quello! Stride perché troppi adolescenti
sognano e cercano di imitare la coppia d’oro ostentando falsi
splendori con mille selfie, senza rendersi conto però che la
vita vera è quella del giovane venditore di giocattoli in spiaggia
e non quella della donna più famosa d’Italia. Penso che
proprio questi personaggi famosi, visto il ruolo che rivestono,
dovrebbero educare e non illudere i loro fan. Educarli con
valori morali, mostrando maggiore normalità e non immagini
narcisiste degne di una favola e non della realtà che è invece
ben diversa. E mentre i pensieri si accavallano, mi vengono
in mente personaggi autentici e positivi come ad esempio
la principessa Diana, totalmente priva di ostentazione o vanto.
Un’ostentazione che a lei sarebbe stata sicuramente perdonata
ma che non ha mai palesato pur facendo cose utili e
di insegnamento per le generazioni future. Il paragone stride
troppo, il nervoso sale alle stelle. E allora scendo dal lettino,
prendo 10 euro per regalare un sorriso a quel ragazzino e mi
tuffo in acqua. Meglio raffreddare questi pensieri che mi turbano;
le vacanze devono essere fonte di relax e non di stress
generato dalla constatazione dei falsi miti ai quali purtroppo
rischiano di credere le nuove generazioni…
marco.gabbuggiani@gmail.com
Da oltre trent'anni una
realtà per l'auto in Toscana
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Il trittico di Nicolas Froment torna in Mugello con il progetto Terre degli Uffizi
Ancora un attimo per favore: il viaggio nella memoria di Giovanni Bogani
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Nudo femminile (1925), olio
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
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Anno 5 - Numero 8 - Settembre 2022
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Luciano Artusi
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Polvere di stelle
A cura di Giuseppe Fricelli
Sarah Ferrati
Un mito irripetibile del teatro italiano
Nella sua arte era facile apprezzare
la perfetta interpretazione
di tutti i personaggi
cui dava vita in scena. L’atmosfera
magica che l’attrice creava è qualcosa
che ci incanta ancora oggi
ascoltandola in vecchie registrazioni.
Sarah Ferrati, con il suo intenso
sguardo ed i suoi meravigliosi occhi
espressivi, direi parlanti, sapeva
far trasparire e cogliere i sentimenti
più veri e profondi. Quando entrava
in scena era come se si mettesse in
contatto con l’autore che stava interpretando
e captava tutta l’attenzione
dello spettatore. La sua esile figura
riempiva il palcoscenico e tutto il
pubblico la seguiva rapito dall’inconfondibile
personalità. Le vibranti ed
infinite sonorità vocali che l’esecutrice
possedeva erano tali da poter realizzare
qualsiasi timbro di voce che
necessitava al momento. Quanta
musicalità nel fraseggio vocale uti-
lizzato dall’interprete! Le pause erano sempre giuste, magiche,
irripetibili. I fiati ed i respiri che realizzava in scena
erano degni di uno straordinario cantante. Il messaggio intimo,
profondo, vivo, il rigore tecnico che questa eccellente
attrice ci ha donato rimarranno come una pagina indelebile
nell’arte della recitazione. Il teatro vive di libertà espressiva
ma rispettosa del testo scritto: tutto questo Sarah Ferrati lo
sapeva bene. Leopardi diceva che la chiarezza è il primo desiderio
dello scrittore: «Non ho mai lodato l’avarizia dei segni
e vedo che spesse volte una virgola ben messa, dà luce
a tutto un periodo». Lo stesso Claude Debussy, che era un
perfezionista della dinamica musicale, riteneva che il compositore
dovesse coadiuvare l’esecutore con l’invito scritto
dalla “punteggiatura espressiva” nel brano composto. I
timbri di voce di Sarah Ferrati mi ricordano l’infinita varietà
di colori contenuti in una tavolozza utilizzata dai grandi pittori
impressionisti. A volte utilizzava una voce sospirata,
di Giuseppe Fricelli
Sarah Ferrati nel 1954 (ph. Paolo Monti)
grave ed intensa, da sembrare un filo di nebbia mattutina
o l’ultimo raggio di sole serale, divenendo poi all’improvviso,
con un cambiamento vocale, una vera furia travolgente,
come una tempesta. Termino il mio scritto dedicato a questa
grande interprete dicendo che è stata per me una gioia
immensa averla potuta ascoltare più volte, averla conosciuta
personalmente, averle parlato ed aver appreso da lei, imitandola
nella mia professione di pianista, alcuni respiri e
pause magiche. Sarah Ferrati è stata dunque un’attrice moderna,
un mito irripetibile del teatro italiano.
www.florenceartgallery.com
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
SARAH FERRATI
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Mostre in Toscana
Effimero
Al Centro Espositivo Culturale San Sebastiano una mostra a
quattro mani per denunciare il disagio giovanile
Effimero è il titolo della mostra i cui protagonisti, il pittore
Marco Campostrini e la giornalista Alessandra
Bruscagli, hanno lavorato a quattro mani per affrontare
un tema tanto inusitato quanto attuale. Sia i dipinti di
Campostrini che le liriche della Bruscagli che li accompagnano,
raccontano infatti il disagio giovanile caratteristico del
nostro tempo. Abbiamo chiesto ai due autori il perché di questa
scelta: «È una passerella dedicata ai giovani apparentemente
vestiti di gioia e di colori, ma esitanti e fragili nei
sentimenti che il più delle volte non sanno esprimere, non riescono
a condividere. Abbiamo voluto mettere l’accento su
questo momento storico così difficile per tutti ma per i nostri
ragazzi in particolare solo per far riflettere educatori, famiglie
e amici su queste problematiche. Il nostro intento è quello di
sottolineare dei fatti, non vogliamo insegnare niente a nessuno
perché non ne saremmo in grado e non è nostro compito».
I dipinti di Marco Campostrini mettono allegria: volti sorridenti,
tanti colori, vestiti sgargianti, giochi e gioventù. Ciononostante
è facile avvertire in queste figure un timore che
serpeggia nel profondo delle loro anime, una malinconia ladi
Annamaria Isola
tente. Le liriche di Alessandra Bruscagli, quasi tutte scritte in
prima persona, non dimenticano di dare un senso di cambiamento,
di miglioramento, di fiducia nel futuro. «Abbiamo intitolato
l’iniziativa Effimero – proseguono i due autori – perché
tutto è effimero, anche la vita, e quindi temporaneo, transitorio,
persino i momenti difficili che, col tempo, si rivelano anch’essi
provvisori e fugaci. Occorre coltivare la speranza, la
voglia di cambiare, di dare una svolta alla propria esistenza
e chiedere aiuto senza esitazioni. È questo che noi vogliamo
dire con forza: il sole sorge ogni giorno e ci illumina! Aggiungiamo
inoltre che Effimero è una mostra che non si può
raccontare a parole, va vista da vicino, bisogna soffermarsi
quadro dopo quadro e leggere la poesia corrispondente».
L’evento si terrà il prossimo 10 settembre e fino al 25 dello
stesso mese presso il Centro Espositivo Culturale San Sebastiano
a Sesto Fiorentino, in piazza della Chiesa, a due passi
dall’antica pieve di San Martino. Per l’inaugurazione è prevista
la lettura di alcune liriche interpretate dall’attore Alessandro
Calonaci. Orari di visita: sabato ore 10/12 e 16.30/19;
domenica ore 10/12; dal lunedì al venerdì ore 16,30/19.
Diversa prospettiva
Unʼalba che tarda
8 EFFIMERO
Ritratti d’artista
Varren
Le opere dell’autodidatta “sapiente”
in mostra allo Spazio Espositivo
San Marco dal 10 al 20 settembre
Conoscere Varren è una scoperta cosmica; egli proviene
dalla terra, quella verso cui bisogna inchinarsi, non quella
dei pastori arcadi. Inizia giovanissimo a sporcarsi le mani
in tanti lavori pratici: è carpentiere, falegname, imbianchino, idraulico,
elettricista, un vero factotum e, al tempo stesso, un intelligente
osservatore di quanto gli passa tra le mani, soprattutto quando
deve intervenire in situazioni di degrado o ripresa dell’antico. E qui,
nel suo lavoro pratico, ma raffinato, scopre la decorazione d’interni.
È un amore a prima vista: Varren si trasforma in restauratore
filologico, pur senza avere quella che si dice una cultura accademica
alle spalle. Solo pratica? No, perché – e lui ci tiene a ribadirlo
– ha “solo” la quinta elementare e non ha affrontato studi superiori
con diplomi che ti dichiarino “maestro d’arte” oppure “pittore”,
“scultore”, “grafico”. Tuttavia, la sua fervida intelligenza e la sua
altrettanto pervicace curiosità intellettuale lo portano a scoprire
l’arte, prima con la visione occasionale, poi con la lettura mirata
di pubblicazioni specifiche. Quindi, l’incontro con la sanità: Varren
entra nel circuito ospedaliero modenese come infermiere del comparto
ortopedico, nello specifico “colui che fa e mette i gessi”. Con
la manualità e l’esperienza che si ritrova, definirlo abile è poco. Ma
questa sua vita lavorativa lo porta a conoscere profondamente la
sofferenza umana, fisica, psichica, spirituale. E la sua arte, parallela
e sostegno della sua vita lavorativa, cresce con i suoi pervicaci
amori. Il primo, la moglie e compagna di vita, Pina, sua ispiratrice
non solo morale; poi il Dalì del sogno delirante, l’autore del Crocifisso
sospeso sul mondo e dei ritratti scavati. Il terzo, la natura
della grande campagna emiliana, fatta di spazi verdi e coltivati, di
foglie che narrano la vita all’uomo. Il quarto, il Cristo nudo, violentato
nell’atroce passione che, prima di essere dolore fisico, è coscienza
di sacrificio per un’umanità pronta al tradimento fraterno
e all’egoismo. Così, Varren prende il pennello e comincia a presentare
grandi spazi aperti, verdi, con un orizzonte montano o cittadino
schematizzato, con una coscienza sacrale che lo fa raccordare,
concettualmente, a un Beato Angelico, commissariato da Klee e
da Kandinsky. I suoi quadri sono, sin dall’inizio, fortemente cromatici,
con la caratteristica del geometrismo strutturale. Frequendi
Mario Bizzoccoli
temente nelle opere più marcatamente geometriste compaiono
strutture a travi, aperte in prospettiva esplosa, spesso sostitutive
della croce classica, oppure vuoti spazi aperti che indirizzano l’attenzione
dell’osservatore oltre l’orizzonte. La sua produzione inizia
negli anni Settanta del secolo scorso, esposta, soprattutto, negli
spazi italiani centromeridionali, nella fattispecie al Circeo, dove incontra
tanti artisti e intellettuali e riceve i primi riconoscimenti. Poi,
nel ventennio successivo, ad un aumento della sua produzione artistica,
corrisponde una progressiva assenza dagli spazi espositivi
dettata non da timori o rifiuti, ma da una ricerca non solo formale.
Intanto, Varren scopre il Bauhaus, ne trova delle corrispondenze
incredibili e rispunta un altro dei suoi grandi amori: il legno. Da
quel momento, le sue opere si avvicinano all’installazione, al tattile,
alla mediazione tra pittura, scultura, grafica, legate da un senso
sempre cromatico puro, a cui si aggiunge una consapevolezza armonica.
La figura umana, sempre sintetizzata, è, molte volte, fantasmatica,
ripetuta quasi ossessivamente in situazioni di pericolo
e tristezza; le tematiche del migrante scacciato dalla sua terra e
condannato a morire in mare o nei deserti, dello sfruttato che soccombe
sotto il peso di un lavoro inumano, diventano costanti. Accanto
al geometrismo tattile, ecco comparire le sue farfalle, veri
simboli di vita, filosoficamente trasformate, ma sempre splendidamente
descritte con colori decisi e simbologie. La sua volontà
creativa lo fa tornare, frequentemente, al Cristo, ora non solo crocifisso,
ma resuscitato, vivente, espresso non in maniera figurativa
con voli di foglie verdi che ne formano la sagoma. Varren, l’autodidatta,
comunica, con umiltà e decisione, con una visione artistica
che ha un vero nome: solidarietà.
Le opere di Varren saranno esposte in personale allo Spazio
Espositivo San Marco in via San Zanobi 45 rosso a Firenze
dal 10 al 20 settembre 2022.
VARREN
9
I grandi della fotografia
A cura di Maria Grazia Dainelli
Uliano Lucas
La fotografia come strumento di riflessione culturale e indagine sociologica
negli scatti di un maestro del reportage e intellettuale controcorrente
Quando ha iniziato ad appassionarsi alla fotografia?
Ho iniziato da ragazzo a Milano frequentando il Bar Gia-
maica, nel quartiere Brera, luogo di incontro in quegli anni
di pittori, scultori, fotografi e letterati. È stata la mia università,
ho passato anni con queste persone, interessandomi di tante cose
e soprattutto di cinema che, attraverso il suo potente linguaggio
visivo, ha contribuito a farmi apprezzare la fotografia. Sono
cresciuto parlando con Ugo Mulas, Mario Dondero, Giulia Niccolai,
Alfa Castaldi e valorizzando il rapporto umano in un mondo
aperto e intelligente. Sono sempre stato un ragazzo curioso e,
dovendo scegliere una professione, la fotografia mi è sembrata
la più congeniale per me per la libertà che mi concedeva nella gestione
del tempo. Mi sono occupato di giornalismo fotografico
da autodidatta non essendoci allora scuole di giornalismo. Fin
da subito, ho lavorato come libero professionista e fotoreporter
free-lance, iniziando ad osservare e a raccontare la realtà.
di Maria Grazia Dainelli / foto di Uliano Lucas
Qual è stato negli anni il suo rapporto con l’editoria?
Ho collaborato con numerosi mensili e settimanali italiani e
stranieri nei quali mi riconoscevo sia culturalmente che politicamente:
L’Espresso, L’Europeo, Il Mondo. I direttori dell’epoca acquistavano
i miei reportage realizzati in assoluta libertà, per loro
rappresentavo una finestra sul mondo. Ho potuto così raccontare
le guerre in Africa e a Sarajevo, la vita nelle fabbriche e nei manicomi,
la trasformazione delle città e in generale tutto quello che
mi incuriosiva nella società di quegli anni. La fotografia veniva
acquistata come merce preziosa, la carta stampata produceva
giornali di una bellezza unica. Un mondo che oggi non esiste più.
Negli ultimi venticinque anni molti fotografi sono diventati poco
più che illustratori, quelli che mancano invece sono gli interpreti.
Com’è cambiato il suo linguaggio fotografico dagli esordi
negli anni Sessanta ad oggi?
Ognuno è figlio della propria epoca. Gli anni Sessanta sono stati
anni fortunati, c’era una forte idea del futuro, una grande curiosità,
erano ancora vivi e pulsanti gli ideali del dopoguerra. In quel
periodo ho scelto di raccontare un mondo di invisibili a cui non veniva
dato spazio sui giornali, di documentare la storia di un grande
cambiamento della società italiana, a differenza di tutti quei
settimanali che come Gente, Oggi e Famiglia Cristiana vendevano
milioni di copie ma non raccontavano la realtà del paese perché
allineati al pensiero politico dominante. Ho fotografato i manicomi,
le fabbriche e gli operai che, emigrati al nord, hanno permesso
il miracolo economico, i luoghi dove vivevano, le loro giornate e gli
amori. Era una società in fermento, e tuttavia ancora caratterizzata
da vecchi meccanismi conservatori. Il ’68 ha spazzato via tut-
to segnando l’inizio di una nuova epoca anche in fotografia, con
maestri come William Klein e Robert Frank, con i quali è stato inevitabile
confrontarsi.
Quale tra i libri da lei pubblicati è più rappresentativo del
suo lavoro fotografico?
Da sempre l’Italia è carente di critici fotografici e storici della
fotografia. Per questo motivo è mancato nel nostro paese un
dibattito culturale capace sia di migliorare la comunicazione visiva
che di attribuire spessore e dignità al ruolo del fotoreporter.
Ancora oggi sono pochi i luoghi in Italia dove organizzare mostre
fotografiche, promuovere dibattiti, raccogliere archivi fotografici
importanti come quelli di Luciano D’Alessandro, Federico
Garolla, Lisetta Carmi. In questo scenario ho sentito la necessità
di raccontare la storia del fotogiornalismo con il libro La realtà
e lo sguardo scritto insieme a Tatiana Agliani dopo aver lavorato
molti anni e aver intervistato numerosi fotografi. È un libro che
ha avuto successo, tanto da diventare un testo universitario. Sono
convinto che la storia della fotografia e della comunicazione
visiva in generale dovrebbero essere insegnate a scuola e nelle
università, proprio come si fa con la storia dell’arte.
Cos’è per lei la fotografia?
Scavare nella complessità della società e tentare di raccontarla
con le immagini: credo sia questo il compito del fotografo.
In Italia si parla spesso di fotografia artistica distinguendola
dal genere del reportage. Personalmente, ho sempre con-
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
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ULIANO LUCAS
siderato i bravi fotoreporter della mia epoca non come artisti
prestati al giornalismo ma come intellettuali capaci di documentare
la storia dell’umanità andando oltre la semplicità
della fotografia di cronaca. Il mio archivio non ha un valore
artistico ma culturale. Negli anni mi è capitato spesso di affrontare
temi scomodi o poco graditi a molti giornali che per
questo non pubblicavano le mie foto. E io ho risposto andando
avanti sulla mia strada, realizzando mostre e pubblicando libri.
Com’è nata l’idea di fondare il Centro della Fotografia Italiana
a Brescia?
L’idea è nata otto anni fa da Renato Corsini, fotografo, architetto
e abile operatore culturale, insieme a mia figlia Tatiana Agliani, a
Gianni Berengo Gardin e a Maurizio Rebuzzini, quando a Brescia
l’amministrazione comunale ha abbracciato il progetto consentendoci
di creare un luogo dove promuovere mostre fotografiche
di livello ed animare il dibattito sulla cultura visiva in Italia ancora
oggi poco significativo. Basti pensare al fatto che i testi importanti
sulla storia e sui significati della fotografia continuano
ad essere quelli di autori stranieri come Susan Sontag e Roland
Barthes, mentre mancano saggi di autori italiani. Insieme a mostre
inedite, come quella di Caio Garrubba, nel Centro ha sede
anche l’esposizione permanente degli scatti dei maggiori protagonisti
della fotografia italiana come Carlo Bavagnoli, Romano
Cagnoni, Mario Dondero e Carla Cerati.
Di recente ha realizzato una mostra fotografica con Tano
D’Amico e Letizia Battaglia. Che cosa vi lega?
Abbiamo tre modi di vedere la realtà e tre formazioni politico-culturali
diverse ma tutti e tre abbiamo fotografato la città,
analizzandone la vita politica e culturale. Nella mostra ci ha uniti
il tema della strada, che tante volte è stata palcoscenico delle
nostre fotografie per raccontare la vita di ogni giorno, le grandi
manifestazioni, i cortei, le proteste che hanno rappresentato momenti
salienti della storia sociale italiana. Tano D’Amico è riuscito,
rompendo gli schemi, a raccontare gli anni Settanta e Ottanta
con una visione introspettiva e un rapporto diretto con le persone.
La stessa cosa ha fatto Letizia Battaglia, che ha fotografato
la vita della gente comune, in particolare donne e bambine, e le
stragi di mafia nelle strade della sua Palermo.
Qual è il reportage fotografico al quale tiene di più?
Quello realizzato negli anni Settanta in Guinea Bissau dove mi
sono recato per fotografare il popolo che combatteva contro il
colonialismo portoghese per far nascere la democrazia. Ho vissuto
con loro, fotografando scuole e ospedali da campo. Le foto
hanno fatto il giro di numerose redazioni italiane, ma anche spagnole
e francesi per raccontare una guerra dimenticata. Il libro
che ne ho tratto, Guinea Bissau / Una rivoluzione africana, è stato
donato, con mio grande orgoglio, a Papa Paolo VI come testimonianza
della nascita di una nuova democrazia
in occasione del suo incontro con i tre leader di
Mozambico, Guinea Bissau e Angola.
Che consigli darebbe ad un giovane che volesse
iniziare la professione di fotoreporter?
Oggi è impossibile intraprendere questa professione
da autodidatta, in un sistema globale
come quello in cui viviamo è difficile esprimersi
con le immagini in maniera efficace senza
aver seguito studi universitari e post universitari
e senza far parte di agenzie di stampa o
di altre organizzazioni di alta professionalità.
Oltre a questo bisogna anche sapersi muovere
in ambienti spesso ostili, essere imprenditori di
sé stessi e avere un certo spessore culturale.
www.ulianolucas.it
Arte e nuove tecnologie
Intelligenza artificiale e creazione artistica
Il ruolo fondamentale dell'intervento umano
di Alessandro Bellini / foto courtesy Mathema
Alcuni ritengono che l’uomo sia destinato ad essere
soppiantato da robot, cattivi e crudeli, guidati dall’intelligenza
artificiale. Macchine che potranno sostituire
l’essere umano anche nelle sue attività più nobili e creative
Paesaggio generato interamente con il software Disco Diffusion
Paesaggio realizzato con l’intelligenza artificiale a partire dal dipinto di Filippo
Cianfanelli nella foto sotto
come l’arte. Ogni giorno si ha notizia di un nuovo sistema di intelligenza
artificiale in grado di produrre opere artistiche semplicemente
a partire da una descrizione a parole. Dall-E 2, Imagen,
Midjourney, Disco Diffusion sono alcuni tra i software di cui si
sente maggiormente parlare e che, effettivamente, consentono
di produrre immagini in grado di stupire. Ma è proprio vero che
l’intelligenza artificiale può sostituire l’artista? Cerchiamo di capirlo
attraverso alcuni esempi. La figura 1 rappresenta un paesaggio
“sintetico”, cioè generato esclusivamente da un sistema
di intelligenza artificiale (in questo caso è stato usato Disco
Diffusion). Non male vero? Eppure, osservando attentamente
l’immagine, notiamo dei particolari inquietanti, nelle punte dei
cipressi, nelle nuvole tra i monti, nell’atmosfera cupa e distopica.
Confrontando questa scena con un altro paesaggio (fig. 2),
sempre ottenuto con tecniche di intelligenza artificiale (questa
volta è stato utilizzato VQGAN) ma a partire da un quadro del
pittore Filippo Cianfanelli, celebre per i suoi panorami toscani
(fig. 3), appare lampante la differenza. L’intelligenza artificiale
continua ad aggiungere elementi non convenzionali ad un’opera
tradizionale, ma si nota un’altra atmosfera, più rilassante e
positiva. In altre parole: più umana. Si potrà obiettare che questo
è solo un esempio. È vero, questo è solo un esempio, ma in
Mathema, la ditta fiorentina che si occupa di arte e intelligenza
artificiale, di esempi così se ne vedono a migliaia e tutti confermano
la stessa cosa: la mano dell’uomo è indispensabile per
rendere un’opera pienamente soddisfacente dal punto di vista
artistico. La prova del nove? Basta confrontare l’immagine con
le foglie di mais scattata in Togo (fig. 4) con la stessa immagine
trasformata in una composizione artistica usando l’intelligenza
artificiale (fig. 5). A quale conclusione si può giungere?
È sufficiente una semplice foto naturalistica per creare un’immagine
con qualità artistiche grazie all’intelligenza artificiale.
La mano dell’artista però non può essere sostituita: è l’unica in
grado di fare davvero la differenza.
Foglie di mais del Togo; nella foto accanto lo stesso soggetto trasformato in
una composizione artistica
12
INTELLIGENZA ARTIFICIALE E CREAZIONE ARTISTICA
Spunti di critica fotografica
A cura di Nicola Crisci
William Klein
Nato a New York nel 1928, William Klein è considerato
uno dei padri della street photography. In realtà,
oltre che fotografo, durante la sua vita, trascorsa
fra l’Europa e gli Stati Uniti, Klein è stato anche scultore, pittore
e regista contraddistinto sempre da un atteggiamento
anticonformista. Diventa un fotografo di moda quotato lavorando
per la rivista Vogue. «Con la fotografia – afferma
– potevo parlare della vita, cosa che non potevo fare con la
pittura». Nel periodo in cui lo sguardo “armonico” di Henry
Cartier Bresson dettava legge, Klein si dedica ad una sperimentazione
formale e contenutistica che ribalta ogni regola
di composizione. Le sue immagini non sono quasi mai pulite
ed ordinate, ma fuori fuoco e mal composte; nonostante
questo però emanano una carica e una vitalità che ha fatto
scuola ad un’intera generazione di fotografi. Klein, in effetti,
è in grado di trasformare l’errore in nuovo metodo espressivo.
Alla fine degli anni Cinquanta diventa assistente di Federico
Fellini, che lo nota proprio grazie ai suoi reportage
realizzati per le strade delle città. Le sue seducenti modelle
non posano in studio: attraversano le strisce pedonali di
Roma, salgono una scalinata, si trovano su di un set oppure
davanti ad uno specchio. Con altrettanto successo e talento,
Klein ha saputo dedicarsi alla fotografia di moda, tanto
da essere considerato uno degli autori di punta di Vogue.
Poliedrico, sfaccettato, innovatore, capace di fondere stili e
generi, cinema, fotografia e pittura; insomma un artista a tut-
Lo sguardo innovatore e anticonformista
di uno dei padri della street photography
di Nicola Crisci / foto William Klein
Cinecittà (Roma, 1956)
totondo. Nel 2013, all’età di 86 anni, sorprende tutti: prende
in mano di nuovo una macchina fotografica e, sessant’anni
dopo il suo libro Life is Good
and Good for You in New York, si
mette a raccontare Brooklyn con
immagini a colori che dimostrano
l’immutata vitalità del suo sguardo
e la sua voglia di continuare a
fotografare sempre con energia,
audacia e spirito di ribellione. La
rivista Professional Photographer
of America lo ha inserito al venticinquesimo
posto fra i cento fotografi
più influenti al mondo.
Pepsi (New York, 1955) Sophia Loren (Roma, 1960)
WILLIAM KLEIN
13
Note dʼarte
A cura di Rosanna Bari
La Madonna della scala e la Battaglia dei centauri
Le due opere giovanili di Michelangelo restaurate grazie alla donazione dei
Friends of Florence
Testo e foto di Rosanna Bari
A
inizio marzo, al Museo di Casa Buonarroti, è stato
presentato il restauro dei due rilievi di Michelangelo
realizzati all’età di appena quindici anni: la Madonna
della scala e la Battaglia dei centauri. Il restauro è
stato donato dalla Fondazione Friends of Florence che, come
sottolineato dalla presidente Simonetta Brandolini d’Adda,
si occupa della tutela del patrimonio michelangiolesco.
Il lavoro, eseguito da Daniela Manna e Marina Vincenti, è
stato preceduto da uno studio diagnostico non invasivo, seguito
da un’accurata operazione di pulizia che ha ridato ai
due marmi quei vigorosi effetti cromatici e di luce che pian
piano il tempo aveva offuscato. Le due opere furono scolpite
da Michelangelo durante la sua formazione nel Giardino
mediceo di San Marco, dove, sotto la guida di Bertoldo
di Giovanni, ultimo allievo e collaboratore di Donatello, i giovani
artisti si esercitavano copiando dalle collezioni di arte
antica della famiglia Medici. Nella Madonna della scala, rea-
Madonna della scala
Battaglia dei centauri
lizzata nel 1490, Maria è ritratta di profilo, seduta su un sasso
squadrato con in braccio il Bambino mentre, con sguardo
profetico, guarda in lontananza, come a voler distogliere la
sua attenzione dal figlio di cui conosce già il triste e doloroso
destino. Visto di spalle il Bambino, protetto dalla madre
che teneramente lo copre con un lembo della sua veste,
sembra essere profondamente addormentato. A sinistra, su
una scala che domina quasi la metà del rilievo, si intravedono
dei bambini. Scolpita tra il 1491 e il 1492, la Battaglia dei
centauri rimase incompiuta, forse a causa della morte di Lorenzo
il Magnifico, committente dell’opera. Il soggetto, definito
da Vasari la Battaglia di Ercole coi centauri, sembra la
rappresentazione di una scena di azione e di forza piuttosto
che la descrizione di uno specifico episodio mitologico. Palese
l’interesse dell’artista verso la descrizione di una marcata
espressività emotiva, come per esempio la rabbia o il
dolore dei lottatori avvinghiati in un violento combattimento.
I due marmi, seppur
scolpiti da un adolescente
Michelangelo, risultano
fortemente caratterizzati
da elementi riscontrabili
in opere della sua produzione
più tarda. Oltre al
restauro dei rilievi è stata
riallestita anche la sala
in cui le opere sono custodite.
Il nuovo sfondo
color antracite consente
oggi alle loro superfici di
avere un maggiore risalto,
mentre la moderna illuminazione
permette al
visitatore di godere di una
chiara lettura fin nei minimi
dettagli.
Nata ad Augusta (SR) e residente a Firenze da circa
venti anni, Rosanna Bari ha maturato esperienze nel
campo dei beni culturali (catalogazione per le Sovrintendenze
di Siracusa, Palermo e Firenze e organizzazione
eventi espositivi e di svago) e della divulgazione grazie al conseguimento
della qualifica di guida turistica di Firenze e provincia.
Scrive articoli d'arte per il periodico San Sebastiano
della Misericordia di Firenze e cura il blog Arte: i tesori di Firenze
per il quotidiano online FirenzeToday.
+ 39 339 1667051
rosannabariguida@gmail.com
OPERE DI MICHELANGELO RESTAURATE
15
Dal teatro al sipario
A cura di Doretta Boretti
Monica Menchi
Dopo un’importante carriera come attrice e regista, la scelta dell’insegnamento
per trasmettere a giovani e adulti l’amore per il teatro
di Doretta Boretti / foto courtesy Monica Menchi
Ci troviamo a Pistoia, famosa città storica toscana, per
incontrare Monica Menchi, affermata attrice di cinema,
teatro, televisione, regista di numerosi spettacoli e insegnante
di teatro.
Come si è innamorata del teatro e a che età?
Credo di esserci nata con l’amore per il teatro, in particolare
per la regia. Quando ero all’asilo, dopo aver assistito
ad uno spettacolo circense, ho avvertito l’esigenza di disegnare,
su di un quaderno, quello che avevo visto, ricostruendo
tutte le scene osservate. A dieci anni feci il mio
primo spettacolo da regista. Ero una bambina molto creativa,
poi quando diventai una professionista, le poche volte
che ho tentato di distaccarmi dal teatro, il teatro mi ha
sempre recuperata.
Ha frequentato la prestigiosa Accademia Silvio D’Amico.
Quali sono i ricordi legati a quella esperienza?
Quando sostenni l’esame per entrare all’Accademia Silvio
D’Amico lo detti anche per entrare al Centro Sperimentale di
Cinematografia. Li superai tutti e due ma scelsi l’Accademia;
non perché non considerassi formativo il Centro Sperimentale
ma dall’Accademia erano usciti grandi attori: Anna Magnani,
Paolo Stoppa, Nino Manfredi, Vittorio Gassman, Giulio
Bosetti, Monica Vitti, Giancarlo Giannini e tanti altri. Sono
stati quattro anni molto impegnativi, entravi la mattina alle 8
e 30 e a volte non sapevi quando uscivi alla sera. Una scuola
molto formativa: ore e ore di recitazione, musica, danza,
scherma. Ricordi brutti non ne ho, anzi, ho incontrato grandi
maestri; ricordo con affetto e stima Mario Ferrero, con cui
ho fatto un percorso recitativo in versi veramente importan-
Monica Menchi (ph. Serena Carradori)
In Edith Piaf/ tra storia e mito (ph. Sandro Nerucci)
16
MONICA MENCHI
Ph. Sandro Nerucci
te. Devo ammettere che è grazie ai miei sforzi e a quelli dei
miei docenti se ho acquisito gli strumenti che mi hanno permesso
di diventare la professionista che sono. Qualche volta
mi mancava la mia famiglia, a quel tempo ero molto giovane,
ma tornerei a quei momenti anche adesso.
Che incontro è stato, il suo, con la regista Cristina Pezzoli?
Un incontro fondamentale. Purtroppo Cristina è scomparsa
due anni or sono. Con lei ho fatto tanti lavori e quello più importante,
che mi ha permesso di girare l’Italia e che ha avuto
un enorme successo, è stato La vita accanto, dal romanzo di
Mariapia Veladiano, con la drammaturgia di Maura Del Serra.
Dopo alcune importanti esperienze cinematografiche ha
iniziato ad insegnare. Che cosa ha suscitato in lei questa
nuova esperienza?
All’inizio non avevo il desiderio di insegnare anche se mi dicevano
che ero molto portata. Quando iniziai a lavorare con registi
affermati, cercai di osservare attentamente il loro modo di
lavorare e devo ammettere che, dopo le prime esperienze recitative,
iniziai da quello, a fare regia, che era sempre stata poi
la mia passione originaria. Dalla regia all’insegnamento il passo
è stato breve. Riconosco di essere molto severa. Ho insegnato
e insegno a giovani dai 16 anni, a persone anche ultra
settantenni. La bellezza del teatro è proprio quella di vedere
giovani e meno giovani in una simbiosi collaborativa generazionale.
Vedere sul un palco gente di tutte le età lavorare in una
piacevole armonia: questo è teatro. L’esperienza con i bambini
piccoli è troppo impegnativa per me, l’insegnamento con loro
deve essere un gioco. Ci vogliono persone qualificate per gestire
i bambini. È un percorso pre-artistico.
Ph. Laura Pelagatti
Pensa che sia utile per tutti fare un’esperienza recitativa e,
se sì, perché?
È utile perché ho visto a volte gente timida, introversa e molto
chiusa trasformarsi dopo un’esperienza teatrale. Ci sono state
persone che all’inizio mi hanno detto: «Io sul palco mai». E poi invece…
È una grande soddisfazione perché vuol dire che come insegnante
hai dato qualcosa e hai fatto amare il teatro. Tuttavia
ci sono alcuni che non sono proprio compatibili con questo tipo
di esperienza, perché a volte vengono fuori delle cose che la recitazione
non può sanare. Quindi direi che il teatro non è per tutti.
A breve inizieranno i suoi nuovi corsi. Chi fosse interessato
dove può trovare le indicazioni per iscriversi?
Sulla mia pagina Facebook e a questi contatti:
+ 39 3387290938 / monicamenchi2@gmail.com
Ph. Daniela Pasquetti
MONICA MENCHI
17
Lorenzo Senzi
Il racconto della storia
Guerra e pace tra passato, presente e futuro (omaggio in occasione dell’anniversario della battaglia di Campaldino)
info@studiosenzilorenzo.it
I libri del mese
Giovanni Varrasi
Il “taglio osceno” di un viaggio esistenziale al centro di sé stessi
di Erika Bresci
Una famiglia apparentemente “ordinata”, sana,
quella di Siro. Una madre attenta al ruolo rivestito,
un padre esigente ma assente (ben presto
per sempre). Lui, secondo di tre figli, incastrato tra l’anticonformismo
ribelle del terzo e la volizione prepotente,
schiacciasassi, vincente ad ogni costo del primo. Fratelli
come isole distanti di una pangea irrimediabilmente
perduta. Siro, bravo studente, bravo figlio, bravo medico:
una parabola di vita che lo raffigura nel suo essere
ingranaggio della società civile, perfettamente oliato
secondo i canoni convenzionali – e materni –. Finché,
un giorno, specchiandosi in una vetrina, pensando di incrociare
la forma di se stesso immaginata (aitante, gagliarda,
sbarazzina), si imbatte invece in un paio di spalle
curve, un collo allungato e un’espressione stanca, avvilita.
La frattura generata tra l’uomo socialmente accettato
e ciò che egli in realtà è, rischia di slabbrarsi in una voragine
profonda, in crepacci pericolosi da attraversare con
la forza e l’esperienza dello speleologo, in un viaggio al
centro di sé stessi dal quale è comunque necessario ripartire.
A illuminare il sentiero per uscire dalla caverna
che lo imprigiona come un moderno schiavo dell’antico
mito di Platone, due diversi fari, entrambi etimologicamente
aderenti alla semantica compresa nel compito
cucito loro addosso: Lucio, il personal training della palestra
alla quale Siro si iscrive per recuperare la propria
forma fisica, che lo orienta verso un nuovo modo di vedersi
– «Guardati. Insisti nel guardarti. Da una certa distanza
possiamo vederci meglio e correggerci» – da cui
scaturisce in lui nuova e potente energia; e Lucilla, la nipote
che ha avuto il coraggio di inventarsi una nuova vita
insieme al marito e al figlio, in Cilento, a coltivare la terra,
partendo da niente. Ospite per pochi giorni da lei, Siro respirerà
in quella casa l’essenza vera dell’amore, che circola
nella reciprocità complice degli sguardi, dei silenzi,
del naturale prendersi cura l’uno dell’altro. L’amore è esso
stesso reciprocità. Per questo il sesso (via via seduttivo,
complice, violento, accogliente, materno, giocoso),
declinato secondo diverse donne e altrettante esperienze,
non può da solo arrivare a sciogliere il nodo in gola
che non fa respirare. Perché parte dall’io e ad esso ritorna.
Solo quando negli occhi di Sofia (altro nomen omen)
gli occhi di Siro poseranno anche l’anima – che egli immagina
con le sembianze di una ragazzina dai capelli ricci
e gonnellina corta, che «risiede dentro di me, sopra la
zona dell’ombelico, in uno spazio tra l’addome e il cuore…
sensibile, attenta ai particolari, è irremovibile nei giudizi,
soprattutto nelle questioni importanti… quando non
è d’accordo con me oppure qualcosa non le piace, sparisce»
– il futuro potrà aprirsi a spiragli di prospettive nuove.
Reciprocità, si diceva. Perché se l’egoismo non porta
a vivere l’amore in pienezza, neppure il rinnegare sé stessi,
l’annientarsi di fronte all’altro conduce in alcun luogo.
Lo sa bene Lucio, che per comprare l’amore di un padre
anaffettivo e malvagio perderà se stesso. Giovanni Varrasi,
medico psichiatra, conosce bene i tanti “fuori scena”
dell’essenza umana. In questo romanzo che sa di vita vera
– e nei diversi personaggi, nelle loro storie, nel rifrangersi
di frammenti di specchi, nel muoversi tra la selva di
ricordi, sogni, segreti, progressi e fallimenti – la lama del
bisturi affonda nell’intimità dell’uomo, svelandone i chiaroscuri,
le diverse “identità”, la quotidiana lotta combattuta
tra verità di comodo e reali. Un universo in bilico tra
miseria e grandezza, che possiamo intravedere attraverso
il “taglio osceno” di una scrittura vigorosa e autentica,
capace di toccare l’imo feroce e spregevole della bestialità
e innalzarsi a tratteggiare le fonti chiare del sentimento
puro.
GIOVANNI VARRASI
19
Dimensione salute
A cura di Stefano Grifoni
Occhio secco
Lacrimazione scarsa e troppo densa all’origine di una malattia
soprattutto femminile
di Stefano Grifoni
L’occhio secco è una malattia della superficie oculare
che si manifesta con la sensazione di corpo
estraneo, bruciore e altri disturbi. L’incidenza aumenta
con l’età ed incrementa in presenza di patologie reumatiche
e ormonali, con l’esposizione a fattori ambientali
come vento, aria condizionata e uso di lenti a contatto e di
videoterminali. Ha una prevalenza di circa 15 casi ogni 100
persone. La malattia è maggiormente presente nel sesso
femminile. La caratteristica fondamentale è una modifica
della quantità e della composizione delle lacrime che diventano
più dense per una ridotta produzione della componente
liquida da parte della ghiandola lacrimale. Il sintomo più
frequente è l’arrossamento della congiuntiva. La diagnosi
e la terapia sono poste nel corso di una visita oculistica
necessaria anche per escludere eventuali forme allergiche
concomitanti o infezioni sovrapposte. Un amore tradito è
come un occhio secco, come un granello di sabbia che ci
può tormentare sempre.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
20
OCCHIO SECCO
Psicologia oggi
A cura di Emanuela Muriana
L’arte di imparare dalle delusioni
di Emanuela Muriana
«
Niente è più facile che illudersi, poiché l’uomo
crede vero ciò che egli stesso desidera» afferma
Demostene. E se ciò che desidera non accade,
l’uomo ha tre possibilità: continuare ad illudersi in
un autoinganno poco consapevole, alimentato con la forza
della speranza della resistenza e soprattutto della credenza
che tanto assomiglia alla fede religiosa che non prevede
la prova dei fatti; assistere al lento smottamento dell’illusione
che potrà diventare una frana pericolosa se il comportamento
di fuga non prevale; contemplare le macerie di un
terremoto inaspettato. Allora l’illusione si trasforma in delusione
che avvolge i pensieri come una nebbia fitta che impedisce
di vedere il futuro prossimo; oppure si fa largo la
frustrazione, quella sensazione mista di rabbia e impotenza
perché qualcosa di interno a noi (incapacità di valutazione
o di risorse) o di esterno a noi (eventi o persone) non hanno
permesso di conseguire il desiderato scopo. Illusione e
delusione possono essere due stati separati temporalmente,
ma in realtà sono un vero processo ideativo, inevitabile
nella vita anche per i più disillusi… Le delusioni vengono
classificate in diverse tipologie: delusioni lievi, delusioni
forti e delusioni traumatiche. Quelle lievi, ma anche quelle
forti, se affrontate nel modo giusto, permettono di ripar-
tire con maggiore consapevolezza della necessità di avere
anche un pizzico di diffidenza che tamponi le inevitabili illusioni.
Imparare dall’esperienza, si dice, ma concedendosi
le emozioni e le passioni, il vero sale della vita. Le delusioni
traumatiche hanno invece un’evoluzione clinica: le persone
cominciano a sentirsi vittime di sé stesse, degli altri o anche
del mondo. Insane e pervasive ruminazioni mentali, reazioni
di impotenza, disturbi di area depressiva. Possono
anche evolvere in dipendenze relazionali, un severo quadro
clinico che ha la funzione di evitare in tutti i modi di vivere
la delusione e il dolore connesso. Oppure sfociare in una
frustrazione rabbiosa che rende la persona da polemica ad
aggressiva e può sviluppare disturbi di area paranoica. «Le
delusioni ci aprono la mente e ci chiudono il cuore» ha detto
qualcuno, ma questo stato deve servire a suturare le ferite
e non ad approdare ad un insano cinismo.
Per approfondire:
E. Muriana, T. Verbitz, L. Pettenò, I volti della depressione
(Ponte alle Grazie)
E. Muriana, T. Verbitz, Psicopatologia della vita amorosa
(Ponte alle Grazie)
E. Muriana, T. Verbitz, Le relazioni dipendenti (Alpes Italia)
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
IMPARARE DALLE DELUSIONI
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artEnutrizione
A Firenze un luogo dove la scienza medica incontra l’arte
A Firenze, nel quartiere di Rifredi, in via Leopoldo Pellas 14
D/E, si trova uno studio professionale unico nel suo genere:
artEnutrizione. È un luogo dove idealmente e concretamente
si incontrano tanti saperi e competenze grazie alla collaborazione
di diverse figure professionali, tutte orientate al
raggiungimento della salute e del benessere psicofisico della
persona. Vi si organizzano anche eventi a tema e gli argomenti
trattati sono scelti nell’ottica della promozione della
salute, della corretta informazione e della cultura in generale,
inclusa la passione per l’arte. Il locale, infatti, è una piccola
galleria di opere esposte in parte nel corridoio d’ingresso e
Lʼartista Riccardo Macinai intervistato da Fabrizio Borghini
nella sala d’attesa, in parte nelle due stanze adibite a studio professionale. Tutte le persone che frequentano gli studi possono
usufruire della vista dei numerosi dipinti olio su tela, di varie installazioni ed elaborazioni fotografiche dell’artista fiorentino
Riccardo Macinai (per contatti: + 39 347 9363795 / riccardomacinai@gmail.com).
Le discipline e i professionisti attualmente
presenti nello studio artEnutrizione:
I professionisti dello studio artEnutrizione
Nutrizione: dott.ssa Silvia Ciani, biologa nutrizionista e specialista
in Scienze dell’alimentazione; dott.ssa Alice Guazzini,
biologa nutrizionista
Psicoterapia cognitivo comportamentale: dott.ssa Tania Marsili,
psicologa psicoterapeuta
Psicoterapia breve strategica: dott.ssa Corinna Desiati, psicologa
psicoterapeuta
Endocrinologia: dott. Riccardo Mansani, medico chirurgo specialista
in Endocrinologia e Malattie del metabolismo
Osteopatia: dott. Roberto Papaianni, specialista in Scienze e
Tecniche delle Attività Motorie
Naturopatia: Susi Zuri, esperta di erbe, principi naturali e tecniche
orientali
Aree di competenza coordinate dalla dott.ssa Silvia Ciani:
• Obesità e sovrappeso in adulti (nutrizionista o percorsi integrati con personal trainer o team multidisciplinare
endocrinologo-nutrizionista-psicologo) e bambini in età scolare
• Stati fisiologici (gravidanza, allattamento, menopausa, senilità, allenamento sportivo, etc.)
• Stati patologici diagnosticati (diabete, ipertensione, dislipidemie, sindrome metabolica, malattie cardiovascolari,
insufficienza renale, sindrome ovaio policistico, sindrome del colon irritabile, celiachia, malassorbimenti,
allergie, intolleranze, etc.)
• Diagnosi e terapia per disturbi ormonali, patologie endocrine
(tiroide, ipofisi, gonadi, surrene, pancreas), malattie come
l’osteoporosi, la disfunzione erettile, l’infertilità maschile e
femminile, le complicanze della menopausa e il diabete (endocrinologo
o team endocrinologo-nutrizionista)
• Disturbi gastrointestinali, magrezze, alimentazione vegetariana
• Disturbi alimentari (trattamento integrato psicologo-nutrizionista)
e loro prevenzione
• Prevenzione alla salute tramite la corretta alimentazione
(bambini, adolescenti, adulti) individuale e di gruppo
• Laboratori esperienziali con prodotti naturali
www.artenutrizione.it
www.nutrizionistafirenze.com
Appunti di storia sociale
La previdenza sociale in Italia
Dal 1933 uno strumento di garanzia in favore di lavoratori e disabili
Chissà se qualcuno si è mai chiesto quando è nata la
previdenza in Italia e quando gli italiani avanti negli
anni, non potendo più lavorare, hanno iniziato a percepire
una pensione. Bisogna tornare indietro nel tempo, al
1895, quando fu emanato un Regio Decreto con le disposizioni
sulle pensioni del personale statale. Ma per vedere
istituita l’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) per
i dipendenti dell’industria e dell’agricoltura, presso la Cassa
Nazionale per le Assicurazioni Sociali, bisogna arrivare
al 1919; e dovremo attendere il 1933 per vedere creato l’Istituto
Nazionale di Previdenza Sociale (INPS). L’Istituto fissò
l’età pensionabile di vecchiaia a 65 anni sia per le donne
che per gli uomini. I contributi versati nelle casse dell’INPS
venivano investiti in titoli di Stato, immobili e, al termine
del periodo lavorativo, il lavoratore anziano riceveva il corrispettivo
di quei contributi. La storia sarebbe molto lunga
e complessa ma quello che c’è da chiedersi: prima del
1895 come sopravvivevano gli anziani che avevano lavorato
a lungo, e gli invalidi? Gli anziani senza una rendita persodi
Doretta Boretti
nale lavoravano fino al termine dei loro giorni oppure erano
totalmente a carico dei figli; delle persone povere che non
trovavano un lavoro o di quelle disabili che non potevano lavorare,
se ne occupavano a volte le congregazioni caritatevoli,
oppure intervenivano le opere di beneficenza pubbliche
e private. Siamo nel XXI secolo e, vista la crisi occupazionale
degli ultimi anni, aggravata da questi tempi di pandemia
e di guerra, in contro tendenza rispetto ai tempi passati,
spesso le famiglie dei pensionati si trovano ad accogliere
di nuovo nelle loro abitazioni i figli quarantenni, rimasti senza
lavoro o ancora in cerca di un lavoro stabile, da soli o
con moglie e figli. E per gli anziani e i disabili soli e indigenti
che cosa è cambiato in Italia in più di un secolo di storia
civile? Fino ad oggi i dati ci dicono che con l’aumento della
popolazione rispetto al secolo passato (agli inizi del Novecento
erano 32.963.316, a gennaio 2022: 58.983.122), nonostante
lo straordinario “progresso” raggiunto, ad oggi, in
Italia, 5.600.000 persone (dati ISTAT 2021) vivono in povertà
assoluta.
LA PREVIDENZA SOCIALE
23
I giganti dell’arte
A cura di Matteo Pierozzi
Diego Velázquez
Cristo, “il più bello tra gli uomini” nel capolavoro del maestro spagnolo
Il XVII secolo fu per Madrid il secolo d’oro. Gli Asburgo
dominavano con il sovrano mecenate Filippo IV. Pittore
di corte e pupillo del sovrano era Diego Velázquez.
La crocifissione dipinta nel 1632 dal maestro fu commissionata
per il convento di San Placido a Madrid da Jerodi
Matteo Pierozzi
nimo de Villanueva, talmente potente da poter ingaggiare
il pittore di corte. Fu commissionato al maestro per una
sorta di riscatto con il quale il nobile intendeva ribadire
la propria fedeltà ai reali e alla Chiesa dopo un processo
che lo aveva visto accusato di aver favorito dei banchieri.
Velázquez volle rappresentare
Cristo come “il più bello tra gli
uomini”, riprendendo così la definizione
che ne viene data nel salmo
44. Il volto appare rilassato
nonostante il sangue che sgorga
copioso dalle ferite; lo sfondo
scuro isola la figura rappresentata
in modo molto realistico.
Leggenda narra che il ciuffo di
capelli che ricade sul viso di Cristo
fu dipinto da Velázquez per
coprire un errore commesso dipingendone
il volto. Il pallore
dell’incarnato conferisce a tutta
la figura un’aura divina.
Diego Velázquez, Cristo Crocifisso (1632 circa), olio su tela, cm 248x169, Museo del Prado, Madrid
24
DIEGO VELÁZQUEZ
PsicHeArt
A cura di Maria Concetta Guaglianone
Grounding
Uno stato fisico ed emotivo “per stare
con i piedi per terra”
di Maria Concetta Guaglianone
Avete mai osservato con attenzione un albero al ritmo
delle stagioni? Sotto il sole, sotto la pioggia, tra la tempesta,
sotto il cadere silenzioso della neve. Un albero
che esiste e resiste al passare del tempo e delle fasi della vita.
Un albero che ha radici che vanno in profondità e rami e foglie
che si muovono al vento. Nell’arte, l‘albero è stato rappresentato
da diversi artisti ognuno con il proprio stile e la propria simbologia.
René Magritte, ad esempio, rappresenta nel dipinto La
voix du sang un microcosmo nel tronco dell’albero a cui si ha
accesso attraverso tre porte, due delle quali aperte per guardarvi
all'interno e la terza chiusa per stimolare l’immaginazione
dello spettatore. Klimt ne L'albero della vita raffigura temi
e simboli che richiamano il ciclo vitale, l’amore e l’attesa. Ne
La quercia di Flagey, Gustave Courbet esprime il proprio radicamento
alla terra. Alexander Lowen, psicoterapeuta e padre
dell’analisi bioenergetica, utilizza la metafora dell’albero per
descrivere gli uomini: «Noi esseri umani siamo come gli alberi,
radicati al suolo con un’estremità, protesi verso il cielo con
l’altra, e tanto più possiamo protenderci quanto più forti sono
le nostre radici terrene». Così come l’albero si sostiene grazie
alle sue radici, il nostro corpo e il nostro sé possono sentire e
provare solidità e armonia attraverso il contatto dei piedi con il
terreno. Il fusto dell’albero rappresenta la colonna vertebrale, i
rami rappresentano le braccia protese verso lo spazio e verso
l’esterno. Attraverso la metafora dell’albero Lowen esprime un
concetto chiave dell’analisi bioenergetica e fondamentale per
la nostra esistenza: il grounding. La parola grounding deriva
dall’inglese “ground” che significa terra e rimanda al concetto
di radicamento, alla capacità di sostenersi, di essere autonomi,
al senso di sicurezza, stabilità e forza. Essere in grounding
significa “stare con i piedi per terra”, “stare sulle proprie gambe”,
essere centrati, avere consapevolezza e muoversi verso
la dimensione del piacere. La persona entra in contatto con
la propria identità, natura ed essenza. Quanto più l’individuo
è in grounding tanto più può sperimentare un senso di equilibrio
fisico e psicologico, un’armonia tra realtà esterna ed interna,
rispondendo in modo funzionale agli eventi della vita che
spesso ci rendono vulnerabili. L’esperienza opposta al grounding
rimanda alla condizione “dell’essere su di giri” o “stare tra
Gustave Courbet, La quercia di Flagey (1864), olio su tela,
Musée Gustave Courbet, Ornans
le nuvole”: la persona può perdersi tra illusioni e pensieri, con
il rischio di allontanarsi da ciò che è realmente. Attraverso il
grounding la persona entra in contatto con parti di sé, con il
proprio modo di collocarsi ed essere nel mondo, con le proprie
sensazioni e vibrazioni corporee. Si intraprende un lavoro basato
sull’espressione e consapevolezza corporea che permette
di far fluire l’energia bloccata o in eccesso nel corpo verso il
basso, attraversando la zona del ventre e delle pelvi, centro vitale
sede dell'inconscio e degli istinti, le gambe fino a giungere
ai piedi. La persona viene aiutata a “lasciarsi scendere verso la
terra” e a contattare vissuti emotivi che “ristagnano” nel corpo.
Provate a ritagliarvi un tempo e uno spazio per voi, individuate
un luogo, in un parco, nel bosco, in giardino o semplicemente
una stanza della vostra casa; scegliete un punto in cui fermarvi,
in posizione eretta, a piedi nudi. Assumete una postura con
gambe e piedi divaricate alla stessa altezza del bacino, talloni
leggermente aperti, piegando un po’ le ginocchia mantenendole
morbide. Chiudete gli occhi, respirate ponendo una mano
sul cuore e l’altra sul ventre. Rivolgete l’attenzione alle gambe
e ai piedi, a come i piedi aderiscono alla terra, alle sensazioni
che provate al contatto con il terreno, alle vibrazioni che
scorrono lungo le gambe. Prestate attenzione al vostro respiro,
al peso, al calore e all’energia che confluisce nel e attraverso
il corpo. Immaginate poi che dai vostri piedi partano delle
radici che vanno sempre più in profondità ed entrate in contatto
con esse. Registrate ogni vostra sensazione, continuando
a respirare in modo lento con una mano sul cuore e l’altra
sul ventre. Mettetevi in ascolto e cogliete ogni messaggio che
il vostro corpo trasmette e veicola. Che storia sta narrando?
Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta
Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia
di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di
Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e
Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali
di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).
+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com
GROUNDING
25
Cinzia Pistolesi
Anima e tempo (dedicato a Sophie)
www.cinziapistolesi.com
cinzpistol@virgilio.it
I libri del mese
Stefano Grifoni
Ventinove racconti sulle inafferrabili forme dell’amore
Ventinove, brevi e intensi racconti, che partono
da un assunto chiaramente espresso nell’introduzione:
«L’amore non si può descrivere». Cui fa
immediato seguito l’onesta, umana confessione: «Probabilmente
continueremo a cercare di definirlo per il resto
di tutti i tempi». Altrettanto onesto compromesso, è, allora,
questa interessante raccolta nata, come le precedenti
Storie d’amore e d’amicizia e Vizi, virtù e salute, dall’esperienza
concreta di una professione lavorativa vissuta
a tempo pieno – Stefano Grifoni è direttore di Medicina
e Chirurgia d’urgenza presso l’Azienda Ospedaliero-Universitaria
Careggi – che tenta di individuare almeno alcuni
particolari specifici e caratterizzanti, alcune “forme”,
appunto, cui è possibile fare aderire i bordi concreti della
parola amore. Ciò che si legge tra le righe, soprattutto,
è l’avvertimento accorato, rivestito spesso di amara
ironia, a non confondere amore e passione. Due concet-
ti profondamente diversi, che portano a inseguire
strade solo apparentemente simili. Perché la
passione senza controllo può rappresentare un
pericolo per gli altri – quando, ad esempio, si coniuga
con la forma oppressiva del possesso o
snatura il senso profondo di una missione di vita
– e per sé stessi – quando si indulge a “peccati”
solo apparentemente veniali, come la gola,
che possono addirittura sconfinare in un tu-pertu
con la Signora velata. L’amore è essenzialmente
dono di noi stessi fatto agli altri (o anche a
noi stessi, e quando questo capita non significa,
per forza, essere dei Narcisi, se lo facciamo
convinti di non essere padroni di questa terra ma
partecipi di un viaggio comune). Nella raccolta
l’amore prende via via la diversa effigie di anziani
rimasti soli a confrontarsi con l’assenza falcidiante
provocata da uno strano virus che dilaga
e miete vittime tra i conoscenti amici; di madri
fotografate come Pietà michelangiolesche, abbracciate
a figli ormai perduti in tunnel esistenziali
irraggiungibili, o raccontate nel miracolo di
un risveglio impossibile, un parto metaforicamente
intriso di acqua di mare e lacrime materne
che riporta alla vita, oltre ogni ragionevole speranza,
una figlia sospesa in uno stato di coma
considerato dai medici “irreversibile”; di animali,
che riescono a comprendere d’istinto il colore
dell’anima di noi umani e che sanno amare di
un sentimento gratuito e totale, senza ipocrisie,
infingimenti e distinguo; di sacerdoti, per i quali
di Erika Bresci
ogni giorno si rinnova il dubbio di una scelta (quanto di
terreno può esserci nell’amore per Dio?); di medici che
tramite l’amore per il proprio lavoro si fanno meraviglioso
strumento di vita. Ecco, appunto, la vita. In fondo, è
essa stessa, proprio lei, la quintessenza perfetta dell’amore.
Ne racchiude tutti i significati, tutte le gradazioni,
le infinite sfumature e anche le tante imperfezioni che la
rendono perfetta a chi sa ben guardare. Anche quando
non riusciamo a comprenderla fino in fondo, anche quando
non siamo capaci di apprezzarla e vederla nell’amore
degli altri, essa è comunque più forte di ogni nostra più
marcata invalidità, fragilità, mancanza. Solitudine. Forse,
allora, per rispondere all’interrogativo iniziale, l’unica vera
forma cui possiamo far aderire, per intero e davvero,
la sostanza dell’amore è proprio la vita. Perché nasce dal
miracolo di un atto d’amore e nell’abbandono all’Amore è
resa essa stessa eterna.
STEFANO GRIFONI
27
Quando tutto ebbe inizio...
A cura di Francesco Bandini
Costantinopoli, la nuova Roma
di Francesco Bandini
1^ parte
La città di Costantino, capitale religiosa e politica,
diviene la seconda Roma destinata a superare per
grandezza e maestà tutte le altre città dell’impero
rappresentando l’idea di centro del potere e affermandosi
come la nuova Roma. Fu dopo la grande battaglia sul ponte
Milvio (28 ottobre 312), sulla via Flaminia nel suo cammino
verso la conquista di Roma, che il Senato riconobbe il
titolo di Maximus Augustus a Costantino che, incontrandosi
con Licinio a Milano, proclamava la libertà di culto (313) per
i cristiani. L’accordo tra i due Augusti rimasti soli al potere fu
precario e dieci anni dopo (323) avvenne il decisivo conflitto
con la morte del rivale. Del pericolo incombente dei Barbari,
Costantino aveva fatto esperienza combattendo in Asia,
poi sul Danubio e sul Reno e infine il conflitto più grave contro
la Persia. Durante questi conflitti Costantino aveva ispirato
le future vittorie. Aveva quindi assunto il labaro, che fu
poi interpretato come il chrismon cristiano o come emblema
della croce, fatti e simboli questi cui venne dato un preciso
significato cristiano solo più tardi, quando la religione si
affermò pienamente. In realtà si può pensare a una sua tendenza
monoteistica, confermata dall’adesione al culto solare,
ma qualunque sia il momento della sua conversione al
cristianesimo, Costantino è l’imperatore che ne rese possibile
il trionfo combattendo l’Arianesimo (Concilio di Nicea nel
325). Siamo nel 324, nasce Konstantinoupolis (antico nome
di Bisanzio, l’odierna Istanbul). Costantino decide di fondare
la nuova Roma. Molti motivi spiegano questa scelta: anzitutto
l’eccellenza del luogo, essendo la città edificata sull’estremità
facilmente fortificabile di una penisola in cui penetra
una magnifica rada, il Corno d’Oro. Dopo la consacrazione
del 3 novembre 324, era stata immediatamente tracciata una
Francesco Bandini, Skyline di Istanbul, vista dal Bosforo
linea di cinta; nel 326 già
ferveva il cantiere di Santa
Sofia e nel 328 era avviata
la costruzione dei
grandi complessi monumentali,
in particolare
quelli del Palazzo Imperiale,
del Faro e dell’Ippodromo.
Con Giuliano, nel
523 la città aveva raggiunto
il suo massimo
splendore; furono completate
le terme, l’acquedotto,
ma l’opera più
grandiosa resta la basilica
di Santa Sofia ricostruita
da Giustiniano
sulla precedente chiesa
costantiniana. Antica Piero della Francesca, Storie della vera
colonia greca – era stata Croce: Il sogno di Costantino (1452-1466),
fondata dai Megaresi –, Chiesa di San Francesco, Arezzo
Bisanzio possedeva già
agli inizi del VI secolo a. C. un’acropoli con tre templi dedicati
alle principali divinità. Sulla baia del Corno d’Oro, il braccio
di mare situato a sud del Bosforo, sulla riva europea si
fronteggiavano due porte, dette più tardi Phosphorion e Neorion.
I primi secoli di Costantinopoli come capitale si caratterizzano
per un’espansione continua delle costruzioni
pubbliche e private, non soltanto all’interno delle mura, ma
anche lungo la costa del Bosforo e, al di là del Corno d’Oro,
nei quartieri di Galata e Pera, diventati ormai parte integrante
della città. Nessuna città del mondo
medievale rappresenta meglio di Costantinopoli
l’idea di centro di una nazione del potere
imperiale. Soprattutto nessuna capitale del
Medioevo riflette l’idea con la stessa maestà
nell’aspetto urbanistico. A partire dal IV secolo,
l’antica Bisanzio acquisì le dimensioni
e la struttura di una metropoli. Questa immagine
perdurerà per oltre mille anni, attraverso
molteplici trasformazioni, distruzioni e
ricostruzioni, impressionando sempre con la
stessa forza, l’immaginazione dei contemporanei.
Nel 1403, all’inizio della sua decadenza,
Costantinopoli cadrà in mano ai Turchi.
Oggi Costantinopoli appare, agli occhi dei
contemporanei occidentali, come la città medievale
per eccellenza. Una città «che supera
ogni altra città in ricchezza, come la sorpassa
nei vizi».
28
COSTANTINOPOLI
Grandi mostre in Italia
A cura di Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli
Crazy
A Roma, al Chiostro del Bramante,
una mostra sulla follia nell’arte
contemporanea
Testo e foto di Miriana Carradorini
Farfalle, luminarie, fiori di cera, scatolette di sardine e
vestiti sono alcuni degli elementi che compongono le
installazioni che dallo scorso 2 febbraio 2022 e fino al
prossimo 8 gennaio 2023 sono ospitate nelle sale del Chiostro
del Bramante a Roma. La mostra Crazy / La follia nell’arte contemporanea,
a cura di Danilo Eccher, è espressione dell’assoluta
libertà concessa ai ventuno artisti di rilievo internazionale
chiamati ad affrontare il tema della follia. Realizzata senza un
percorso narrativo ben specifico ma fatta di emozioni e sensazioni
presentate da più punti di vista, la mostra introduce il
visitatore nell’intricato mondo della follia. Attraverso un’interazione
diretta tra osservatore e opere, le delicate tematiche affrontate
dagli artisti divengono più comprensibili anche grazie
a definizioni di parole, sensazioni e fobie poco conosciute. Il visitatore,
mediante l’uso da parte degli autori di oggetti comuni,
come scatoloni, banchi scolastici, vestiti e anche la simulazione
di luoghi come negozi e armadi, può immergersi nella vita
quotidiana vista sotto un’altra prospettiva, non prettamente artistica
ma sempre legata al mondo della follia. Questi oggetti,
attraverso la visione degli autori, creano delle stanze sensoriali
che coinvolgono l’osservatore nella comprensione immediata
del significato dell’opera. È possibile quindi camminare
nelle installazioni, toccarle, giocarci e comprarle, rimanendo
così travolti dal lavoro degli artisti e vivendo le sensazioni e
i significati trasmessi dalle opere. Questo coinvolgimento non
riguarda solo agli adulti ma anche i bambini con un percorso
In questa e nelle altre foto alcune delle installazioni esposte al Chiostro del Bramante
per la mostra Crazy
dedicato che permette loro di capire più facilmente e in maniera
diretta le varie installazioni. Le opere sono state realizzate
con un intervento diretto degli artisti negli spazi sia esterni che
interni del Chiostro, compresi quelli più inaspettati come una
scala o un bar: una metafora della follia che si espande in tutti
i recessi della mente umana. Nello specifico, attraverso la ricreazione
di un’istallazione del 1968, gli artisti si sono potuti
confrontare anche con uno dei padri dell’arte moderna, Lucio
Fontana, famoso per i suoi tagli sulle tele. La mostra, partendo
da vecchie installazioni fino
ad arrivare agli artisti di oggi, offre
dunque una riflessione molto
profonda e allo stesso tempo facilmente
comprensibile sulla follia
e sulle varie tematiche ad essa
collegate, lasciando quindi il visitatore
stupito e insieme più consapevole
su questo universo per
molti versi ancora sconosciuto.
Per informazioni su giorni e orari
di visita:
www.chiostrodelbramante.it
Dr. Matteo Berna
Consulente finanziario
338 5647067
matteoberna@mediolanum.it
CRAZY
29
Ritratti d’artista
Anatoliy Fatakhov
Un affascinante linguaggio simbolico a metà tra fiabesco e onirico
di Jacopo Chiostri
Non sappiamo se Anatoliy Fatakhov pensava a Picasso
quando ha realizzato la sua prima opera pittorica
(un volto femminile) che al grande andaluso è senz’altro
riconducibile. Si sa invece quale fu lo strumento con
cui la dipinse: un pezzo di coda di topo con sopra dentifricio
e succhi di barbabietola, perché altro al momento non aveva
a disposizione. Nato a Tashkent, capitale dell’Uzbekistan, come
molti altri russi-ebrei – epoche diverse, ma come non ricordare
Mark Rotko? – Fatakhov, a 38 anni, nel 1995, emigra
negli Stati Uniti. Gli inizi non sono facili, e il primo impiego,
nonostante una laurea in Economia, è di addetto ad un lavaggio
a secco; ci vuole una seconda laurea presso l’Institute of
Allied Medical Professions per avere una professione migliore.
E lavorava in ambito medico quando nel 2017 è stato accusato
di frode e incarcerato. Periodo, ovviamente, difficile, ma
anche, col senno di poi, periodo proficuo perché proprio in carcere
Fatakhov ha scoperto la pittura. Scontata la pena, decide
che la pittura sarebbe stata la sua professione e in breve
inizia l’ascesa nel mondo artistico newyorkese, culminata, nel
febbraio 2020, in una grande mostra a Manhattan alla Revelation
Gallery; prima e dopo quella data ci sono stati importanti
contatti con l’Italia, in particolare con la Toscana e Firenze.
Fatakhov racconta volentieri dell’influenza culturale di Picasso
sulla sua arte, anzi si diverte a ricordare le altre cose che
Tea with hussar (2021), olio su tela, cm
120x60, collezione Yuliya Savitskaya
Strange love (2020), olio su tela, cm 75x60
li accomunano, come, per esempio, essersi entrambi sposati
con una donna di nome Olga. Certo è che quello che dipinge è
riconducibile al post-cubismo, anche se i suoi volti, nella maggior
parte dei casi, ricordano le donne di Modigliani e, a differenza
di Picasso, lui non scompone la figura, i suoi intenti sono
diversi. La tela viene riempita di simboli a volte coerenti tra loro
a volte no e di difficile identificazione. Fatakhov dipinge a
olio, il suo linguaggio è di una chiarezza suprema, con un perfetto
equilibrio nelle forme. Il linguaggio è fatto di colore che
è steso in forme geometriche, naturali o create a hoc; l’anatomia
risulta sorprendente, la reinventa ma non per questo non
è credibile. Lo schema figurativo, ben organizzato, sembra invece
risentire dell’urgenza dell’artista di recuperare il tempo
perduto e dello sforzo di contenere un disegno che mantenga
in sé una moltitudine di elementi, perché le opere sono ricche,
sovrabbondanti, piene di riferimenti al suo immaginario
e al bisogno di sbattere in faccia al mondo una provocazione
visiva che è assieme fiaba e inquietudine, sorrette entrambe
da un disegno e da una composizione sorprendenti. In Italia
la prima presenza è stata alla fiorentina Galleria Immaginaria
con due opere scelte dalle curatrici Yuliya & Alesia Savitskaya
per la mostra internazionale Scegli; sempre con la regia di Yuliya
& Alesia Savitskaya, presso la Regione Toscana prima e
alla Florence Art Deposit Gallery di Firenze poi, ha partecipato
ad Arte senza frontiere
e Artists United; con
altri 15 artisti internazionali
ha illustrato l’album
poetico Sinergie (disponibile
presso la Florence Art
Deposit). Le opere di Fatakhov
sono collezionate in
Russia, Usa, Israele; è stato
premiato da Benny Gantz,
ministro della Difesa di
Israele, per il contributo
dato allo sviluppo della
cultura e dell’arte ebraica.
Fatakhov ora vorrebbe
rappresentare il mondo
che si apre al futuro, si
tratta solo – afferma – di
scegliere quale possa essere
il simbolo giusto per
questo progetto al quale
sta lavorando con rinnovato
entusiasmo ed energia
creativa.
30
ANATOLIY FATAKHOV
Curiosità storiche fiorentine
A cura di Luciano e Ricciardo Artusi
Albergo Popolare
Dai primi del Novecento una struttura di accoglienza per
indigenti nel quartiere di Santo Spirito
di Luciano e Ricciardo Artusi
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
LʼAlbergo Popolare a Firenze, nel quartiere di Santo Spirito
cise di istituire, in maniera definitiva e continuativa, la sede
dell’Albergo Popolare. Negli anni 1929 e 1930, col progetto
redatto dagli ingegneri Pelleschi e Giuntoli (originariamente
destinato alle donne) e grazie all’impegno del Comune, si
sviluppò in tutta la sua interezza il grande complesso con
150 posti letto. Nel 1983, occorsero lavori di risanamento
igienico e di ristrutturazione che furono realizzati nell’arco
di due anni su progetto degli architetti Pier Luca Currini,
Francesco La Porta e Giorgio Marchiani, che seppero
mantenere l’architettura rinascimentale del complesso. Dal
2000 l’Albergo Popolare è intitolato a Fioretta Mazzei, discendente
da una nobile famiglia fiorentina di tradizione
cristiana, che è stata una delle figure di rilievo della mo-
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r
50134 Firenze
L’Albergo Popolare è un’istituzione
di solidarietà
situata nel cuore del
quartiere di Santo Spirito, quartiere
che oggi rappresenta una
continuità col passato di generazioni
di artigiani tenacemente
attaccati agli antichi mestieri.
L’Albergo è stato realizzato in alcuni
ambienti dell’ex convento
del Carmine, in particolare quelli
attorno al secondo chiostro risalenti
alla seconda metà del Quattrocento.
Furono infatti allestiti
come un grande “dormitorio pubblico”
che comprese, tra l’altro,
una sala detta “delle capriate”
e l’ex libreria del convento. Una
cappella con affresco di Bernardino
Poccetti firmato e datato al
1600 e la pala d’altare con la Crocifissione
di artista ignoto della
seconda metà del Cinquecento
ne attestano ancora l’origine claustrale. Proprio questa più
antica parte dell’edificio costituisce anche attualmente il
corpo principale della struttura, da allora sempre destinata
all’accoglienza di persone in stato d’indigenza, sia italiane
che straniere. Un letto, un posto sicuro per trascorrere la
notte, i servizi igienici, senza dover pagare alcunché. L’accesso
alla grande struttura avviene da via del Leone 35 oppure
da via della Chiesa 66 - 68 dove si presenta con la
moderna facciata novecentesca, che ancora oggi esprime,
in modo molto sobrio, lo stile architettonico del ventennio
fascista. Già nell’Ottocento si manifestò un primo accenno
a realizzare un ricovero da destinarsi all’accoglienza dei
poveri bisognosi e dei senzatetto, ma solo nel 1905 si dederna
storia istituzionale e religiosa
della città. Anche per l’Albergo
Popolare operò in maniera determinante
per la rinascita della struttura,
imponendosi alla ventilata chiusura
di questa importante istituzione,
nella quale ci ha lasciato una testimonianza
d’arte moderna, nella sala
del dipinto, anche il maestro Luciano
Guarnieri con un affresco raffigurante
l’Arno e la sua valle.
ALBERGO POPOLARE
31
Formiamo i futuri professionisti della moda
Formiamo i futuri professionisti della moda
Scadono il 15 ottobre i bandi dei sei nuovi corsi della Fondazione MITA, l’Accademia che
prepara Scadono nuove il figure 15 ottobre tecnico/professionali i bandi dei sei under30 nuovi per corsi lavorare della nei Fondazione vari settori di MITA, eccellenza
l’Accademia che prepara del nuove Sistema figure Moda tecnico/professionali Made in Italy. under30 per
lavorare nei vari settori di eccellenza del Sistema Moda Made in Italy
Biennio di formazione 2022/2024
Biennio 2022/2024
offerta formativa fondazione ITS MITA per il biennio 2022/2024
Corso ARTIST
Advanced Revolution process Technician in
Innovation Sustainability Textile
Corso TOP 3D
Tecnical Object and accessories Production 3D
Corso BEST
Bags & Skills Tecnical
Corso D.B. MITA
Digital Brand
Web Marketing e Manager del Made in Italy
Corso MC. FASH
Fashion Machines - Tecnico manutentore di
macchine tessili e di pelletteria
Corso ALT
Accessories Leather Technician
Tecnico dell’accessorio pelle
I corsi che I corsi che svolgeranno si svolgeranno a a Prato, Scandicci e Grosseto e Grosseto sono sono cofinanziati cofinanziati
dalla Regione Toscana con fondi POR FSE, nell’ambito del progetto Giovanisì
dalla Regione Toscana con fondi POR FSE, nell’ambito del progetto
e con contributi del Ministero dell’Istruzione.
Giovanisì con contributi del Ministero dell’Istruzione
Per info e iscrizioni: Fondazione MITA Made in Italy Tuscany Academy
Per info e iscrizioni:
Castello dell’Acciaiolo,
Fondazione
Via
MITA
Pantin,
Made
Scandicci
in Italy
(Firenze)
Tuscany Academy
Tel. 055/93.35.306 dal lunedì al venerdì (ore 9/13)
Castello dell’Acciaiolo, mail: info@mitacademy.it
Via Pantin, Scandicci (Firenze)
Tel. 055/93.35.306 dal lunedì al venerdì (ore 9/13)
www.mitacademy.it mail: info@mitacademy.it
www.mitacademy.it
mitaacademyfirenze
mita.academy
Botteghe artistiche in Toscana
A cura di Rosanna Bari
Paolo Miniati
Le creazioni senza tempo di un orafo
che coniuga avanguardia e tradizione
C’è un luogo in Oltrarno, a Firenze, isolato dal rumore del
traffico cittadino, nascosto fra gli alberi e immerso nel
silenzio e nella quiete di via Giano Della Bella: è il Conventino.
Sorto dopo il restauro del complesso storico del chiostro
dell’ex monastero delle suore di clausura di Santa Teresa, è
un’oasi di pace e tranquillità, luogo ideale per concedersi un momento
di relax. Gode di uno spazio verde molto tranquillo e rilassante
per incontri, presentazioni di libri, mostre, manifestazioni
culturali, feste, aperitivi nonché di spazi attrezzati per studenti.
Al suo interno il Caffè Letterario offre anche la possibilità di pranzare.
Ma la vera particolarità di questo luogo sono gli atelier, le
botteghe e i laboratori affacciati intorno al chiostro, dove abili e
talentuosi artisti e artigiani, con mani sapienti e con estrosa creatività,
realizzano opere di grande bellezza. Vi si trovano ceramisti,
argentieri, stilisti, restauratori, decoratori, incisori su vetro e
cristallo, pittori e scultori, artisti che con i più vari materiali realizzano
opere uniche e originali. Al primo piano, affacciata sul chiostro
(stanza n. 17), si trova il laboratorio creativo di Paolo Miniati,
allievo del maestro orafo Sergio Nasali che ebbe la sua bottega
alla Casa dell’Orafo, dal quale ha appreso il disegno ornato e il
meraviglioso stile fiorentino del traforo e dell’incisione, ricevendo,
inoltre, gli strumenti utili per accrescere il suo personale percorso
di studio e ricerca nel campo dell’oreficeria, tramandando così
la migliore tradizione orafa della città gigliata. Dopo anni di esperienza,
e dopo aver aperto la bottega Re Mida proprio alla Casa
dell’Orafo in Vicolo Marzio a Firenze a pochi passi dal Ponte Vecchio,
Paolo Miniati si è trasferito al Conventino dove nel suo labo-
ratorio si dedica soprattutto alla
lavorazione del bronzo e dell’argento,
realizzando gioielli che
vanno dal classico al contemporaneo
e sperimentando sempre
nuove tecniche, con particolare
attenzione alle nuove tendenze e
all’avanguardia nel settore senza
mai dimenticare la tradizione. La
sensibilità artistica, la creatività
e l’estro di Paolo Miniati riescono
ad interpretare i sogni e i desideri
della clientela, realizzando
gioielli su misura, accostando
vari materiali e unendo pietre e
smalti con il risultato di ottenere
sempre gioielli originali e personalizzati.
Paolo vi accoglierà con
il suo solito sorriso “da bravo ragazzo”
che non ha mai perduto,
con l’amore per la sua arte, fon-
di Mara Faggioli
Urbino, pendente
te di gioia e di soddisfazione perché «si vede bene solo con il cuore,
l’essenziale è invisibile agli occhi» come scriveva Antoine De
Saint-Exupéry ne Il Piccolo Principe. E per guardare in profondità
ogni cosa dobbiamo ascoltare la voce delle emozioni, quelle emozioni
che l’arte di Paolo Miniati sa regalare. Il 17 e 18 settembre
2022 sarà possibile incontrare Miniati e visitare il suo atelier al
Conventino in occasione dell’evento Arti e Mestieri
(vedi locandina in basso).
Paolo Miniati Creazioni
Laboratorio: via Giano Della Bella, 20 – Firenze
(zona Porta Romana)
Presso Vecchio Conventino – stanza 17
+ 39 380 1519960 (su appuntamento)
Amsterdam, anello
PAOLO MINIATI
33
I libri del mese
Donato Nitti
La scoperta di “altri universi imprevisti” in una raccolta
poetica ispirata all’amore
di Erika Bresci
«
Quello che mi sorprende, ogni volta, / è che le
stesse lettere possono dire / d’amore e di guerra,
di lacrime e di gioia. // Dipende in che ordine
le scrivi», suggerisce Donato Nitti in una delle
prime poesie della raccolta, introducendoci così alla materia
del canto. Perché l’ordine che egli segue in Altri universi imprevisti
riempie senza dubbio tutte le caselle dell’amore. Una
forza, questa, più potente del tempo, della storia e delle storie
concretamente agite dall’uomo e dalla sua fatica. La semantica
dell’amore, in realtà, è semplice: implica il ri-conoscersi,
l’accettare il rischio di un viaggio che non solca distanze geografiche
ma si incardina nelle profondità dell’anima passando
il varco degli occhi. Propri e altrui: «Guardo il mondo con
i tuoi occhi / e lo vedo fiorire… // Guarda il mondo con
i miei occhi / e vedrai le azzurre infinità / che navigheremo
insieme». È da qui che occorre partire, da questo
mistero svelato quasi alla fine della raccolta, sussurrato
piano, in due soli versi, scolpiti sulla pietra miliare
che rivela la direzione dell’andare: «Nei tuoi occhi /
altri universi imprevisti». Poesia ellittica, perché al lettore
è sempre concesso il privilegio di inventarsi il senso
che più gli è caro, o anche, semplicemente, restare
in silenzio a meditare quell’assenza, quella libertà. La
“poetica dello sguardo”, che attraversa secoli di poesia
e di poeti, riecheggia nelle atmosfere stilnovistiche di
«Ti auguro / … armonia, perché la diffondi / col semplice
tuo passare, / e tutti ti ammirano», si riveste di
dantesco stupore – «Una sera d’inverno / ebbi una visione,
/ due soli, forse stelle, / insieme, non più solitari.
// I tuoi occhi» –, approda fino ai nostri tempi nel dialogo
a distanza (ma non troppa) con le prospettive metaforiche
proustiane – il Proust conosciutissimo de La
ricerca del tempo perduto e de «Il vero viaggio di scoperta
non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere
nuovi occhi» ma qui anche e soprattutto l’autore di
versi d’amore che attribuiscono alla donna e ai suoi occhi
un potere quasi metafisico («pezzi di cielo nell’acqua
/ contornati dall’ombra del tiglio o della betulla»)
– e insieme con la concretezza sincera di un panico riverbero
di quotidiano vivere, un farsi avanti delle cose
di ogni giorno che nella reciprocità del sentimento diventano
simboli, elementi sinonimici e metafore (in un
conversare sempre aperto con Wisława Szymborska,
poetessa polacca cui diverse liriche della raccolta sono
esplicitamente “ispirate”). L’amore, dunque, quale
“dizionario” capace di comprendere tutti i vocaboli del
mondo, di declinare secondo i suoi casi anche il tempo.
Perché è l’amore a curare le ferite dell’uomo, non lo scorrere
delle ore. Tutt’al più, si potrà concedere alle lancette il tocco
di una circolarità perenne, un ritmare concorde (cum cordis)
al rumore delle acque che spingono il poeta su rotte di «infinite
possibilità», alla ricerca del senso dell’esistere, del desiderio
di essere, in un «viaggio leggero, / in cerca di segni». Le
parole, quelle di oggi e quelle di ieri, illuminano la via. Ce lo
ricorda bene Donato Nitti, con la semplicità raffinata e coltissima
di una raccolta intima e insieme, come abbiamo avuto
modo di accennare, ricca di continui, fertili rimandi, allusioni,
note ispirate alla voce di una musa senza tempo, che non
ha mai smesso di soffiare il suo canto, oltrepassando i confini
stretti di questo umano vivere.
34
DONATO NITTI
Premi in Toscana
7° Premio Internazionale Michelangelo Buonarroti
Tutte le novità del 2022 nell’intervista a Barbara Benedetti, ideatrice e
presidente dell’associazione Arte per Amore di Seravezza
Non conosce certo la crisi del 7° anno il Premio Internazionale
Michelangelo Buonarroti, anzi! Partito nel 2015
dal cuore della Toscana, è ormai diventato un evento
culturale fra i più importanti a livello internazionale. Basta leggere
sui vari social i commenti entusiastici dei partecipanti alle
precedenti edizioni per capire il valore assunto da questo concorso,
che per la settima volta rappresenta un’opportunità per
mettere in luce e promuovere ogni espressione artistica. «E chi
parteciperà dovrà quindi esprimere la creatività interpretando il
concorso attraverso la propria sensibilità» afferma Barbara Benedetti,
presidente dell’associazione Arte per Amore di Seravezza
e ideatrice del premio, che aggiunge: «Per me chi crea arte
lo può fare solo per amore, che è ciò che suscita davvero emozione
in chi la ammira. La mission di ogni mia attività è porre al
centro il cuore e l’anima della gente, facendo sentire ogni persona
importante e speciale». E in questa singolare empatia sta
sicuramente la chiave del successo di questo premio: la grande
umanità dell’imprenditrice e manager di eventi la accomuna
senza dubbio all’autore del David e della Pietà conosciuto in
tutto il mondo, dalle cui opere traspare sempre questa stessa
caratteristica. Non a caso si è ispirata a lui per il nome del concorso.
«Lo considero il genio assoluto per l’energia emotiva, il
furore creativo e il talento poliedrico in ogni ambito artistico, infatti
non fu soltanto scultore, ma anche pittore, architetto e podi
Elisabetta Mereu
eta. E poi, non dimentichiamolo,
veniva a scegliere il marmo proprio
qui, sulle Alpi Apuane, le
mie montagne – aggiunge sorridendo–,
quindi non potevo pensare
ad un nome più adatto per
un premio di qualità». In merito
invece alle novità dell’edizione
2022 precisa: «Abbiamo aggiunto
alle sezioni già esistenti Barbara Benedetti, presidente
nel comparto Materie Letterarie
la videopoesia (da realizzare promotrice del Premio Buonarroti
dell'associazione Arte per Amore,
anche con l’ausilio di un videomaker
ndr) e la silloge inedita, che quindi con poesia edita, poesia
singola, racconto e narrativa diventano sei. Poi c’è la sezione
Arti Visive, cioè pittura, scultura, fotografia e digital art, tutte a
tema libero. Inoltre, fra le news di questa settima edizione c’è
l’assegnazione di diversi premi speciali: due corsi certificati di
Scrittura Creativa online e un bellissimo tablet con attivazione
per il Web, assegnati dalla mia associazione, poi il premio della
nostra Pro Loco per i dodici scatti più significativi sul territorio
apuo-versiliese scelti per il calendario 2023, la cui vendita
per beneficenza sarà destinata all’iniziativa Pasti caldi gratuiti
per le famiglie in difficoltà. Chi vincerà nella sezione Pittura
avrà diritto all’organizzazione e cura di una personale
di quindici giorni presso la Galleria Seravezziana e alla
realizzazione grafica del catalogo con testo critico.
Restano invece invariate le modalità di partecipazione
aperta sia a professionisti che dilettanti, studenti o artisti
emergenti, senza limiti di età e di qualsiasi nazionalità,
residenti in Italia o all’estero, nella Repubblica di
San Marino e nella Città del Vaticano. Ricordo – conclude
Benedetti – che la scadenza è il 30 settembre
per le Materie Letterarie e il 10 ottobre per le Arti Visive
e poiché ci sono molti altri dettagli da conoscere invito
tutti a consultare il sito www.premiomichelangelobuonarroti.org
e relativi canali social».
+39 371.1983645
segreteria@premiomichelangelobuonarroti.org
Inquadra e vai al regolamento
7° PREMIO INTERNAZIONALE MICHELANGELO BUONARROTI
35
Vita Ervin Attila Kassai
info@soledomus.com
Arte&Pace
Ritratti d’artista
Vita Ervin Attila Kassai
Una pittura intimista in dialogo con la natura
di Jacopo Chiostri
Abbiamo conosciuto Vita Ervin Attila Kassai in occasione
della mostra di arte contemporanea che si è tenuta
a inizio luglio allo Spazio Espositivo San Marco
a Firenze. In quell’occasione Kassai, pittore di origine ungherese
da tempo residente in Maremma, ha presentato delle
grandi tele aventi come soggetto delle marine, nessuna figura,
solo una distesa di acqua a perdita d’occhio, un mare corrucciato,
inquieto, con la linea dell’orizzonte netta che taglia
il dipinto e appare come il confine con un oltre, di cui si intuisce
la presenza, vagamente inquietante o, quantomeno, misteriosa.
Pittura, questa, con grande forza evocativa. Oggi,
invece, per le pagine de La Toscana Nuova, Kassai ha scelto
di proporre, insieme a una di quelle marine, dei volti. L’intenzione
di questa serie, spiega, è di rappresentare degli stati
d’animo e, in effetti, i dipinti offrono una lettura a carattere
psicologico che li caratterizza in maniera evidente e dà il
senso all’opera. Va detto, in ogni caso, che non c’è grande differenza
tra i soggetti, marine e volti, perché entrambi diventano,
sotto il tocco sapiente di questo artista, una simbolica
esplicitazione di come sia le cose della natura che gli umani
impattino e reagiscano a quell’imponderabile che è il trascorrere
del tempo e il suo continuo, ininterrotto mutare e richiedere
attenzione. Al centro della poetica di Kassai, e della sua
esistenza (giacché arte e modi di vita in lui sono un tutt’uno),
c’è la fusione con la natura che, in pittura, viene espressa
metaforicamente anche con il fluire inarrestabile delle onde
che assumono un significato, profondo, di vita e di morte,
di nascere e di finire. Vita Ervin Attila Kassai nasce a Budapest
alla fine degli anni Cinquanta, nel 1965 si trasferisce
in Germania; dopo
aver frequentato le
scuole medie, impara
il mestiere di
falegname e studia
architettura presso un istituto tecnico. Il passaggio successivo
è stato il trasferimento in Maremma dove ora possiede
un proprio atelier e si dedica alla pittura, dipingendo soprattutto
en plein air. «Il mio lavoro – spiega – consiste nel creare
arte». Poi aggiunge, a conferma di quanto abbiamo detto:
«Dipingo stati d’animo, le espressioni dei miei volti possono
raffigurare forza oppure paura, scetticismo…». È pittura,
la sua, intimista, che racchiude nello spazio, tutto sommato
limitato di un volto, mille pensieri, mille riflessioni e, in
questo senso, è pittura che si fa essenziale, esente da qualsivoglia
elemento scenico che possa apparire superfluo ed
ininfluente per la narrazione. Lo scopo, come detto, è uno
solo: rintracciare nell’intensità dell’espressione (intendendo
per espressione sia quella del soggetto che dell’autore) un
racconto completo di quelli che sono i tormenti, lo stupore,
la perplessità di soggetti che diventato icone universali.
Nel segno, incisivo, modulato, armonico, si concretizza il
lirismo di Kassai, le linee con il deciso supporto coloristico
compongono complessi arabeschi che si amalgamano con
macchie di colore. Poi gli occhi, le linee, sinuose ma affatto
rilassate, delle labbra, sono i dati salienti della caratterizzazione
psicologica dei soggetti ritratti, le tracce dei ricordi,
dei sogni infranti, delle speranze, dei progetti, delle consapevolezze
che costituiscono e animano la vita di ciascuno
di noi. Le pennellate di colore sembrano voler proteggere i
soggetti, compongono diligentemente, con sapienza tecnica,
il quadro d’assieme che pare formarsi sotto i nostri occhi.
Probabilmente assolvono anche il compito di dirci che
l’autore preferisce non giungere a conclusioni, non dare giudizi;
in questo senso c’è da parte di Kassai una traduzione
oggettiva che non è scevra del suo personale sentire, ma
avverte l’obbligo di non farsi invasiva o pedante. Non conosciamo
a sufficienza Kassai per affermare che sulla tela lui
esorcizzi le sue inquietudini, è possibile. È invece certo che
dipinge la vita, ed è
questa la modalità
più autentica per,
di contro, dare vita
alla pittura. Kassai
ha al suo attivo diverse
mostre in importanti
gallerie in
Germania; nel 2018
ha esposto a Bolgheri
e a Firenze, e
nel 2022, oltre che
allo Spazio Espositivo
San Marco,
al Castello Ginori a
Querceto.
VITA ERVIN ATTILA KASSAI
37
Occhio critico
A cura di Daniela Pronestì
Maarika Maury
Dal caos della realtà interiore un ordine nuovo attraverso il colore
di Daniela Pronestì
Nella pittura astratta la mancanza di elementi riconducibili
alla realtà oggettiva espone l’artista ad un
azzardo e gli offre però allo stesso tempo una possibilità.
Un azzardo perché la mente vaga in un vuoto senza
appigli nel quale può essere facile perdere l’orientamento.
Un’opportunità perché superare la soglia del visibile significa
affrancarsi dalle limitazioni della forma per immergersi
in una dimensione in cui il “sentire” conta più del “vedere”.
In questo passaggio dalla materialità del mondo fuori
all’immaterialità del mondo dentro alcune certezze si perdono,
i punti fermi del già conosciuto vacillano, e nuovi
scenari si aprono allo sguardo che scruta se stesso dall’interno.
L’astrazione cromatica di Maarika Maury trasforma
questo salto oltre il contingente in un incontro con il mistero,
con tutto ciò che, essendo privo di corpo e sostanza,
pone l’artista di fronte alla difficoltà di traslare l’invisibile
nella sfera del visibile. A questa sfida la pittrice finlandese
risponde elaborando un linguaggio in cui il colore compensa
la mancanza di un referente concreto diventando a sua
volta “carne” e “sangue”, materia che palpita, respira e vive
nello spazio bianco della tela, procedendo dal caos atemporale
della realtà interiore ad un ordine nuovo scandito
dal tempo. Sensazioni, memorie, energie s’incarnano nel
colore, invadono la superficie, confliggono l’una con l’altra
oppure si accordano in raffinate armonie, con un’unica voce
a guidarle, una forza trainante e irresistibile: la passione
amorosa. Di questo sentimento si nutre l’approccio di
Maarika Maury alla pittura, che coniuga il bisogno di avere
una relazione quasi fisica con il colore – il quale in effetti
non viene steso ma applicato sulla tela procedendo
per strati e densità – al rapimento estatico di un amore
che se da un lato “esplode” incontrollato, dall’altro esalta
e riscatta lo spirito da ogni vincolo materiale. Quella che
ad una prima valutazione potrebbe sembrare una gestua-
38
MAARIKA MAURY
lità del tutto istintiva e affidata al
caso nasconde invece un preciso
criterio compositivo nel modo di
applicare il colore, con movimenti
dal basso verso l’alto e viceversa,
tinte sature, contrappunti di toni
caldi e toni freddi, colature, macchie,
sfrangiature. L’osservatore ha
così l’impressione di poter penetrare
all’interno della pittura, di calarsi
negli impasti cromatici e qui
riconoscere, tra gli azzurri, i viola
e i rossi, quel che resta di un paesaggio
marino, di un frammento
di cielo, di un tramonto, della natura
vista e decantata nella sintesi
astratta del colore. In certi quadri
la presenza dell’oro pare proprio
voler sublimare questa tensione
verso l’immateriale, l’aniconico, lo
spirituale, verso la capacità della
pittura di rendere percettibile ciò
che in se stesso è vago, indeterminato,
incorporeo. Ecco allora che
amore, passione e gioia – parole
ricorrenti nei titoli di queste opere
– non sono più soltanto astrazioni
ma presenze che abitano concretamente
lo spazio del dipinto,
aprendo così un varco nella realtà
e nel tempo.
MAARIKA MAURY
39
Movimento Life Beyond Tourism Travel To Dialogue
Il mondo si prepara ad incontrarsi e dialogare a Firenze
The World in Florence 2022 e il programma dei Luoghi Parlanti
di Stefania Macrì
Èstato da poco pubblicato il programma preliminare
della seconda edizione del Festival Internazionale
della Diversità delle Espressioni Culturali del Mondo
The World in Florence che si svolgerà a Firenze presso
il refettorio di Santa Croce nei giorni 16-18 novembre 2022
(in formato “ibrido”, online e in presenza). Il Festival The
World in Florence si compone in primo luogo di una mostra
di pannelli didattici illustrativi che rappresentano, nelle loro
peculiari e variegate forme, le espressioni culturali tipiche
dei territori di riferimento; dall’architettura agli itinerari, dalle
tradizioni popolari ai costumi, dalla gastronomia ai prodotti
artigianali e così via. In questo modo il Festival offrirà
ai visitatori la possibilità di avvicinarsi a luoghi e culture diverse.
Assieme alla mostra e alla presentazione dei poster
fatta dagli autori (in presenza o online, in lingua inglese),
quest’anno il programma registra la presenza straordinaria
di esperti del patrimonio mondiale, legati ad organizzazioni
prestigiose quali UNESCO, ICOMOS e ICCROM e altre
ancora. Oltre ad esporre le loro importanti esperienze (17-
18 novembre 20222), il giorno 16 novembre gli esperti guideranno
un programma specifico di educational games per
studenti delle scuole superiori fiorentine sui temi del patrimonio
culturale per la pace e l’ambiente per il quale vi è
un numero programmato di partecipanti con registrazione.
La sezione Learning Journey, places and cultures in transition
quindi sarà ancora più ricca e interessante per i partecipanti
che potranno seguire le seguenti tre sessioni:
• Heritage Challenges for the Future
• Heritage for the Planet
• Heritage for Peace
Per visionare il programma preliminare è sufficiente collegarsi
al sito ufficiale del Festival www.theworldinflorence.com. The
World in Florence rappresenta il momento di incontro e dialogo
tra i Luoghi Parlanti ® e i territori del mondo che hanno aderito
al programma, avviatosi nel 2021 e con durata quinquennale
(2021-2025). Il Festival nel suo programma quinquennale consente
di visitare virtualmente il mondo attraverso gli occhi dei
locali e acquisire uno sguardo privilegiato sul patrimonio tangibile
e intangibile internazionale.
Il progetto mira a:
• Incoraggiare l’interpretazione e la comunicazione delle
espressioni culturali locali tipiche di un sito di destinazione;
• Promuovere la consapevolezza culturale delle comunità locali;
• Migliorare l’attrattiva internazionale dei siti;
• Cambiare il concetto di turismo in ospitalità per inclusività,
solidarietà e dialogo interculturale.
La partecipazione al Festival per presentare il proprio territorio
attraverso una narrazione culturale è ancora possibile
scrivendo a info@lifebeyondtourism.org. Tutte le informazioni
relative a The World in Florence 2022 sono disponibili sul
sito www.theworldinflorence.com
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Strettamente legato al programma del Festival The World in
Florence vi è quello dei Luoghi Parlanti ® , un dispositivo narrativo
che racconta un territorio in maniera semplice e innovativa
attraverso le voci di chi lo abita. Utilizza immagini, parole,
video e testimonianze indigene per creare una connessione
empatica con le comunità locali, per ispirare una modalità di
viaggio rispettosa e sostenibile, alla scoperta di esperienze
uniche e destinazioni pressoché sconosciute ai circuiti tradizionali.
Si pone come un’esperienza itinerante che invita alla scoperta
e interviene sul territorio per creare una connessione più
profonda, una conoscenza autentica e un legame diretto con
la comunità locale. Luoghi Parlanti ® è Geniale perché invita
le comunità territoriali a costruire il proprio universo narrativi
coinvolgendo i locals nel racconto della propria essenza e
della propria identità. Restituisce la meraviglia del viaggio,
l’incanto che sorprende nell’hic et nunc di chi si muove alla
scoperta di una località. Contribuisce al recupero del Genius
Loci dei luoghi, di quello spirito del luogo che contiene
le fondamenta della cultura, delle tradizioni e della storia che
hanno plasmato nel tempo i territori. Grazie alla sua versatilità,
Luoghi Parlanti ® risponde alle esigenze del viaggiatore in
modo duplice:
• da casa grazie al sito www.luoghiparlanti.com che consente
di costruire il proprio itinerario di viaggio su misura, in
base ai propri gusti ed esigenze, prima ancora della partenza
collegando punti di interesse;
• in loco con un semplice tap sul proprio device per essere
guidato alla scoperta del territorio nella sua vera essenza.
Avere più canali di fruizione significa aumentare le possibilità
di visibilità per il territorio a livello locale, nazionale e internazionale.
Per maggiori informazioni www.luoghiparlanti.com
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism
® , ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme
alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che
custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle
identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e
i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
41
La tutela dell’ingegno
A cura di Aldo Fittante
Bike Alike
Il dispositivo semplice, sostenibile e green che rivoluziona il
futuro della bicicletta
di Aldo Fittante
Semplice, sostenibile, green: queste le parole chiave per
descrivere Bike Alike, una rivoluzionaria invenzione costituita
da un dispositivo applicabile a biciclette che
consente di trasformare una normale bicicletta di qualsiasi
età, taglia e forma, in una bicicletta elettrica. Bike Alike nasce
a Firenze, città simbolo dell’innovazione e del Made in
Italy, in un contesto in cui la mobilità sostenibile è diventata
un tema sempre più centrale per quanto riguarda il trasporto
sia in città italiane che estere. Nello scenario che va delineandosi,
infatti, quello della sostenibilità dei trasporti rappresenta
uno dei settori fondamentali per innescare un processo
di riconversione ecologica dell’economia, che ormai appare
sempre più urgente; basti pensare che, solo in Italia, il settore
dei trasporti è responsabile del 49% delle emissioni inquinanti,
e la maggior parte delle polveri disperse nell’atmosfera
derivano proprio dal traffico stradale. Per questo e per altre
ottime ragioni, l’adozione di un sistema di mobilità a basso
impatto ambientale, specie in ambito urbano, è considerata
una priorità per il miglioramento della qualità della vita dei
cittadini e per la salvaguardia del pianeta. Bike Alike sfrutta
al meglio questa necessità con un oggetto leggerissimo e
molto pratico che permette di rendere di nuovo moderna qualunque
bicicletta dimenticata in garage. Il dispositivo, infatti,
dispone di un attacco rapido e universale, che ne consente
l’installazione e la rimozione in pochi attimi. In questo modo
ogniqualvolta si toglie il dispositivo dal veicolo, si toglie l’intero
dispositivo completo di tutte le sue funzioni, lasciando
soltanto una parte dell’attacco rapido e scongiurando così i
furti, purtroppo molto frequenti quando si tratta di biciclette.
Il funzionamento, poi, non implica chissà quali conoscenze
meccaniche o tecnologiche, ed è perfetto per tutte le età: si
monta sulla ruota anteriore, il motore si attiva e disattiva gra-
In questa e nelle altre foto il dispositivo Bike Alike
42
BIKE ALIKE
zie a un piccolo telecomando wireless per accelerazione e
frenata assistita da montare sul manubrio e le dimensioni e il
peso consentono di metterlo nello zaino o in borsa e portarlo
con sé in ufficio o a casa. Oltre a questo, un’autonomia fino a
15 km e una batteria in dotazione a ricarica veloce, che permette
al dispositivo di ricaricarsi sia da spento ed in posizione
di inerzia sia in movimento, mediante un piccolo pannello
fotovoltaico da applicare alla bicicletta o allo zaino previsto
in dotazione. Insomma, Bike Alike promette di rivoluzionare
il mondo delle bici, trasformando qualunque due ruote “vecchio
stile” in una e-bike a pedalata assistita. Il tutto a prezzi
piuttosto contenuti, in maniera facilmente reversibile e cogliendo
tutti i vantaggi derivanti dall’adozione di forme di mobilità
alternative a quelle tradizionali, rilevanti da tutti i punti
di vista: economico, sociale ed ecologico.
Il marchio Bike Alike è presente nel portfolio brevetti
della Società Columbus Innovation Technology S. r. l.,
con sede a Firenze in via Michele di Lando, 6.
Per informazioni: + 39 055 2337710
Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale all’Università
degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista
iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo Fittante
è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni
scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie
in materia di Diritto Industriale, d’Autore e Diritto dell’Innovazione.
www.studiolegalefittante.it
BIKE ALIKE
43
Occhio critico
A cura di Daniela Pronestì
Antje Petershagen
La natura vista con gli occhi
della fantasia
di Daniela Pronestì
Fissare sul foglio le impressioni di un viaggio in un luogo
lontano: la bellezza rigogliosa del paesaggio naturale,
l’aspetto curioso di alcune specie animali, i volti
simili a maschere di antiche divinità. Da questi elementi poi
trarre nuovi ulteriori spunti, facendoli entrare nel proprio immaginario
artistico e rielaborandoli di volta in volta in chiave
fantastica. È così che Antje Petershagen – illustratrice e
pittrice tedesca – ha vissuto il proprio viaggio in India, come
un’esperienza talmente intensa e affascinante da segnare
una svolta nel suo lavoro. Non è stata la novità di quest’incontro
a colpire la sua immaginazione, quanto invece l’aver
ritrovato nella natura e nella spiritualità di quella parte del
mondo qualcosa che già le apparteneva, uno stesso modo di
considerare gli aspetti sacri della vita e di credere nelle misteriose
energie all’origine dell’universo. Partita con il desiderio
di conoscere un posto nuovo, Antje Petershagen è tornata a
casa conoscendo meglio qualcosa di se stessa. Questo viaggio,
insieme ad altri compiuti negli anni, le ha permesso di arricchire
il proprio bagaglio espressivo di nuovi simboli, forme
e significati, che insieme convivono all’interno di complesse
raffigurazioni eseguite quasi esclusivamente ad acquerello.
La scelta di questa tecnica l’accompagna fin dalla prima giovinezza,
quando le fu regalata, a soli quattordici anni, la prima
scatola di colori. È stato allora che ha iniziato a scoprire
le diverse reazioni di ciascun pigmento a contatto con l’acqua,
a capire come dosare in maniera opportuna velature e
trasparenze, a trasformare l’imprevisto spesso inevitabile –
una sbavatura di colore ad esempio – in una valida opportunità
espressiva. La perizia tecnica maturata negli anni le
consente oggi di utilizzare l’acquerello per ottenere effetti
non lontani da quelli della pittura ad acrilico, alla quale pure
si dedica da qualche anno con risultati altrettanto significativi.
L’attività di illustratrice le ha permesso poi di affinare la
propria cifra stilistica, che oggi si connota per un’esecuzione
scrupolosa dei dettagli e per un modo a dir poco particolare
di legare tra loro forme vegetali e figure fino a farle diventare
un tutt’uno. In alcune opere, infatti, l’elemento floreale si trasforma
in una figura umana e quest’ultima, a sua volta, genera
altre forme naturali, in un processo simbiotico e insieme
metamorfico che suscita attenzione e curiosità nell’osservatore.
In altri lavori, fiori, foglie e arbusti riempiono la scena,
con particolari osservati da vicino come in un primo piano fotografico.
L’idea di fondo, in entrambi i casi, è una profonda
fascinazione per le bellezze di madre natura, per la varietà
dei colori e delle specie vegetali, per gli antichi racconti che
vogliono il paesaggio popolato di folletti, figure del mito e divinità.
Quella rappresentata da Antje Petershagen è in effetti
una natura “magica”, densa di simboli da decifrare, luogo
di accadimenti straordinari che soltanto una fervida fantasia
può immaginare. La fantasia di un’artista capace di sognare
ad occhi aperti e di consegnare questi suoi sogni alla sensibilità
di chi vorrà accoglierli.
ANTJE PETERSHAGEN
45
Arte e scienza
I benefici della musica sul benessere psicofisico
di Serena Gelli
Lenisce l’ansia, favorisce la concentrazione, stimola
e amplifica le emozioni: la musica riesce a fare
tutto questo, influisce sul benessere quotidiano
delle persone e ha effetti terapeutici su corpo e mente. È
ormai ampiamente dimostrato che la musica è un canale
espressivo privilegiato per fare emergere gioia, tristezza e
tutta la vasta gamma di emozioni di cui l’essere umano è
capace. Fin da piccoli, abbiamo tutti sperimentato gli effetti
benefici della musica, basti pensare alla ninna nanna
che era in grado addirittura di farci addormentare. In particolare,
secondo alcuni studi, la musica classica ha un
comprovato effetto rilassante. Infatti i suoi ritmi e le sue
tipiche tonalità contribuiscono a ridurre la pressione arteriosa,
il ritmo respiratorio e l’ormone dello stress. La musica
jazz, invece, stimola la creatività, mentre la musica
pop, al pari di un integratore multivitaminico, è una poten-
te fonte di energia, dinamismo e voglia di fare. Ascoltare
brani pop mentre facciamo attività fisica aumenta il livello
delle performance e permette di accusare meno la fatica.
La musica country è un concentrato di gioia e positività; la
musica metal aumenta l’autostima e la sensazione di appartenenza.
Infine il rock è altamente energizzante, tocca
le corde dell’io di chi lo ascolta dandogli quella carica
che gli permette di affrontare sforzi fisici e mentali, esami
universitari, colloqui, etc. Ma oltre ai vari generi musicali,
il cui effetto benefico è ormai appurato, altra scoperta interessante
è quella che riguarda le frequenze con le quali
l’essere umano entra in risonanza e che pare abbiano poteri
particolari. Due in particolare risultano essere le più
efficaci: 432hz e 528hz. Ascoltare musica a 432hz libera
i blocchi emotivi ed espande la nostra coscienza connettendoci
al ritmo della terra.
46 I BENEFICI DELLA MUSICA
Firenze mostre
Skim
Fino al 26 settembre a Palazzo Medici Riccardi con la personale
Genesi / L’armonia del Kaos
Fino al prossimo 26 settembre
la Galleria delle Carrozze di Palazzo
Medici Riccardi a Firenze
ospita Genesi / L’armonia del Kaos, mostra
personale di Skim, artista fiorentino
legato al mondo dei graffiti e della
street art. Curata dall’esperto d’arte Simone
Teschioni Gallo, la mostra è organizzata
e promossa dall’associazione
culturale Dedalus - Giuliano Ghelli, in
co-promozione con il Comune di Firenze
e il Comune di Scandicci e il patrocinio
della Città Metropolitana di Firenze
e della Regione Toscana. A fianco delle
istituzioni si colloca il prezioso contributo
di Unicoop Firenze, dello Studio Skim
Marco Suisola Amministrazioni Srl, del-
la ditta Aldea Srl e di Joker Casa Serramenti, insieme a Lef
Group e alla partecipazione di Euroforniture Srl e Pic Park.
Francesco Forconi, in arte Skim, è nato a Firenze nel 1985
ed è cresciuto nella vicina periferia fiorentina. Fin da piccolo
scopre la passione per l’arte, ammaliato soprattutto dal fenomeno
artistico nato negli anni Settanta a New York: il graffitismo.
Diplomatosi in Grafica pubblicitaria all’Istituto d’Arte di
Porta Romana a Firenze nel 2006, si iscrive alla Scuola Internazionale
di Comics, dove si diploma nel 2009 in Tecniche di
animazione e cartoni animati. Attraverso una narrazione divisa
in sezioni tematiche, l’esposizione, documentata da un
catalogo a cura di Centro Di Edizioni, ricostruisce il percorso
che quest’artista ha intrapreso sulla tela, a partire dai primis-
di Barbara Santoro / foto Gino Carosella
Una panoramica della mostra
simi disegni, che ne hanno segnato l’esordio, fino alle opere
più note che gli hanno permesso di affermarsi in tutto il mondo:
dai Personaggi che rileggono in chiave moderna l’Arcimboldo
agli Omaggi dedicati ai grandi maestri della pittura, ma
soprattutto gli universi costellati di oggetti e segni distintivi
che l’artista definisce Kaos e che provengono sia dal mondo
della fantasia che dalla vita quotidiana. Un’immersione totale
nel mare della creatività, in cui i colori, insieme a piccole
barchette, lettere, pennelli, matite, casette, pesci e musica,
proiettano in una dimensione immaginaria le figure che fuoriescono
dal limite fisico dalla tela e prendono letteralmente
vita arrivando a toccare il cuore di chi le osserva. L’esposizione
è inoltre arricchita da due installazioni site specific,
strettamente legate al mondo dei graffiti e realizzate appositamente
per la Galleria delle Carrozze. La prima, uno splendido
pianoforte trasformato dall’artista in opera d’arte, che
può essere suonato dai visitatori, dando così spazio a piccole
performance; la seconda, un muro realizzato con la tecnica
dei graffiti, collocato in posizione speculare rispetto alla
parete che ospita la targa in memoria delle vittime della deportazione
della seconda guerra mondiale: un omaggio e allo
stesso tempo uno strumento di riflessione per non dimenticare
l’importanza di questo luogo ricco di storia. Tra le iniziative
previste per tutta la durata della mostra, la realizzazione
di due graffiti dedicati uno a Firenze, l’altro a Scandicci, e la
collaborazione con Made in Sipario, cooperativa senza fini di
lucro nata nel 2011 per favorire l’integrazione e l’inclusione
sociale delle persone con disabilità. Nel mese di settembre
sono previste inoltre visite guidate per le scuole sia di Firenze
che di Scandicci.
SKIM
47
Silvia Mariotti
Tra fiaba e realtà
Olio su legno, cm 30x40
Sissy Art di Silvia Mariotti
silviamariotti273@gmail.com
I libri del mese
Serena Raggi
L’orrore della seconda guerra mondiale raccontato
attraverso gli occhi di un bambino
di Fabrizio Borghini
«
Perché il Ciclope tedesco stregato dalla Maga
della guerra calpesta la vita d’un fanciullo?» si
– e ci – domanda Serena Raggi introducendo il
lettore in questa storia familiare resa universale dalla tragicità
degli eventi, storia di mondo sovvertito dagli orrori
della guerra e dei sogni cavalcati di speranza di chi allora
era solo un bambino di sette anni. Siamo nel 1944. Un
intero paese del fiorentino, San Godenzo, poco distante
dalla famigerata Linea Gotica, vive il dramma silenzioso
dello sfollamento. Gli alleati avanzano, San
Godenzo è fatto saltare in aria dai tedeschi.
Tutto, casa su casa, ad eccezione dell’antica
abbazia. Non c’è tempo per pensare, restare
indietro, ancorare le proprie radici alle pietre
antiche del paese. Esercitare il diritto alla libertà
significa anche questo: lasciare tutto
e andare avanti, incontro al buio, al frastuono
dei colpi di mitragliatrice, agli aerei sulla
testa, agli occhi della madre colti un attimo
prima di vederli chiusi per sempre nel sonno
dei giusti. «Eppure non doveva arrendersi»,
sottolinea Serena Raggi in uno dei momenti
più intensi del racconto, lo strappo dal corpo
della madre, la favola vera, immonda da raccontare
al padre. La mamma, forse, è morta.
Pelago, altro comune nell’hinterland fiorentino,
accoglierà lʼintensa storia di Maurizio e
della sua famiglia, la mescolerà con le tante
altre piccole, profonde storie degli abitanti
del luogo fino a plasmarla nella storia per
tutti, memoria capace di custodire nel suo
scrigno di testimonianza verace, fatta di parole
e immagini, ciò che è stato e che mai più
avrebbe dovuto essere. Da qui il “gioco di coraggio”,
che è la vita, muove i passi del piccolo
Maurizio – padre dell’autrice – verso un
domani che ha il sapore del riscatto. Tenero
germoglio nato su terra fertile di lacrime, alzerà
ben presto un tronco dritto e forte che
lo farà pianta robusta, coriacea, esposta alle
intemperie ma anche al canto degli uccelli.
Finita la guerra, la vita riprenderà a scorrere;
quella vita sempre amata, da amare ogni secondo,
da costruire e inventare fino alla fine,
fino all’ultimo respiro, lasciando in eredità alla
figlia il compito di un gioco nuovo, il “gio-
co del ricordo”. Quel gioco serio, imprescindibile per una
società civile che voglia fondati sui valori della pace, del
rispetto reciproco, della tolleranza, della solidarietà tra
popoli il proprio futuro. Un messaggio quanto mai attuale
in questo tempo di rinnovati, sinistri bagliori. Da gridare
a voce alta, con coraggio, perché nessun bambino – di
ogni tempo, di ogni luogo – dovrebbe mai, neppure per un
istante, temere di aver perduto il proprio, naturale diritto
a giocare.
SERENA RAGGI
49
Con il Patrocinio di: Con il Patrocinio e il Contributo di: Con il Contributo di:
Promosso e organizzato dal Centro Culturale Firenze - Europa "Mario Conri"
XXXIX Premio Firenze
BANDO DI CONCORSO
Palazzo Vecchio
Salone dei Cinquecento
Sabato 3 dicembre 2022
I Sessione (Letteraria) ore 10,00
II Sessione (Arti Visive) ore 16,30
www.centrofirenzeuropa.it
ATTENZIONE
In relazione alla situazione ex Covid19 la Cerimonia di Premiazione del XXXIX Premio Firenze di Letteratura e Arti Visive
si articolerà, al fine di permettere la possibilità di intervento in presenza, nel rispetto delle disposizioni di legge, dei
concorrenti Vincitori, Segnalati e Finalisti, in due sessioni: nella prima saranno consegnati i Premi e i Diplomi delle Sezioni
Letterarie, con lettura delle poesie premiate; nella seconda saranno assegnati i sunnominati riconoscimenti delle
Sezioni Arti Visive, con esposizione delle opere vincitrici nel corso della Cerimonia (ove dette disposizioni ne permettano
l’allestimento). In entrambe le sessioni i riconoscimenti saranno consegnati dall’Ufficio di Presidenza. La Cerimonia
di Premiazione sarà trasmessa in diretta streaming. Con riserva di revisione e/o di aggiornamento delle modalità di
svolgimento della Cerimonia in riferimento all’evoluzione della situazione e delle collegate ulteriori disposizioni che,
se del caso, saranno tempestivamente comunicate con la loro pubblicazione sul sito del Centro Culturale.
50123 Firenze
via della Scala 31
tel. +39 055 2786881/2
fax +39 055 2786880
info@arshotels.it - www.arshotels.it
Dal 26 ottobre
Stagione Teatrale 2022-2023
XXXIX Premio Firenze
L E T T E R A T U R A
NORME DI PARTECIPAZIONE
Il concorrente di ciascuna sezione dovrà far pervenire sette copie della propria opera, assieme ad un eventuale curriculum, al seguente indirizzo:
Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti”
Piazza G. Giorgini, 8 - 50134 FIRENZE
Tel. 331 2702696 (Sez. Letterarie)
Unitamente all’invio delle opere dovrà essere versato, quale quota di partecipazione, l’importo di € 40,00 per una sezione di concorso. Ogni concorrente potrà
partecipare ad un numero massimo di 2 sezioni: in tal caso l’importo richiesto sarà di € 60,00. Il contributo richiesto dà diritto a diventare soci del Centro
Culturale per l’anno 2022.
Le opere inviate non verranno restituite. Per le sezioni A-C-D potranno partecipare al concorso solo le opere edite dal 2019 al 2022.
SEZIONI A CONCORSO
A) POESIA EDITA: volume di liriche
B) POESIA INEDITA: da 1 a 3 liriche a tema libero
C) SAGGISTICA (STORICA/LETTERARIA) EDITA: opera di saggistica
D) NARRATIVA/MEMORIALISTICA EDITA: opera di narrativa/memorialistica
E) RACCONTO INEDITO: massimo di 5 cartelle dattiloscritte (ad interlinea 2)
Tutte le opere dovranno essere in lingua italiana
PREMI
SEZIONI A-C-D
1° PREMIO- Fiorino d’oro e assegno di € 500,00
2° PREMIO- Fiorino d’argento e assegno di € 250,00
3° PREMIO- Medaglia di bronzo
SEZIONI B-E
1° PREMIO- Fiorino d’oro e assegno di € 250,00
2° PREMIO- Fiorino d’argento
3° PREMIO- Medaglia di bronzo
Ai Segnalati sarà conferito un Diploma d’onore. Ai Finalisti sarà conferito il Diploma di Finalista.
Tutti i premiati, i segnalati ed i finalisti saranno inseriti all’indirizzo: www.centrofirenzeuropa.it.
Il Premio Speciale “Mario Conti” sarà assegnato dal Consiglio Direttivo.
I Fiorini d’oro premiati nei 5 anni antecedenti la XXXIX edizione del Premio non potranno ottenere analogo riconoscimento nelle sezioni di riferimento. I
giudizi espressi dalla Giuria Letteraria presieduta da Enrico Nistri e composta da Marina Alberghini, Anna Maria Baldini, Federico Berlincioni, Marino Biondi,
Ruth Cardenas, Marco Cellai, Rita Funes, Anna Maria Giglio (segretaria), Pier Paolo Guidi, Maurizio Maggini, Francesca Livia Mangani Camilli, Luca Ravazzi,
Adalberto Scarlino, Pierandrea Vanni, Valeria Vitti sono insindacabili e inappellabili.
Per ulteriori informazioni: Segreteria Sezioni Letterarie - Tel. 331. 2702696 Posta elettronica: gigliosegreterialettere@centrofirenzeuropa.it
Termine di consegna 15 OTTOBRE 2022
A R T I V I S I V E
NORME DI PARTECIPAZIONE
A tema libero, aperto ad artisti italiani e stranieri, è articolato nelle sezioni di:
P) PITTURA
S) SCULTURA
G) GRAFICA (tradizionale e digitale)
F) FOTOGRAFIA (digitale ed analogica)
La partecipazione nelle 4 sezioni avviene attraverso l’immagine fotografica di un’opera.
Ogni artista può partecipare ad un numero massimo di due sezioni. La foto dell’opera, in doppia copia, dovrà essere a colori, di ottima qualità, nel formato
minimo di cm 13x18 e massimo di cm 20x30, con indicazione, sul retro, del nome dell’Autore, delle misure, della tecnica e del verso dell’opera.
Tutte le foto delle opere a concorso saranno pubblicate nel catalogo del premio, stampato a colori, che verrà inviato ad ogni artista partecipante.
Il nominativo di tutti i concorrenti e la mostra virtuale saranno inseriti all’indirizzo: www.centrofirenzeuropa.it
Le foto dovranno essere inviate al seguente indirizzo:
Centro Culturale Firenze-Europa “Mario Conti”
Piazza G. Giorgini, 8 - 50134 FIRENZE
Tel. 3408972273 (Sez. Arti Visive)
La partecipazione al concorso prevede un contributo spese di € 90,00 (€ 100,00 per residenti all’estero) e un supplemento di € 70,00 per la seconda sezione.
La quota di adesione dà diritto a diventare soci del Centro Culturale per l’anno 2022.
Le foto inviate e il materiale allegato non verranno restituiti.
Gli originali delle opere presentate a concorso dovranno avere i seguenti requisiti:
Pittura, Grafica e Fotografia - dimensione massima con cornice metri 1,20x1,20.
Scultura - dimensione massima altezza metri 1- peso massimo kg 20
Per ulteriori informazioni:
Segreteria Sezioni Arti Visive - Tel. 3408972273
Posta elettronica: segreteriaartivisive@centrofirenzeuropa.it
PREMIAZIONE
Le opere prime classificate nelle sezioni Pittura e Scultura saranno premiate con Fiorino d’oro e assegno di € 500,00. Alle opere prime classificate nelle
sezioni Grafica e Fotografia saranno assegnati Fiorino d’oro e assegno di € 250,00. Le opere seconde e terze classificate nelle quattro sezioni saranno rispettivamente
premiate con Fiorino d’argento o Medaglia di bronzo. Tutte le opere sopra citate saranno esposte (qualora le disposizioni non dovessero
permetterne l’allestimento in Palazzo Vecchio nel giorno della Cerimonia), unitamente ad una selezione dei lavori a concorso, individuata dalla Giuria di
merito, nella Mostra Premio che si terrà a Firenze. Tutte le opere a concorso saranno inserite nella mostra virtuale della XXXVIII edizione del “Premio Firenze”.
L’organizzazione del Premio, pur assicurando la massima cura, declina ogni responsabilità nei confronti delle opere pervenute e/o esposte. I Fiorini
d’oro premiati nei 5 anni antecedenti la XXXVIII edizione del Premio non potranno ottenere analogo riconoscimento nelle sezioni di riferimento. I giudizi
espressi dalla Giuria Arti Visive presieduta da Riccardo Saldarelli e composta da Giusi Celeste, Roberta Fiorini (segretaria), Carlotta Fuhs, Achille Michelizzi,
Daniela Pronestì, Silvia Ranzi e Massimo Ruffilli sono insindacabili e inappellabili.
PREMIO FIRENZE GIOVANI PREMI SPECIALI 2021
Al fine di incentivare l’attività letteraria ed artistica dei giovani, è rinnovato
il PREMIO FIRENZE GIOVANI, riservato ai concorrenti under 25, che verrà
attribuito dalle rispettive Giurie per le sezioni dalle stesse individuate. I
giovani vincitori nei comparto letterario riceveranno riconoscimenti analoghi
a quelli dei Primi Premi nelle sezioni letterarie B-E. Ai vincitori nelle
sezioni arti visive saranno assegnati Fiorino d’oro, esposizione in Palazzo
Vecchio (ove consentita dalle disposizioni di merito) o nella Mostra
Premio sopra citata e una pagina web contenente un massimo di 10 opere
degli Autori.
Le quote di partecipazione riservate ai concorrenti under 25 nei comparti
letterario ed arti visive sono rispettivamente individuate in € 20,00 (€
30,00 per le doppie sezioni) ed in € 50,00 (€ 70,00 per le doppie sezioni).
GIOVANNI FALCONE, FRANCESCA MORVILLO, PAOLO BORSELLINO E LE
LORO SCORTE. EROI DEL NOSTRO TEMPO
Nel 30° anniversario delle stragi di Capaci e via D’Amelio saranno assegnati
tra i concorrenti delle sezioni Letteraria e Arti Visive, a discrezione
delle Giurie di merito, 2 Premi Speciali - Fiorino d’oro ed esposizione in
Palazzo Vecchio o nella Mostra Premio - ove espressione del comparto
Arti Visive - a 2 opere collegate alla tematica in oggetto.
Le opere premiate saranno donate, ove sussistente la disponibilità degli
Autori, all’Automobile Club Firenze e al Rotary Club Firenze Ovest, i cui
Presidenti provvederanno alla consegna dei Premi.
Termine di consegna 15 OTTOBRE 2022
PREMIO FIRENZE – X X X I X E D I Z I O N E
SCHEDA DI ADESIONE – DA ALLEGARE, UNITAMENTE A
FOTOCOPIA DEL VERSAMENTO, ALLE OPERE IN CONCORSO
NOME_____________________________________________________
COGNOME_________________________________________________
DATA DI NASCITA__________________________________________
(obbligatoria solo per i concorrenti al Premio Firenze Giovani)
VIA_______________________________________ N. _____________
CAP_______ CITTÀ_________________________ PROV.__________
TEL.________________________ CELL. ________________________
EMAIL_____________________________________________________
SEZIONE LETTERARIA – Allego sette copie dell'opera concorrente per la sezione:
A Poesia Edita – B Poesia Inedita – C Saggistica Edita
D Narrativa Edita – E Racconto Inedito
SEZIONE ARTI VISIVE
P Pittura – S Scultura – G Grafica – F Fotografia
Pagamento intestato al: Centro Culturale Firenze-Europa "Mario Conti"
Piazza Giorgini 8 - 50134 Firenze
da effettuarsi esclusivamente tramite:
conto corrente postale n. 11567500 vaglia postale assegno bancario non trasferibile
bonifico bancario su Banca Intesa SanPaolo
IBAN IT87N0306902887100000004018 – BIC BCITITMM (per adesioni dall’estero)
Ho inviato Euro__________________________________________________ il_______________________
La partecipazione alla XXXIX edizione del “Premio Firenze” comporta l’accettazione completa ed automatica di tutte
le clausole contenute nel presente bando. Informativa e consenso ai sensi del Regolamento Privacy UE 2016/679
Il/La sottoscritto/a ___________________ nel trasmettere le proprie opere ed i propri dati acconsente al loro
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di materiale informativo o promozionale. Il/La sottoscritto/a dichiara, inoltre, che all’atto del conferimento
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ivi compresi i diritti che, in relazione al trattamento cui acconsente, gli derivano ai sensi degli
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di partecipare all’iniziativa.
Data__________________
firma____________________________________
Mostre in Toscana
Libuse Babakova
Protagonista di una personale alla Galleria Lazzaro di Forte dei Marmi
di Jacopo Chiostri
Acavallo di ferragosto, Libuse Babakova, artista amica
e socia di Toscana Cultura, ha ricevuto una consacrazione
di tutto rispetto in quella Forte dei Marmi
che oggi punta nuovamente sull’attività di promozione culturale
che sembrava gli fosse stata definitivamente “scippata”
dalla vicina Pietrasanta, la cosiddetta “Atene d’Italia” che si
è riempita di gallerie ed appuntamenti d’arte. La Babakova
ha esposto nella Galleria Lazzaro in quella via Pascoli, nota
anche per le famose “marguttiane”, dove i vecchi frequentatori
del “forte” ricordano, seduta la figura, anche questa storica,
proprio di Walter Lazzaro, il pittore del “silenzio” che lì
aveva il suo atelier. Tutto ebbe inizio, vale la pena di ricordarlo,
con Carlo Carrà, che considerava Forte dei Marmi la sua
seconda casa e che nel 1962 fece sentire la sua voce autorevole
per ribadire che l’arte deve stare all’aperto, in mezzo
alla gente. Vennero quindi le “marguttiane” e gli incontri del
“Quarto Platano”; poi “forte” perse un po’ di smalto artistico,
quello che oggi si sta recuperando. Nella Galleria Lazzaro,
affollata di villeggianti e appassionati, la Babakova ha esposto
opere recenti e altre di più vecchia data. In ogni caso si è
potuto cogliere la sua consolidata maturità artistica e la coerenza
del linguaggio, evidente nel confronto tra opere di epoche
diverse. È un discorso, quello della Babakova, affinatosi
in una continua ricerca e sperimentazione; lei produce relativamente
poco ed è forse questo che fa sì che ogni singolo
pezzo abbia una sua marcata personalità e, sia pure nell’uniformità
del linguaggio, il discorso appaia sempre diverso. La
Babakova traduce i suoi appunti visivi in forme che compongono
un alveare, ed è lì che vengono conservati (per poi produrre
un dolcissimo miele) ricordi e suggestioni. La sua arte
si esalta nella ricerca di un equilibrio per il suo personalissimo
alfabeto col quale traspone il reale in una dimensione
265 - Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 50x50 266 - Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 50x50
in cui convivono incanto
e nostalgia. Le soluzioni
geometrico - spaziali sono
state lette come uno
spartito musicale, questo
anche in ragione della
sua cultura – la Babakova
si è laureata in Storia
e Musicologia all’Università
Purkyne di Brno, sua
città natale – e, in effetti,
l’armonia e la dolcezza del
“suono” che sembra sgorgare
dalla tela è la prima
nota che colpisce l’osservatore;
un’armonia estrema,
dettagliatissima ma mostra con i giornalisti Fabrizio Borghini
Libuse Babakova allʼinaugurazione della
non ossessiva, anzi distesa
e leggera. E in questo
e Jacopo Chiostri
mondo per noi così inesplorato l’occhio che sa e che vuole
vedere riconosce quello che è stato il primo humus dell’artista:
il paesaggio toscano, l’ordinatissimo, confortante, luminoso
paesaggio toscano, con le sue colline fertili, i filari degli
alberi da frutto o dei cipressi, poi l’acqua, il vento, lo scorrere
lento, a volte rude, del tempo e i cieli di certe notti quando
ti sembra di poter allungare una mano e impadronirti di
una stella. Si ha l’impressione che il lavoro della Babakova
consista nel prendere in mano una matassa aggrovigliata e
pazientemente sbrogliarla, distenderla, creare dal disordine
un nuovo ordine possibile e a ciascun filo attribuire un ruolo,
una posizione e un senso: questo in primo piano, questo
a fare da sfondo, questo a guidare lo sguardo, questo a
esaltare la coerenza e
la simmetria coloristica
oppure, all’opposto,
a provocare un contraltare
visivo. È inevitabile
pensare che in tutto
ciò vi sia uno studio
che l’artista compie in
primis su se stessa,
per decifrare, mettendo
a nudo sulla tela,
filtrato con il potente
setaccio dell’arte, il
mistero della creazione
e tentare una, forse
utopica, ricostruzione
dell’universo mondo.
LIBUSE BABAKOVA
53
Erika Castelli
Il volto dell’innocenza
La piccola Chanel, olio su tela, cm 40x50
castellierika@yahoo.it
Mostre in Toscana
A Fiesole la collettiva promossa
dall’associazione Napoli Nostra
Testo e foto di Maria Grazia Dainelli
CON IL PATROCINIO DI
Dal 30 luglio al 7 agosto la Sala del Basolato, spazio
espositivo nel palazzo del Comune di Fiesole, ha ospitato
la collettiva di pittura, scultura e fotografia intitolata
L’Arte illumina la mente promossa dall’associazione Napoli
Nostra. Gli artisti coinvolti nell’iniziativa saranno inseriti in un
testo di storia dell’arte
"L’Arte
che sarà poi archiviato
illumina
nella biblioteca
Thomas J. Watson del Metropolitan Museum di New York
la mente”
per una ricerca sull’arte moderna e contemporanea in ventiquattro
paesi del mondo, tra i quali anche l’Italia rappresentata
dall’associazione Napoli Nostra. L’inaugurazione ASSOCIAZIONE della mostra NAPOLI NOSTRA
ha visto la partecipazione dell’ingegnere Gennaro Corduas, direttore
artistico di Napoli Nostra che ha presentato gli artisti,
della sindaca del Comune di Fiesole Anna Ravoni e del giornalista
Fabrizio Borghini, che ha realizzato un servizio televisivo
presso
per la rubrica Arte Incontri in onda su Italia 7.
Mostra collettiva di pittura, scultura, grafica e fotografia
"Sala Del Basolato” - Piazza Mino, 26 - FIESOLE
dal 30 luglio al 7 agosto 2022
L’inaugurazione della mostra: da sinistra, l’ingegnere Gennaro Corduas, direttore artistico
di Napoli Nostra, il giornalista Fabrizio Borghini e la sindaca di Fiesole Anna Ravoni
CON IL PATROCINIO DI
Mostra collettiva di pittura, scultura, grafica e fotografia
"L’Arte
INIZIATIVA
illumina
IDEATA E REALIZZATA
la mente”
DALL’ ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA
L’INAUGURAZIONE CON DRINK AVVERRÀ SABATO 30 LUGLIO ALLE ORE 17.00
ASSOCIAZIONE NAPOLI NOSTRA
PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA A CURA DI:
DOTT. FABRIZIO BORGHINI CRITICO D’ARTE E GIORNALISTA
ING. GENNARO CORDUAS DIRETTORE ARTISTICO
presso
"Sala Del Basolato” - Piazza Mino, 26 - FIESOLE
ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA
Vico Berio, 4 - 80132 Napoli - Tel. 081 4249786 cell. 339 3218464 - Telefax 081 415123
info@napolinostra.com dal 30 - www.napolinostra.com luglio al 7 agosto www.facebook.com/napolinostra
2022
ARTISTI PARTECIPANTI
ABBRUZZESE PAOLA
ALTOBELLI CRISTINA
ARDIRI FILIPPO
ARMATO VINCENZO
BAFILE MARIA ANTONIETTA
BALLJANA CARLO
BARZON NICOLETTA
BEDIN FABIO
BIANCHINI SALVATORE
BIANCO LINO
BINI FEDERICA
BOSCARO ALDA
BRESCIANINI GIUSY
BUBBA ANNA
CALCINAI CHIARA VALENTINA
CANDIDO CARMELA
CANEPA LUIGI FRANCESCO
CARLETTI FRANCO
CAVANNA ELENA
CESARINI NADIA
CHERUBINI GIOVANNI
CINTELLI MOLTENI ERMELLA
CIOGLIA BRASIL CASSETTI DORALUCIA
COPPI MARIA BEATRICE
CASTELLANA GROTTE (BA)
FRANCAVILLA AL MARE (CH)
ARGENTA (FE)
MAZARA DEL VALLO (TP)
SULMONA (AQ)
SERNAGLIA DELLA BATTAGLIA (TV)
DE DEMO LINA
DE PASQUALE MARIA
DI SECLI’ ANTONIETTA
DONKOVIC MARIJA
FABIAN MASSIMO
FERRUZZI CARUSO DEBORA
INIZIATIVA FUSARI IDEATA GIULIANA MADDALENA E REALIZZATA
VERONA (VR)
FUSI MARIA GRAZIA
EMPOLI (FI)
DALL’ ASSOCIAZIONE GALATI MARIA CULTURALE VENEZIA (VE) NAPOLI NOSTRA
CAMPONOGARA (VE)
PIOVE DI SACCO (PD)
ROMA (RM)
SASSUOLO (MO)
LIDO DI CAMAIORE (LU)
GANZAROLI MAURIZIO
GASBARRO VALENTINA
L’INAUGURAZIONE MONTEBELLUNA (TV) CON DRINK GIANELLA AVVERRÀ RENZO SABATO CAMPONOGARA 30 (VE) LUGLIO ALLE SATTA ORE MARIA CATERINA 17.00
PERTICA ALTA (BS)
CAMPI BISENZIO (FI)
MILANO (MI)
MOLFETTA (BA)
GHIONE DANIELA
NOVARA (NO)
INSERRA GIUSEPPE “ICONARTE” MARIANOPOLI (CL)
PRESENTAZIONE LAGANA’ ANTONELLA DELLA MOSTRA LIVORNO A (LI) CURA DI:
LANCIA AMADIO
RIETI (RI)
DOTT. FABRIZIO BORGHINI CRITICO D’ARTE E GIORNALISTA
MAIORELLI FABRIZIO
BARBERINO DI MUGELLO (FI)
ING. GENNARO MARCHIARO CORDUAS PAOLA DIRETTORE MERCENASCO ARTISTICO
(TO)
ALBISSOLA MARINA (SV)
SIENA (SI)
GOSSOLENGO (PC)
LADISPOLI (RM)
VITERBO (VT)
PRATO (PO)
BELO HORIZONTE BRASIL (MG)
FIRENZE (FI)
MARCZYK TERESA
MERIK
MILANO MIMMO
MONTALTO SEBASTIANO JAN
NAZER FAUSTO
ORSATO LORIA
CALALZO DI CADORE (BL)
BARI (BA)
MILANO (MI)
ROZZANO (MI)
LATINA (LT)
FIRENZE (FI)
FERRARA (FE)
CASAMASSIMA (BA)
GUBBIO (PG)
PORTOGRUARO (VE)
GIOIA DEL COLLE (BA)
FERLA (SR)
VANESCA (CN)
VALDAGNO (VI)
ASSOCIAZIONE CULTURALE NAPOLI NOSTRA
PEDDITZI OTTAVIO
PESCI FABRIZIO
PROCIDA FRANCESCO
PROCOPIO GREGORIO
REISSER GISELE
REMOTTI RENZO
RICCIO STEFANIA
RUGGERI ANNAMARIA
RUSSO ANGELA
SACCHI FRANCA
SANDRELLI FRANCESCO
SITZIA INES
STICCO ANNA
TERRACCIANO PASQUALE
TERRENI LORENZO
TOSI BRUNO
VACCARO MAURIZIO
VALENTE ITALO
VERONESE SABRINA
VERSETTI GIORGIO
ZANCANO RICCARDO
ZANETTI ENZO
ZANETTI MARIAGRAZIA
MANCIANO (GR)
NOCETO (PR)
VIETRI SUL MARE (SA)
REGGIO DI CALABRIA (RC)
SAN VINCENZO (LI)
ASTI (AT)
POTENZA (PZ)
OMEGNA (VB)
TERMINI IMERESE (PA)
MILANO (MI)
CAMUCIA-CORTONA (AR)
TRINITA’ D’AGULTU E VIGNOLA (OT)
SANT’ANTIOCO (SU)
SOVICILLE (SI)
BRUSCIANO (NA)
BIENTINA (PI)
MILANO (MI)
FRANCAVILLA DI SICILIA (ME)
MARANO DI NAPOLI (NA)
SCANDIANO (RE)
CARAVAGGIO (BG)
TRIESTE (TS)
MANTOVA (MN)
NOVARA (NO)
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale
Omaggio alla Rocca
Il Centro Espositivo Culturale San Sebastiano sbarca in Val d’Orcia con una
collettiva di cinque artisti
di Fabrizio Borghini
Grande affluenza di visitatori ha registrato la
mostra organizzata dal Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano di Sesto Fiorentino nel
territorio molto suggestivo della Val d’Orcia senese.
Dall’11 luglio al 29 agosto, i cinque artisti partecipanti
– Danella Fabbrini di Abbadia San Salvatore, Fabrizio
Finetti (Finaù) di Sesto Fiorentino, Felice Giannelli
di Sesto Fiorentino, Luciano Manara di Prato e Valter
Figoni di Sesto Fiorentino – hanno presentato i
propri lavori nel caratteristico borgo di Rocca d’Orcia,
presso Castiglione d’Orcia, nella prestigiosa e
suggestiva Rocca di Tentennano da poco restaurata.
L’evento espositivo, dal titolo Omaggio alla Rocca,
ha registrato un’affluenza di oltre 2.500 visitatori
Valter Figoni Felice Giannelli con unʼopera di Luciano Manara Vista dʼinsieme della mostra
56 CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Marta Ricci di Val d’Orcia Tour, Fabrizio Finetti e il sindaco di Castiglione
D’Orcia Claudio Galletti
Valter Figoni e Luciano Manara
provenienti da tutte le parti del mondo. Alcune
opere in esposizione hanno suscitato
interesse e sono state recapitate in diversi
luoghi della nostra penisola. Tutto questo si
è reso possibile con l’interessamento dell’associazione
Val d’Orcia Tour, più precisamente
nelle persone di: Marta Ricci, Irene Sbrilli
e Valentina Pierguidi. Fondamentale è stato
anche il supporto degli operai comunali per
gli allestimenti e del primo cittadino, il sindaco
Claudio Galletti, che ha dato il via alla cerimonia
di inaugurazione.
Valentina Pierguidi di Val d’Orcia Tour e Fabrizio Finetti
del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano
I tre artisti Valter Figoni, Felice Giannelli e Fabrizio Finetti
CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
57
ALMA SHEIK
www.almasheik.com
VENICE- AQVART EXHIBITION
Palace Scuola Grande San Teodoro
3°-12° of September 2022
Maestri del Novecento
Tamara de Lempicka
I misteri italiani di una delle più originali artiste del Novecento
Tamara de Lempicka è stata non solo una
delle artiste più importanti delle avanguardie
del Novecento ma anche una personalità
carismatica capace di influenzare le
tendenze della moda e dello stile nella società parigina.
Questi valori, che oggi sembrano così superficiali,
erano invece rivoluzionari all’epoca
perché erano d’esempio a tante donne per far capire
loro che nulla è impossibile e che anche una
donna, se determinata, riesce a raggiungere la fama.
Tamara, vera anticonformista, è stata una
delle prime donne artiste che ha sfidato con successo
il mondo maschile sia nel campo dell’arte
che nel costume e nello stile di vita. Non è stata
soltanto la precorritrice della moda parigina di ieri
e un idolo al quale ispirarsi, ma ancora oggi tanti
personaggi dello spettacolo prendono spunto
dai suoi quadri per conquistare il pubblico. Alcune
sue opere come Andromeda, Ragazza con il ca-
pello e dei ritratti maschili appaiono nei video di Madonna
e nelle campagne pubblicitarie di Dolce e Gabbana. Diversi
costumi di scena e make-up usati sia da Madonna (la
quale fra altro è un’appassionata collezionista dei suoi
quadri) che da Lady Gaga sembrano usciti dalle sue tele
più famose. I volti delle donne da lei ritratte con occhi
grandi e devoti sono allo stesso tempo seducenti e glaciali,
angelici e demoniaci. Intorno al suo personaggio sono
nate tante leggende e sono stati raccontati diversi scandali:
Tamara infatti amava far parlare di sé, lasciando tante
cose nel dubbio e vivendo sopra le righe. Le piaceva avvolgere
la sua vita e le sue opere in una nube di mistero, spesso
non rivelando tutto di se stessa. Il primo mistero è
quello legato al suo vero nome e alla data di nascita, visto
che Tamara in realtà si chiamava Maria Rosalia Gorska ed
di Margherita Blonska Ciardi
Myrto (1929), opera rubata a Parigi nel 1943 da un generale nazista
Studio Ad-Art, Tamara de Lempicka con cappello rose Descat e abito Marcel Rochas (1935)
era nata a Varsavia (all’epoca nel Principato di Varsavia
dato che la Polonia era divisa in tre parti inglobate da Germania,
Russia e Austria-Ungheria). Il secondo mistero è legato
al nome d’arte con il quale la conosciamo, de
Lempicka, che Tamara ha acquisito sposando l’unico vero
amore della sua vita, il promettente avvocato Tadeusz
Lempicki. Rifugiatasi a Parigi per scappare dalla rivoluzione
russa e mettere in salvo se stessa e la sua famiglia,
l’artista aggiunge al cognome del marito la particella “de”
per sottolineare la sua provenienza nobile e seguire la moda
dei salotti francesi. Fanno sempre più scalpore recenti
scoperte legate ai viaggi di studio e di lavoro che Tamara
ha fatto in Italia fin dalla tenera età per trascorrere le vacanze
con la nonna materna Clementina, grazie alla quale
si è appassionata d’arte. Anche durante il suo percorso
formativo prima alla scuola di Maurice Denis e
poi di Andrè Lhote, veniva spesso a Firenze per
approfondire gli studi di disegno. La sua prima
mostra personale, con trenta dipinti e otto disegni,
viene inaugurata il 28 novembre del 1925 proprio
in Italia, a Milano, alla galleria Bottega di
Poesia. In questa occasione conosce Gabriele
D’Annunzio che fin da subito la desidera follemente.
Pur essendosi già affermata a Parigi, in Italia
Tamara era allora ancora sconosciuta. Abile manager
di se stessa, capisce subito che eseguire
un ritratto del “vate” può servirle per rendere noto
il suo nome nel bel paese. Dal canto suo D’Annunzio
ha avuto molte muse: le attrici Eleonora Duse
e Cécile Sorel, la ballerina Ida Rubinstein, la pittri-
TAMARA DE LEMPICKA
59
ce Romaine Brooks, la marchesa Casati. Facile quindi immaginare
che anche l’affascinante giovane artista polacca
di nobile provenienza abbia suscitato in lui un vivo interesse.
Pur essendo allora ormai anziano e non più affascinante,
il poeta si lancia così in una corte spietata. Entrambi
puntano a conseguire un proprio obiettivo: Tamara la fama
in Italia, D’Annunzio un’altra donna da aggiungere alla sua
collezione. Per questo motivo, invita la pittrice al Vittoriale
dopo averle commissionato il suo ritratto. L’arrivo di Tamara
viene accompagnato da alcune cannonate a salve
nel parco del Vittoriale, in omaggio a lei, alla sua arte e alla
Polonia. Il poeta stesso si reca ad accoglierla all’entrata
in groppa ad un cavallo bianco. Secondo la raccolta
delle testimonianze della governante del poeta edite da
Franco Maria Ricci in Tamara De Lempicka (Franco Maria
Ricci Editore, Parma, 1977), la loro frequentazione è stata
un misto di seduzione, gioco e scambio intellettuale ma
anche di furibondi insulti. In seguito al rifiuto di Tamara di
concedersi al celebre poeta durante il suo soggiorno al
Vittoriale e la sua successiva fuga notturna, il ritratto non
viene mai realizzato. A questo punto, la pittrice definisce
il poeta “vecchio nano in uniforme”, mentre quest’ultimo
parla di lei come della “donna d’oro”. I due fanno pace dopo
alcune settimane e D’Annunzio, volendo farsi perdonare
per le sue avance troppo esplicite, regala a Tamara un
anello di topazio accompagnato da una dedica poetica.
Fatto curioso è che Tamara porta ad dito questo anello per
il resto della sua vita, considerandolo un talismano portafortuna.
La corrispondenza tra i due personaggi continua
per diversi anni grazie alla reciproca stima sul piano intellettuale.
Tamara aveva conosciuto D’Annunzio grazie a Filippo
Tommaso Marinetti, suo amico incontrato a Parigi e
celebre fondatore del movimento futurista. I due si conoscono
nel 1924 frequentando gli ambienti legati alle avanguardie
artistiche dove avvenivano spesso accese
discussioni sul ruolo futuro dell’arte e sulla necessità di
un cambiamento. Al termine di uno di questi incontri, Tamara
e Marinetti decidono di dare fuoco al Louvre. Il colpo
fallisce miseramente e finiscono entrambi al commissariato,
dove vanno a ritirare la macchina che Tamara aveva
parcheggiato in sosta vietata. La prima personale dell’artista
a Milano è organizzata proprio da Marinetti che la presenta
alla galleria Bottega di Poesia. Volendo far esibire
anche a Firenze la compagnia del Nuovo Teatro Futurista,
Marinetti decide di coinvolgere nella preparazione della
scenografia la sua amica polacca con la quale ha frequenti
contatti, ma lo spettacolo non viene mai realizzato. Nella
corrispondenza tra Tamara e D’Annunzio si legge: «Caro
Ritratto del marchese Sommi (1925), olio, coll. privata, Tamara Art
Heritage, Museum Masters International, New York
Ragazza in verde (1930-1931), olio su compensato, cm 61,5x45,5, Centre
Pompidou, Parigi
60 TAMARA DE LEMPICKA
Nudo femminile: il misterioso dipinto ritrovato in una
villa fiorentina
maestro e amico, eccomi a Firenze! Perché mai qui? Per
lavorare, studiare i cartoni del Pontormo, purificarmi al
contatto con la grande arte italiana, respirare l’atmosfera
di questa incantevole città». Si tratta quindi di una conferma
del fatto che la pittrice ha soggiornato per un periodo
più lungo a Firenze nel 1925. In tante sue opere si ritrovano
spunti presi dalle opere di maestri del Rinascimento e
del Manierismo italiano. Recentemente la televisione polacca
sta realizzando un documentario dedicato alla vita
di Tamara nel quale una parte importante riguarda proprio
il suo legame con l’arte italiana, facendo emergere tanti
segreti e particolari dei quali finora si è parlato poco. L’equipe
dei tecnici sta ripercorrendo le tappe dei tanti spostamenti
dell’artista nel corso della sua vita burrascosa, a
partire da Varsavia e San Pietroburgo, passando poi ai
contatti con l’Italia e con Parigi e arrivando quindi negli
Stati Uniti e in Messico. Senz’altro interessante è il ritrovamento,
avvenuto ormai quarant’anni fa, di una tela di grandi
dimensioni raffigurante un nudo di donna seduto. La
Particolare del volto
tela, rimasta arrotolata per decenni e solo successivamente
aperta, è stata acquistata proprio a Firenze, insieme ad
alcuni oggetti d’antiquariato, da un noto gallerista in seguito
allo svuotamento di una villa fiorentina messa in
vendita. Come il dipinto sia arrivato nella villa è un altro
dei misteri legati alla figura di Tamara. Visto il grande formato
dell’opera e il fatto che non sia ultimata mancando
rifiniture e firma, si può ipotizzare che fosse un dipinto per
la scenografia di Marinetti oppure di un regalo per l’ospitalità
ricevuta. Sicuramente non si tratta di una copia dato
che a quell’epoca Tamara non era ancora conosciuta in Italia
e faceva di tutto per esserlo cercando invano di eseguire
il ritratto di Gabriele D’Annunzio. Attualmente gli storici
stanno raccogliendo documenti e testimonianze riguardanti
questa tela che presto verranno pubblicati in occasione
di una mostra dedicata agli artisti degli anni Venti
del Novecento. Sarà un modo per rivelare diversi enigmi legati
alla vita e alla pittura di Tamara de Lempicka, artista
che ancora oggi continua a sorprenderci.
TAMARA DE LEMPICKA
61
Giovanna
Comandè
Bellezza senza tempo
Ritratto di donna, acrilico su tela, cm 50x65
comandegiovanna@gmail.com
Harry’s Bar The Garden
Itinerari del gusto
A cura di Filippo Cianfanelli
Nella splendida cornice dell’Hotel Sina Villa Medici la seconda sede a Firenze di
uno dei locali più famosi al mondo
Testo e foto di Filippo Cianfanelli
Era il lontano 1931 quando, a Venezia, Giuseppe Cipriani
fondò l’Harry’s Bar, un nuovo concetto di locale
che diverrà famoso in tutto il mondo. Il nome trae
origine da quello di un giovane studente statunitense alcolizzato
che venne aiutato da Cipriani, allora semplice barman,
a curarsi e rientrare nel suo paese. Due anni dopo Harry Pickering
– questo il suo nome – tornò a Venezia restituendo a
Cipriani la cifra prestatagli, oltre a 30000 lire, per aprire un locale
tutto suo. Da questo inizio da favola comincia la storia
di uno dei locali più famosi al mondo, dove Cipriani ha saputo
abilmente mixare il concetto del pub anglosassone con quello
del ristorante, creando un luogo di incontri, un punto di aggregazione
e di dialogo fra i clienti e il barman dietro al suo
bancone. Un modello che ha avuto il suo massimo successo
dopo la seconda guerra mondiale, tanto da essere riproposto
anche a Firenze nel 1953. È stato lo stesso Cipriani a consigliare
Enrico Mariotti e Raffaello Sabatini su come trapiantare
a Firenze la cultura dell’american bar, invitandoli a ricreare
sulle rive dell’Arno un locale che ricordasse l’Harry’s Bar veneziano,
partendo dagli arredi fino ai piatti più caratteristici
e soprattutto i tipici cocktail, fra cui il Bellini da lui ideato. Il
locale del Lungarno Vespucci è diventato così un luogo di incontro
per stranieri e fiorentini, molto amato soprattutto dalle
signore. Non c’è stato divo hollywoodiano che, soggiornando
a Firenze, non abbia frequentato il locale, peraltro molto vicino
al più prestigioso hotel cittadino. Nel 2021 i proprietari
dell’Harry’s Bar fiorentino, Antonio e Francesco Bechi, hanno
ottenuto la gestione del food and beverage dell’Hotel Sina
Villa Medici e, in occasione delle sfilate di Pitti Immagine
Uomo, hanno creato il nuovo Harry’s Bar The Garden, con ingresso
autonomo, nei giardini dell’hotel, a lato della piscina.
Questo luogo mantiene in tutto lo stile iniziale del locale, dai
modelli dei tavoli e delle poltroncine fino alle forme di piatti e
bicchieri; al timone uno dei migliori professionisti del settore,
il barman Thomas Martini. Un locale ottimo anche per un
semplice aperitivo glamour, magari accompagnato dal classico
cocktail di gamberi in salsa Marie Rose o dal carpaccio,
un semplice piatto di sottili fettine di manzo crudo artisticamente
decorate con una salsa, inventato proprio all’Harry’s
Bar di Venezia nel 1950. Fra i primi piatti, accanto ai tortellini
al ragù di manzo e agli spaghetti al pomodoro e basilico,
non potevano mancare i classici taglierini gratinati alla Harry’s
con parmigiano e prosciutto, un piatto che, servito caldissimo,
rappresenta il must del locale e può essere benissimo
un piatto unico. Per quanto riguarda i secondi, la scelta spazia
dalla bistecca alla fiorentina al filetto di pescato. Ma non
possono certo mancare piatti come il vitello tonnato, in cui
la carne viene servita avvolta intorno alla salsa che guarnisce
l’intero piatto. Oppure la tartare, preparata estemporaneamente
dal cameriere davanti al tavolo del cliente. Il piatto
più evocativo degli anni Cinquanta è sicuramente il curry con
riso pilaf e mango chutney, servito, a scelta, con code di gamberi
o pollo oppure con solo verdure per i vegetariani. Le pietanze
sono accompagnate da pane e grissini fatti in casa e
la carta dei vini vede prestigiose etichette italiane ed internazionali.
Al momento del dessert, accanto al gelato Buontalenti
e agli ottimi sorbetti, un altro piatto storico del locale:
le crepes flambè alla Harry’s, preparate scenograficamente
al tavolo con fiammate di Grand Marnier che attirano sempre
l’attenzione di tutti i commensali.
www.harrysbarfirenze.it
L’ingresso dell’Harry’s Bar all’Hotel Sina Villa Medici Vitello tonnato Cocktail a lato piscina
HARRY’S BAR THE GARDEN
63
Ritratti d’artista
Giulia Marcucci
La ricerca dell’oltre nel cuore dell’enigma
In questa nostra epoca in cui, per i molti disastri che abbiamo
intorno, è quanto mai urgente quello che il buon
Vasari chiamerebbe “un rinnovellamento”, incontrare artisti
capaci di proporsi con modalità ancora inedite, autorizza
noi – convinti che il pensiero dell’artista non possa mancare
in questo processo – a credere che esistano strade che non
conosciamo e che possiamo ancora esplorare. È il caso di
Giulia Marcucci, giovanissima artista fiorentina, che propone
con questa mostra un suo personalissimo linguaggio fatto di
allegorie, incastonate in un discorso complesso per quanto
molto razionalmente organizzato, col quale racconta il suo
mondo e nel quale fiaba, sogno, cruda realtà, critica sociale
e personaggi, fatti di pensiero ed emozione piuttosto che di
materia, simbolicamente, molto simbolicamente, traducono
in immagini di forte impatto le sue intenzioni e provano a fare
chiarezza nella sua (e nella nostra) esistenza giacché, come
sappiamo, è con le opere d’arte che possiamo esplorare
la nostra anima. Il codice utilizzato da Giulia Marcucci si agdi
Jacopo Chiostri
giunge ai tanti con cui l’arte ha sempre parlato e che risultano
ben più numerosi di quelli normalmente conosciuti. La
ricchezza creativa di questa giovane artista risiede nella potenza
del suo inconscio che oltrepassa la realtà contingente
e ne genera un’altra ancora, sconosciuta e di uguale se non
di maggiore intensità. Un’operazione nella quale si avverte
una frenesia controllata e consapevole, e si riconosce il suo
essere, in fondo, un’anticonformista, giacché non c’è appiattimento
verso quella pittura informale che, per moti versi, potrebbe
essere il suo approdo naturale. Marcucci è fieramente
aggrappata alla figura, o meglio, alla rappresentazione ideale
della figura dove, come un “Arcimboldo” che indaga umani
modi di essere, compone figurazioni memorabili che richiedono
ai noi spettatori un’attenzione e uno studio certosini
per cogliere la forza e la ricchezza antropomorfa del dettaglio.
Sono dipinti, questi, riconducibili al “surreale”, intendendo
però per surreale non quello di bretoniana memoria, ma
la scoperta di una realtà che va oltre quanto conosciamo e
Demoni (2021)
64
GIULIA MARCUCCI
Diva è donna (2020) La signora (2020)
che esisteva fin qui a nostra insaputa. In questo senso la pittrice
ottempera a quanto, negli anni Venti del secolo scorso,
quell’immenso pittore che è stato Paul Klee diceva essere
compito della pittura: non riprodurre quello che è visibile, ma
rendere visibile quello che non lo è, sogni, ossessioni, riflessioni.
Nelle opere di Marcucci – su cartone e con dimensioni
in genere di cm 50x70 – non si rintracciano gli spazi metafisici
di de Chirico, che pure avrebbero un loro perché. Lo spazio
attorno ai soggetti, quando è lasciato libero, ci ricorda il nulla,
che spesso è la condizione esistenziale dell’uomo, e, semmai,
da un punto di vista pittorico si ottiene ancora
maggior risalto alla rappresentazione, e scriviamo
“ancora” perché la forza impattante delle figurazioni
certo è una cifra peculiare dell’artista. Non
c’è ricerca di verità, non può esserci; l’artista non
deve convincere nessuno, la sua arte si propone libera
anni luce dal giogo di dover essere verità e, in
quanto artista, non cerca soluzioni, bensì propone
enigmi. D’altra parte, come ha lasciato scritto proprio
de Chirico: «Un’opera d’arte deve superare i limiti
dell’umano senza preoccuparsi né del buon
senso né della logica». Da un punto di vista pittorico,
il segno in queste opere appare netto, autorevole,
sovente sensuale; la composizione non
è solo armoniosa ma appare dotata di un grande
equilibrio che l’abile e maturo gioco di pesi e contrappesi
fa apparire impulsivo e primitivo. Nelle
sue divinità pagane assistiamo all’incontro tra figure, forme e
colori che prima s’ignoravano. Ciascuna trae la propria significazione
dallo stretto contatto con le altre, ciascuna con un
suo ruolo definito che assolve come richiesto. La colorazione
completa la veemenza delle opere, sa essere eufonica o di
contro stridente giacché l’utilizzo che l’artista ne fa è di esaltare,
nel bene o all’opposto, gli stati d’animo che rappresenta;
e forse è proprio con questa giovane artista che finiremo per
capire che in particolari stati di grazia non è più l’arte che imita
la vita, ma esattamente avviene il contrario.
Borghesi inquietanti (2021)
GIULIA MARCUCCI
65
Margherita Biondi
Il canto della natura
biondimargherita@gmail.com
Toscana a tavola
A cura di Franco Tozzi
Lasagne del pastore, una gioia per il palato
di Franco Tozzi
La parola “pastore” fa pensare subito al formaggio,
in particolare al pecorino. Un’altra particolarità dei
pastori, forse meno nota, era cibarsi di funghi come
ripiego in tempi di carestia. Addirittura un medico del
Cinquecento, tal Pietro da Bairo, scrive di come in inverno,
al caldo del gregge, ne praticassero già la coltivazione,
mischiando cortecce di alberi morti con lo stallatico.
Quella che qui proponiamo è l’elaborazione di una ricetta
amiatino-grossetana che sarebbe andata bene per pastori
ricchi, un ammodernamento, diciamo, per la gioia del palato;
quella antica infatti è assai più frugale (ad esempio
c’è il sugo finto, quello senza carne, per intendersi) anche
se la base è la stessa. Evitiamo di riportare le ricette del
sugo di carne e della besciamella e andiamo subito agli
ingredienti necessari a preparare una lasagna del pastore
per otto persone.
La ricetta: lasagne del pastore
Ingredienti:
- ½ kg di lasagne
- 300 gr. di funghi porcini
- 120 gr. di galletti o chiodini
- 300 gr. di pecorino fresco
- 200 gr. di pecorino stagionato
- 200 gr. di ricotta di pecora
- 50 gr. di burro
- 1 litro (minimo) di besciamella
- ½ kg di sugo
- 3 spicchi di aglio
- prezzemolo
- sale q. b.
- pangrattato
Grattugiare il pecorino stagionato, poi a parte creare dei
“riccioli” con quello fresco. Una volta pronta la besciamella,
farla raffreddare e con la frusta aggiungere lentamente la
ricotta, in modo che venga una crema densa. Mettere il sugo
sul fuoco e, mentre si scalda, tagliare a pezzi non troppo
piccoli i funghi, metterli a rosolare insieme all’aglio e al
prezzemolo (gambi compresi) e far ritirare tutta l’acqua che
i funghi butteranno fuori. Nel frattempo lessare le lasagne;
una volta pronte, stenderle su un panno; imburrare una grande
teglia, cospargerla di pangrattato e infine capovolgerla
per far cadere l’eccedenza. Si comincia disponendo nella
teglia uno strato di pasta, poi la crema di ricotta e besciamella,
quindi il sugo, una spolverata di pecorino grattugiato,
qualche abbondante ciuffo di quello fresco, poi ancora pasta,
crema, sugo, grattugiato e ciuffo, e così via. La chiusura
sarà fatta con uno strato di besciamella e con tutti i formaggi
rimasti. Infornare a 180° per almeno quaranta minuti; appena
cotta, far raffreddare la lasagna e servirla tiepida. Per
i più golosi: completare con una nevicata di parmigiano non
stagionato.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
LASAGNE DEL PASTORE
67
Riflessioni sulla fede
A cura di Stefano Marucci
Le vie della vocazione
Ne parliamo con padre Bernardo Gianni, abate di San Miniato a Monte a Firenze
di Stefano Marucci / foto Maria Grazia Dainelli
1^ parte
Che rapporto ha con la Toscana?
Mi sento figlio di questa terra che fa della bellezza la sua
quintessenza e che nei secoli ha espresso una grande spiritualità
in maniera sobria, non urlata, dire quasi laicale, ma proprio per
questo capace di persuadere con la forza silenziosa e rassicurante
dell’eucarestia. Questa regione vanta anche una notevole
concentrazione di mistici, da Caterina da Siena alla pratese Caterina
dei Ricci, per arrivare al Novecento con don Milani, padre
Ernesto Balducci e tanti altri. Ecco, io vengo da questa storia qui,
da questi luoghi dove sono cresciuto in una famiglia normale
che, oltre alla fede, mi ha insegnato ad apprezzare la natura, l’arte,
la storia e a diventarne da adulto un appassionato protettore.
Com’era la sua vita prima di prendere i voti?
Ero un ragazzino come tanti altri che frequentava la chiesa
ma senza una particolare vocazione. Ad un certo punto, durante
l’adolescenza, mi sono allontanato dall’ambiente cattolico
per praticare quella che definirei una “religione della
natura e dell’uomo”: era il periodo in cui mi dedicavo soprattutto
al volontariato e alla cura dell’ambiente. Negli anni
dell’università ho ancora di più radicalizzato questa mia
posizione, tralasciando del tutto la fede e concentrandomi
sull’impegno sociale e politico. Era il periodo della guerra in
Iraq, dell’invasione del Kuwait, e i conflitti bellici accendevano
in me un desiderio di pace, giustizia ed equità. Poi c’è
stata una crisi sentimentale per la fine di un amore e un conseguente
periodo di inquietudine esistenziale, durante il quale
ho iniziato a capire che le cose che avevo appreso e fatto
fin a quel momento non mi bastavano più, non mi rendevano
felice, dovevo trovare la via dello spirito.
Quando è arrivata la vocazione?
È stato nel periodo di Natale. Un amico, peraltro non credente,
mi ha invitato ad una funzione liturgica nella chiesa di Rosano
e lì ho vissuto un’esperienza molto forte. Per la prima
volta in vita mia mi sono sentito amato totalmente, al di là
di ogni mio merito. Ho avvertito un richiamo irresistibile. Era
Dio che mi stava chiamando e che mi parlava attraverso il
racconto della nascita di Gesù Bambino, che fino al quel momento
mi era sembrato poco più che un racconto fantastico
e che invece adesso toccava la mia anima nel profondo, complice
anche il melodioso canto delle monache di sottofondo.
Padre Bernardo Gianni
68
LE VIE DELLA VOCAZIONE
Ritratti d’artista
Cristina Visibelli
Pittrice con una lunga esperienza anche all’estero, è titolare della galleria CI Vù a Viareggio
Testo e foto di Jacopo Chiostri
A
Viareggio incontriamo Cristina Visibelli, pittrice e titolare
della galleria CI Vù. Oltre ad essere le iniziali del suo nome,
CI Vù è anche la sigla con cui firma i suoi quadri: in
altre parole, un nome d’arte. La galleria si trova nella centrale via
Cavallotti, a pochi metri si aprono i viali a mare. Alla CI VU, la Visibelli
ospita personali – di recente Marco Campostrini – e collettive
– l’ultima ad agosto – poi, spesso, sue personali. E questo
non perché manchino le richieste – Viareggio continua a essere
una meta appetita – o per egocentrismo, bensì per una ragione
diversa, più intima. Cristina Visibelli ha un rapporto totalizzante
con la sua arte che da sempre è sua compagna di vita e ancor
più lo è dopo la scomparsa del marito. Nei suoi dipinti riversa, oltre
ad emozioni, la propria visione del mondo e con la galleria offre
un porto sicuro per resistere a quel decadimento culturale che
denuncia e che, ai suoi occhi, appare ancor più evidente avendo
vissuto molti anni all’estero. Insomma, esporre spesso la propria
arte risponde per la Visibelli all’esigenza che non devono esserci
pause in quel discorso artistico - culturale intrapreso con la città
di Viareggio, con la Versilia, terra di grandi fiammate ma anche di
disinganni, e con il suo pubblico. La storia della Visibelli, artista e
non solo, ha un attacco singolare. Racconta, infatti, di aver iniziato
a interessarsi alla pittura a soli sei anni, ad Antignano, in casa
di Dino Visibelli, nonno di quello che poi diventerà suo marito. In
casa di Visibelli nonno capitava spesso Renato Natali «pittore che
all’estero è portato in palmo di mano – afferma l’artista – mentre
qui da noi rischia di finire nel dimenticatoio». La questione di come
gli artisti italiani siano stimati e quotati all’estero è una riflessione
ricorrente per la Visibelli che non sa capacitarsi di come in
Italia si sia così autolesionisti; la stessa cosa vale per la Toscana:
«Quando vivevo in Austria – dice – a nominare la Toscana vedevi
che alla gente s’illuminava il volto». Molte cose sono cambiate
in peggio: «Ricordiamoci cosa erano le “marguttiane” a Forte dei
Marmi e cosa è ora, con le gallerie che hanno, quasi tutte, tirato
Cristina Visibelli
giù il bandone». La pittura della Visibelli è un informale molto sui
generis. Elemento ricorrente è l’acqua. I quadri spesso sono marine
animate da vele spinte dal vento; vele che non sono tenute
su dall’albero. Le sue imbarcazioni non lo hanno, e la simbologia
è evidente: la vela è la libertà assoluta, il farsi portare dal vento,
senza appigli, senza ostacoli, senza appoggi; così anche l’acqua
con il suo continuo mutare, che è lo scorre del tempo. Altra figura
frequente sono i cipressi: le sentinelle dei nostri bei paesaggi
toscani. Le tecniche con cui la Visibelli dipinge sono alquanto sofisticate.
Per esempio per i ritratti – che spesso esegue su commissione
– si parte dal disegno, questo viene poi fotografato e
infine completato disegnando direttamente sulla carta fotografica.
Poi l’utilizzo del gesso che stende sul colore per simulare, per
esempio, la schiuma delle onde, oppure la cera che conferisce
una particolare matericità e lucidità al dipinto. Nessun limite dunque
alla tecnica purché al servizio della creatività, fino all’esposizione
sui bei muri bianchi di quello scrigno che è la CI VU, galleria
in Viareggio, dove una donna, probabilmente con alcune cicatrici,
porta avanti con coraggio una personale sfida che sa bene non riporterà
a quelli che furono i fasti di neppure tanto tempo addietro,
ma che comunque vale la pena di vivere.
Con il giornalista Fabrizio Borghini nella galleria CI Vù: alle pareti e in primo piano alcuni dipinti della Visibelli
CRISTINA VISIBELLI
69
Mauro Mari Maris
Le radici dell’anima
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
Ritratti d’artista
Mariella Tissone
Un duello fra passione e controllo vissuto per mezzo del colore
Mariella Tissone, concreta pittrice ligure (nata a Vado,
abita con la famiglia, figlio e marito, a Savona),
è tornata a occuparsi di arte – teatro, poesia, pittura
– dopo aver concluso la propria vita lavorativa di bancaria,
un impiego che definisce «un po’ arido». Era il 2010 e la
Tissone racconta di aver sentito risvegliarsi la vena creativa
che, evidentemente, negli anni era rimasta sopita sotto le ceneri
ma non si era mai spenta. Così è iniziato un intenso “recupero”
del tempo che i meccanismi della vita le aveva in una
qualche misura sottratto, e in breve l’artista ha messo assieme
un impressionante chorus line di partecipazioni a mostre,
impreziosito da premi importanti. Sulle tele di Mariella Tissone
si riversa il colore; è pittura che correttamente dobbiamo
ricondurre nell’alveo dell’informale, nella quale però, quando
occorre, compaiono accenni figurativi, forme essenziali che
denotano la capacità di esprimersi con un linguaggio di assoluta
chiarezza comunicativa, fatto di transfert emozionali
e di sollecitazioni per la nostra sfera esperienziale. Nei lavori
della Tissone si avverte un duello profondo e vissuto con
passione tra l’esigenza di dare libero sfogo al dettato creativo
che si traduce in una pennellata sapiente, ad ampio respiro,
e il controllo dell’armonia complessiva, fatta invece di una
pennellata meticolosa e ordinata. Il risultato sono composizioni
che impattano nella retina con un’organizzazione dove
pesi e contrappesi sono disposti in modo tale da comporre un
racconto che scorre melodioso e accompagna la sensibilità
e l’occhio dello spettatore. Alla proporzione generale contridi
Jacopo Chiostri
buisce in maniera determinante l’equilibrio cromatico, frutto,
lo si avverte, di uno studio attento, a volte certosino, e curato
nei minimi particolari; del resto il motto, ma anche l’imperativo
che anima il lavoro della Tissone è, come racconta lei
stessa, «una vita a colori fino all’ultimo minuto». Ovunque
c’è luce. Luce calda, mediterranea, ma non invasiva che più
che grandi sprazzi luminosi e, per contro delle ombre, produce
energia e carezza la tela. La Tissone, nella sua multiforme
attività artistica, ha dato alle stampe un piccolo prezioso
libro di poesie, e la vis poetica che anima questa sua modalità
espressiva si ritrova puntuale nei suoi quadri perché, evidentemente,
non c’è per lei distinzione tra parola scritta e
parola dipinta. Molte le personali a cui ha partecipato, a Savona
e a Roma con l’importante personale alla Galleria Medina
che è stata l’occasione per iniziare una collaborazione
con la stilista Fabiana Gabellini che si è ispirata alle opere
della Tissone per creare capi di alta sartoria in seta; quindi a
Firenze (Casa di Dante, su invito), e poi la selezione per partecipare
a rassegne come Arte Genova (dal 2017 al 2020), al
Castello Estense a Ferrara, a Lido di Camaiore, Pietrasanta,
Gualdo Tadino, Venezia, Oporto, Torino, la presenza in Bulgaria
e in Russia. Poi i premi: il Premio Internazionale Arte
Milano e il Premio Eccellenza Europea delle Arti; con l’Associazione
TASA (The Artist Style in Art), grazie alle foto del
viareggino Fabrizio Gatta, le opere della Tissone sono sbarcate
a New York, quindi in California e a Zamosc (Polonia).
Nel 2018 la partecipazione a Parigi al Carousel de Louvre,
quindi la mostra a Savona
dedicata a Carlo Rambaldi,
la presenza al Museo Artepozzo
dedicato a Milo Parodi
e le due esposizioni con
Toscana Cultura, dal 10 a
20 luglio di quest’anno, allo
Spazio Espositivo San Marco,
e recentissima, dal 3
all’11 settembre la mostra di
arte contemporanea al Chiostro
della Santissima Annunziata.
In ultimo, come detto
all’inizio, non c’è solo pittura
nell’attività artistica della
Tissone: come presidente
della compagnia amatoriale
Boccascena è attiva anche
in campo teatrale.
Trame oro (2019), tecnica mista su tela, cm 70x50
Nebulosa nera (2021), tecnica mista su tela, cm 70x50
sim.mari@libero.it
mariellatis@gmail.com
MARIELLA TISSONE
71
Giuseppe Cassandro
A Palazzo Frizzoni un bassorilievo donato dallo scultore toscano per
omaggiare la città di Bergamo colpita durante la pandemia
Vista della Sala Simoncini all’interno di Palazzo Frizzoni dove l’opera è stata collocata
Dal 5 novembre 2020 il bassorilievo Madonna con Bambino è esposto in permanenza a
Palazzo Frizzoni, sede del Comune di Bergamo. In particolare, l’opera è stata collocata
nella Sala Simoncini al primo piano, dove si prendono decisioni e iniziative importanti per
la valorizzazione della città. Lo scultore Giuseppe Cassandro ha donato il bassorilievo
alle istituzioni cittadine per esprimere vicinanza alla comunità bergamasca, tra le più
colpite in Italia durante il primo periodo della pandemia. Dalla soglia dei suoi 83 anni,
lo scultore toscano si sente molto vicino alle persone che hanno perso i propri cari,
proprio perché ha vissuto sulla sua pelle le stesse sensazioni. Cassandro ringrazia
quindi tutta la città, in particolar modo il sindaco Giorgio Gori e la Giunta comunale.
Giacomo Angeloni, assessore all’Innovazione del Comune di Bergamo, con il bassorilievo di Giuseppe Cassandro
Ritratti d’artista
Valter Viani
Colori uniti a materiali di recupero per sensibilizzare alla
bellezza e al rispetto della natura
di Jacopo Chiostri
A
un certo punto del suo percorso artistico, Valter Viani
ha capito che la poesia, il medium col quale, fino
ad allora, aveva dato voce alle proprie emozioni
e aveva raccontato il proprio mondo, si era affievolito, forse
addirittura dissolto. Difficile dire se, dietro al processo emotivo-creativo
che a quel punto si è messo in moto, ci fosse
solo l’esaurirsi di una vena poetica oppure decisiva sia stata
la spinta a sperimentare nuove forme di linguaggio. In realtà
poco importa, certo è che in quel momento si è aperta
per questo artista Certaldino una nuova pagina, una nuova
avventura, che oggi lo vede solido pittore (e riteniamo corretto
aggiungere scultore) impegnato in una modalità espressiva
che risulta inedita per lui, ma anche per il pubblico degli
appassionati e dei critici. Alla base dei lavori di Viani c’è prima
di tutto il gusto e l’esigenza di sperimentare, ed è, infatti,
la sperimentazione, a 360 gradi, la cifra caratterizzante della
sua poetica. La ricerca di Viani parte dalla scelta dei materiali,
tutti oggetti di recupero, perfino pannelli fono assorbenti,
che diventano la sua tela; li colora con mezzi insoliti, magari
facendo fluire il colore dal beccuccio di una siringa, e spesso,
molto spesso, li orna e li caratterizza con degli inserimenti
per i quali, anche qui, usa una varietà di materiali, trucioli
di ferro, residui di bigiotteria, soprattutto rame, possibilmente
modellato in spirale che ne rappresenta tutta l’energia e la
carica positiva. L’uso di materiali poveri, in procinto di essere
smaltiti, oltre alla valenza artistica, ha un evidente significato
di rispetto per l’ambiente e di monito per l’enorme questione,
tuttora aperta, degli scarti prodotti dalla nostra “presunta”
Ecowhite, acrilici e multimateriali, cm 31x65
civiltà: questi oggetti sono restituiti ad una seconda vita e,
in un certo senso, quali componenti di un’opera d’arte, anzi,
sono affidati ad una propria immortalità. Abbiamo definito
Valter Viani anche scultore, e questo, a nostro parere è
perfettamente legittimo laddove nelle sue opere si rintraccia,
grazie appunto ai vari inserimenti, una tridimensionalità ed
un’occupazione dello spazio che è propria della scultura. C’è
poi il colore, e ci sono le forme, quelle che vagamente ricordano
la figurazione e quelle tipiche dell’astrazione. Ed è in
questa direzione che dobbiamo procedere per meglio comprendere
l’arte di Viani. Sì, perché è proprio nel suo essere
un astrattista ma anche un figurativo sui generis (molto sui
generis), nell’essere limpido ma anche ermetico, nel suo organizzare
rigidamente in termini geometrici la composizione
ma anche lasciare, in altri casi, libertà al colore di non
assumere una forma definita e di esplodere obbedendo solo
all’istintualità del gesto, che rintracciamo i suoi perché e
le ragioni intime di un linguaggio artistico che non si può ingabbiare.
Viani ha frequentato il gruppo “Estrosi”, è socio di
Toscana Cultura; dal 2013 ha messo assieme un curriculum
importante di esposizioni collettive ma anche tre belle personali,
la prima nella splendida cornice del Palazzo Comunale
di Casole d’Elsa, poi nelle sale dell’Hotel Minerva di Siena,
l’ultima, lo scorso luglio, nella saletta Barbano dello Spazio
Espositivo San Marco a Firenze. Nel 2020 tre opere di Viani
sono state inserite nel catalogo Artisti in vetrina della casa
editrice Pagine di Roma e sono state presentate nel programma
TV del professor Plinio Perilli.
walterviani@libero.it
Io sono amore, acrilici e resine, cm 70x50
VALTER VIANI
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B&B Hotels Italia
L’apertura del secondo B&B Hotel in Slovenia,
nel cuore della città vecchia di Maribor
di Francesca Vivaldi
L'esterno del B&B Hotel Maribor
Non solo nuove aperture in Italia ma anche nuove sfide
internazionali per B&B Hotels che amplia la sua
presenza in Slovenia con l’apertura di una seconda
struttura, il B&B Hotel Maribor, situato nel cuore dell’omonima
città. Dopo l’inaugurazione nel 2019 del B&B Hotel
Ljubljana Park – struttura completamente green nel centro
della capitale – il gruppo sceglie la suggestiva città di Maribor
per aprire la sua seconda struttura in Slovenia. Situata
sul fiume Drava e circondata dalle foreste verdi di Pohorje
e da pittoresche colline, Maribor è particolarmente apprezzata
per l’offerta vinicola; qui, infatti, si trova la più vecchia
pianta di vite al mondo chiamata Stara trta che, con i suoi
500 anni, è entrata a far parte del Guiness dei primati come
la vite più antica al mondo che continua a dare i suoi preziosi
frutti. Non solo vino ma anche montagna: Maribor è famosa
per il suo comprensorio sciistico situato alla periferia
della città sui declivi del monte Pohorje. Il B&B Hotel Maribor
si trova nella parte vecchia della città slovena conosciuta
in italiano come Marburgo ed è prenotabile al miglior
prezzo solo su hotelbb.com. L’hotel è a soli 5 minuti a piedi
dalla stazione centrale, dal fiume Drava e dal centro storico
con le sue più importanti attrazioni. Soggiornare in questa
struttura è la scelta ideale per esplorare non solo la città
ma anche le peculiarità della parte orientale della Slovenia
e quelle dell’intero paese. Il B&B Hotel Maribor dispone di
102 camere non fumatori in tipologia doppia, matrimoniale,
tripla, tutte dotate dei comfort necessari come bagno
privato con doccia e asciugacapelli. Per un soggiorno sempre
più smart sono disponibili aria condizionata, Smart TV
e una connessione Wi-Fi super veloce illimitata e gratuita.
Per non rinunciare al piacere di un dolce risveglio, è possibile
godere di una ricca colazione a buffet con prodotti
dolci e salati e con opzioni gluten-free e bio. «Siamo orgogliosi
di ampliare la nostra offerta in Slovenia inaugurando
una nuovissima struttura in una destinazione dalla forte vena
turistica. Maribor con le sue piste da sci, i sentieri escursionistici
e le piste ciclabili offre davvero un vero e proprio
tesoro di esperienze» ha dichiarato Valerio Duchini, presidente
e amministratore delegato di B&B Hotels Italia. «Da
qui partiremo per ampliare ancora di più la nostra presenza
nell’est Europa, con l’obiettivo di raggiungere un portafoglio
internazionale di oltre 700 hotel entro la fine dell’anno, ovvero
più di 65 mila camere». L’hotel è raggiungibile in auto,
ma anche dagli aeroporti di Vienna e Zagabria con le principali
compagnie low cost.
In questa e nella foto accanto la sala colazione
76 B&B HOTEL IN SLOVENIA
Il Gruppo B&B Hotels
Acquisito dalla società d’investimento Goldman Sachs Merchant
Banking nel luglio 2019, il Gruppo B&B Hotels è la catena
alberghiera internazionale di segmento value for money più
importante e più in rapida crescita in Europa. In Francia conta
353 hotel, in Germania 153, in Italia 58 e in Spagna 39. B&B
Hotels gestisce anche 10 hotel in Polonia, 7 in Svizzera, 7 in
Portogallo, 1 in Repubblica Ceca, 7 in Belgio, 2 in Slovenia, 6
in Austria, 1 in Olanda, 1 in Ungheria e 6 in Brasile. I B&B Hotels
offrono ai clienti business e leisure una combinazione di
comfort, design e servizi di alta qualità ad un prezzo competitivo.
Il Gruppo viene regolarmente premiato in Francia, Germania
e Italia per il suo concetto innovativo e la forte crescita.
www.hotelbb.com
Una delle stanze matrimoniali disponibili nella struttura
Un particolare della hall
B&B HOTEL IN SLOVENIA
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Benessere e cura della persona
A cura di Antonio Pieri
Il profumo del benessere
di Antonio Pieri
La fine delle vacanze e dell’estate porta con sé sempre
un po’ di malinconia. Profumi, odori e viste mozzafiato
lasciano spazio alla routine quotidiana. Per alleggerire
questo ritorno alla normalità abbiamo deciso di lanciare adesso
la nostra nuova fragranza per ambienti: Salvia.
L’idea
Dopo il lungo periodo di chiusure dovuto alla pandemia, è
presente in tutti noi un grande desiderio di uscire e tornare
alla normalità. L’ispirazione per questa fragranza nasce proprio
da qui, dalla voglia di stare insieme e dal bisogno, ancora
più marcato oggi, di pulizia, freschezza, tranquillità e libertà.
In questi ultimi anni, purtroppo, il concetto di pulizia è stato
sempre legato all’ambiente ospedaliero, al gel igienizzante
(molto spesso aggressivo per la nostra pelle) e a tutto quello
che ruota intorno alla paura del contatto umano. È proprio da
questa idea che abbiamo voluto creare una nuova linea che
corrispondesse in tutto e per tutto a ciò che noi avevamo nel
cuore: creare negli ambienti familiari, negli uffici e nelle nostre
case un benessere derivante da una sensazione di pulizia
naturale, che esprimesse il calore dell’accoglienza che
negli ultimi anni ci è mancato.
e pulizia grazie alla presenza di salvia, menta e rosmarino.
I toni agrumati del lime infondono una dolce allegria e, uniti
alla freschezza di eucalipto, pino e menta crispa, esprimono
un forte sentore di libertà. La delicata presenza di petali di giglio,
non a caso simbolo di Firenze, e gelsomino donano alla
fragranza una nota di dolcezza molto particolare, bilanciando
il cuore di questo compound olfattivo con le note balsamiche
di testa. Nasce così un profumo calmante e rassicurante,
che odora di equilibrio e benessere, infonde fiducia, stimola
l’ispirazione e ricorda la libertà. Ottimo da posizionare in
ambienti condivisi, in ufficio, in salotto, in bagno e più in generale
in ambienti in cui abbiamo bisogno di una fragranza
rilassante e fresca che doni equilibrio e benessere.
La fragranza
Grazie al suo naturale e deciso tono olfattivo, Salvia è per eccellenza
il profumo del benessere. Calmante e rilassante, ha
il potere di stimolare l’ispirazione, riequilibrare la mente infondendo
fiducia e diffondendo pace e armonia. Questa fragranza
rilascia negli ambienti una sensazione di freschezza
Vieni a trovarci nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti
2 a Firenze per scoprire questa meravigliosa nuova fragranza.
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
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IL PROFUMO DEL BENESSERE
PROFUMO AMBIENTE IDEA TOSCANA
fragranze naturali per la casa
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