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La Toscana nuova - Anno 4 - Numero 9 - Ottobre 2021 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
a cura di Marco Gabbuggiani
Lottando con un incolpevole guanciale
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
È quella sensazione che ti attanaglia, ti prende e non ti lascia più andare.
Amplificata e moltiplicata da quei barlumi di luce proveniente dallo schermo di un telefonino.
Cercare, sentire, annusare, gustare, toccare, sperare.
I gesti… i gesti nel cercarti, i gesti nel volermi. I gesti che emanano l’odore di te; l’odore di me.
L’odore in questa notte in cui tu non sei più mia.
Io, solo. Nell’imprescindibile voglia di cercare il tuo piacere.
Ancora una volta mi rotolo nel letto illuminato da quel maledetto telefono, alla ricerca di un tuo messaggio. E ti voglio
e ti cerco, e mi voglio e mi cerco.
Odore! Odore in questa fine estate, in questa notte dal caldo alternante che rende tutto intenso e ti riempie i sensi.
Odori dalla strada che fluiscono come spettri dalle finestre aperte e tentano inutilmente di confondere il ricordo del tuo!
Odore, come memoria di te!
Odore come memoria del piacere.
L’odore della notte.
Marco Gabbuggiani
marco.gabbuggiani@gmail.com
Da oltre trent'anni una
realtà per l'auto in Toscana
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OTTOBRE 2021
I QUADRI del mese
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Marco Masini: il Ponte Rosso è stata la mia prima ribalta
Elliott Erwitt, maestro della fotografia del Novecento
Storm Elvin Thorgerson, il fotografo della musica rock
Antonio Manzi, una storia di passione senza fine per l’arte
La mostra di Arturo Martini al Museo Novecento
Rosy Mantovani, fragili apparizioni sulla soglia del tempo
Maria Cassi, regina della risata nel teatro contemporaneo
A Bibbiena, il Museo Archeologico del Casentino
Curiosità fiorentine: per la festa di San Simone, ballotte e vin bono
Intervista a Clet, uno dei massimi protagonisti della Street Art mondiale
La voce dei poeti: le liriche di Stefania Contardi
La Toscana si tinge di giallo con Il profanatore di Stefano Cirri
Archeologia: la Mezzaluna fertile all’origine della civiltà
Dimensione salute: magnesio e idratazione per prepararsi all’autunno
Psicologia oggi: quando la coppia è messa alla prova dal tradimento
I consigli del nutrizionista: l’alimentazione nella sindrome post Covid
Antonella Mezzani, artista delle pittografie ad ArtePadova 2021
Villa Vittoria Cultura, una Versiliana in chiave fiorentina
I giganti dell’arte: Benvenuto Cellini, genio ribelle del Rinascimento
Tatsiana Pagliani, forme dinamiche in uno spazio molteplice
La tutela delle espressioni culturali con il Movimento Life Beyond Tourism
Centro Espositivo Culturale San Sebastiano, luogo delle arti a Sesto Fiorentino
Il diritto industriale nella monografia di Aldo Fittante presentata a Villa Vittoria
Terre di Dante: in treno da Firenze a Ravenna sulle orme del sommo poeta
Emanuele Chirco, innovatore della musica mediterranea strumentale
Il cinema a casa: Mommy, il colpo al cuore di Xavier Dolan
Concerto in salotto: Luigi Infantino, tenore di vero talento
Arte del vino: il Tempio del Brunello, Oro di Montalcino
Toscana a tavola: un “tegamaccio” di bontà
Stefania Maffei, poesie come “sentieri di parole”
Filippo Cianfanelli, un artista tra i ghiacci del Polo Nord
Sapori Pazzaglini: specialità per il palato a Firenze
Storia delle religioni: l’albero rovesciato, simbolo di unione tra cielo e terra
A Florence Biennale, una mostra ed un premio dedicati a Tamara de Lempicka
L’americana Stephanie Holznecht finalista al Tamara Art Award
La digital art di Karin Monschauer alla Fortezza da Basso
Le opere di Fredrik Olsen contro la disuguaglianza tra generi
Di-segni astrologici: Bilancia, un segno alla ricerca di armonia ed equilibrio
La Fiorentina secondo l’ex giocatore e dirigente viola Roberto Ripa
Toscana e Cina più vicine nel segno del Rotary Fiesole
L’apertura di un nuovo B&B Hotel nell’Est Europa
Il “cibo del cuore” di Gianni Minà, nome eccellente del giornalismo italiano
Benessere della persona: la cura del corpo con il succo d’uva
Elena Gheri, Mavi e i coniglietti, olio su tela, cm 50x70
gherielena@libero.it
Luciano Faggi, Vortice, acrilico e smalto, cm 70x100
fagluc2006@libero.it
In copertina:
Zhang Yanz, Lost again (2019),
tubi fluorescenti, cerotti, inchiostro e spray
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze
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Anno 4 - Numero 9 - Ottobre 2021
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Luciano Artusi
Ricciardo Artusi
Francesco Bandini
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Paolo Bini
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Marco Gabbuggiani
Claudio Giusti
Simone Lapini (ADV
photo)
Carlo Midollini
Silvano Silvia
Salvatore Sinatra
4
Atelier Giuliacarla Cecchi
(non solo) Alta Moda
Loreto
Roberto Loreto
Il caleidoscopio della realtà
Uno pieno e uno vuoto, acrilico su tela, cm 70x50
roberto@loreto.us
Personaggi
Marco Masini
Il Ponte Rosso è stata la mia prima ribalta
di Marco Masini
Anche se sono nato nel 1964 in piazza Indipendenza,
ho vissuto tutta la mia infanzia e l’adolescenza
fino a 25/26 anni, al Ponte Rosso in
via Vittorio Emanuele al 34 nel palazzo attaccato ai passaggi
a livello che prima erano manuali con il casellante
che conoscevo bene e che, quando ero in ritardo, mi faceva
passare sotto le sbarre non prima di essersi accertato
che non ci fossero treni in arrivo. Uno si chiamava
Lido e l’altro era un ragazzo un po’ più giovane del quale
non ricordo più il nome. Accanto al passaggio a livello
c’era un bar gestito da Carlo che era sposato e aveva
due figli; anche lui era del Ponte Rosso. Era innamorato
della musica e seguiva passo per passo quello che facevo
già dagli anni Settanta fino all’81/82; nel 1983 ha venduto
a un altro gestore che cambiò la denominazione in
Bar Parigi. Mio padre Giancarlo andava sempre lì a giocare
a carte o a biliardo o a guardare la televisione che
era nella sala delle carte. Quando tornavo a casa e non
lo trovavo, sapevo che era lì. Posso dire che quel bar in
quegli anni è stato il mio punto di riferimento. Dai cinque,
sei anni. Il giardino di casa mia confinava con la ferrovia
e la mia camera si affacciava sul giardino; anche
di notte mi ero così abituato al passaggio dei treni locali
– allora non c’erano i Freccia Rossa – che il loro rumore
mi stimolava a prendere sonno. Il mio giardino confinava col
Giardino dell’Orticoltura dove si giocava a pallone, facendo le
porte con le panchine, contro la volontà della guardia addetta
alla sorveglianza che spesso ci sequestrava il pallone. Molte
Con il padre Giancarlo
Masini da ragazzo quando abitava al Ponte Rosso
volte ero io a portare il pallone e facevo le squadre con i miei
amici Riccardo Ostolani, Dino Chielli, Riccardo Bellini, Stefano
Baffini, Giuseppe Sanfilippo, Jacopo e Marco Di Maggio diventato
un chitarrista molto bravo. Con molti di loro eravamo
compagni di scuola alla elementare Cesare Battisti.
Io avevo ideato le maglie rosse con strisce nere, senza
alcun riferimento al Milan, della squadra del Ponte
Rosso e indossavo quella con il numero 10 perché fin
da bambino volevo essere protagonista. Ogni tanto
andavamo a giocare anche in piazza della Vittoria oppure
partecipavamo a dei piccoli tornei under 10, ma
abbiamo continuato a farli anche quando eravamo
più grandicelli, andando in trasferta in via dei Bruni
oppure a Rifredi o a Novoli orgogliosi di rappresentare
il nostro rione, il Ponte Rosso. Al Giardino dell’Orticultura
si facevano anche altri giochi ma la nostra
passione era soprattutto il pallone. In angolo fra via
Puccinotti e via Vittorio Emanuele c’erano quasi tutti
i negozi necessari per le famiglie: il salumiere, il panettiere
Giancarlo Fabbri, Lamberto Bellini il macellaio
e poi anche Carlo Bellini che aprì la ferramenta. Di
fronte, fu aperto l’Emporio del Mobilio che guardava
via Puccinotti. Avevamo il nostro universo in quel rione
che è stato per tutti noi un nido che ci ha cullato e
dove abbiamo cominciato a conoscere la vita.
MARCO MASINI
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I grandi della
fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Elliott Erwitt
Il maestro della fotografia del Novecento in una conversazione con Biba Giacchetti
di Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli / foto Elliott Erwitt
Secondo lei, in quale categoria fotografica s’inserisce
l’opera di Elliot Erwitt?
Erwitt si muove all’interno della corrente nata negli anni Venti,
la Straight Photography, nonostante il suo lavoro sia soltanto
in parte assimilabile a quello di altri grandi fotografi del suo
tempo come ad esempio Cartier-Bresson. Egli utilizza molteplici
linguaggi: da quello ironico, che lo ha reso celebre nel
mondo, a quello formale nelle fotografie di architettura, a quello
“umanista” negli scatti che immortalano l’essere umano in
vari contesti sociali. Sono foto che raccontano grandi eventi
che hanno fatto la storia oppure scene private come la celebre
foto della neonata sul letto, che è la sua primogenita Ellen.
Bianca, ha seguito tutti i presidenti
degli USA degli ultimi settant’anni,
da Kennedy ad Obama. Con le
sue immagini ha raccontato le contraddizioni
di questi personaggi
ed alcuni episodi che hanno fatto
scalpore, come il diverbio tra Nixon
e Kruscev, uno scatto che è stato
strumentalizzato perché interpretato
come simbolo della supremazia
culturale e politica americana rispetto
a quella sovietica nel periodo
della Guerra Fredda.
Biba Giacchetti con Elliott Erwitt
Quali sono le principali caratteristiche che rendono riconoscibili
le sue foto?
Direi senz’altro una grande dolcezza visiva e la capacità di narrare
storie senza mai rivelare tutto completamente. È uno dei
rari fotografi i cui scatti sono diventati iconici e immediatamente
riconoscibili come ad esempio il bacio nello specchietto,
il salto sullo sfondo della Tour Eiffel o la locomotiva con lo
sbuffo. Erwitt è contro una certa tipologia di arte fotografica
per comprendere la quale occorre avere le istruzioni d’uso. Per
lui le parole sono davvero insignificanti perché ritiene che la fotografia
debba essere comprensibile in maniera immediata da
tutti. Anche per questo le sue immagini affrontano temi universali
in cui chiunque può riconoscersi. È un fotografo molto sofisticato
pur nell’estrema semplicità dei suoi scatti.
Cosa può dirci a proposito delle foto che ritraggono personaggi
della politica?
Si è interessato di politica pur non avendo mai fatto politica attiva
con la sua fotografia. Essendo stato accreditato alla Casa
Come ha affrontato l’avvento del digitale?
Il suo approccio alla fotografia è rimasto sostanzialmente invariato
perché ha continuato a scattare in analogico servendosi
del digitale soltanto per i lavori commerciali, visti i vantaggi
in termini di velocità, costi e possibilità di intervenire sulle immagini,
per quanto quest’ultimo aspetto non rientri affatto nelle
sue corde. Ancora oggi, Erwitt sviluppa i negativi nel suo
studio e l’unico stampatore da lui autorizzato è l’italiano Roberto
Bernè.
Che differenza c’è tra gli scatti personali e quelli commerciali?
A dire il vero nessuna, perché, come Erwitt stesso sostiene,
una bella foto può nascere in qualunque momento, anche durante
un servizio commerciale. A fare la differenza non è il soggetto
ma il modo di guardare le cose, di riconoscere e catturare
l’immagine interessante, cogliendo i collegamenti significativi
tra le cose, come nella foto del bambino in bicicletta con il nonno
che è stata realizzata per la promozione del turismo in Francia
e che per questo motivo condensa nell’inquadratura alcuni
stereotipi tipici di questa nazione come il basco, la baguette e
il viale alberato che ricorda le campagne della Provenza.
Cosa ha realizzato nel mondo del cinema?
Ha prodotto numerosi documentari partendo dalla ricerca di
situazioni spesso paradossali e sviluppando gli stessi temi
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
France (Paris, 1989 / © Elliott Erwitt - Magnum Photos)
8
ELLIOTT ERWITT
Andreě S. Solidor, Self-Portrait with Roach / © Elliott
Erwitt - Magnum Photos)
Japan (Yokohama, 2003 / © Elliott Erwitt - Magnum Photos)
delle fotografie. Il suo intento è stato raccontare le assurdità
del genere umano in modo dissacrante e divertente, unendo
ad una giusta dose di leggerezza l’amore per la verità.
Ci può dire chi è e com’è nato André S. Solidor, l’alter ego
di Erwitt?
Tutto ha avuto origine dal suo scetticismo verso quei fotografi
che paragonano i propri scatti ad opere d’arte, esponendoli
in gallerie importanti in giro per il mondo e vendendoli a cifre
esorbitanti. Queste cose non contano per Erwitt, sono soltanto
un modo per elevare a forma d’arte ciò che non merita di
esserlo, come ad esempio le foto di Cindy Sherman, che a suo
parere hanno un contenuto alquanto discutibile, e di altri fotografi
che invece lavorano su grandi formati senza che questo
abbia un senso. André S. Solidor si diverte a scattare foto digitali
che imitano in maniera ironica queste fantomatiche opere
d’arte, riuscendo anche a venderle e a pubblicarle in un libro.
Che rapporto ha con l’Italia?
Ha un rapporto viscerale perché i suoi genitori, ebrei in fuga
dalla rivoluzione russa, si sono rifugiati e sposati in Italia.
Nato a Parigi, Erwitt ha vissuto a Milano per 13 anni per poi
emigrare negli Stati Uniti a causa del fascismo. Arruolatosi
nell’esercito americano, è stato inviato in Italia e da allora vi
è spesso tornato per viaggi di lavoro e di piacere.
Quali insegnamenti lascia ai fotografi d’oggi e di domani?
L’importanza di applicarsi e di non strafare ma di prendersi il
tempo necessario per osservare il mondo. Guardando le sue
immagini, come quelle di altri grandi della fotografia, cogliamo
una straordinaria eleganza compositiva che è possibile
apprendere soltanto con costanza, esercizio e pazienza. È un
messaggio di gentilezza e di coerenza, anche se la sua vera
eredità non è clonabile perché risiede nel suo occhio, nel suo
cervello e nella sua sensibilità. Erwitt narra l’umanità con rispetto
e con bonaria ironia, diversamente da altri fotografi
che, come Martin Parr ad esempio, raccontano il genere umano
con una narrazione a tratti aggressiva. Le sue foto è come
se dicessero: « Vedi, l’essere umano è fatto di tanti piccoli
momenti, tante piccole felicità: ridiamone insieme . Rispetto,
gentilezza e bellezza: un mix che fa di lui uno dei più importanti
fotografi del Novecento.
Qual è stato il suo atteggiamento nei confronti di critici o
giornalisti che lo hanno intervistato?
È sempre stato molto rispettato ed apprezzato dal pubblico e
dagli addetti del settore. In alcune interviste è capitato che rispondesse
in maniera burbera soprattutto quando gli venivano
poste domande banali che non prevedono alcuna riflessione.
Come considera la fotografia amatoriale?
È molto democratico, nel senso che poco importa chi sia
l’autore della fotografia, se un professionista o un amatore,
l’importante è che sia una foto
fatta bene e con sensibilità.
Come vive la sua notorietà?
È famoso in tutto il mondo,
molto apprezzato in Giappone
e negli Stati Uniti. Ha ricevuto
numerosi riconoscimenti e
può essere considerato a tutti
gli effetti una leggenda vivente.
Non è né presuntuoso né
arrogante, è soddisfatto della
sua vita e non ha rimpianti.
ELLIOTT ERWITT
9
Margaret Karapetian
L’eleganza del segno inciso
La vita, tecnica mista, cm 50x70
www.margaretkarapetian.it
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Spunti di critica
fotografica
Storm Elvin Thorgerson
Il fotografo innovatore dell’identità visiva della musica rock
di Nicola Crisci / foto Storm Elvin Thorgerson
Storm Elvin Thorgerson (Potters Bar, 1944 / Londra,
2013) è stato un fotografo e designer britannico,
fondatore, nel 1968, dello studio grafico Hipgnosis.
È noto per la collaborazione con il celebre gruppo rock dei
Pink Floyd, per il quale ha disegnato la copertina del secondo
album e una lunga serie di altre celebri e rivoluzionarie
copertine che hanno segnato la storia della musica.
In particolare, la copertina per l’album The dark side of the
moon del 1973 viene spesso citata come una delle migliori
realizzate da Thorgerson e il disco stesso è stato uno dei
più venduti al mondo. Tutte le sue opere riguardanti i Pink
Floyd sono raccolte nel libro Visioni scritto con Peter Curzon.
Il suo lavoro non si è limitato a una sola band, l'elenco
dei nomi che si sono rivolti al suo genio creativo è un condensato
di storia musicale: Genesis, Paul McCartney, Black
Sabbath, Peter Gabriel, Muse, Led Zeppelin. Ha girato lungometraggi,
documentari televisivi e videoclip musicali per
numerosi artisti fra cui: Paul Young, Nik Kershaw, Big Country,
Europe e Robert Plant. L’approccio di Hipgnosis al design
degli album era fortemente orientato alla fotografia
e ha aperto la strada all’uso di molte tecniche visive e di
packaging innovative. Le sue foto surreali e manipolate utilizzando
trucchi da camera oscura, esposizioni multiple, ritocco
con aerografo e varie tecniche di taglio lo hanno
reso un precursore di quello che, molto più tardi, sarebbe
stato l’utilizzo di Photoshop. Hipgnosis si è sciolto nel
1983, anche se Thorgerson ha lavorato alla progettazione
degli album fino alla sua morte. Molte delle foto sono spesso
direttamente collegate ai testi dell'album oppure basate
su giochi di parole o doppi significati, come ad esempio
The division bell del 1994 dove due enormi volti davanti alle
Try anything once (1993)
luci di un aeroporto stanno ad indicare il difficile rapporto
tra amici-rivali di cui parla l’album. Le copertine di Hipgnosis
raramente mostrano le foto degli artisti all’esterno e la
maggior parte sono in formato copertina apribile per fornire
ampio spazio ai tableaux fotografati in modo elegante.
Nel 2003 Thorgerson rimase parzialmente paralizzato e
successivamente gli venne diagnosticato un tumore contro
il quale lottò per anni, prima di spegnersi il 18 aprile 2013
all’età di 69 anni.
Le sculture di Luigi Mariani
La bellezza sublime che nasce
dall’amore
Cell. +39 329 4180696
luigimariani54gmail.com
The division bell (1994) The dark side of the moon (1973)
STORM ELVIN THORGERSON
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Personaggi
Antonio Manzi
Una storia di passione senza
fine per l’arte
di Doretta Boretti / foto Claudio Giusti
Ci troviamo a Mercatale in Val di Pesa, delizioso paesino
nel cuore del Chianti, in compagnia di uno tra
i più autorevoli ed importanti artisti contemporanei.
Da alcuni anni gli è stato dedicato un bellissimo museo
nell’antico Palazzo Rucellai in piazza della Resistenza
a Campi Bisenzio. Le numerose sale del palazzo ospitano
soltanto le sue prestigiose opere: quadri, sculture in marmo
e in bronzo, ceramiche, affreschi e tanto altro. Ad ammirare
l’arte di Antonio Manzi sono sempre presenti, nel
museo, scolaresche, esperti del settore, turisti da ogni parte
d’Italia, anche stranieri, e curiosi di ogni genere.
Molti conoscono la sua storia, ma non tutti sanno che
la sua esistenza si è sempre arricchita di luce e di vita.
Questo arricchimento ha inciso sulla sua arte?
La mia storia è iniziata un po’ in salita, perché quando ero
bambino, mio padre si separò da mia madre e, avendo una
Antonio Manzi nel suo studio (2021)
Apocalisse (2014), olio su tela, cm 140x210
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ANTONIO MANZI
I lottatori (1996), marmo di Carrara, cm 350 Dalla materia allo spirito (1998), bronzo, cm 450
situazione non semplice in famiglia, fui costretto, dai 4
ai 14 anni, ad andare in un collegio per bambini difficili,
all’Umberto I di Firenze, in via Gabriele D’Annunzio. In quei
dieci anni ho maturato sensazioni molto forti che, grazie a
questo mio talento naturale presente fin da piccolissimo,
ho potuto esprimere nell’arte. Ancora molto giovane, dipinsi
mio nonno; avevo già una forte autostima, e mia madre
mi chiese cosa volessi fare da grande. Io le risposi: «Il
Manzi». Non ho voluto frequentare scuole d’arte ma ho voluto
fare l’autodidatta. La mia vita da artista ha sempre
avuto come poetica la libertà. Molti anni or sono, incontrai
la mia prima moglie, e quella unione, durata circa trent’anni,
ha portato alla nascita di un figlio. Con la nascita di mio
figlio, determinati demoni si manifestarono meno forti, e
la mia arte iniziò ad avere dei cambiamenti. Poi, nel 2010,
feci il più importante incontro della mia vita, con una donna
molto più giovane di me, Angela Pierozzi, un’affermata
psicoterapeuta. Quel periodo fu di grande difficoltà e sofferenza,
perché ero molto combattuto, ma dovevo fare una
scelta. Così scelsi la mia libertà. Con Angela, la mia arte
ha preso un altro percorso, un altro linguaggio, meno istintivo
e più pensato, meditato. Dalla nostra unione sono nati
due gemelli: Frida e Saul. La nascita di questi due bambini
è arrivata in un momento molto importante perché mi ha
trasmesso un’enorme energia di “amore” e quindi la mia
arte si è arricchita di nuovo.
Quando “crea” ha bisogno di silenzio oppure no?
Nel momento in cui lavoro, mi isolo. Sono talmente concentrato
che qualunque rumore ci sia, vengo proprio assorbito
dalla mia creazione, direi inghiottito, dalla mia
arte. Per cui non ho affatto bisogno di silenzio intorno.
Anche la creatività, a volte, può avere delle battute di
arresto. Lei, invece, come un Dioniso contemporaneo,
continua a produrre con un’energia infinita, in un continuum
ispiratore. Qual è la forza trainante?
Questa è una domanda molto interessante. La mia arte è
diventata così versatile. È nata da questo mio segno forte,
che ha prodotto un’identità e, in qualsiasi modo que-
ANTONIO MANZI
13
Amanti (2004), collage, cm 120x180
sto segno venga interpretato con
più tecniche, rimango sempre legato
alla mia poetica. La forza che
è nata in me in queste creazioni,
prima di tutto, è stata dettata dalla
mia libertà. Sono sempre stato
un artista con una forte autostima.
Questo segno che ha caratterizzato
la mia arte, che sia marmo,
bronzo, acquarelli, tutto quello che
nell’arte ho potuto indagare, mi
ha permesso di finirne uno e iniziarne
subito un altro, con sempre
nuove energie e nuovi intenti. Non
ho mai avuto un momento di stanchezza.
Sono sempre stato alla ricerca
di indagini sulla mia poetica;
e in questo mi sento privilegiato,
perché sono ancora alla ricerca,
e continuo ad accogliere queste
nuove emozioni che generano questo
mio momento artistico, così
straordinario.
Contagio (2021), olio su tela, cm 140x150
I suoi “occhi” sono sempre vigili
e osservano con acutezza il presente.
In questo terribile momento
pandemico ha creato un’opera
grandiosa. Ce la può descrivere?
14 ANTONIO MANZI
Questa mia ultima opera s’intitola Contagio ed è nata proprio
dall’attuale momento storico. Mai nel corso della mia
vita, da quando ero in collegio ad oggi, avevo assistito ad
una situazione così scioccante. Migliaia di persone morte
nel mondo per Covid, e le conseguenze per la società,
per il mondo dei bambini, la scuola, mi hanno fatto capire
che non siamo onnipotenti. L’artista può fotografare questo
dolore, e l’analisi che è dentro la mia opera, ha in sé
questo contenuto. Ma io dico sempre che l’opera d’arte autentica
è piena di misteri, quindi l’emozione che provoca
in chi la guarda è unica. Ho sempre pensato che un’opera
libera, nel trascorrere del tempo, parlerà. Non sto a spiegare
il significato di questa mia ultima opera. Quando la
gente la vedrà, ciascuno esprimerà il proprio pensiero. Se
nel mio museo entrano trenta persone, nessuno vedrà una
mia opera allo stesso modo. Quindi un’opera d’arte può essere
letta in trenta modi diversi. Qualsiasi tipo di emozione
provochi: è quella l’arte.
Potremmo dire che professionalità e tenacia le hanno
permesso di raggiungere le estremità dell’Himalaya.
Quali vette vorrebbe ancora conquistare?
Sono nato nel Meridione, ma ho avuto la fortuna di trasferirmi
ancora bambino con la mia famiglia a Firenze. Sono
stato contagiato da questa città, a parer mio, la più bella al
mondo, la patria dell’arte e della bellezza. Ho avuto la fortuna
di confrontarmi con la cultura fiorentina. Mi parlavano
di New York, di tante altre città, ma io mi sono sempre
e solo voluto confrontare con Firenze, perché la sua bellezza,
i suoi grandi artisti, gli straordinari capolavori sono
ancora oggi uno stimolo per la mia arte. Ho tenuto una
mostra nel Giardino di Boboli e un’altra a Palazzo Medici
Riccardi. Poi il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, manifestò
grande attenzione verso la mia arte e volle visitare
il mio museo. Quando venne, onorato, lo ringraziai, ma lui
volle ringraziare me per l’emozione che aveva ricevuto dalle
mie opere e mi disse che, se ne avessi donata una agli
Uffizi, lui sarebbe stato onorato di esporla. Così è stato.
Un mio autoritratto è esposto nella galleria degli autoritratti
nel Corridoio Vasariano. Avere una mia opera esposta
agli Uffizi è stata per me una tra le più grandi emozioni
mai provate. Ho lavorato sul territorio proprio perché mi
voglio continuamente confrontare con questa città, che è
l’unica che può farmi una critica. Io credo che la mia arte
la dimostrerà il tempo; di questo sono consapevole. Dopo
cinquanta o sessant’anni, se sei ancora apprezzato è
perché la tua arte continua a provocare emozioni. Un’arte
che viene da dentro ha un’anima che continuerà a vivere
nel tempo. Non smetterò di confrontarmi con qualcosa
che ancora non ho fatto e che è nuova per me. La mia sfida
con Firenze proseguirà.
Autoritratto (2018), olio su tela, cm 70x90
Autoritratto in metamorfosi (2016), olio su tela, cm 100x80
ANTONIO MANZI
15
Andrea Tani
Nei colori, la melodia della natura
La porta della musica
Artista nato e cresciuto a Vico d’Elsa, Andrea Tani racconta così la sua esperienza creativa: «In tutte le mie opere
trasferisco il cuore che raffiguro con colori, linee e con il pentagramma musicale. Esprimo il mio amore per tutto ciò
che è percepibile dai sensi e che si manifesta nella natura, nella musica e nel ricordo delle vecchie tradizioni rurali».
La passione è il driver della sua ricerca pittorica, a questa si riconduce, dopo voli quasi “pindarici”, l’ispirazione dell’artista.
E nella vena artistica la coerenza la fa da padrona, senza nulla togliere alla poesia della pittura. Nelle creazioni
di Andrea si percepisce, dal punto di vista sensoriale, la musica proveniente dalla natura insieme alla sua melodia.
andreatani61@alice.it
Firenze
mostre
Museo Novecento
In mostra Arturo Martini e Firenze
Testo e foto di Rosanna Bari
Siamo orgogliosi di aver dedicato una mostra ad Arturo
Martini, uno dei grandi maestri del Novecento
europeo, artefice di una scultura moderna, senza
«mai distaccarsi dalla figura». Con queste parole Sergio Risaliti,
direttore del Museo Novecento, inaugura la mostra Arturo
Martini e Firenze, a cura di Lucia Mannini. Arturo Martini
(Treviso 1889 - Milano 1947), scultore, pittore e incisore, fu
protagonista di rilievo nello scenario culturale e artistico del
suo tempo. Il Museo Novecento nasce nel 2014 negli spazi
delle Ex Leopoldine in piazza Santa Maria Novella, con lʼintento
di far conoscere al grande pubblico lʼarte del Novecento
ed avvicinarlo a quella contemporanea. Il nucleo centrale
dellʼesposizione è costituito dalle opere della Collezione dellʼingegnere
Alberto Della Ragione, da lui donata nel 1970 al
Comune di Firenze col proposito di far rinascere, facendo leva
sullʼarte, la città dopo la disastrosa alluvione del 4 novembre
1966. Il Museo, inoltre, si connota come laboratorio di
ricerca e studio, puntando sui grandi maestri del Novecento
a lungo rimasti allʼombra di coloro che segnarono lʼepoca
d'oro del Rinascimento. Nella mostra, visibile dal 16 luglio
al 14 novembre, sono esposte le più importanti opere dellʼartista,
affiancate da altre riscoperte di recente. La sezione
Arturo Martini e Carrara, invece, è dedicata alla scultura in
marmo Donna che nuota sottʼacqua, a testimonianza del rapporto
tra lo scultore e le Apuane, luogo prediletto dagli artisti
per lʼestrazione del marmo statuario. Lʼopera, capolavoro
assoluto dellʼartista, scaturisce dalla forte impressione avuta
durante la visione del film Ombre bianche del 1928 che, alla
fine di un lungo e travagliato studio, lo portò a sviluppare
un linguaggio dʼespressione del tutto nuovo. Definita da Arturo
Martini «il fiore delle mie ricerche», al completamento della
scultura lʼartista decise però di decapitarla, imprimendole
così la nuova identità di incompiuta completezza, ma capace
L'Attesa (1935 ca.)
di proiettare lo spettatore in un immaginario mondo, dove si
ha lʼimpressione di osservare una fluttuante figura femminile
galleggiare nello spazio.
www.museonovecento.it
Donna che nuota sott'acqua (1942)
La Pisana (1933 ca.)
MUSEO NOVECENTO
17
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Rosy Mantovani
Fragili apparizioni sulla soglia del tempo
di Daniela Pronestì
Esiste una dimensione identitaria del volto, l’insieme di
tratti che rendono ciascuna fisionomia unica e riconoscibile.
Ma esiste anche la capacità del volto di elevarsi
a simbolo nell’arte di significati che trascendono il singolo
individuo per conquistare un valore condiviso. Nell’opera di
Rosy Mantovani questo secondo aspetto giustifica il tramutarsi
delle fisionomie femminili in immagini che, pur richiamando
anche nel titolo il genere del ritratto, non identificano una persona
in particolare ma suggeriscono – attraverso un percorso
visivo che integra tra loro in maniera corale tutti i dipinti dello
stesso ciclo – il progressivo dipanarsi allo sguardo di metamorfosi
interiori che trasformano il volto in un’intensa quanto
fragile apparizione. Come nella celebre tautologia di Gertrude
Stein “una rosa è una rosa è una rosa”, in cui la ripetizione della
stessa parola fa sì che questa si carichi ogni volta di nuovi significati
che la parola “rosa” da sola non contiene, allo stesso
modo, osservando queste figure, potremmo dire che “un volto è
un volto è un volto”, nella misura in cui ogni ritratto si lega all’altro
e al contempo se ne differenzia rimarcando la distanza che
divide identità e alterità. Se l’arte offre la possibilità di vedere
con occhi nuovi aspetti della realtà già conosciuti, allora quelli
raffigurati non sono più soltanto volti di donne che la pittrice ha
immortalato cogliendone le differenti caratteristiche, ma diventano
anche trascrizioni visive di concetti astratti – grazia, malinconia,
solitudine, fierezza – che declinano il femminile, e più
Ritratto, cm 57x77
in generale l’animo umano, in una chiave universale. In altre parole,
“un volto è un volto” ma è anche ciò che in quegli occhi, in
quell’espressione indecifrabile, in quel sorriso appena accennato
vogliamo vedere, facendoci guidare dagli indizi che il co-
Ritratto, cm 40x50
Ritratto, cm 40x50
18
ROSY MANTOVANI
Fiori dell'anima, cm 140x100
Fiori dell'anima, cm 70x50
lore, con le proprie diluizioni e densità, è in grado di
suggerire. Per un artista cercare di capire cosa si nasconda
dietro il mistero del volto che ha davanti non
è cosa poi così diversa dall’ostinazione che lo spinge
a tentare di comprendere cosa si celi dietro il mistero
della pittura. Nel caso di Rosy Mantovani entrambe
le esperienze convivono nello spazio neutro della tela
generando una tensione tra l’elemento figurale, qui inteso
non solo come rappresentazione di un dato reale
ma in senso pittorico anche come forma dai contorni
misurabili, e la materia cromatica, che richiama invece
la dimensione intangibile e illimitata dell’astrazione.
A ben guardare, quello che potrebbe sembrare un
combattimento tra due codici espressivi, ovvero figurazione
e pittura informale, si rivela essere invece un
armonico dialogo tra forma e colore, che si integrano
l’un l’altra fino a creare un “corpo” unico e indivisibile,
una fusione/sparizione della figura nella materia cromatica
e viceversa. È un aggiungere spessore poetico
all’immagine sottraendo dettagli inessenziali, dissolvendo
i contorni, alternando alla fissità ieratica dei volti
il dinamismo della stesura pittorica, all’evanescenza
luminosa della figura – spesso rimarcata dall’applicazione
di garze – i toni bruni e terrosi di macchie e colature.
La stessa dialettica tra opposti contraddistingue
la serie Fiori dell’anima, nella quale compito del colore
non è più quello di stabilire un equilibrio visivo e di
significato tra figurativo ed astratto, quanto invece di
accentuare la condizione di giovani donne intrappolate
all'interno di paesaggi distopici, periferie desolate
la cui sola speranza è rappresentata dall'innocenza
di queste figure. Hanno sguardi che interrogano l’osservatore
mostrandogli una via di uscita da questi
luoghi emblema di abbandono ed alienazione, veri e
propri inferni urbani creati dall’uomo contro l’uomo.
Il loro candore indica una possibilità di rinascita per il
mondo, un riscatto che può compiersi restituendo importanza
a valori ormai perduti, come fiori estinti che
rivivono all’alba di un nuovo giorno.
www.rosymantovani.com
Fiori dell'anima, cm 70x100
ROSY MANTOVANI
19
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Maria Cassi
Regina della risata, è una tra le attrici più originali ed
eclettiche del teatro contemporaneo
di Doretta Boretti / foto courtesy Maria Cassi
Nel nostro excursus sulla comicità toscana, ecco finalmente
un’artista che eccelle nel trasformare il
proprio corpo, l’espressione del volto, la voce, con
una capacità interpretativa tale da varcare i confini della
nostra vecchia Europa. Di Maria Cassi hanno scritto su Le
monde, Le Figaro, su Elle e il suo spettacolo Crepapelle ha
oltrepassato l’Oceano Pacifico ed è arrivato prima a Los
Angeles e successivamente a New York. Questa straordinaria
artista fiorentina spesso si esibisce per il gaudio di
tanti suoi ammiratori al Teatro del Sale, di cui è anche direttore
artistico, per un sodalizio tra teatro, musica e cibo
toscano di qualità, sostenuta dal famoso chef Fabio Pic-
chi, suo compagno di vita e di intenti. È una tra le attrici
più originali ed eclettiche nello scenario culturale contemporaneo.
Dalla sua infanzia, quando intratteneva compagni e amici,
ad oggi, quanta strada! È sempre stata una strada
dritta o a volte con alcune curve?
Ero spesso un’attrazione per i miei compagni delle elementari
alla piccola scuola di San Domenico. Gli piaceva
quando mimavo le canzoni e ridevano con mio grande piacere,
ma quando la mia dolce maestra Luisa Innocenti mi
Maria Cassi
20
MARIA CASSI
chiese di esibirmi perché aveva sentito parlare di queste
mie “performance”, non riuscii a farlo a richiesta. Da allora
forse è scaturito questo mio desiderio di estemporaneità
e improvvisazione, chissà… Non credo esistano strade
dritte nella vita. Mi posso però ritenere fortunata nell’aver
capito ed aver potuto sviluppare una passione che mi ha
dato e mi dà da vivere tuttora, anche con dei sacrifici, ma
soprattutto con moltissima gioia e soddisfazione.
È lei che scrive i copioni dei suoi spettacoli. Ma nella recitazione
c’è anche molta improvvisazione?
Scrivo da sempre i miei testi e li elaboro via via esibendomi
con l’aiuto del pubblico che funge un po’ da regista dei
miei spettacoli, quindi l’improvvisazione è parte integrante
del mio lavoro specificando che anche questa è una tecnica
che ha bisogno di lavoro, disciplina e studio che non
può e non deve mai interrompersi pensando di essere già
al sicuro. Il teatro è cosa viva e in perenne trasformazione
e soprattutto, come tutto lo spettacolo dal vivo, è unico e
irripetibile, sera dopo sera, ed è anche questo che lo rende
magico e indispensabile per l’umano vivere.
Le sue caricature sono a volte taglienti, altre volte ironiche,
altre ancora così spassose e altre dense di una struggente
poesia. Come riesce a creare, con una incredibile
velocità, personaggi maschili, femminili, di qualunque età
anagrafica, usando soltanto il suo volto, il suo corpo e la
sua voce? C’è molto esercizio dietro al suo lavoro?
Il lavoro deve essere indispensabile e quotidiano e, come diceva
il grande Antonin Artaud, “l’attore è un atleta del cuore”,
quindi, oltre un’atletica fisica fondamentale, occorre anche, e
forse soprattutto, un’atletica emozionale e sentimentale che
comprenda tante cose di tutto l’animo umano. Ho studiato alla
scuola di Alessandra Galante Garrone – allieva di Jaques
Lecoq – a Bologna diversi anni fa, e qui ho avuto l’occasione
meravigliosa di imparare tante tecniche fondamentali per
il mio lavoro, ma anche una visione del mondo e della realtà
molto particolare. Infatti, molti dei miei personaggi, ai quali
cerco di dare, oltre ad una forte connotazione comica, anche
liricità e poesia, nascono attraverso l’osservazione psicologica
delle persone e dell’universo intero che ci circonda, il
quale osservandolo bene, con stupore e curiosità, può essere
pieno di sorprese e tesori.
MARIA CASSI
21
In questo essere attrice fiorentina nel mondo, la sua recitazione,
per emozionare i cittadini di altre culture, cambia?
I sentimenti e le emozioni sono pressoché simili in tutta l’umanità
fortunatamente, e la comicità poi si avvale di un linguaggio
universale, specie quando si tratta di umorismo
basato sulla musica, sulla voce come strumento e sulla trasformazione
fisica dove sono il corpo e l’emozione a parlare
più della parola stessa. Inoltre, la tecnica del clown, una delle
basi del mio lavoro, può essere compresa in ogni cultura e
paese e questa è un’altra meravigliosa magia del teatro comico.
A questo proposito, voglio ricordare le bellissime parole
di papa Francesco: «L’umorismo è l’attitudine umana che più
avvicina alla grazia di Dio».
C’è un momento nella sua carriera artistica che ricorda
più di altri?
In realtà sono davvero tanti i momenti e i ricordi, un po’ come
un puzzle che ogni tanto si compone e si ricompone nella
mia memoria di oramai trentacinque anni di carriera in giro
per il mondo. Tuttavia, un momento indimenticabile per me rimane
sicuramente quella signora anziana che alla fine di uno
spettacolo in un paesino toscano mi urlò: «Lei l’è meglio delle
medicine».
Confidando in un Natale 2021 finalmente con i fiocchi rossi,
con quale spettacolo ci accoglierà, di nuovo, al Teatro
del Sale?
Ho da poco debuttato con il nuovo spettacolo Diamine!, che
mi vede riunita al mio collega Leonardo Brizzi al pianoforte,
gli Aringa e Verdurini di un tempo, e al contrabbassista Nino
Pellegrini, altra preziosa collaborazione, in una messa in
scena liberamente ispirata al Carnevale degli animali di Saint-
Saëns, da me scritta. Un gioco fatto di musica che spazia dal
classico al jazz e al popolare e che, attraverso parole, canto
e pura comicità, riesce a far ridere e mi auguro anche un po’
a far pensare. Del resto questo è il mio mestiere: sono un’artigiana
e ne sono fiera e felice.
22 MARIA CASSI
A cura di
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte
in Toscana
Museo Archeologico del Casentino
A Bibbiena un percorso dalla preistoria all’età tardo antica
di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Museo Archeologico del Casentino
All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso ebbi
modo di scrivere per la guida del Casentino che la
casa editrice Octavo pubblicò in modo frammentario.
Avevo già scritto sul Casentino per il settecentesimo anniversario
della battaglia di Campaldino e per una successiva
mostra sui castelli e mi aveva sempre affascinato il succedersi
delle testimonianze dell’ambiente e del popolamento di
questa conca intermontana e l’organizzazione, arricchita di
materiali delle più recenti campagne di scavo, del Museo Archeologico
Casentinese “Piero Albertoni” offre oggi ai visitatori
un’interessante occasione per comprendere tanti aspetti
di un passato anche molto lontano. L’allestimento, articolato
in sei sale, è basato su un criterio cronologico che mostra al
visitatore come il territorio si sia trasformato tra la preistoria
e l’età tardo antica. La sala 1 è dedicata appunto alla preistoria:
sono esposti resti fossili della fauna di circa settecentomila
anni fa, composta da porzioni scheletriche di Elephas
meridionalis e Hippopotamus antiquus che testimoniano come
il Casentino per lungo tempo sia stato caratterizzato da
un ambiente lacustre di clima caldo-umido. Calchi di crani
umani affrontano il tema dell’evoluzione dal punto di vista
antroponometrico dal paleolitico superiore all’età dei metalli.
Nella sala 2 sono esposti materiali provenienti da insediamenti
di crinale o di fondo valle, che testimoniano la prima
frequentazione etrusca: Pratello, Serelli e Masseto. La sala 3
è dedicata alla religiosità etrusca e in particolare al santuario
di Socana, con l’ipotesi ricostruttiva dell’elevato integrato
dalle decorazioni coroplastiche.
La sala 4 presenta
reperti provenienti
dalla grande stipe votiva
del Lago degli Idoli
sul Monte Falterona,
www.florenceartgallery.com
superstiti di quanto fini-
In questa e nelle foto in basso alcune sale del museo
to anche all’estero dai tempi delle indagini iniziate nel 1838,
recuperati fra la campagna del 1972 e quelle del 2003-2007.
Nella sala 5 sono esposte le testimonianze dell’età romana
con un allestimento che privilegia il criterio funzionale. Nella
sala sono accolti reperti legati alla produzione degli alimenti
e quanto destinato al loro consumo. La ricostruzione di parte
dell’impianto termale di Domo e l’esposizione dei materiali
da costruzione illustrano la fattoria romana e i servizi connessi.
Sono inoltre presenti i reperti provenienti da siti riferibili
al tardoantico con testimonianze dell’arrivo di ostrogoti e
longobardi. Nella sala 5 trovano spazio le testimonianze del
mondo funerario antico con l’esposizione delle varie tipologie
di sepoltura rinvenute in Casentino: da quelle alla cappuccina
a quelle a inumazione, dalle sepolture a cassone a
quelle a incinerazione. L’ultima sala, la 6, è dedicata a esposizioni
temporanee. Il museo è dotato di un’aula didattica attrezzata
per laboratori e attività educative.
www.arcamuseocasentino.it
MUSEO ARCHEOLOGICO DEL CASENTINO
23
Curiosità storiche
fiorentine
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
Per la festa di San Simone ballotte e vin novo
di Luciano e Ricciardo Artusi
Una festa persa nella polvere
del tempo. Il Quartiere
di Santa Croce esultava
festante il 28 ottobre di ogni anno,
quando veniva organizzato, all’inizio
della stagione invernale, il mercato
dei marroni e delle castagne
che rallegrava l’affollato rione di
San Simone. La fiera-mercato, che
durava per tre giorni consecutivi,
era l’evento legato alla vendita delle
castagne gustate in diversi modi.
Questa fiera è rimasta in vita fino
alla metà dell’Ottocento. Si svolgeva
esattamente in Piazza San Simone,
di fronte all’omonima chiesa
e nelle vie adiacenti, dove le castagne
ed i marroni facevano bella
mostra in grandi balle, in canestri
o ammonticchiate sui barroccini;
la vendita avveniva sia all’ingrosso che al dettaglio perché
il prodotto, specialmente in quei giorni, era assai richiesto
così come la farina dolce ed i marroni secchi. Del resto anche
il noto proverbio ha sempre proposto: «Per San Simone,
ballotte e vin novo!». E proprio il frizzante vino appena tolto
“dal ribollir dei tini” di carducciana memoria, ben si prestava
a rallegrare gli animi davanti ad un fumante paiolo di
ballotte, cioè di castagne bollite con un rametto di finocchio
selvatico o con foglie di alloro, oppure gustando le “ridenti”
caldarroste o bruciate, arrostite nell’apposita padella bucata,
posta sulla fiamma di carbone, dopo la preventiva incisione
detta “castratura” per evitare che scoppiassero. Altra
locuzione che veniva usata a proposito della farina di castagne
(che al tempo costava veramente poco), era quella
che consigliava: «Se saziare il corpo vuoi e spender poco,
pan di legno (pattona) e vin di nuvole (acqua)». Ma un tempo,
di bruciate e farina dolce si faceva commercio non solo
per la festa di San Simone e non solo attraverso lo smercio
ambulante; infatti, in città esistevano esclusive botteghe di
“bruciatai” e “buzzurri”. Quest’ultimi erano di origine elveti-
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
ca ma geograficamente italiana, in quanto provenivano dal
Canton Ticino. Il vocabolario della Crusca così definisce
“buzzurro”: «Questo nome suol darsi in Toscana a quegli
svizzeri che nella stagione dell’inverno ci vengono ad esercitare
la loro industria di vender castagne, bruciate, marron
secchi, ballotte, castagnacci, pattona e farina dolce». Molti
erano i venditori ambulanti di questi prodotti che vivevano
alla giornata, spostandosi adagio adagio per la città sollecitando
gli avventori all’acquisto, con spassose espressioni:
«Le bollano, le bollan davvero le mi’ ballotte! Queste le cavo
ora…. che arrosti…. le ridano…. che bruciate! Cardo il migliaccio…
la lo senta sposa come l’ho cardo… se la un si spiccia
ʼun gnene tocca!». Un passatempo che veniva praticato dagli
adolescenti, era quello di prendere alle mamme i ditali
di metallo utilizzati per cucire, che venivano adoperati quali
forme a tronco di cono per cuocere piccoli dolcetti, ottenuti
riempiendoli con la farina dolce e poi mettendoli a cuocere
negli scaldini, comunemente detti “veggi” o “cecie”, colmi di
brace infuocata e ben protetti dalla cenere. Il risultato ottenuto,
ovvero i bollenti dolcetti, venivano golosamente mangiati
da questi “pasticceri in erba”. Alla popolare fiera di San
Simone partecipavano, però, anche i rigattieri e i rivenditori
di cose usate in genere, che esponevano la loro merce nella
vicina Piazza di Santa Croce. In questo “mercatino delle
pulci” si potevano acquistare gli oggetti più svariati, dai letti
di legno a quelli di ferro, dagli armadi, cassapanche, madie,
tavoli e lumi, ai cocci da cucina, dai vestiti a tante altre
cianfrusaglie. Gli acquirenti erano per lo più povera gente e
contadini che, per mettere su casa, cercavano di farlo con
poca spesa, “centellinando i soldi co’ gomiti”, aspettando
con ansia l’occasione propiziata dalla festa di San Simone.
24
SAN SIMONE
A cura di
Viktoria Charkina
Incontri con
l’arte
Clet
Intervista ad uno dei principali
esponenti della Street Art in
Italia e nel mondo
di Viktoria Charkina
Come vedi la scena della Street Art oggi nel mondo
e in Italia?
Penso che oggi la Street Art sia il movimento artistico preponderante
perché racconta la nostra epoca.
Quali esperienze del tuo passato hanno influenzato le
tue opere?
Ho fatto un percorso classico, studiando all’Accademia di Belle
Arti. Sono cresciuto con l’amore verso l’arte figurativa e narrativa.
Essendo sempre stato molto indipendente e autonomo spesso
riscontravo delle difficoltà economiche e l’assenza di spettatori.
Così mi sono reso conto che l’unico pubblico che potevo avere
era la strada. Da lì sono arrivato alla Street Art. In quel momento
avevo già preparato un lavoro sui cartelli stradali quindi avevo sia
il soggetto che la motivazione ed ero pronto per uscire a lavorare.
Presto ho capito che l’arte rappresentava per me l’unico modo
per potermi sentire veramente libero nella società.
Tuo padre, Jean-Pierre Abraham, era uno scrittore apprezzato
in patria. Sei stato influenzato dalla sua attività
letteraria?
Sicuramente, perché nella mia famiglia l’arte è sempre stata
presente. Sono diventato un artista per la mia educazione e
per l’aria che si respirava in casa. Anche mia mamma ha avuto
esperienze lavorative di vario tipo, passando da fare l’infermiera
nel reparto di psichiatria ad avere un allevamento di capre.
I miei genitori sono sempre stati delle persone molto avventurose,
basti pensare al fatto che, quando mio padre faceva
il guardiano di un faro, abbiamo vissuto per tre anni su un’iso-
Clet con l’opera L’uomo comune installata a Firenze sul Ponte alle Grazie
la deserta. Mi hanno insegnato a seguire le mie passioni nella
vita, trasmettendomi anche l’amore di vivere in posti diversi.
L’atto di denuncia nelle tue opere è rivolto al mondo oppure
è strettamente legato al territorio dove l’opera viene posizionata?
È assolutamente universale, ma purtroppo non è applicabile
in tutti i paesi, perché in alcuni i rischi sono troppo grossi.
Parlo dei paesi arabi, della Russia, della Cina e del Giappone.
In quest’ultima nazione le cose sono andate malissimo. Ero
già tornato in Italia quando scoprii che la mia compagna, che
si trovava ancora lì, era stata arrestata perché considerata
complice del mio lavoro. Il processo è durato a lungo ed oggi
si è trasformato in un ricordo doloroso.
Quali sono gli artisti che ti hanno maggiormente ispirato?
Pieter Bruegel.
È una risposta molto inaspettata...
Capisco, ma la lezione di Bruegel sull’arte e sulla sua essenza
è stata veramente fondamentale per me. Il pittore fiammingo
raccontava la Bibbia alla gente che non sapeva leggere, spiegando
loro i soggetti e la narrazione dei quadri del tempo. Il
suo esempio mi è servito per capire che per me l’arte è comunicazione.
Anche io vorrei che la mia produzione fosse comprensibile
a tutti, riuscendo in tal modo a creare nuovi legami
e modi di comunicare.
Quali sono gli obiettivi che hai già raggiunto tramite l’arte e
quali quelli che vorresti raggiungere in futuro?
Uno dei famigerati interventi di Clet sui segnali stradali
Vorrei che le autorità, invece di vedermi come un vandalo, capissero
che in realtà sono il contrario. Vandalismo vuol dire
distruggere qualcosa per il piacere di distruggere, mentre io costruisco.
Nel mio lavoro rifletto molto sulla sicurezza stradale,
suggerendo alle persone di porre più attenzione ai cartelli stradali
e in tal modo di rallentare mentre sono alla guida.
CLET
25
Elena Migliorini
L’arte dell’acquerello
Trasparenze rosa, acquerello, cm 30x46
elenamiglio@hotmail.it
La voce
dei poeti
Le liriche di Stefania Contardi
Nata a Broni nel 1970, Stefania Contardi vive sulle
colline dell’Oltrepò Pavese. Laureata in Economia
e Commercio, è imprenditrice nell’azienda di famiglia
e nel tempo libero ama scrivere. Ha vinto numerosi premi
letterari tra i quali si ricordano i più recenti: 2010 e 2015,
diploma di merito al concorso letterario Parole d’Amore, Santa
Margherita Ligure; 2017, Premio Pianeta Donna, promosso
dalla Tigulliana; 2018, premio per la poesia contemporanea
al Gran Galà della Cultura - Premio nazionale Borgo Albori. Le
sue opere sono state pubblicate in tre edizioni delle antologie
del premio letterario internazionale Il Molinello, nell’antologia
del concorso internazionale Città di Salò 2009, in quella
del premio internazionale di letteratura Portus Lunae (2009),
nei Quaderni della memoria del premio nazionale di poesia
dedicato a Enrico Del Freo e nelle raccolte antologiche Parole
d'Amore 2010 e Liguria… Ambiente e civiltà. Nel 2011 viene
pubblicato e presentato a Santa Margherita Ligure il libro di
poesie Paesaggi interiori tra i sentieri dell’anima, presentato
successivamente anche a Palazzo Medici Riccardi a Firenze
e premiato a Marina di Pisa nell’ambito del premio nazionale
di narrativa e saggistica Il delfino. Nel 2017, è stato pubblicato
il suo secondo libro intitolato I colori della vita.
steconta70@gmail.com
Pensiero
Sogna pensiero
sulle onde del mare,
sogna sulle ali del vento,
esprimi il tuo essere
oltre le stelle del firmamento,
componi note intonate
che accompagnano
piacevoli notti stellate.
Grandi emozioni
percorrono il mutare
delle tue stagioni
e tra gioie e dolori
ci riscalda,
l’unione dei nostri cuori.
Stefania Contardi
Esistenza
Spazia la mente
lungo sentieri lontani,
angoli di vita
intensamente vissuti,
smussati da ricordi
lievemente sfumati.
Corde emozionali
vibrano all’unisono
creando
una piacevole armonia,
come il canto della natura
inneggia
alla maestosità dell’esistenza.
Ritorna mesto il pensiero
lungo i margini precari
del presente,
con sfondi opachi all’orizzonte
e luci di speranza
che illuminano il cammino…
Amicizie
Noi siamo il frutto
degli anni che passano,
delle amicizie che restano,
dei percorsi condivisi,
dei nostri sorrisi...
Noi viviamo
con forti sintonie,
ascoltiamo amate melodie,
volgiamo lo sguardo al passato,
a quello che nel tempo si è creato...
E ci ritroviamo
nel presente,
con orgoglio verso ciò
che non è rimasto indifferente,
con i sentimenti che son nati
e nelle varie stagioni della vita
son rimasti inalterati...
STEFANIA CONTARDI
27
I libri del
mese
Il profanatore
La Toscana torna a tingersi di
giallo con il nuovo romanzo di
Stefano Cirri
di Daniela Pronestì
Stefano Cirri (ph. Leonardo Brogioni)
Dopo L’ostentatore, il suo romanzo d’esordio
con cui ha rotto gli schemi del giallo psicologico,
il fiorentino Stefano Cirri torna subito in
pista con Il profanatore, pubblicato ancora da Mauro
Pagliai editore. Come dice l’autore stesso: «Ho cercato
di mantenere la stessa linea narrativa del giallo
non convenzionale, alleggerendo ancora di più l’atmosfera
e puntando molto sulla fiorentinità dei personaggi».
Insomma, anche stavolta niente indagini
ufficiali e niente cadaveri macabramente ritrovati. Le
vicende raccontano di una strana e misteriosa profanazione
perpetrata da mano ignota ai danni della lapide
del piccolo Mattia, un bimbo scomparso a soli
otto anni per una crisi respiratoria fatale, i cui resti riposano
nel minuscolo cimitero di campagna in località
“La Montagnola”, geograficamente ubicata sulle
colline di Scandicci. L’inquietante profanatore se la
prende con un grappolo di palloncini colorati, simbolicamente
sistemati dalla madre di Mattia come ornamento
alla lapide: i palloncini iniziano a essere scoppiati
uno a uno, finché dal chiodo dietro alla lapide pendono ven-
ti pezzetti di spago come moncherini privi di vita. Il gesto
vigliacco spinge i quattro giovani protagonisti (il “quartetto”
della Montagnola) a indagare:
si passerà attraverso un
colpo di fulmine a ciel sereno,
una fabbrica di marmitte
per motociclette presa di mira,
un ristoratore in pensione alle
prese con una grottesca intossicazione
di massa e uno
pseudo-giornalista senza scrupoli.
Fino ad arrivare ad un finale
in cui un lampo di orribile
genialità porterà alla luce una
vicenda agghiacciante. Spicca
l’originalissima copertina che,
come ne L’ostentatore, è un
collage di elementi posizionato
sul classico sfondo giallo.
E, come spiega l’autore: «Questo
è un romanzo in cui, davvero,
nulla è come sembra».
s.cirri@cdlassociati.net
Stefano Cirri
@stefano_cirri
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IL PROFANATORE
A cura di
Francesco Bandini
Quando tutto
ebbe inizio…
La Mezzaluna fertile
È dai grandi fiumi della Mesopotamia che la civiltà inizia la sua storia
Testo e foto di Francesco Bandini
È
la presenza dei grandi fiumi, Tigri, Eufrate e Nilo, che
consentirà all’uomo di dare inizio alla coltivazione dei
cereali creando in tal modo il passaggio dalla struttura
di villaggio alla città. Il viaggiatore, tornando più volte sui sentieri
a lui conosciuti, si accorgerà che i semi dei frutti mangiati
più volte lungo il cammino sono cresciuti nel tempo divenendo
nuove piante. Da qui la riflessione che porterà l’uomo a dar
vita all’agricoltura. Siamo nell’area definita “mezzaluna fertile”
che trasformerà il cacciatore-raccoglitore in agricoltore portandolo
a creare città che si caratterizzeranno per una maggiore
densità demografica ma in stretta relazione con il territorio
oggetto di una sempre più intensa coltivazione su larga scala
dalla quale riceverà crescenti risorse. Nel corso del IV millennio
a. C. questa zona viene dunque resa abitabile, altrimenti
soggetta a piene devastanti ed alluvioni, iniziando a consentire
la raccolta di cereali con rendimenti estremamente elevati.
Vengono così costruite dighe, chiuse, canali in modo da organizzare
sistemi idraulici tali da evitare l’afflusso di grandi sedimenti
o il cedimento di argini regimando in tal modo le piene
alluvionali, impresa certo non unitaria su settori di territorio
L'antica Babilonia
Francesco Bandini sulla via per Bagdad
su cui insistevano unità politiche delle prime Città-Stato sumeriche.
Sotto il regno di Hammurabi (XVIII sec. a. C.) furono
così realizzate grandi strutture capaci di controllare, rallentare
e immagazzinare l’acqua, potenzialmente distruttiva, delle piene
del Tigri e dell’Eufrate, alimentate dalle nevicate delle montagne
della vicina Turchia. Nell’area dove oggi sorge Bagdad,
intorno ad aprile, la piena del Tigri congiungendosi all’Eufrate
obbligherà a conservare le acque regimandole per poi distribuirle
al momento giusto delle esigenze dei tempi della semina.
In Egitto, l’area abitabile e coltivabile è una fascia fertile
che costeggia il Nilo per una lunghezza di migliaia di chilometri,
inondata ogni estate dalla piena alimentata dalle piogge
dei monsoni dell’aerea etiopica, ma consentendo al loro ritiro
in ottobre o novembre di lasciar crescere colture rapidamente,
grazie anche al clima caldo. I fiumi divengono così eccellenti
vie di comunicazione percorse da imbarcazioni fluviali grandi
e piccole, favorite da un vento che soffia prevalentemente
in direzione nord. In Mesopotamia, tutte le principali città erano
raggiungibili su fiumi o canali e dunque il sistema dei corsi
d’acqua che solcava il paesaggio era considerato una componente
immutabile, descritta anche nei poemi babilonesi (l’Atraxis)
in migliaia di tavolette d’argilla. Una di queste tavolette
del periodo medio-babilonese (1300 a. C.) riporta una mappa
dell’area urbana di Nippur, una delle più antiche città sacre al
dio Enlil. È circondata da mura su cui si aprono diverse porte
attraversate da corsi d’acqua e canali, insieme ad aree verdi
con orti e giardini all’interno della stessa città, come testimonia
la descrizione di Uruk nel poema di Gilgamesh, risalente
a 4500 anni fa. È sui grandi
fiumi che iniziano a sorgere
le mitiche capitali Babilonia,
Cesarea, Isfahan per giungere
ad Atene, Gerusalemme,
Roma, Costantinopoli.
LA MEZZALUNA FERTILE
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Dimensione
salute
A cura di
Stefano Grifoni
Magnesio e idratazione per prepararsi
all’arrivo dell’autunno
di Stefano Grifoni
Con la fine dell’estate, ci si sente malinconici e fisicamente
più deboli, colpiti da sonnolenza,
stanchezza fisica, difficoltà di concentrazione, irritabilità
e depressione. Per combattere questi sintomi esistono
semplici ed efficaci rimedi: magnesio e idratazione.
Il primo ha un ruolo chiave per la regolazione dell’umore
e la cura dello stress. I suoi benefici effetti sono maggiori
quando i disturbi dell’umore diventano più frequenti. Il
magnesio si trova in diversi alimenti, come frutta secca e
cibi integrali, è uno degli oligoelementi più importanti per
il nostro benessere e ha un ruolo fondamentale nei principali
processi metabolici. L’acqua rappresenta circa il 70%
del peso corporeo. È facilmente intuibile quanto sia importante
per sostenere tutte le nostre funzioni vitali. Bere
almeno otto bicchieri di acqua al giorno consente di ottenere
un adeguato livello di idratazione e aiuta a mantenere
il buon umore. Se qualcuno soffre di depressione l’autunno
è una circostanza aggravante.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
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MAGNESIO E IDRATAZIONE
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Quando la coppia è messa
alla prova dal tradimento
di Emanuela Muriana / foto Carlo Midollini
La Bibbia dice che si tradisce due volte: una per l’azione,
una per l’intenzione. Cosa significa la parola tradimento?
Venire meno a un impegno assunto, a un
obbligo morale; ingannare una persona violando la sua fiducia.
Nella coppia si tradiscono i patti come il matrimonio, le
promesse come i fidanzamenti o più spesso i patti impliciti
della coppia che coincidono con le proprie aspettative, perché
un giorno abbiamo investito in amore per ricavare amore.
Dare amore vuol dire dare fiducia e nella fiducia non c’è male,
non c’è sospetto, non c’è dubbio che spezza la fiducia, il
tradimento divide l’unità-coppia come una ghigliottina. Sono
diverse le tipologie di traditori: da quello occasionale al traditore
bigamo a quello serial e poi la categoria in incremento
esponenziale, quella del traditore da social attraverso le innumerevoli
chat. Una volta scoperto il tradimento, nulla sarà
più come prima. Ma dopo il tradimento i due sono ancora legati
nel rapporto con nuovi ruoli: il partner diventato il traditore
deve fare i conti con il vizio, con la paura inconfessata,
con la debolezza che vuole nascondere. Il tradito invece si
trova in una nuovissima posizione, forse mai sperimentata
prima, quella di avere di potere assoluto da gestire: capire,
perdonare, sentirsi vittima o punire e vendicarsi. È accaduto
l’impensabile, la lacerazione di quella fiducia che segna l’atto
di nascita della coscienza e la fine della beata innocenza.
Le reazioni più frequenti del tradito: non fidarsi più del
traditore. La sicurezza in se stesso cade a picco o aumenta.
La concentrazione può perdersi completamente. La libido
scomparire. La dedizione vicendevole potrebbe aumentare.
Ogni reazione può portare ad esiti diversi. Il traditore spes-
so incalzato dal tradito si difende: eludendo le risposte, ammorbidendo
l’accaduto, giustificandosi per le mancanze del
partner. Ma chi crede alla spiegazione di un traditore! Si può
superare un tradimento? Sì, solo se il traditore non attenua
“la crudeltà” del tradimento evitando di attenuarlo e prendendosi
la responsabilità di non parlarne nei dettagli ma di ammettere
l’accaduto resistendo alle recriminazioni. Quello che
vediamo più spesso in terapia è la sofferenza del tradito data
dal bisogno estremo di costruire una narrazione che gli
calzi; la domanda posta a se stesso, e al terapeuta, è: «Perché?».
Ma solo chi è stato tradito può darsi una spiegazione
dell’accaduto e per averla bisogna affrontare le emozioni
più dirompenti, rabbia, paura e dolore, depotenziarle per renderle
amiche tanto da darci la forza di superare il doloroso
imprevisto. Chi ha subito un tradimento ha la misura della
propria capacità di resistere, di fronteggiare e riorganizzare
positivamente la propria vita a seguito di un evento traumatico:
la frattura è dolorosa ma poi guarisce; scopre di avere
più risorse di quanto pensasse, oppure può cadere nella trappola
del cinismo con se stesso: i sogni fantastici diventano
cose ridicole, la svalutazione di sé per non essere più amato
dell’altro. Tutto perde di significato, tutto è crollato sotto un
terremoto che tutto ha raso al suolo. Un’identità da ricostruire
o un disturbo che non lascia scampo con cui convivere, se
non curato. In ogni amore che non contempli il tradimento c’è
troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con
le sole proprie forze, troppa incapacità di amare se si profila
un filo d’ombra. Il tradimento appartiene all’amore come il
giorno alla notte, dice Umberto Galimberti.
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
TRADIMENTO
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I consigli del
nutrizionista
A cura di
Silvia Ciani
Alimentazione nella sindrome post Covid
di Silvia Ciani
La maggior parte delle persone che si ammalano di
Covid-19, sviluppa sintomi lievi o moderati e guarisce
senza avere bisogno di cure particolari. Tuttavia,
alcune possono sviluppare una forma di malattia molto grave
tanto da necessitare di assistenza sanitaria. Finita la fase
acuta, alcuni sintomi permangono e, purtroppo, spesso sono
invalidanti e duraturi. Le cause di quella che viene definita la
“sindrome post COVID” sono molteplici e fondamentalmente
legate ad una proteina che sta sulle membrane cellulari delle
cellule dei polmoni, delle arterie, del cuore, dei reni e dell’intestino
che, oltre ad avere un ruolo importante nei processi
infiammatori, è anche il punto di accesso per alcuni Coronavirus.
Poiché i sintomi sono molteplici, insieme al monitoraggio
e alle cure mediche, l’alimentazione svolge un ruolo cruciale:
per questo sono state redatte linee guida con indicazioni
in funzione dello stato di salute e della sintomatologia (fonte:
www.iss.it/rapporti-covid-19). Per garantire la copertura
dei fabbisogni energetici e nutritivi è necessario consumare
tutti i pasti previsti nella giornata. Per coloro che presentano
difficoltà alla deglutizione, anche a causa della tosse persistente,
la consistenza del cibo deve essere morbida e i bocconi
piccoli. Per contrastare la mancanza di gusto, dell’olfatto
o l’inappetenza, è consigliabile l’uso di spezie varie per insaporire
il piatto. Per coprire il fabbisogno in macronutrienti in
caso di febbre, debolezza e disturbi gastrointestinali occorre
consumare 2-3 porzioni di cibi ricchi di proteine ogni giorno
alternando fonti animali (carne, pesce, uova, formaggi) a
fonti vegetali (legumi, soia, tofu) e utilizzando allo scopo anche
frutta secca, yogurt, formaggio grattugiato e latte vegetale
fortificato. Le fonti di carboidrati (pane, cereali, pasta o riso,
patate, purea, ecc.) e grassi (olio extravergine di oliva) devono
essere presenti ad ogni pasto. È anche opportuno consumare
fino a cinque porzioni fra frutta e verdura al giorno. In caso
di diarrea e vomito, per il mantenimento dell’idratazione, occorre
consumare almeno 2 litri di acqua al giorno utilizzando
anche tisane o infusi o altre bevande calde. Qualora occorresse
incrementare ulteriormente l’introito calorico-nutrizionale,
sarà utile una supplementazione: questa può essere effettuata
attraverso strategie nutrizionali, con bevande a base di latte
come i frullati, le cioccolate, i frappè, oppure con farine di
cereali o di legumi da aggiungere alle minestre oppure con budini,
formaggini, yogurt cremosi, oli vegetali, ed infine, sotto il
controllo del medico e del nutrizionista, anche attraverso prodotti
dietetici speciali che contengano tutti i nutrienti.
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas
14 d - Firenze / + 39 339 7183595
Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -
Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678
Istituto Medico Toscano - Via Eugenio
Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911
www.nutrizionistafirenze.com
silvia_ciani@hotmail.com
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SINDROME POST COVID
Ritratti
d’artista
Antonella Mezzani
L’artista delle pittografie protagonista ad ArtePadova 2021
di Lucia Raveggi
Artista di La Spezia, Antonella
Mezzani ha partecipato a
mostre personali, collettive
e fiere in contesti nazionali (Milano,
Spoleto, Firenze, Lucca, etc.)
e internazionali (Atene, Innsbruck,
Miami, etc.). Con trent’anni di attività
artistica e con una formazione
umanistica, la Mezzani ha recuperato
la maniera “rinascimentale”,
sperimentando svariate tecniche e
linguaggi: quindici anni dedicati alla
modellazione di piccole sculture
gioiello, alcuni anni dedicati alla
grafica e gli ultimi sei alla fotografia
e alla pittura. Le sue Pittografie,
un ciclo iniziato nel 2018 e in corso
ancora oggi, hanno ricevuto lusinghieri
apprezzamenti da critici ed
esperti d’arte come Vittorio Sgarbi,
Monica Mazzolini, Rosario Sprovieri,
Massimo Bramandi, Luigi Gattinara,
Armando Principe e Salvo Nugnez. La tecnica utilizzata
in queste opere, tutte dedicate alla “donna concettuale” in cui
natura e femminilità si fondono come aspetti complementari,
è la pittografia, ovvero la fusione di due forme d’arte, fotografia
e pittura, su tela, in modo da creare opere uniche. Attraverso
immagini digitali ottenute con la sovrapposizione dei suoi
scatti fotografici, Antonella Mezzani crea opere pittoriche
che esaltano alcuni aspetti dell’immagine stampata su tela,
Il giardino segreto, pittografia, cm 70x50
coniugando indissolubilmente l’elemento fotografico con la
tecnica mista pittorica (acquerello, crete, colori per stoffa,
foglia oro). Il prossimo impegno dell’artista sarà la partecipazione
alla fiera ArtePadova 2021 dall’11 al 15 novembre
2021. Più precisamente, Mezzani esporrà nella sezione Contemporary
Art Talent Show, progetto di arte under 5000 messo
a punto da NEF srl, azienda leader nell’organizzazione
di fiere d’arte e d’antiquariato. La partecipazione è riservata
a gallerie, associazioni, artisti indipendenti
e collettivi per educare, soprattutto
i giovani, alla conoscenza e all’acquisto
di opere d’arte contemporanea senza rinunciare
alla qualità e all’unicità del pezzo
d’autore. Esposte in questa occasione
due opere della Mezzani selezionate insieme
alla galleria d’arte Il Melograno di
Giulio Ferrieri Caputi di Livorno che la accompagnerà
in questa fiera: Il giardino segreto
e La donna fiore. Le quotazioni delle
sue opere si trovano su arsvalue.com, artprice.com,
leader mondiale dell’informazione
sul mercato dell’arte, e sull’Atlante
dell’Arte De Agostini (2020).
Donna fiore, pittografia, cm 70x50
+ 39 3407771251
antonella.pittografie@gmail.com
www.gigarte.com/antonella – mezzani
ANTONELLA MEZZANI
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Eventi in
Toscana
Villa Vittoria Cultura
Si è da poco concluso il progetto ideato e coordinato da Giovanni Fittante nella
splendida location fiorentina per unire l’intrattenimento di qualità con momenti
di approfondimento sulla storia e sulla società
di Elena Tempestini / foto courtesy Villa Vittoria
Come nasce Villa Vittoria?
È un’iniziativa che ho intrapreso tre anni fa insieme
agli altri miei soci, in particolar modo Aldo Settembrini, per
creare a Firenze un luogo di intrattenimento un po’ diverso
da quello che il panorama fiorentino offriva in quel momento.
Una location unica, con tanto verde ed un suggestivo anfiteatro,
ormai molto apprezzata e conosciuta non solo dai
residenti ma anche dai tanti stranieri che vengono a trovarci.
Quest’anno a Villa Vittoria si è tenuto un importante progetto
culturale come incentivo anche a ripartire con entusiasmo
dopo la pandemia. Può spiegarci di cosa si tratta?
Non è semplice fare l’imprenditore, soprattutto dopo un periodo
come quello che abbiamo attraversato. Chi fa l’imprenditore
deve avere la capacità di vedere oltre il problema
dell’oggi per immaginare il futuro. Proprio il guardare avanti
ci ha spinto ad ideare Villa Vittoria Cultura, un’iniziativa fortemente
voluta da me e condivisa dai miei soci per creare
a Firenze uno spazio culturale innovativo, una sorta di Versiliana
in stile fiorentino che ci ha visto ospitare diciassette
presentazioni di libri, partendo da fine giugno fino a tutto
settembre, con autori di varia provenienza e case editrici
conosciute e meno conosciute. Questo progetto nasce dalla
volontà di promuovere la cultura all’interno di un locale di
intrattenimento per dimostrare come le due cose non siano
in contraddizione tra di loro, ma facciano entrambe parte di
una proposta di alto livello che spazia dalla musica al buon
cibo alla presentazione di libri. L’idea è stata molto apprezzata
dal pubblico, anche per la varietà dell’offerta, rispetto
alla quale non abbiamo imposto un unico tema ma abbiamo
dato spazio a libri su vari argomenti come Matteotti, la Resistenza,
Dante Alighieri, la storia dei Medici passando poi al
cinema con Rossellini e al calcio con Giancarlo Antognoni
L'ideatore e coordinatore del progetto Villa Vittoria Cultura Giovanni Fittante
che è stato anche nostro ospite. Insomma, abbiamo spaziato
sui contenuti per rispondere alle esigenze di un pubblico
eterogeneo.
L’essere umano ha bisogno sia dell’approfondimento culturale
che della leggerezza legata all’intrattenimento, Villa
Vittoria quindi unisce entrambe le cose...
34
VILLA VITTORIA CULTURA
Un momento della serata conclusiva del progetto: da sinistra, la giornalista Elena Tempestini, l'imprenditore Giovanni Fittante, l'assessore del Comune di Firenze
Federico Gianassi e la giornalista Anna Balzani
Secondo me la cultura è contaminazione tra le varie arti sia
musicali che visive e letterarie. Per esempio, in futuro ci piacerebbe
ampliare ulteriormente la proposta con mostre di artisti
importanti negli spazi del giardino. In questo modo, Villa
Vittoria diventerebbe un luogo delle arti a tutti gli effetti, dove
ascoltare buona musica, godere della visione di opere d’arte
e trascorrere serate piacevoli in compagnia. Si tratta insomma
di un progetto in divenire che punta a diventare sempre
più ricco ed entusiasmante.
Il suo ruolo nella ideazione e nella realizzazione di questo
progetto è stato determinante…
Sì, l’idea è partita da me e con molta umiltà, insieme ai miei
soci, abbiamo cercato di realizzarla compatibilmente con le
difficoltà legate al periodo ed investendo anche sul progetto
per fare in modo che tutti gli aspetti organizzativi, incluso
l’aperitivo post presentazione, fossero totalmente gratuiti
sia per gli autori che per il pubblico. Ci è sembrato un modo
per andare incontro alle persone, alla comunità, con spirito di
partecipazione e condivisione.
Questo progetto culturale proseguirà anche durante l’inverno?
Stiamo valutando la possibilità di proseguire anche nei mesi
invernali, ma non è facile trovare la location giusta. Ci piacerebbe
trovare un luogo non solo bello ma anche accogliente e
che invogli la gente a ritrovarsi, a condividere un momento di
socialità, proprio come è accaduto nel giardino di Villa Vittoria,
dove, dopo mesi di lockdown, abbiamo tutti riscoperto il
piacere di stare insieme. Stiamo lavorando anche ad una futura
collaborazione con La Nuova Antologia della Fondazione
Spadolini e con il suo presidente, il professor Cosimo Ceccuti.
Nel frattempo, a conclusione della stagione estiva, ci preme
ringraziare tutti coloro che hanno permesso di realizzare con
successo questo progetto, il presidente di Firenze Fiera Lorenzo
Becattini, gli autori, i relatori, la stampa e naturalmente tutto
lo staff di Villa Vittoria. Un ringraziamento particolare va alle
istituzioni, dal sindaco Dario Nardella alla vicesindaca Alessia
Bettini agli assessori Tommaso Sacchi, Cecilia Del Re, Federico
Gianassi, Alessandro Martini e tanti altri il cui appoggio è
stato fondamentale per la riuscita dell’iniziativa.
È una conferma di come Firenze possa aprirsi al nuovo senza
dimenticare il proprio passato ma anzi partendo proprio
da lì per immaginare il futuro.
Esattamente. Firenze è una città straordinaria che tutti nel mondo
amano e conoscono per la sua grande storia che ci fa sentire
orgogliosi di vivere in questa città. È anche vero però che non
dobbiamo adagiarci sul passato ma dobbiamo guardare al nuovo
con la creatività che contraddistingue noi italiani. Il progetto
Villa Vittoria Cultura ha inteso proprio fare questo, offrire al pubblico
qualcosa di nuovo in un luogo speciale della città per ripartire
tutti insieme e guardare al futuro con rinnovato entusiasmo.
VILLA VITTORIA CULTURA
35
A cura di
Matteo Pierozzi
I giganti
dell’arte
Benvenuto Cellini
Il genio ribelle del Rinascimento
di Matteo Pierozzi
Illustre esponente del Rinascimento, Benvenuto Cellini fu abilissimo
cesellatore, scultore, orafo e scrittore, apprezzato da
Francesco I di Francia e vittima tuttavia di un’innata propensione
a cacciarsi nei guai: rissaiolo cronico, commise ben tre omicidi.
La sua Vita, scritta a partire dal 1558, fu stampata solamente
due secoli dopo, riscuotendo grande successo. In particolar modo,
l’autobiografia suscitò una grossa ondata di entusiasmo tra i
romantici che ne ammirarono il titanico individualismo. Goethe
la tradusse nella sua lingua; Stendhal e D’Annunzio la tennero in
considerazione nei loro scritti. Episodio emblematico de La Vita è
quello in cui Benvenuto Cellini narra della fusione del Perseo con
la testa di Medusa, imponente statua bronzea situata in Piazza
della Signoria, esattamente nella Loggia dei Lanzi. Proprio quando
tutto è ormai pronto per la fusione del Perseo, Cellini è vittima
di un violentissimo attacco di febbre che lo costringe a letto. Ma i
suoi aiutanti, ai quali ha affidato la delicata operazione in sua assenza,
non si dimostrano all’altezza del compito. Cellini allora si
toglie le coperte, sfida la tempestosa notte fiorentina e si precipita
in bottega, dove riesce nella titanica impresa di portare alla
luce la statua. «Essendomi finito di vestire, mi avviai con cattivo
animo inverso bottega, dove io viddi tutte quelle gente, che con
tanta baldanza avevo lasciate, tutti stavano attoniti e sbigottiti.
Cominciai, e dissi: – Orsú intendetemi, e dappoi che voi non avete
o saputo o voluto ubbidire al modo che io v’insegnai, ubbiditemi
ora che io sono con voi alla presenza dell’opera mia; e non sia
nessuno che mi si contraponga, perché questi cotai casi hanno
bisogno di aiuto e non consiglio -. A queste mie parole e’ mi rispose
un certo maestro Alessandro Lastricati e disse: – Vedete, Benvenuto,
voi vi volete mettere a fare una impresa, la quale mai nollo
promette l’arte, né si può fare in modo nissuno -. A queste parole
io mi volsi con tanto furore e resoluto al male, che ei e tutti gli
altri, tutti a una voce dissono: – Sú, comandate, che tutti vi aiuteremo
tanto quanto voi ci potrete comandare, in quanto si potrà resistere
con la vita -. E queste amorevol parole io mi penso che ei
le dicessino pensando che io dovessi poco soprastare a cascar
morto. Subito andai a vedere la fornace, e viddi tutto rappreso il
metallo, la qual cosa si domanda l’essersi fatto un migliaccio. Io
dissi a dua manovali, che andassino al dirimpetto, in casa ’l Capretta
beccaio, per una catasta di legne di quercioli giovani, che
erano secchi di piú di uno anno, le quali legne madonna Ginevra,
moglie del detto Capretta, me l’aveva offerte; e venute che furno
le prime bracciate, cominciai a impiere la braciaiuola. E perché la
quercia di quella sorte fa ’l piú vigoroso fuoco che tutte l’altre sorte
di legne, avvenga che e’ si adopera legne di ontano o di pino
per fondere per l’artiglierie, perché è fuoco dolce; oh quando quel
migliaccio cominciò a sentire quel terribil fuoco, ei si cominciò a
schiarire, e lampeggiava. Dall’altra banda sollecitavo i canali, e altri
avevo mandato sul tetto arriparare al fuoco, il quale per la maggior
forza di quel fuoco si era maggiormente appiccato; e di verso
l’orto avevo fatto rizzare certe tavole e altri tappeti e pannacci,
che mi riparavano all’acqua (II, LXXVI). Di poi che io ebbi dato il ri-
Benvenuto Cellini, Autoritratto
medio attutti questi gran furori, con voce grandissima dicevo ora
a questo e ora a quello: – Porta qua, leva là – di modo che, veduto
che ’l detto migliaccio si cominciava a liquefare, tutta quella
brigata con tanta voglia mi ubbidiva che ogniuno faceva per tre.
Allora io feci pigliare un mezzo pane di stagno, il quale pesava in
circa a 6o libbre, e lo gittai in sul migliaccio dentro alla fornace, il
quale, cone gli altri aiuti e di legne e di stuzzicare or co’ ferri e or
cone stanghe, in poco spazio di tempo e’ divenne liquido. Or veduto
di avere risuscitato un morto, contro al credere di tutti quegli
ignoranti, e’ mi tornò tanto vigore che io non mi avvedevo se io
avevo piú febbre o piú paura di morte. Innun tratto ei si sente un
romore con un lampo di fuoco grandissimo, che parve propio che
una saetta si fussi creata quivi alla presenza nostra; per la quale
insolita spaventosa paura ogniuno s’era sbigottito, e io piú degli
altri. Passato che fu quel grande romore e splendore, noi ci
cominciammo a rivedere in viso l’un l’altro; e veduto che ’l coperchio
della fornace si era scoppiato e si era sollevato di modo che
’l bronzo si versava, subito feci aprire le bocche della mia forma
e nel medesimo tempo feci dare alle due spine. E veduto che ’l
metallo non correva con quella prestezza ch’ei soleva fare, conosciuto
che la causa forse era per essersi consumata la lega per
virtú di quel terribil fuoco, io feci pigliare tutti i mia piatti e scodelle
e tondi di stagno, i quali erano in circa a dugento, e a uno a uno
io gli mettevo dinanzi ai mia canali, e parte ne feci gittare drento
nella fornace; di modo che, veduto ogniuno che ’l mio bronzo
s’era benissimo fatto liquido, e che la mia forma si empieva, tutti
animosamente e lieti mi aiutavano e ubbidivano; e io or qua e or
là comandavo, aiutavo e dicevo: – O Dio, che con le tue immense
virtú risuscitasti da e’ morti, e glorioso te ne salisti al cielo! – di
modo che innun tratto e’ s’empié la mia forma; per la qual cosa io
m’inginochiai e con tutto ’l cuore ne ringraziai Iddio; dipoi mi volsi
a un piatto d’insalata che era quivi in sur un banchettaccio, e con
grande appetito mangiai e bevvi insieme con tutta quella brigata;
dipoi me n’andai nel letto sano ellieto, perché gli era due ore innanzi
il giorno; e come se mai io non avessi aùto un male al mondo,
cosí dolcemente mi riposavo (LXXVII)».
BENVENUTO CELLINI
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Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Tatsiana Pagliani
Forme dinamiche in uno spazio molteplice
di Daniela Pronestì
Il primo pensiero che nasce osservando i lavori di Tatsiana
Pagliani riguarda le motivazioni che hanno portato
l’artista a superare il supporto tradizionale della
tela per sostituirlo con l’assemblaggio di elementi – calze
di nylon, colori acrilici e fili di rame – che insieme compongono
il corpo dell’opera entrando in relazione con lo
spazio intorno. Sia la trasparenza del nylon che il modo di
legarne i lembi alla cornice lasciando diverse parti vuote
fanno sì che anche la superficie del muro sottostante diventi
parte integrante dell’opera, riempiendo visivamente
gli spazi tra le forme e riflettendo i giochi d’ombra prodotti
da quest’ultime. Ne derivano creazioni complesse sia dal
punto di vista percettivo, data l’importanza attribuita all’interazione
tra forme, spazio e luce, sia da quello compositivo
perché coniugano la casualità di frammenti ottenuti
tagliando o strappando il nylon con il rigore grafico-ge-
ometrico che questi stessi frammenti assumono proiettandosi
sulla parete come campiture di colore su una tela
bianca. Pur mantenendo intatta la dimensione del quadro,
queste composizioni sfidano la bidimensionalità del
piano per includere anche la terza dimensione, e dunque
una profondità che suggerisce, sul fronte del significato,
la libertà di forme immerse nello spazio che dialogano e
si combinano tra di loro con variazioni ritmico-strutturali
ogni volta diverse. Se da un lato il ricorso al colore serve
a richiamare l’azzurro del cielo, la vastità dello spazio
cosmico o l’atmosfera di un notturno, dall’altro lato è il
nylon stesso a diventare colore e a delineare percorsi visivi
che invitano lo sguardo ad entrare nell’opera varcando
gli strati e lasciandosi incuriosire dalle trasparenze. Solitamente
oggetto della seduzione femminile, in questo caso
invece le calze di nylon diventano a tutti gli effetti un
#V2 (2020), tecnica mista (calze nylon, colori a olio, acrilico, filo di rame), cm 45x60 #V2 (2020), tecnica mista (calze nylon, colori a olio, acrilico, filo di rame), cm 45x60
38
TATSIANA PAGLIANI
Pescando al chiaro di luna… (2017), tecnica mista (nylon, acrilici, vernice,
inks, carta), cm 40x40
#V35 (2020), tecnica mista (calze nylon, colori a olio, acrilico,
filo di rame), cm 45x60
materiale artistico che, oltre ad accogliere
l’intervento pittorico, evoca la sensazione di
forme leggere e fluttuanti in uno spazio molteplice.
All’origine di queste composizioni si
pone la necessità dell’artista di guardare nella
materia come si guarda dentro di sé, nei propri
spazi e tempi interiori, trasferendo la consapevolezza
maturata per mezzo di questa
esperienza in un armonico alternarsi di strati,
frammenti e sospensioni, equilibri formali
e cromatici che restituiscono il senso di un
ordine conquistato dopo aver attraversato il
caos. È una dimensione lirica ed introspettiva
del processo creativo, che incarna e traduce
in un linguaggio concreto memorie personali,
visioni di paesaggi immaginari ma anche una
lucida riflessione sull’universo femminile, che
queste opere omaggiano esprimendo la forza
delle donne e allo stesso tempo le ferite, il
loro essere Veneri perennemente in bilico tra
verità e pregiudizio. In questo collocarsi al di
fuori delle convenzioni, riunendo insieme, nello
stesso impianto compositivo, superficie e
profondità, concretezza plastica e astrazione
lirica, risiede la cifra espressiva di un’artista
che si muove in maniera autonoma nel panorama
contemporaneo, mostrando raffinata
sensibilità e innata attitudine alla ricerca.
#V1 (2020), tecnica mista (calze nylon, colori a olio, acrilico, filo di rame), cm 45x60
www.tatsianapaglianiart.com
ArTat Pag
art_tpag
TATSIANA PAGLIANI
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
La tutela delle espressioni culturali dei
luoghi, del sapere e saper fare
La ripartenza del settore dei viaggi passa sempre più dai locals
di Stefania Macrì
Il G20 sulla cultura prima e quello sull’agricoltura poi
hanno affermato dei concetti fondamentali per il tempo
presente e, soprattutto, per quello futuro: la cultura
come motore della ripartenza economica post pandemica,
il rispetto dell’ambiente per arginare gli effetti devastanti
dei cambiamenti climatici, uno stile di vita sostenibile e
all’insegna del dialogo tra culture, la tutela delle identità
locali per la salvaguardia delle tradizioni culturali. Questi
e molti altri argomenti sono stati oggetto di discussione
tra i ministri che hanno partecipato ai lavori dei due
G20 e oggi confluiscono nei documenti finali che sono
stati rilasciati alla comunità internazionale: la Dichiarazione
di Roma e la Carta della sostenibilità dei Sistemi
Alimentari. Gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi
due anni delle nostre vite dimostrano che l’equilibrio del
mondo, sia ambientale che sociale, economico e relazionale,
è fragile. Da molti anni con l’etica Life Beyond Tourism
raccontiamo l’importanza di tutelare e salvaguardare
il micro nei confronti del macro, partendo da una corretta
consapevolezza di coloro che abitano i territori per riuscire
a definire politiche di gestione dei flussi turistici che
tengano conto delle peculiarità dei luoghi. Proprio i piani
di gestione sono uno degli argomenti cari alla Fondazione
Romualdo Del Bianco e al Movimento LBT-TTD: se i piani
di gestione dei territori e le istituzioni si focalizzeranno
sulla valorizzazione sinergica del territorio come insieme
di espressioni culturali (aziende, artigiani, istituzioni, artisti,
tradizioni, saperi) sarà possibile attrarre dei viaggiatori
etici, curiosi e rispettosi. Questo si traduce, in termini
pratici, in una ripresa economica dei territori che saranno
meta di viaggiatori consapevoli, in grado di apprezzare i
prodotti a km0 che i vari luoghi propongono, i pezzi unici
dell’artigianato artistico, che visitano i piccoli musei e
possono diventare stimolo per altri viaggiatori, superando
così il concetto del turista “mordi e fuggi”, divenendo
sempre più residenti temporanei. I servizi che il Movimento
LBT-TTD ha progettato vanno proprio in questa direzione:
i Luoghi Parlanti TM , come strumento di racconto dei
territori ai viaggiatori in collaborazione con le istituzioni
pubbliche e le aziende; il 1° Festival Internazionale delle
espressioni culturali del mondo “The World in Florence”
(25 e 26 novembre) per dar voce ai luoghi del mondo
attraverso i racconti dei residenti, facendo incontrare e
dialogare i rappresentanti dei territori per instaurare collaborazioni
durature. E ancora
Florence in the World,
la mostra internazionale che
porta Firenze e il territorio
fiorentino in tutto il mondo
che, da poco, ha fatto tappa
anche ad Aglié (TO) in esposizione
fino al 31 dicembre
nel Belvedere del Castello
Ducale e, a breve, arriverà
anche nella Regione Moravia
del Sud della Repubblica
Ceca, con due luoghi espositivi,
uno all’interno della sede
del palazzo regionale e
un altro nel Museo Castle in
Moravský Krumlov.
Il Movimento LBT-TTD partecipa agli eventi Progetto Borghi e Dietro le quinte
Un ottobre ricco di eventi a cui il Movimento LBT-TTD prenderà parte, iniziando con il Progetto Borghi, il Forum digitale
dei borghi italiani (6/7 ottobre), per parlare delle opportunità e potenzialità delle comunità locali e discutere su
come gestire i flussi turistici. A seguire, l’evento Dietro le Quinte (8/9 ottobre) che si svolgerà a Monza con l’intento
di dare spazio all’industria culturale e del turismo per poter gettare delle basi solide per una ripartenza post pandemica.
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
di Fabrizio Borghini
Un luogo per le arti a Sesto Fiorentino
A
San Sebastiano è intitolata la duecentesca sala
attigua all'antica Pieve di San Martino di Sesto
Fiorentino; con la nascita del Gruppo Artisti della
San Sebastiano, è stata, da qualche anno, destinata
ad iniziative culturali di vario tipo, dalle esposizioni di
arte contemporanea alle performance di poesia, dalla
presentazione di libri a intrattenimenti musicali. Grazie
alla prossimità, all'interno del plesso parrocchiale, del
Teatro San Martino ha preso avvio con successo an-
che l'attività teatrale
che ha nell'attore
Alessandro Calonaci
il suo direttore
Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale
artistico. Da questo
numero, La Toscana
Nuova riserverà alcune delle sue pagine alla effervescente
attività del sodalizio e alla presentazione
degli artisti che ne fanno parte.
Gli artisti
Fabrizio Finetti
Veliero fantasma
Nato nel 1961 a
Bagni di San Filippo,
nel comune
di Castiglione d’Orcia
(SI), Fabrizio Finetti risiede
a Sesto Fiorentino
(FI). Dopo varie esperienze
in alcune associazioni
culturali del
territorio, in una delle
quali ha svolto il ruolo
di vicepresidente, oggi
gestisce come operatore
culturale la Sala
San Sebastiano – Centro espositivo
culturale in piazza della Chiesa
84 a Sesto Fiorentino. Numerose
le mostre alle quali ha partecipato,
tra queste si ricordano le più prestigiose
alla Rocca Aldobrandesca di
Piancastagnaio (SI) e alla Limonaia
del Palagio Fiorentino a Stia (AR).
Oltre a dipingere, ama scrivere poesie
e racconti brevi che ha pubblicato in
alcuni volumi.
fab.finetti@hotmail.com
+ 39 338 5252537
Fabrizio Finetti
Figure di fantasia
Basso fondale
42 FABRIZIO FINETTI
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Alessio Buonavita
Sestese doc, Alessio Buonavita
si è avvicinato
all’arte da bambino con
l’aiuto del padre che dipingeva
la ceramica e dal quale ha appreso
i primi rudimenti sul disegno.
All’età di quindici anni è
Alessio Buonavita entrato nel mondo della grafica
grazie al pittore Graziano
Prussi, il quale gli ha dato anche lui lezioni sull’arte
del dipingere. In età adulta si è avvicinato alla tecnica
della grafite alla quale ha iniziato a dedicarsi incontrando
anche il gradimento del pubblico. Nell’ottobre
dello scorso anno ha realizzato
la sua prima personale
nei prestigiosi locali
di Villa San Lorenzo al Prato
a Sesto Fiorentino con
l’associazione culturale LiberArte.
Sempre a Sesto,
nella sede del Centro Espositivo San Sebastiano, ha
da poco inaugurato un’altra mostra insieme al fotografo
Tiziano Buti. Ultimamente sta sperimentando
anche disegni a colori con la tecnica delle matite.
alessiobuonavita@yahoo.it
+ 39 339 2282152
Viale nel bosco
Volto di ragazza
Gatto
ALESSIO BUONAVITA
43
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Silvana Cipriani
Silvana Cipriani
Fiorentina di nascita, da
tempo Silvana Cipriani
vive a Sesto Fiorentino.
Inizia dagli anni Ottanta a realizzare
opere pittoriche ad olio
e scrivere poesie. Attualmente
lavora con colori acrilici. È
pure nato in lei l’interesse
per le ricerche storiche e
la narrativa.
silvana.cipriani@gmail.com
Verso l'Inferno
Canto XIV Paradiso
Ombre del Purgatorio
44 SILVANA CIPRIANI
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Rosita Comparini
Sestese di nascita e di residenza,
Rosita Comparini è un’artista
semplice e dai modi pacati.
Eppure le sue composizioni sembrano
animate dalla volontà di uscire
con forza dalla costrizione della
tela. I materiali con cui sono realizzate
risaltano per la loro unicità e si Rosita Comparini
proiettano verso l’osservatore in una
tridimensionalità simbolica che ne attrae l’attenzione.
Come socia dell’associazione LiberArte di Sesto
Fiorentino partecipa attivamente a diverse iniziative,
presentando i suoi lavori nelle mostre collettive organizzate
durante l’anno. Il suo amore per l’arte si estende
anche alla poesia e alla narrativa. Nel 2013 a Sesto Fiorentino
ha vinto un premio di pittura con l’opera Il Fiore.
Ha tenuto una personale presso la Sala San Sebastiano
a Sesto, una collettiva nella medesima sede e altre
presso la Soffitta a Colonnata
e a Calenzano nella biblioteca
civica. Partecipa da diversi
anni al concorso letterario indetto
da LiberArte San Lorenzo
poesie e racconti.
Isola Greca
Campo Fiorito
Fondale Marino
ROSITA COMPARINI
45
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Andrea Mattolini
Nato a Sesto Fiorentino
nel 1943,
Andrea Mattolini
ha studiato alla Scuola
statale d’Arte a Sesto
Fiorentino. Fa parte
dell’Antica Compagnia
del Paiolo e ha fatto
parte anche del gruppo
LiberArte di Sesto Andrea Mattolini
Fiorentino che ha lasciato
per seguire la nuova associazione sestese
Centro Espositivo Culturale Sala San Sebastiano.
Ha tenuto numerose mostre personali e collettive
in spazi istituzionali, sedi associative e private sia
in Toscana – Sesto, Campi Bisenzio, Firenze, Pisa,
Vicopisano, Vada, Cecina, Follonica, Montecatini,
Stia – che a La Spezia e in Trentino. Del suo lavoro
si sono occupati, tra gli altri, Alessandra Bruscagli,
Pier Francesco Listri, Daniele
Menicucci, Carolina Mazzetti,
Lucia Mingardi, Camilla
Mari e Silvia Ranzi.
Val d'Aosta
andona@aliceposta.it
+ 39 335 1598587
La Casera di Bosconero
Rudere
46 ANDREA MATTOLINI
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Gualtiero Risito
Nato a Firenze nel 1947, alla fine degli anni
Sessanta Gualtiero Risito si trasferisce a Sesto
Fiorentino. Autodidatta in pittura, a metà
degli anni Ottanta approfondisce le basi tecniche ed
artistiche del disegno dal vero, del nudo e del colore
frequentando l’Istituto d’Arte Raimondo Riachi a
Firenze. La frequentazione con altri artisti, fra i quali
quelli dello Studio 7, ha creato una storia e posto
le basi di fraterna amicizia e collaborazione duratura
nel tempo. Presente nel mercato dell’arte con favorevoli
consensi di critica e successi in ambito culturale,
alcuni suoi lavori sono collocati in sedi pubbliche
e spazi privati a Firenze, Sesto Fiorentino e Siena. Il
ritratto di Gino Bartali, acquistato dal figlio Andrea, si
trova nel Museo del Ciclismo Madonna del Ghisallo
a Magreglio (CO). Di lui hanno scritto: Dino Pasquali,
Vania Partilora, Alessandra Bruscagli, Sandra Nistri,
Pier Francesco Listri, Salvatore Cipolla, Mario Cenni,
Luigi Bicchi, Daniela Pronestì, Anita Valentini, Enrico
Guarnieri, Arnaldo Nesti.
www.gualtierorisito.it
Gualtiero Risito
Jekyll & Hyde
Vertigini
Enigma
GUALTIERO RISITO
47
La tutela
dell’ingegno
A Villa Vittoria la presentazione della nuova monografia
del professor Aldo Fittante sul diritto industriale
di Fabrizio Borghini / foto Maria Grazia Dainelli
Lo scorso 21 settembre, nella splendida cornice del
giardino di Villa Vittoria a Firenze, si è tenuta la presentazione
dell’ultima monografia pubblicata da Aldo
Fittante, Lezioni di Diritto Industriale (ed. Giuffrè, 2020).
L’evento ha visto la partecipazione di relatori molto autorevoli:
la presidente della III^ sezione del Tribunale delle Imprese
di Firenze Patrizia Pompei, Massimo Ruffilli professore emerito
dell’Università Internazionale dell’Arte di Firenze (UIA), il
presidente di Firenze Fiera Lorenzo Becattini e l’autore ed editore
Mauro Marrani della Libreria Salvemini di Firenze. Parliamo
della monografia e dei temi che ne rappresentano il focus
attraverso un’intervista ad Aldo Fittante, autore del testo ed
avvocato in Firenze, oltre che docente e ricercatore dell’Università
degli Studi di Firenze.
Qual è il focus di questa nuova monografia?
La monografia tratta della creatività, della tutela giuridica delle
idee e del saper fare italiano. Gli abitanti del bel paese hanno
una capacità di creare bellezza che ci viene invidiata nel
mondo. Il Made in Italy, prima di un prodotto, è un processo
collettivo capace di unire le competenze della manifattura
tradizionale con le innovazioni tecnologiche e le più sorprendenti
intuizioni creative. Non a caso, proprio in questi anni
di crisi, il Made in Italy ha mantenuto, se non implementato,
il proprio valore e la propria redditività sui mercati esteri e
l’export italiano ha raggiunto la cifra record di 462,8 miliardi
di euro. Tale valore, bilanciato da importazioni per 423 miliardi,
ha determinato un surplus positivo del commercio estero
di ben 39,8 miliardi di euro, un valore importante considerando
che in un momento di crescita zero l’export italiano ha incrementato
il suo giro d’affari di tre punti percentuali.
Che ruolo svolgono in tale contesto i temi trattati nella monografia?
Nel quadro del grande successo delle eccellenze del Made in
Italy, il diritto industriale – ed in particolare i temi trattati nella
monografia (dal marchio al design, dal diritto d’autore alla lotta
alla contraffazione, dal Made in Italy alla tutela della proprietà intellettuale
nel Web) – svolge un ruolo di vero e proprio presidio
Da sinistra, il giornalista Fabrizio Borghini, moderatore della serata, il professore Aldo Fittante e i dottori commercialisti Marco e Mario Balduini
48
DIRITTO INDUSTRIALE
Un momento della presentazione: da sinistra, l'editore Mauro Marrani, il professore emerito della UIA Massimo Ruffilli, il giornalista Fabrizio Borghini, il professor Aldo
Fittante, la presidente della III^ sezione del Tribunale delle Imprese di Firenze Patrizia Pompei e il presidente di Firenze Fiera Lorenzo Becattini
degli ingenti investimenti che le piccole e medie imprese italiane
hanno il merito di compiere in ricerca ed innovazione. In questa
prospettiva, la proprietà industriale riveste per le nostre imprese
la funzione di vero e proprio volano, in grado di rafforzarne la
posizione nel mercato sia in termini di competitività sia valorizzando
quella componente del patrimonio aziendale che, costituita
da beni immateriali, rappresenta nell’economia moderna un
valore aggiunto.
Perché il Made in Italy deve essere valorizzato e tutelato?
L’indiscusso plus delle nostre piccole e medie imprese rischia
di essere vanificato da una concorrenza che è in grado di rendere
nulli gli investimenti in ricerca ed innovazione delle imprese,
distorcendo le regole del mercato e finendo per danneggiare,
in definitiva, anche gli stessi consumatori. Il conseguimento da
parte dell’impresa di diritti di privativa industriale consente uno
sfruttamento esclusivo e monopolistico delle proprie idee creative
e del frutto delle proprie ricerche, permettendo di reagire
efficacemente a comportamenti contraffattori e costituendo
senza dubbio la principale difesa degli investimenti delle nostre
imprese in ricerca e innovazione. Non a caso una specifica sezione
dell’opera viene dedicata ai molteplici strumenti predisposti
dal nostro legislatore per la lotta alla contraffazione, priorità
indiscussa per una ripresa che possa dirsi stabile e duratura.
Abbiamo notato che l’ultima parte della monografia è dedicata
alla tutela della proprietà intellettuale nel Web, ce ne
può parlare brevemente?
Il grande successo del Made in Italy è dovuto certamente anche
grazie al Web e all’E-Commerce. Internet costituisce al tempo
stesso una grande opportunità ma anche una strada da percorrere
con grande cautela, e mi riferisco alla contraffazione online
che presenta aspetti ancor più subdoli ed ha un effetto moltiplicatore
in termini di danni sia diretti che di immagine. La trasformazione
digitale dell’epoca moderna impone dunque un
ripensamento della normativa giuridica in materia di “intellectual
property”, al fine di governare la minaccia
digitale e renderla un effettivo strumento
di progresso tecnologico, economico e
culturale della società civile. È recente la
notizia dell’approvazione alla Camera dei
Deputati della Legge Europea 2019/2020,
al cui interno è presente appunto la cd. Direttiva
Digital Copyright che si avvia pertanto
ad essere recepita nel nostro paese.
L’obiettivo che la Direttiva persegue è molto
importante ed ambizioso: quello di adeguare
il copyright all’ecosistema digitale e
alle sfide delle nuove tecnologie, rafforzando
l’effettività dei diritti ed al tempo stesso
responsabilizzando le piattaforme e gli Internet
service provider (Isp).
DIRITTO INDUSTRIALE
49
Maurizio Laurenti
Il senso nascosto della realtà
A ben guardare, direi che l’elemento essenziale che distingue la pittura di Maurizio Laurenti
sia l’inventiva. Questa appare la forza propulsiva a cui l’artista attinge per rinnovarsi ad ogni
nuova composizione. Eseguendo opere mai uguali a se stesse, sull’onda di più sintassi figurative,
il fine consiste nel ritrovare di volta in volta la migliore espressione che rappresenti
una nuova idea. Surrealismo, metafisica, realismo magico, appaiono territori che il nostro frequenta
senza però restarne irretito perché l’obiettivo di fondo rimane l’interrogarsi sul senso
nascosto della realtà, che nei suoi dipinti appare solo un modesto frammento dell’universo
dell’immaginazione. Realizzando un ironico gioco di specchi tra percezione e apparenza, gira
intorno alle cose per carpirne il mistero, sfuggente e ineffabile, che la sua pittura intuisce e
rimanda come un enigmatico rebus da risolvere.
Michele Loffredo
www.laurentimaurizio.com
laurentimaurizio.art
Per contatti:
info@mauriziolaurenti.com
Itinerari
culturali
Terre di Dante
In treno da Firenze a Ravenna sulle orme del sommo poeta
Testo e foto di Maria Grazia Dainelli
Ripercorrere oggi, a 700 anni dalla morte di
Dante Alighieri, il travagliato esilio da lui
compiuto nell’Italia del Trecento è molto più
di un pellegrinaggio. Attraversare questi luoghi, oltre
che a piedi, in bici o in bus anche comodamente
seduti nello scompartimento del Treno di Dante
– così definito perché collega Firenze a Faenza fino
a Ravenna – è un modo per omaggiare la figura
del sommo poeta. Firenze, città in cui Dante nacque
nel 1265, fu il punto di partenza del viaggio chiamato
“vita” che nel suo caso terminò a Ravenna nel 1321.
Lungo la ferrovia Faentina il viaggiatore è attratto da
molteplici borghi medievali con eccellenze culturali
come Brisighella, Borgo San Lorenzo, Vicchio e Marradi.
Dalle stazioni principali è possibile effettuare
escursioni molto suggestive, con percorsi di trekking
o in mountain bike. Percorrendo le città e i territori
della Romagna percorsi da Dante, è possibile scoprire paesaggi,
monumenti ed edifici che ancora oggi, a distanza di
settecento anni, evocano ricordi divenuti celebri nella memoria
collettiva grazie all’immortalità dei suoi versi. Il cammino
Il Treno di Dante
dell’esilio, durato vent’anni circa, fu lungo e faticoso. In particolare,
Toscana e Romagna hanno giocato un ruolo molto importante
e sono tra le regioni maggiormente citate e descritte
nella Divina Commedia. Un viaggio nel tempo e nello spazio,
tra vita e Commedia dantesca, attraversando luoghi che arrivano
fino alla parte più toccante della sua vita, quella Ravenna
in cui finalmente fu riconosciuto come uomo, cittadino e
autore e dove fu degnamente accolto ed amato, tanto che nei
secoli a venire la città si è offerta di custodire le sue spoglie.
Ospite di Guido Novello da Polenta, signore di Ravenna, qui il
poeta trascorse gli ultimi anni della sua vita, trovando la tranquillità
tanto ricercata e un po’ di quella pace che altrove gli
era stata negata. Fu a Ravenna infatti che Dante terminò la sua
monumentale opera, concludendo la terza cantica, quella del
Paradiso. Ricambiando l’ospitalità, Dante talvolta si occupò di
alcune ambascerie a Venezia, per conto dei Da Polenta. Durante
i suoi viaggi spesso sostava nella non troppo distante Abbazia
di Pomposa, che nel Medioevo costituì uno dei centri di
spiritualità e cultura tra i più importanti al mondo. Sembra fosse
proprio a causa di una febbre malarica che qui, di ritorno
dalla sua ultima missione diplomatica a Venezia, Dante si ammalò,
per morire poi venti giorni più tardi a Ravenna. «Dante
muore»: queste due parole echeggiarono in Ravenna come due
funebri rintocchi, nella notte tra il 13 e il 14 settembre del 1321.
Di fronte alla tomba di Dante l’atmosfera si fa solenne: un sentimento
immenso e profondo di riverenza pervade il visitatore,
fissando per sempre il ricordo indelebile di questa esperienza.
L’arrivo dei viaggiatori a Ravenna
www.terredidante.it
info@terredidante.it
Per informazioni: +39 320 460 3033 / +39 340 261 0838
Terre di Dante
TERRE DI DANTE
51
Personaggi
Emanuele Chirco
Pianista, compositore, arrangiatore e produttore oggi tra gli artisti più
apprezzati ed innovativi della musica mediterranea strumentale
di Carlo Midollini
La sua passione per la musica inizia a 5
anni quando i suoi genitori, in una Marsala
lontana, in una Sicilia d’altri tempi,
gli regalarono una piccola tastiera elettronica
con cui cominciò a suonare ad orecchio le melodie
che ascoltava alla TV. La madre, amante
della musica, aveva anche un pianoforte in casa,
lo stesso su cui Emanuele avrebbe cominciato
qualche anno dopo a studiare. All’età di
15 anni inizia le prime collaborazioni dal vivo
con i gruppi e le compagnie artistiche locali
con cui suonava specialmente nei periodi estivi,
dopo la scuola, esibendosi nelle piazze e nei
teatri. Già allora emergeva la sua straordinaria
attitudine all’arrangiamento e alla composizione
e quindi a quella che in futuro si sarebbe
chiamata la “direzione musicale”. Nelle band in
cui suonava non capitava di rado, malgrado la
sua giovane età, che fosse lui ad indicare agli
altri musicisti, più grandi talvolta anche di esperienza, cosa
dovessero suonare e in che modo. Finito il liceo, non ebbe alcun
dubbio: voleva studiare musica e farla diventare il suo
mestiere. Iniziò così il tempo dello studio in conservatorio
e in altri istituti dove poter approfondire non solo la musica
classica ma anche il blues, il pop, il jazz, cercando spazio
per scoprire sempre più la “sua” musica, quella strumentale,
quella che non si sapeva che genere fosse… era semplicemente
la sua. Nel 1999, dopo 5 anni di serate nei club, locali
e piazze della Sicilia, sentì la necessità di fermarsi un attimo
e registrare quelle idee strumentali che gli giravano in testa.
Nasceva così il suo primo disco dal titolo My life sound registrato
nello studio dei suoi amici insieme agli stessi musicisti
delle band con cui suonava la notte nei pub. L’album uscì l’anno
dopo (2000) per le Edizioni Musicali Sorriso, ricevendo da
subito grandi consensi dalla critica nazionale e dal pubblico.
Così, alla fine dello stesso anno, ebbe inizio la sua prima tour-
Durante il sound check prima di un concerto
Emanuele Chirco
née da solista, eseguendo al pianoforte le sue composizioni
accompagnato da una band di 9 elementi e girando la Sicilia
fino all’estate del 2001. In quegli anni cresceva anche il suo
lavoro di arrangiatore: aveva infatti diretto il Festival Senti chi
Canta con Mogol presidente di giuria e tante erano le richieste
da parte di nuovi cantanti anche partecipanti all’Accademia
della Musica di San Remo. Nel 2002 la proposta da parte
del Gruppo Internazionale Gen Rosso di curare la direzione
musicale del loro nuovo disco Voglio svegliare l’Aurora cambiò
molte cose nella sua vita. Decise allora di trasferirsi da
Marsala a Incisa Valdarno, Loppiano, in provincia di Firenze
dove ha realizzato il suo nuovo studio di registrazione iniziando
nuove collaborazioni che si riveleranno molto importanti
per la sua carriera professionale e per la sua vita. Arrivarono
così gli arrangiamenti e le orchestrazioni per Antonella Ruggiero,
Francesco Guccini, i Modà, Cheryl Porter, Jonathan Cilia
Faro (con cui farà diverse tournée in America: Washington,
New York, Los Angeles e in Germania), Don Most, Chiara Grillo,
Mite Balduzzi, Compagnia Aquero, Rete Europea Risorse
Umane e molti altri artisti italiani e internazionali come il
Gruppo Gen Verde, che insieme al Gruppo Gen Rosso fanno
parte del Movimento dei Focolari fondato da Chiara Lubich e
ne sono espressione artistica nel mondo. Da lì iniziarono una
serie di impegni lavorativi di straordinaria importanza come
la direzione dell’Orchestra Filarmonica di Milano a soli 27 anni
in occasione dell’84° compleanno di Papa Giovanni Paolo
II nell’Aula Nervi in Vaticano, il concerto al Teatro La Fenice di
Venezia come ospite del Venezia Jazz Festival e il concerto
all’European Jazz Expò di Cagliari. Tante le tournée in Italia e
52
EMANUELE CHIRCO
Chirco mentre dirige l'Orchestra Filarmonica di Milano
In solo pianoforte (ph. Salvatore Sinatra)
Insieme alla moglie Martina Nchagwa e al figlio Gregory
all’estero, molte delle quali insieme al Gruppo Internazionale
Gen Rosso, di cui è attualmente direttore musicale: Malesia,
Cina, Myanmar, Indonesia, Singapore così come i workshop
in Africa e in Europa. Contestualmente al suo impegno di arrangiatore
e produttore musicale porta avanti la composizione
della sua musica per pianoforte, pianoforte e orchestra,
a tratti classica a tratti jazz, ma con una forte appartenenza
mediterranea che lo identifica, oggi possiamo dirlo, in modo
unico. Dopo My Life Sound incide anche i dischi L’Anno delle
Ciliegie (Egea Music 2009), Live at Archaeological Park in Selinunte
(DVD - Egea Music 2010), Divento Mondo (Em Dabliu
Em/Egea Music 2015) facenti parte di una collana strumentale
e Morelando (2007) e Colori a Quadri (2010) insieme alla
cantautrice Chiara Grillo. A questi si aggiungono gli oltre
50 dischi, EP e singoli ad oggi pubblicati da altri artisti di cui
Chirco è stato arrangiatore, produttore oltre
che pianista e tastierista. Oggi risiede nella
cittadella di Loppiano, luogo incantevole immerso
nelle colline toscane a 20 km da Firenze,
insieme alla moglie Martina Nchagwa del
Kenya, incontrata a Nairobi nel 2009, e al loro
figlio Gregory di 4 anni. Vale la pena riportare
le note di presentazione di un suo recente
concerto per pianoforte dal titolo Tra le mie
cose tenuto al tramonto della sua città d’origine,
Marsala, lo scorso 27 agosto 2021 per la
rassegna A scurata all’interno di una delle saline
più belle della Sicilia, con al centro, quasi
a poggiar sull’acqua, il suo dolce ed ipnotico
pianoforte: «Un concerto intimo, a tratti riflessivo,
in cui Emanuele Chirco esegue alcune
tra le sue musiche scritte e pubblicate per
orchestra in un’interpretazione minimale per
solo pianoforte. Un suono così essenziale e
completo al tempo stesso insieme ad un modo
semplice e diretto di raccontarsi in musica
bastano ad Emanuele per arrivare al cuore in
modo chiaro donando all’ascoltatore lo spazio
per immaginare, viaggiare nel suo tempo,
sognare... Una performance che si evolve
tra dinamiche forti e delicate, espressioni
ora pungenti ora morbide di uno stato d’animo
a tratti inquieto, a tratti sereno o nostalgico,
come un veritiero racconto della vita in
musica. Un concerto che pone l’accento sulle
riconosciute qualità e talento di Emanuele
Chirco compositore ed esecutore del proprio
repertorio. Ogni composizione scaturisce da
una esperienza realmente vissuta, autentica
e forse per questo capace di provocare nell’ascoltatore
uno slancio verso i valori universali
della condivisione, dell’unità, della tolleranza
e della integrazione. Ciò fa di Chirco un compositore
autobiografico nel senso più profondo
del termine».
www.emanuelechirco.it
EMANUELE CHIRCO
53
Il cinema
a casa
A cura di
Lorenzo Borghini
Mommy
Il colpo al cuore di Xavier Dolan
di Lorenzo Borghini
La storia è la più vecchia del mondo: madre sola, incapace
di gestire la propria vita e figlio problematico,
tendente a scatti di violenza incontrollati. Sembrerebbe
un cocktail perfetto di cliché, ma Xavier Dolan la rende
unica. All’inizio del film si ride. Steve Deprés torna a casa
dopo una lunga degenza in un istituto e le sue parole, le sue
follie e i suoi sguardi ci fanno sorridere, per tutta la loro sfacciataggine
adolescenziale. Anche la madre Diane è simile a
lui: arrogante ed esuberante, ma non a livello patologico come
il figlio. Ma se inizialmente ridiamo delle loro stranezze,
col passare dei minuti, iniziamo a conoscerli meglio, e
da estranei diventano vicini di casa, amici, parte della nostra
famiglia e quei sorrisi iniziali scompaiono tramutandosi in
preoccupazione, tristezza e angoscia per la loro situazione
disperata. Il disordine del loro microcosmo viene scombussolato
dalla vicina Kyle, insegnante in congedo con un problema
di balbuzie, che sembra ritrovare un po’ di equilibrio
grazie alle due comete di casa Deprés. Xavier Dolan sceglie
di girare in un non convenzionale
1:1, un formato che racchiude tutto
all’interno di un quadrato, che esclude
il fuori campo per dare risalto ai
volti e alla sofferenza. Tutto succede
lì, dentro una cornice che non dà
spazio all’immaginazione, che carcera
i personaggi quasi stritolandoli,
soffocandoli nei loro problemi. A
momenti manca l’aria da quanto è
azzeccata la scelta dell’1:1. Verrebbe
voglia di aprire quello schermo
per dare un po’ di respiro al povero
Steve e infatti Dolan ci accontenta.
L’apertura dello schermo è quanto
di più audace si sia mai visto nel cinema
contemporaneo, è una rottura
degli schemi che Dolan non compie
solo come puro esercizio di stile; anzi,
è carica di un significato profondo,
intrisa di emozioni forti legate
all’apertura di una finestra di felicità
momentanea. Uno spiraglio, quindi,
che non può che durare pochi minuti,
per poi richiudersi rappresentando
l’impossibilità di una felicità
permanente. Steve è una meteora
come lo era stato Antoine Doinel nel
1959. Due ragazzi incompresi da seguire
passo dopo passo, sguardo
dopo sguardo, cercando di capirli e
di proteggerli da una società che li
respinge con dolore. Un film su un
amore materno molto forte, su un legame
indissolubile, che neanche la
malattia di Steve sembra poter scalfire.
Xavier Dolan col suo quinto film
centra un colpo da fenomeno. Vince
il premio della giuria a Cannes e per
135 minuti riesce a farci dimenticare
la differenza fra cinema e vita.
54
MOMMY
A cura di
Giuseppe Fricelli
Concerto in
salotto
Luigi Infantino
Un tenore di vero talento
di Giuseppe Fricelli
Luigi Infantino
Ho avuto modo di apprezzare in varie incisioni discografiche
l’arte canora di questo vero artista. Siciliano
di nascita, Luigi Infantino possedeva tutta la musicalità
ed il sentimento espressivo che quella terra può offrire.
Questo anno ricorrono i cento anni dalla sua nascita. Debuttò a
Parma in Bohème con Renata Tebaldi nella stagione 1944-45.
Da quel momento si esibì senza sosta nei maggiori teatri del
mondo: dal San Carlo di Napoli al Covent Garden di Londra, dal
teatro alla Scala di Milano al City center Theatre di New York
e poi in Australia, Cina, Germania e Russia. Tanti i ruoli da protagonista
da lui interpretati nelle opere di Cilea, Rossini, Verdi,
Puccini, Donizetti ed anche autori moderni come Zafred, Mannino
ed altri importanti compositori. I colleghi con cui cantò
furono la Callas, Bastianini, Valdengo, Barbieri, Tebaldi ed i direttori
d’orchestra Antonio Guarnieri, Victor De Sabata, Tullio
Serafin, Franco Capuana e tanti altri. Nelle incisioni discografiche
di Infantino si apprezza la dizione sempre chiara, il legato
musicale invidiabile, la musicalità vibrante e la padronanza
vocale. Il tenore si sposò nel 1948 con la straordinaria attrice
di prosa Sarah Ferrati, una vera colonna dell’interpretazione
moderna teatrale. Da questo grande amore venne alla luce
Monica, alla quale sono legato da fraterno affetto. Vi invito ad
ascoltare le numerose incisioni di Luigi Infantino che potrete
trovare anche su Internet. Sono sicuro che mi ringrazierete perché
questo artista era un vero sacerdote dell’arte vocale.
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
LUIGI INFANTINO
55
Arte del
vino
A cura di
Paolo Bini
Il Tempio del Brunello, Oro di Montalcino
Testo e foto di Paolo Bini
Un luogo che rende omaggio alle proprie ricchezze e
rappresenta l’unicità di un territorio, la summa della
tradizione, l’unione di risorse e sinergie. Il Complesso
monumentale dell’ex Convento di Sant’Agostino in Montalcino
è diventato da luglio anche “Oro di Montalcino”, un
vertice al centro del paese che unisce l’essenza di una comunità.
Il “Tempio del Brunello” non è un’idea così originale
ma, una volta usciti, rimane l’impressione di un viaggio spazio-tempo
che letteralmente ci investe di storia (dagli Etruschi
al Medioevo), di natura (dal paesaggio ai frutti) ma
soprattutto di cultura ed emozione difficili da dimenticare
tanto è il concentrato di sensazioni che sollecitano la mente.
Pare un trip che sconvolge, ti sballa, ti sbalza e ti lancia, con
ritorno, in pochi metri quadrati dall’odierno all’antico, dall’ipogeo
al cielo, dall’oro al vino, dalla luce al buio, dalle opere trecentesche
alla mobile app, mentre i minuti passano e tu sali
e scendi per le scale attraversando i chiostri del Complesso:
ti fermi, ti lasci suggestionare ma percepisci quella forza interiore
che ti spinge a curiosare oltre. Definitiva rivincita di
chi ha creduto in questo territorio da sempre, l’Oro di Montalcino
con il suo Tempio del Brunello è un “cuore pulsante”
che riceve e pompa l’essenza vitale da e verso i poco più dei
20000 ettari del comprensorio di cui poco meno di un quinto
vitati. Rivederlo così mi ha sinceramente colpito: perfetta
comunque l’idea, ottimi il progetto e la messa in atto di temi
che sapranno folgorare il semplice turista in cerca di cultura,
gusto e valori della tradizione toscana. Dalla chiesa appena
ristrutturata si passa alle sale sotterranee del nuovo Museo
archeologico e si risale ancora verso gli spazi delle Raccolte
Civica e Diocesana che da tempo custodiscono ricche collezioni
di storiche opere d’arte recuperate dai luoghi di culto
dall’antica diocesi. Il chiostro centrale è adibito ai prodotti
e all’artigianato: miele, zafferano, olio e manifatture invitano
all’acquisto e lasciano tirare il fiato prima di scendere gli scalini
della venerazione. L’adorazione al “100% sangiovese” è
Enoteca del Tempio
Il Tempio del Brunello
stata distribuita nel sottosuolo su tre sale dove suoni e colori
armonizzano le informazioni audiovisive in una poesia multisensoriale
fortemente evocativa. Il terreno, la biodiversità, il
clima, il lavoro e il rispetto della tradizione con lucida analisi
delle prospettive, sono quei temi che lasciano nel visitatore
un segno indelebile dell’esperienza e dei valori che il Brunello
rappresenta. Un percorso culturale che si conclude nell’enoteca
per assaggiare i migliori vini di Montalcino guidati da
sommelier professionisti e un sommelier digitale multilingua
attivabile con l’ausilio di app e supporti
informatici per vivere un’esperienza interattiva
e moderna anche in piena autonomia.
Il Tempio del Brunello è dunque
espressione de l’Oro di Montalcino,
un’operazione culturale che raccoglie,
comunica e fa conoscere l’insieme delle
potenzialità espresse da uno dei territori
più apprezzati per vocazione vinicola
e fascino iconico del paesaggio. Con
questo nuovo polo informativo e didattico
alla portata del turista eno-neofita, il
Brunello di Montalcino può auto-dichiararsi
ufficialmente membro primario del
gotha dei vini più importanti al mondo,
senza più alcuna esitazione.
56
TEMPIO DEL BRUNELLO
A cura di
Franco Tozzi
Toscana
a tavola
Un “tegamaccio” di bontà
di Franco Tozzi
Arrivano i primi freddi ed arriva
anche il momento di piatti robusti
per soli intenditori e buongustai.
La tegamata di maiale con le rape è
certamente un piatto assai robusto, una
vera specialità della tradizione gastronomica
toscana e in particolare della tradizione
contadina. Si tratta infatti di una
ricetta tramandata dalle famiglie contadine
della Val di Bisenzio. Dopo aver lavorato
il maiale, gli scarti – che allora
non si buttavano anche perché, macellando
in casa, non c’erano “occhi” indiscreti
a controllare – venivano raccolti
dalla massaia per preparare il cosiddetto
“tegamaccio”. Era una vera e propria
festa, la versione invernale, potremmo
dire, delle consorelle feste della battitura
e/o della vendemmia. Per preparare
il tegamaccio, oggi dobbiamo chiedere
aiuto al macellaio (quello di fiducia,
ovviamente, e non quello della grande
distribuzione con la “ciccia” nella plastica…)
per farci preparare uno spezzatino
con diversi tipi di carne di maiale.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
La ricetta: tegamata di maiale con le rape
Ingredienti per 4 persone:
- 1,200 kg di carne di maiale (costine, scamerita
e rigatino fresco)
- 3 spicchi d’aglio
- ramerino un bel ciuffo
- semi di finocchio
- 1 bicchiere di vino rosso
- abbondante concentrato
di pomodoro
- ½ litro di acqua
- sale
- pepe
- poco olio evo
Rosolare la carne in un tegame, possibilmente di coccio,
con olio abbondante, l’aglio schiacciato e in camicia, i semi
di finocchio, sale e pepe. Quando è ben colorita, aggiungere
un bicchiere di vino rosso, far ritirare, unire la passata di
pomodoro sciolta in acqua calda e far cuocere lentamente
e a lungo finché tutti i pezzi siano ben cotti e morbidi. Completare
il piatto con una padellata di rape precedentemente
lessate e tritate e poi versate nel tegame per farle insaporire
con gli umori della carne. Portare in tavola con pane e vino
a volontà.
UN “TEGAMACCIO” DI BONTÀ
57
Paolo
Morandi
Dialogo con
la materia
Il dubbio, marmo giallo di Siena, m 3
Scultura presentata nel 2019 da Philippe Daverio; la realizzazione ha richiesto dieci anni di lavoro
www.paolomorandi.it
paolo morandi scultore
paolomorandiscultore
I libri del
mese
Stefania Maffei
Poesie come “sentieri di parole”
di Erika Bresci
Se, come suggerisce Stefania Maffei nella sua nota introduttiva,
le parole sono “viatico” che unisce gli uomini
nella condivisione di emozioni, sentimenti, persino
verità, viene anzitutto da chiedersi: dove portano quelle vie,
quali bivi orientano le scelte, quali soste nel cammino è giusto
(o necessità pura) concedersi, con chi – anche se virtualmente
– potremo affrontare il viaggio? Il cammino che qui ci
viene proposto procede su doppio binario: quello della concretezza
e quello del sogno. L’uno non esclude l’altro. Da una
parte, accostamenti sensoriali e contaminazioni sinestetiche
che ci invitano a un dialogo sempre presente e vivo con la natura,
cui ci si riferisce per comprendere, vestiti di metafora, il
mondo e le persone insieme alle quali abbiamo fatto o stiamo
facendo parte del nostro itinerario. “Ora mi manchi come il
vento fra le canne / come il pigolio dei passeri sul pino grande
/ come la frutta vera della campagna / come l’amore
profumato, che m’hai lasciato”: con questi versi
di luminosa grazia si rivolge alla nonna amata la
poetessa nei suoi ricordi. Oppure, per descrivere la
brevità del tempo, la caratura dell’istante che occorre
cogliere e che può nostro malgrado sfuggire se
non siamo attenti, Stefania si affida a un paragone
di grande intensità e altrettanta delicatezza: “Appena
un percettibile abbraccio / tocco lieve di farfalla
/ fermata per un bacio / sulla nuda spalla”. Dall’altra,
Stefania Maffei ci invita ad entrare in un mondo
in cui la linea sulla quale si sofferma l’occhio all’orizzonte
assume le fattezze di una fata Morgana insinuante
e evocatrice, che piega verso un altrove da
immaginare. Atmosfere crepuscolari, che suggeriscono
con sorprendente efficacia il travaglio di un
intimo scavo – “… il bel tramonto rosso / quello coi
tuoi occhi dentro sento”; “dentro quell’ombra stanca /
resta il sogno / in fondo agli occhi celato / dalla speranza
protetto” – ci inabissano in pozzi dove l’acqua
è pura, non contaminata, per farci riemergere da questo
battesimo di senso proprio grazie alla parola, che
è capace di “dire” i sentimenti – “sulle labbra sboccia
una parola / nuova di comprensione” –, riconoscerli,
viverli, condividerli. Lontano dall’accecante sfavillio
della superficialità dominante e becera, che inaridisce
il presente – “Eppure il sole sfacciatamente
sfalda i giorni / il brulichio giulivo, quasi garrulo / mi
disturba l’animo in attesa del nulla”. E questo scrigno,
questo tesoro di pirati custodito in fondo all’anima
è disvelamento improvviso, colto nell’istante
in cui si ha il coraggio di spingersi oltre l’orizzonte,
perché proprio nella curva dietro la quale si apre “un
viaggio in un mondo inusitato / improvvisa, luminosa
s’espande / è l’alba nuova, che non conoscevo…”.
Lasciarsi andare all’altrove, permettere agli occhi di farsi varco,
ponte tra la dimensione esterna delle cose e il battito del
cuore, tra dentro e fuori, ascoltare il vento – così straordinariamente
presente nella raccolta, ora lieve, ora freddo, asciutto,
di tramontana, ora variabile, ora impertinente, ora quasi
una brezza appena percepita – che è come dire ascoltare la
vita che scorre nel suo tempo, vivere il sogno, darsi la possibilità
di immaginare lacerti di speranza, è la conquista della
meta finale, la fine (che è anche inizio) del viaggio. Tanto più
se guardiamo all’anno appena trascorso, all’isolamento imposto,
alla paura, alla sofferenza, allo stravolgimento di tutto
quanto si pensava certo, normale, ovvio. Ma adesso è tempo
di promessa: “Godi, se il vento ch’entra nel pomario / vi rimena
l’ondata della vita”, suggerisce Montale (In limine). E come
dargli torto?
STEFANIA MAFFEI
59
Ritratti
d’artista
Filippo Cianfanelli
Un artista al Polo Nord
di Filippo Cianfanelli
Agosto 2021, Isole Svalbard, 2000 chilometri a nord
di Oslo. Sul rompighiaccio che ci porta verso l’estremo
nord siamo solo una decina di turisti, tutti gli altri
sono ricercatori e fotografi professionisti. Intorno a noi
una natura selvaggia e ostile, con montagne scure screziate
di bianchi nevai; ai loro piedi giganteschi ghiacciai dai colori
inverosimili. Due potenti gommoni a motore ci permettono
di assistere a scene che sembrano uscite da un documentario,
con un orso bianco che uccide un tricheco, volpi artiche
che vanno a caccia sulle scogliere dove si trovano colonie
di decine di migliaia di uccelli marini. La luce del sole ci accompagna
per tutte le 24 ore, talora con cieli smaltati di azzurro
ma più spesso coperti da una densa coltre di nebbia o
da basse nubi biancastre. La notte non esiste, e dopo le 19
il cielo assume i colori del tramonto, mentre le balene passano
vicino alla nave. A bordo tutti sono di vedetta per avvistare
gli animali, io invece mi sistemo in qualche punto più
nascosto per dedicarmi a disegnare con i miei pastelli ad
olio e un album Fabriano fissato su una tavoletta. Erano anni
che non disegnavo con i pastelli dal vero ma quassù ogni
scorcio è per me fonte di ispirazione, i disegni nascono con
magica velocità e anche il personale della nave si interessa
alle mie opere, tanto che i fotografi mi chiedono il permesso
di riprendermi mentre lavoro. Naturalmente mi dedico anche
alla fotografia, altra mia grande passione, ma i soggetti
dei miei scatti sono tutt’altra cosa rispetto ai disegni, e
favoriscono soprattutto i particolari dei grandi ghiacciai o
le scene di vita animale. La nostra avventura ci porta oltre
l’81° parallelo, nella zona dove vennero recuperati, nel 1926,
i superstiti della “tenda rossa” scampati al disastro del dirigibile
Italia al comando del generale Nobile. Il pack, terribile
deserto di ghiaccio, si distende a perdita d’occhio, le
Filippo Cianfanelli intento a disegnare durante il viaggio
lastre di ghiaccio si incastrano fra di loro formando grandi
asperità che rendono la superficie davvero inospitale e
subdola per i crepacci legati al rialzo delle temperature in
estate. Su una grande lastra isolata proviamo l’emozione
Fra i ghiacci (2021), olio su tavola, cm 35x50
Baia del Re (2021), olio su tavola, cm 35x25
60
FILIPPO CIANFANELLI
Sul rompighiaccio (2021), olio su tavola, cm 35x50
Le sette sorelle (2021), olio su tavola, cm 35x50
di camminare sul ghiaccio,
mentre intorno a noi grandi
iceberg azzurri staccatisi
dai ghiacciai si muovono
quasi impercettibilmente e
ogni tanto si capovolgono
con terrificante fragore. Al
ritorno sulla terraferma devo
dire che i ghiacci mi mancano
e li ritrovo nei miei sogni
per parecchi giorni anche a
Firenze. Da qui il desiderio
di ricreare quei ricordi dipingendo
ad olio una prima
scena ripresa dagli appunti
realizzati a pastello. Dopo la
prima, una seconda, una terza
e quasi per incanto nasce
una serie di opere dove la
pennellata si fa sempre più
veloce, i colori sempre più
materici, arrivando in meno
di un mese a fermare sulla
tavoletta i miei ricordi, e soprattutto
le emozioni vissute
davanti a tali meraviglie
della natura. È la prima volta
che realizzo quadri legati ad
esperienze di viaggio, nemmeno
la luce dei deserti e i
colori della savana africana
avevano mai avuto su di me
questo effetto. Queste opere
hanno colori molto diversi
da quelli dei miei tradizionali
paesaggi, dove prevalgono
i colori caldi, ma ci si ritrova
in pieno il mio stile, anche
se l’azzurro ha preso il posto
dell’arancio, grazie alla preparazione
di fondo di colore
rosa che, nei punti dove
affiora fra le pennellate, dà
trasparenza e freschezza ad
ogni opera.
Dal 16 al 28 ottobre, presso la galleria del
Gruppo Donatello in via degli Artisti 2 r a
Firenze, Filippo Cianfanelli terrà una personale
dove esporrà una serie di opere ad olio dedicate
a questa esperienza, accanto agli schizzi originali
realizzati a bordo del rompighiaccio questa estate.
Alcune sue realizzazioni in ceramica, dai colori che
riprendono quelli dell’Artico, verranno esposte per la
prima volta in pubblico. Completeranno la mostra
alcune fotografie naturalistiche scattate durante il
viaggio, oltre ad altre opere ad olio dedicate a paesaggi
toscani.
Filippo Cianfanelli
Studio: via Ciro Menotti 35 / 50136, Firenze
www.filippocianfanelli.com
cianfanelli5@gmail.com
+ 39 330643131
FILIPPO CIANFANELLI
61
Percorsi del gusto
in Toscana
Sapori Pazzaglini
Specialità per il palato a Firenze
di Barbara Santoro / foto Gino Carosella
Conosco Francesco Sapori Pazzaglini da un po’ di tempo
e ne apprezzo la gentilezza d’animo e lo scrupolo
con cui lavora. Abitando nella zona del Salviatino,
ho potuto usufruire durante il lungo periodo del lockdown del
servizio di questo locale aperto recentemente, Sapori Pazzaglini,
un negozio di specialità alimentari in via Francesco Nullo
23. Appena entrati, s’intuisce la qualità dei prodotti esposti
in un bancone protetto da un vetro: vi si trova dal pane fresco
(compreso il famoso pane Verna formato da grani antichi che
deve il suo nome al fatto di essere coltivato nel terreno vicino
all’Eremo della Verna) al pane integrale e di segale, e poi
panini di ogni tipo e schiacciate all’olio di varie forme e misure
anche fatte con farina di riso. Pizze, focacce e torte, semplici
o farcite, che solo a guardarle ti fanno venire l’acquolina
in bocca. Nel frigorifero, sulla destra, c’è una selezione di pasticceria
siciliana come cannoli e cassatine squisite. Sulla
sinistra una vetrina con yogurt, mozzarelle, burrate, mentre
formaggi stagionati e di grotta fanno capolino insieme a salumi
di ogni tipo (salame, prosciutti dolci e saporiti, bresaola
d’anca...) dal bancone principale. In un altro reparto vengono
serviti i piatti pronti preparati dalle abili mani di Loretta
che ogni giorno inventa pietanze succulente per soddisfare il
gusto dei numerosi clienti: zucchine e peperoni ripieni, panzanella,
arancini di riso, insalata di baccalà, lasagne alla bolognese,
insalata fredda di trippa, parmigiana di melanzane,
torte salate di varie forme e condite con verdure di stagione,
e tanto altro ancora. Insomma, c’è solo l’imbarazzo della
scelta e spesso si rimane disorientati davanti a tanta bontà e
qualità. Anche il reparto vini è ben fornito. E poi ancora: pasta,
prodotti sottolio fatti anche a mano, salse e sughi particolari,
marmellate e miele dai sapori variegati. È sufficiente
una telefonata per farsi portare a casa un pranzo completo
o quanto necessario. Si possono ordinare pinse gourmet o
classiche, farcite con tartufo, prosciutto e mascarpone, con
burrata e crema di tartufi, con porchetta e pecorino grigliato,
rucola e pomodori secchi, cipolle caramellate con aggiunta
di burrata o formaggi morbidi. Se poi qualcuno volesse sperimentare
soluzioni alternative o desiderasse provare mescolanze
di vari ingredienti secondo il proprio gusto, questo è il
luogo ideale a cui chiedere e dove trovare anche prezzi vantaggiosi.
In passato, la famiglia Sapori Pazzaglini aveva una
rivendita di carta nella zona di via Aretina. Ora che il secondo
figlio Francesco è un giovanotto, vorrebbero affidare a lui
questo locale e creare un ambiente accogliente per fare ristorazione
di qualità e servizio di catering. Lo spazio, accuratamente
studiato da un architetto, potrebbe essere arredato
con tavolini e sedie di design per trasformarlo in un self service
dove proporre apericena, festeggiare lauree, compleanni
e quant’altro. La qualità e la varietà del cibo offerto sono tali
da rendere difficile resistere alla tentazione di passare tutti i
giorni per portarsi a casa pranzo e cena e deliziarsi con l’assaggio
di queste specialità.
Sapori Pazzaglini
Via Francesco Nullo 23 / Firenze
+ 39 055 2381777
Sapori Pazzaglini Firenze
62 SAPORI PAZZAGLINI
A cura di
Stefano Marucci
Storia delle
religioni
L’albero rovesciato
Un antico simbolo di unione tra cielo e terra
di Stefano Marucci
La pittrice Maria Lorena Pinzauti Zalaffi crea opere
ispirate a temi religiosi come in passato è avvenuto
per tutti quegli artisti che hanno tratto spunto
dal Vangelo, dalla Bibbia o dalla vita dei santi per realizzare
le proprie opere. Il dipinto qui pubblicato s’intitola L’albero
rovesciato e necessita, per essere compreso a fondo,
di ricostruire un po’ la storia e il significato dell’albero che
comincia con il giardino dell’Eden e con il famoso albe-
Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, L’albero rovesciato
ro del bene e del male con cui Eva, cogliendo la mela, dà
inizio alle peripezie dell’uomo. In particolare l’immagine
dell’albero rovesciato è molto antica ed è attestata in diverse
culture tra cui quella indiana, ebraica, iraniana, celtica,
germanica, greca e romana, nelle quali è considerato
in chiave sia religiosa che filosofica e sapienziale. Tradizionalmente
presente nella religione indiana, lo ritroviamo
anche nella cultura ellenica negli scritti di Aristotele e Platone.
Nella tradizione biblica e
in quella cristiana assume uno
specifico significato allegorico
rappresentando la grazia divina
che ha radici in cielo ma produce
frutti sulla terra. L’immagine
è semplice ma carica di significato:
si vuole evidenziare come
l’amorevole presenza di Dio abbia
voluto costruire un ponte tra
cielo e terra. In questo quadro
l’albero, rappresentato con particolari
contrasti, ha radici d’oro
che partono dal cielo per dare
frutti sulla terra. Ci sono molte
citazioni a riguardo come quella
che definisce l’albero come arbor
inversa. Nel XVI secolo, Lorenzo
Ventura scrive: «Le radici
dei suoi elementi sono nell’aria
e le sommità nella terra. E quando
esse vengono estirpate dalla
loro sede, si ode un suono terribile
e segue un grande timore».
Questa frase allude evidentemente
alla mandragora magica
che getta un grido quando, legata
alla coda di un cane nero, viene
strappata alla terra. Anche
nel Gloria mundi c’è scritto che
i filosofi dicevano: «Quod radix
suorum mineralium in aere et
eorumdem caput in terra siet».
Georgius Riplaeus, alchimista
inglese vissuto nel XV secolo,
afferma che l’albero ha le radici
nell’aria, mentre in un altro punto
sostiene che esso affonda le
radici nella terra gloriosa, ossia
nella terra del paradiso o nel futuro
mondo illuminato.
L’ALBERO ROVESCIATO
63
TAMARA ART EVENT
A Florence Biennale una mostra ed un premio per
omaggiare la celebre artista polacca
di Margherita Blonska Ciardi
Autoritratto sulla Bugatti verde (1929)
Il tema dell’eterno femminino, lanciato dagli artisti
dalla XIII edizione della Biennale d’Arte
Contemporanea di Firenze, non poteva essere
meglio rappresentato che dalla figura della celebre
artista polacca Tamara de Lempicka, la quale è
stata non solo una delle più grandi artiste del nostro
tempo, ma anche madre, moglie, amante, sorella
e figlia che ha cercato, come tante altre
donne, di far combaciare tutti questi ruoli dell’universo
femminile. Come sia riuscita a conciliare la
carriera con la vita privata è una domanda alla quale
cercherà di rispondere il Tamara Art Event organizzato
dallo Studio Artemisia in collaborazione
con De Lempicka Estate nell’ambito degli eventi
della XIII edizione della Biennale di Firenze. Per
l’occasione saranno esposte le serigrafie originali
dell’artista polacca e dei finalisti della prima edizione
del Tamara Art Award. L’apertura della mostra
sarà seguita dalla conferenza dedicata alla
grande pittrice per svelare alcune leggende legate
alla sua vita e poter così meglio capire le sue opere.
Ospite d’onore dell’evento la pronipote dell’artista,
Marisa Daporto de Lempicka, che racconterà
alcune curiosità riguardanti questa originale protagonista
degli anni Venti che ancora oggi fa parlare
di sé. Il premio internazionale Tamara Art Award
è un omaggio alla regina dell’Art Decò che è stata
anche stilista, promotrice di glamour e una delle
prime donne ed artiste impegnate nell’emancipazione
femminile. Il celebre quadro Autoritratto in
Bugatti verde rappresenta il motto dipinto di Tamara
de Lempicka, simboleggiando l’affermazione della
libertà e dell’indipendenza della donna moderna. Il premio
Tamara Art Award riprende il tema della Biennale,
l’eterno femminino, per ricordare la personalità dell’artista
polacca, il suo carattere forte e combattivo, la sensualità
e lo charme che le hanno permesso di
conquistare Parigi. Tamara è stata non solo una delle artiste
più importanti delle avanguardie del Novecento ma
è stata anche una personalità carismatica capace di influenzare
le tendenze della moda e lo stile della società
parigina. Questi valori, che oggi sembrano così superficiali,
erano rivoluzionari all’epoca perché facevano capire
alle donne che con la determinazione era possibile
raggiungere il successo. Come prima femminista, Tamara
ha sfidato il mondo maschile sia nel campo dell’arte
che del costume e nello stile di vita. Anche oggi tanti
personaggi dello spettacolo e della moda prendono
spunto dai suoi quadri per conquistare il successo: opere
come Andromeda, Ragazza con il capello e alcuni suoi
ritratti maschili appaiono nei video di Madonna e nelle
campagne pubblicitarie di Dolce e Gabbana. Tanti costumi
di scena e make-up utilizzati da Madonna (la quale,
fra l’altro, è un’appassionata collezionista dei suoi quadri)
e da Lady Gaga sembrano usciti dalle sue tele più famose.
I volti delle donne da lei ritratte, con i loro occhi
seducenti e glaciali, sono allo stesso tempo angelici e
diabolici. Intorno al suo personaggio sono nate tante
leggende e tanti scandali perché Tamara amava far parlare
di sé, lasciando tante cose nel dubbio e vivendo al di
fuori delle regole del bon ton. Abilissima manager di se
stessa, sapeva bene che per vendere i quadri bisognava
suscitare curiosità – oggi diremmo “gossip” – per attirare
l’attenzione della società e commercializzare i propri
lavori. Il primo mistero è legato al suo nome e alla sua data
di nascita, perché Tamara in realtà si chiamava Maria
Gorska ed era nata a Varsavia (all’epoca Principato di
Varsavia, visto che la Polonia era divisa in tre parti inglobate
dalla Germania, Russia ed Austria-Ungheria). Da ra-
64
gazza passava tanto tempo a San Pietroburgo – allora
capitale della cultura europea per eccellenza – dove andava
a trovare la zia materna che lavorava come decoratrice
alla corte dello zar Nicola Romonov. Durante una
festa, incontra l’amore della sua vita, un rampollo ambito
da tutte le teenager della città: il bello e promettente avvocato
Tadeusz Lempicki, dal quale prenderà il nome
Lempicka, aggiungendo successivamente in Francia il
“de” per accentuare la nobile provenienza alla quale teneva
molto. Tra i due scocca la scintilla della passione
che li porta a sposarsi, ad avere una figlia, Kizette, e a
condurre una convivenza tranquilla ed agiata vista la loro
posizione sociale. Purtroppo la vita le riserva una
spiacevole sorpresa: scoppia la rivoluzione bolscevica e
Tadeusz viene arrestato con l’accusa gravissima di collaborazione
con i bianchi (i controrivoluzionari). Tamara
è disperata e per la prima volta usa il proprio fascino per
salvare il marito, facendo “perdere la testa” al console
svedese per ottenere due passaporti stranieri. In questo
modo salva il marito e con tutta la famiglia scappa dalla
Russia. Invece di recarsi a Stoccolma, dove la attende il
diplomatico innamorato di lei, Tamara cambia i propri
piani e va a Parigi. Nella fretta della fuga, i coniugi Lempicki
portano via soltanto alcune valigie, un po’ di denaro,
vestiti da sera e gioielli pensando di dover trascorrere
una lunga vacanza nella capitale francese, almeno fino
Giovane fanciulla con i guanti (1930)
alla fine della rivoluzione. Si stabiliscono nel lussuoso
Hotel Savoy e ogni sera vanno a divertirsi, incontrandosi
spesso con altri aristocratici che come loro sono dovuti
andare via per mettersi in salvo. Le vacanze si allungano
più del previsto e i soldi cominciano a scarseggiare. All’inizio
Tamara vende alcuni gioielli per pagare i debiti, ma
la situazione finanziaria è grave, soprattutto perché Tadeusz,
dopo l’esperienza della prigione in Russia, soffre
di una depressione sempre più acuta e non riesce a trovare
lavoro. Tamara capisce che tocca a lei pensare al
sostentamento della famiglia. Lavora prima come indossatrice
e si ingegna a disegnare cappelli. Si ricorda poi
che una volta era brava a dipingere. Per questo motivo,
con i soldi guadagnati, segue vari corsi di pittura, diventando
in breve tempo la più ambita ritrattista della nobiltà
russa emigrata a Parigi come lei. Arrivano le prime
commissioni sempre più richieste e meglio pagate. Tamara
diventa ricca. Ma il momento cruciale che la porta
alla vera popolarità e la fa diventare regina dei salotti parigini
è la commissione nel 1929 da parte del giornale Die
Dame di una copertina del mensile. Tamara realizza un
proprio autoritratto alla guida della lussuosa Bugatti verde
(mai posseduta) dove esibisce con spavalderia l’immagine
di una donna forte e bella ma soprattutto
emancipata ed indipendente. La de Lempicka non era
molto felice nella vita privata: a causa della rivoluzione
del 1917, aveva perso tutto, casa, genitori, stabilità.
Invece di trovare supporto nella figura del marito si
scontra con la dura vita e si ritrova nel ruolo di unica
nutrice della famiglia. Alla fine Tadeusz la lascia
per un’altra donna, non riuscendo a sopportare la
sua vita mondana e le cene trascorse in compagnia
degli artisti. Tamara stringe amicizia con il
collezionista dei suoi lavori, il barone von Kuffener
(ricco nobile ebreo possidente di terreni e di allevamenti
bovini in Ungheria), e lo sposa in seconde
nozze. Essendo dotata di sesto senso, intuisce l’arrivo
in Europa della tempesta nazista; per questo
convince il marito a vendere (anzi a svendere) tutte
le proprietà e ad emigrare insieme negli Stati Uniti
nell’estate del 1939. La sua vita è stata tormentata
da continui cambiamenti e trasferimenti, ha sempre
dovuto scappare da qualcosa ed aiutare gli altri.
Non scendeva mai a compromessi e
soprattutto non rinunciava mai alla sua libertà personale
e alla dedizione per l’arte. Tra i finalisti del
concorso Tamara Art Award c’è un’importante rappresentanza
di artisti internazionali come la statunitense
Stephanie Holznecht, l’israeliana Michal
Ashkenasi, il polacco decano dell’Università di
Bialystok Ernest Zawada, lo svedese Fredrik Olsen,
l’olandese di origine surinamese Alma Sheik, la lussemburghese
Karin Monschauer, vincitrice del secondo
premio Lorenzo il Magnifico 2017, la polacca
Kinga Lapot Dzierwa e la scultrice olandese
Alexandra Von der Leeuw.
65
TAMARA ART AWARD - I FINALISTI
L’opera Forget me not della pittrice statunitense
Stephanie Holznecht alla finale del concorso
di Margherita Blonska Ciardi
Il quadro dell’astrattista americana Stephanie Holznecht
intitolato Forget me not sarà esposto alla
Biennale di Arte Contemporanea di Firenze presso
la Fortezza da Basso nell’ambito dell’evento Tamara
Art Award. L’opera vuole dare una risposta al tema
dell’eterno femminino lanciato dalla Biennale rappresentando,
con la forza espressiva caratteristica dello
stile della Holznecht, l’eterna lotta delle donne per poter
affermarsi ed esistere nel mondo del lavoro. Anche
se l’artista vive in uno dei paesi più civilizzati al
mondo, la parità tra donne e uomini non è stata ancora
raggiunta. La donna deve sempre “lottare con le
unghie” per ottenere un posto di successo ed è maggiormente
esposta alle ingiustizie e ai soprusi come
il riconoscimento del suo salario che spesso, nonostante
la parità di merito, è sempre molto inferiore
a quello maschile. Per questo motivo, la tela di Holznecht
dal titolo molto evocativo Non ti scordar di me
vuole ricordare che la questione femminile non è stata
risolta. La figura di Tamara de Lempicka può essere
d’esempio essendo una donna che è riuscita ad
affermarsi nel mondo dell’arte non soltanto grazie al
suo talento ma soprattutto perché dotata di un carattere
forte e ribelle e di un’intelligenza brillante che le
hanno permesso di superare tutti gli ostacoli incontrati
nella sua esistenza.
www.sholznecht.com
66
TAMARA ART AWARD - I FINALISTI
La digital art di Karin Monschauer in dialogo con Tamara
alla Fortezza da Basso
di Margherita Blonska Ciardi
La digital art, nella moderna interpretazione
dell’eterna bellezza della Venere di Milo dell’artista
lussemburghese Karin Monschauer, è
presente alla Fortezza da Basso di Firenze accanto
alle serigrafie di Tamara de Lempicka. La questione
dell’eterna bellezza che, come un canone classico,
non muta nel tempo è rappresentata dalle opere
della Monschauer attraverso le tecniche della computer
art e la visione geometrizzata della realtà che
unisce l’arte del ricamo alla matematica. In questa serie
possiamo intuire un chiaro riferimento alla società
contemporanea, abituata a vedere e percepire tutto
interagendo con il mondo virtuale dello schermo sia
del computer che della televisione. Per questo motivo,
la composizione delle sue opere riprende la visione
resa attraverso una griglia che allude ai pixel dello
schermo. Secondo Karin Monschauer, la vera bellezza
è eterna e non passa mai di moda, tramandando l’armonia
matematica delle proporzioni classiche come
la sezione aurea.
www.karinmonschauer.ch
67
CESARE TRIACA
“Eterna Bellezza”
2021
106x76 x cm
olio su tela
www.cesaretriaca.org
ALMA SHEIK
“Odalische”
2021
70x70 x cm
acrilico su tela
www.almasheik.com
KINGA LAPOT DZIERWA
“Eternal Glamour”
2021
43x43 x 83 cm
olio su tela
kdzierwa@op.pl
di Margherita Blonska Ciardi
TAMARA ART AWARD - I FINALISTI
Il messaggio dello svedese Fredrik Olsen contro la
disuguaglianza tra generi
L’opera It’s my life not yours di Fredrik Olsen
esposta alla Biennale di Firenze presso la Fortezza
da Basso accanto i quadri di Tamara de
Lempicka risponde in maniera esplicita al tema dell’eterno
femminino, toccando le tematiche riguardanti
la disuguaglianza fra i generi ancora persistenti nella
società contemporanea. La risposta di Olsen fa
luce sulla sfera intima legata alla sessualità e alla necessità
di ognuno di noi di vivere la vita liberamente
seguendo le proprie scelte senza aver paura di essere
per questo giudicati oppure emarginati, perché si
tratta “della nostra vita e non la vostra”. Grande messaggio
da parte di questo giovane e talentuoso artista
svedese per la difesa della vita privata e della libertà
di amare, trasmesse entrambe sulla tela con spatolate
degli intensi colori dell’arcobaleno, che compongono
la figura dell’uomo dotato del “terzo occhio” quale
segno della sua connessione con il creato. Fredrik Olsen
inaugurerà a febbraio del 2022 una grande mostra
personale al Royal Plaza Hotel di Stoccolma dove
saranno invitati diversi personaggi illustri della Scandinavia.
69
Mauro Mari Maris
La pittura degli stati d’animo
La mia pittura nasce libera e spontanea, a seconda del mio stato d’animo. Sono molto
sensibile ai problemi della nostra epoca e sono apprensivo e protettivo verso le
persone a me vicine. Non sono egoista né geloso e so soffrire in silenzio per i torti
ricevuti dall’egoismo e dalla cattiveria altrui. La pittura e i colori mi danno conforto,
forza e tanta gioia di vivere. Quando dipingo mi dimentico persino di mangiare e mi
sento felice, in uno stato di libertà pura. Nei mie soggetti non cerco il disegno né la
prospettiva nei paesaggi e nelle figure. Sento che la mia vena pittorica è guidata da
una forza superiore che spinge la mia interiorità a miscelare i colori e a costruire le
composizioni con immediatezza e libertà. Spesso rimango sorpreso da quello che ho
dipinto. Le persone mi dicono che nelle mie opere vedono molte cose e mi fa piacere
incontrare il consenso del pubblico. Ma la mia pittura scaturisce da stati d’animo
quotidiani, rappresenta per me una sorta di sfogo e di isolamento da un mondo tanto
caotico, ostile e spesso violento.
Mauro Mari Maris
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
A cura di
Manuela Ambrosini
Di-segni
astrologici
Bilancia
Un segno alla continua ricerca
di armonia ed equilibrio
di Manuela Ambrosini
Nell’eterna ricerca dell’equilibrio, chi si aspetta da te
stabilità e quiete, si sta rivolgendo al segno sbagliato.
Nel mito, il tuo archetipo è Venere, la dea della
bellezza e dell’amore, nessuno la descrive come foriera
di pace, anzi a causa sua, in definitiva, si scatena la guerra
di Troia. Diciamo che hai la caratteristica di portare i valori
dell’essere alla luce, sia quelli più collegati alla materia
che quelli più eterici. Nella versione Venere Pandemia, ella è
la custode della bellezza delle forme e della qualità della vita
sulla terra, nella dimensione celeste, Venere Urania, ispira
alle qualità dell’essere e alla virtù, invitando ad essere d’esempio
nel comportamento e nell’espressione interiore e spirituale
di se stessi. Quanti amori passano tra le braccia della
dea? Infiniti. Questo sta a rappresentare quella eterna ricerca
che, amico/a della Bilancia, tu vivi dentro di te. Vuoi appagare
il senso dell’armonia e per farlo hai bisogno di aggiungere
sempre qualche sfumatura in più alla tua essenza e lo fai attraverso
la relazione. Tu impari a scegliere tramite l’esperienza
con l’altro tu. Come Alice attraverso lo specchio, metti in
scena la tua realtà interiore grazie al rapporto con coloro che
Roberto Brunetti, Allo specchio (dittico), 2 formelle, intarsio ligneo, cm 42×42
Opera acquistabile presso:
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Salvatore Sardisco, Bilancia (2020), linearismo continuo, cm 24x33
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incontri. Poca importanza ha se si tratti di un unico incontro
o di un incontro per la vita, comunque, la natura del tuo segno
è esplorare chi sei attraverso chi hai di fronte. Come in un
gioco di specchi, dove ad essere sotto esame è ogni singolo
dettaglio, quando scorgi una disarmonia ti adoperi immediatamente
per correggere, cambiare, effettuare una scelta
differente. Ecco che diventi maestro/a del cambiamento in
virtù del miglioramento. Fragranze straordinarie, colori incredibili
sulla tavolozza di un artista, essenze di luce multiuniversali
sono tutte ispirazioni che alludono alla complessità
che hai dentro. Ci vogliono anime sensibili per captare quanto
tu sia fragile quando ti esponi e ci vuole molta delicatezza
per incontrarti davvero. L’urto con la realtà non è sempre facile
per te, sei una creatura eterica. Puoi trovarti a confessare
le tue paure solo quando hai completa fiducia in chi ti ascolta
e spesso, dopo averlo fatto, svanisci, poiché fronteggiarlo
di nuovo è come aprire un varco imbarazzante. La soglia
migliore su cui posarti è quella della mediazione, nel terreno
della circostanza esteriore, della cordiale presenza in superficie,
tu eccelli, sia nei modi che nella qualità della seduzione
e nel contatto. Lasciati uno spazio di gioco tra un’avventura
della vita e l’altra, con un po’ di autoriflessione anche gli spigoli
si arrotonderanno.
Astrologa, professional counselor, facilitatrice in costellazioni
familiari, è fondatrice del metodo di crescita personale Oasi di
Luce e insegnante di Hatha Yoga. Vive e lavora a Monsummano
Terme, effettua incontri individuali di lettura del tema natale astrologico
e di counseling ed è insegnante del corso online di astrologia
umanistica Eroi di Luce.
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Manuela coccole per l’anima
BILANCIA
71
Il super tifoso
viola
A cura di
Lucia Petraroli
Roberto Ripa
Propositiva e con una grande motivazione: la Fiorentina secondo
l’ex giocatore e dirigente viola
di Lucia Petraroli
Roberto Ripa ha vissuto la Fiorentina a due facce.
I primi anni da giocatore della rinascita con l’allora
Florentia Viola e il duro cammino nel riportare
la squadra gigliata in A e dall’altra parte l’avventura come
dirigente al seguito della squadra nei fasti degli anni
più belli che culminarono sui campi della Champions
League.
Come giudica questa Fiorentina?
È un giudizio più che positivo. Venivamo da due annate
difficili, il vento che ha portato Italiano ha spazzato via
tutto, adesso c’è una viola che gioca a calcio e che se la
batte con tutte le squadre.
Il tecnico è il valore aggiunto di questa squadra?
Ha dato un’identità diversa alla Fiorentina, propositiva e
che non aspetta l’avversario. Ha inculcato nei suoi giocatori
una grande motivazione, stentiamo a riconoscere
chi già c’era.
Che idea si è fatto della squadra costruita? Chi l’ha impressionata
di più?
Sicuramente il miglior acquisto della serie A quest’anno
lo ha fatto la Fiorentina anche a livello economico
con Nico Gonzalez pagato quasi 40 milioni. Un calciatore
importante che sta dimostrando di fare la differenza.
Aspettavamo un giocatore come Torreira da tempo.
Si sta intraprendendo finalmente un percorso giusto.
Come valuta l’attacco? Manca un vice Vlaovich?
Si può parlare forse di rosa corta visto che oggi vige la
regola dei 5 cambi. La Fiorentina dovrà però giocare solo
in campionato e Coppa Italia quindi credo che essendo
un anno di ricostruzione la viola doveva dimostrare in
primis di aver preso una strada diversa. Giusto gratificare
chi è in rosa, la reputo una squadra completa.
Come valuti la gestione Commisso?
Roberto Ripa in maglia viola
Quali differenze tra questa e la sua Fiorentina?
In questi due anni si è visto ben poco di questa viola,
questo credo sarà l’anno dove potrà partire il vero progetto,
vedi il centro sportivo, ci sono tutti i presupposti.
Non voglio fare paragoni, ci sono analogie e differenze,
fa parte di ogni storia della Fiorentina. Credo che ogni
cambio di società abbia bisogno di tempo per capire il
meccanismo del calcio ma vedo un ottimo futuro.
Il ricordo più bello in maglia viola?
Come giocatore, sono arrivato nell’allora Florentia Viola
in C2. Abbiamo riportato la Fiorentina in serie A, sono
stati anni importanti. Come dirigente, gli anni della
Champions League sono stati i più belli come la vittoria
contro il Liverpool.
Ci sono sicuramente stati degli errori anche a livello di
comunicazione. Due anni di rodaggio sono abbastanza
però. Non bisogna guardare indietro. Bisogna fare fronte
comune tra città rosa e società.
72
ROBERTO RIPA
A cura di
Michele Taccetti
Eccellenze toscane
in Cina
Toscana e Cina più vicine nel
segno del Rotary Fiesole
Il Rotary è un’associazione mondiale di imprenditori e
professionisti, di entrambi i sessi, che prestano servizio
umanitario, che incoraggiano il rispetto di elevati
«principi etici nell’esercizio di ogni professione e che si impegnano
a costruire un mondo di amicizia e di pace». In questa
definizione sono racchiuse le finalità del Rotary, la cui nascita
ufficiale avvenne la sera del 23 febbraio 1905, quando Paul
Harris, allora giovane avvocato di Chicago, si incontrò con tre
amici per discutere un’idea che da tempo lo assillava: dar vita
ad un club di persone di differenti professioni, organizzando
incontri regolari all’insegna dell’amicizia, per trascorrere un
po’ di tempo in compagnia e allargare le conoscenze professionali.
Quella sera, assieme a Paul Harris, c’erano Silvester
Schiele, commerciante di carbone, Gustavus Loehr, ingegnere
minerario, e Hiram Shorey, sarto. Si riunirono presso l’ufficio di
Loehr, in Derarborn Street 127, in un edificio, l’Unity Building,
che esiste ancor oggi a Chicago. Da quella riunione cominciò
a realizzarsi l’idea di un club maschile dove ogni socio rappresentava
la propria professione. Le riunioni si svolgevano settimanalmente,
a turno presso l’ufficio o a casa dei vari soci.
Un sistema di rotazione che aveva lo scopo di far conoscere
a ogni socio l’attività degli altri e che portò poi Harris a chiamare
il suo sodalizio Rotary. Conosciuto nel mondo soprattutto
per essere stato l’artefice della sconfitta della poliomielite,
che gli è valso il seggio permanente come osservatore all’O-
NU, il Rotary ha una sua storia, ha statuti, regolamenti, strutture,
presidenze, distretti e club. Il tutto è molto articolato e
persino complesso, ma al di là di questo, che pur gli dà sostanza
e forza, il Rotary è soprattutto amicizia e servizio. La
base dell’organizzazione è costituita dai club, i cui soci sono
dei professionisti che credono nei valori umani più autentici
ma che, soprattutto, vogliono mettere a disposizione della società
la loro competenza con azioni di servizio e di generosità
attiva. La convivenza nei club, favorita da incontri settimanadi
Michele Taccetti
li e dagli impegni che assieme i soci assumono e realizzano,
alimenta la reciproca conoscenza in un clima di benevolenza;
si generano così, sempre, un gradevole cameratismo e anche
delle relazioni improntate ad una vera amicizia. Essendo un’organizzazione
internazionale, incoraggia il dialogo e la collaborazione
fra club di vari paesi, soprattutto al fine di sviluppare
azioni di service. Il Rotary Fiesole, nato nel 1990, promuove
da sempre service sul territorio e con altri club nel mondo. Ha
concluso ben sei accordi di gemellaggio con Rotary in USA, Argentina,
Spagna, Francia, Scozia e Cina. Proprio quest’ultimo
gemellaggio, avviato con il Rotary Suzhou, può essere annoverato
come un’eccellenza toscana in Cina vista anche la difficoltà
di sviluppare service in paese geopoliticamente lontano.
Decisamente importante è stato il service che ha coinvolto l’ospedale
di Careggi e quello di Suzhou e che ha permesso a
due medici cinesi, specializzati nei trapianti del rene, di svolgere
stage formativi nell’ospedale fiorentino. Nella stessa annata
sono stati realizzati due simposi medici, rispettivamente
a Firenze ed a Suzhou, che hanno visto la partecipazione di
medici di entrambi gli ospedali alla presenza di autorità rotariane.
Il Rotary Fiesole è attivo sul territorio grazie anche ai
buoni rapporti con le istituzioni. Sostiene e promuove le eccellenze
culturali e artistiche locali e partecipa ad azioni di sostegno
dei deboli. Particolare attenzione è rivolta all’istruzione
dei giovani attraverso la creazione di borse di studio per i più
meritevoli. Il supporto alle nuove generazioni è sicuramente
una priorità per il Rotary International, ed il Rotary Fiesole attua
queste direttive grazie al supporto dei propri club Interact
(giovani dai 12 ai 18 anni) e Rotaract (dai 18 anni in su) con i
quali svolge azioni comuni
sul territorio.
www.rotaryfiesole.org
Rotary Fiesole
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
Michele Taccetti
Michele Taccetti
ROTARY
73
B&B Hotels
Italia
L’apertura di un nuovo B&B Hotel
nell’Est Europa
di Chiara Mariani
B&B Hotels, catena internazionale con più di 580 hotel
in Europa e Brasile, approda ufficialmente in una
nuova destinazione oltre i confini nazionali con il B&B
Hotel Budapest City: una struttura completamente smart e
dal respiro internazionale che va ad inserirsi sotto la Business
Unit italiana, insieme con il B&B Hotel Ljubljana Park
in Slovenia. Dotato di 214 camere, alcune delle quali con vista
mozzafiato sulla città e sul Danubio, il nuovo B&B Hotel è
pet friendly e dispone di una terrazza panoramica, un B&Bar
e un B&B Shop, due sale meeting, una fitness room e un garage
sotterraneo con colonnine per la ricarica di auto elettriche.
Tutti questi servizi, uniti ad una posizione strategica,
rendono la struttura la scelta ideale sia per i viaggi leisure
che per quelli di business, con camere a partire da 38€ solo
su hotelbb.com. Il B&B Hotel Budapest City, infatti, è situato
lungo il fiume Danubio, a 1,5 km dal centro città, il quale è
raggiungibile in 10 minuti con i mezzi pubblici o 20 minuti a
piedi. La struttura si trova nel cuore di un quartiere culturale
e universitario in rapido sviluppo, a pochi passi da luoghi
di interesse culturale e architettonico come il mercato centrale,
il Museo Nazionale Ungherese, il Palazzo delle Arti e i
Bagni Gellért. L'aeroporto di Budapest-Ferihegy (BUD) si trova
a soli 25 minuti di auto e la fermata Corvin-Negyed della
metropolitana dista pochi minuti. B&B Hotels assicura a tutti
gli ospiti soggiorni in massima sicurezza, grazie ad un protocollo
operativo di sanificazione dedicato, certificato dal Safety
Label High Quality Anti Covid-19, attuato in tutte le sue
strutture a tutela degli ospiti e dello staff in hotel. A supporto,
sono state individuate 8 Golden Rules Help us Helping
You per assicurare il più alto livello di protezione per tutti.
«Sono molto orgoglioso di entrare in una destinazione come
l’Ungheria, nel cuore della sua capitale con il B&B Hotel Budapest
City. Questo, dopo l’apertura del primo hotel in Slovenia,
il B&B Hotel Ljubljana Park, è uno dei primi step di una
pipeline di nuove aperture che mostra come B&B Hotels abbia
un futuro brillante davanti a sé, in Europa e nel mondo»
dice Valerio Duchini, presidente e amministratore delegato
di B&B Hotels Italia, Slovenia e Ungheria.
In questa e nelle altre foto il B&B Hotel Budapest City
74
B&B HOTEL EST EUROPA
Su B&B Hotels
Destinazioni, design, prezzo. B&B Hotels unisce il calore e
l’attenzione di una gestione di tipo familiare all’offerta tipica
di una grande catena d’alberghi. Un’ospitalità di qualità
a prezzi contenuti e competitivi, senza fronzoli ma con una
forte attenzione ai servizi. Camere dal design moderno e
funzionale con bagno spazioso e soffione XL, Wi-Fi in fibra
fino a 200Mega, TV 43” con canali Sky e satellitari di sport,
cinema e informazione gratuiti. Nei B&B Hotels sono presenti
Smart TV che offrono un servizio di e-concierge per
scoprire la città a 360°.
B&B HOTEL EST EUROPA
75
A tavola
con...
A cura di
Elena Maria Petrini
Gianni Minà
Il “cibo del cuore” di un grande protagonista del giornalismo italiano
di Elena Maria Petrini / foto courtesy Gianni Minà
In questo nuovo appuntamento della rubrica dedicata al
cibo della memoria intervistiamo il giornalista, scrittore,
documentarista e conduttore televisivo Gianni Minà.
È stato direttore del quotidiano Tuttosport e della rivista letteraria
Latinoamerica e tutti i sud del mondo. Ha collaborato
con molti quotidiani e settimanali italiani e stranieri ed
ha realizzato innumerevoli reportage per la Rai, per la quale
ha ideato e condotto diversi programmi televisivi di successo.
Ha intervistato grandi personaggi e protagonisti della
storia contemporanea, sui quali ha anche girato film e lungometraggi.
È inoltre scrittore di numerosi libri, tra cui: Fidel,
Testimoni del tempo, Un mondo migliore è possibile, Il
mio Alì, Politicamente scorretto, un giornalista fuori dal coro.
Tra i suoi ultimi impegni editoriali ricordiamo: Maradona:
«Non sarò mai un uomo comune» / Il calcio al tempo di
Diego (maggio 2021), Così va il mondo / Conversazioni su
giornalismo, potere e libertà scritto insieme a Giuseppe De
Marzo (2017) e Storia di un boxeur latino (2020) racconto di
una vita avventurosa e straordinaria: la sua. Per la sua lunga
e brillante carriera ha ricevuto numerosi riconoscimenti,
tra i quali il Premio Saint Vincent come miglior giornalista
televisivo dell'anno ed il premio alla carriera al Festival del
Cinema di Berlino per la sezione documentari. Nel 2019 gli
è stata conferita la laurea honoris causa dal Centro Sperimentale
di Cinematografia di Roma.
Com’è nata in lei la passione per il suo lavoro?
Fin da bambino seguivo alla radio le radiocronache del Giro
d’Italia e del Giro di Francia: calcolavo i tempi e poi buttavo i
foglietti nel cortile ai miei amici. Abitavo con la mia famiglia
in una casa delle Ferrovie dello Stato, insieme ai miei nonni
paterni.
Quali interviste ricorda con più piacere?
Le prime interviste alla Rai, avevo una ventina d’anni, e poi
quando mi “allenavo” come cronista a Tuttosport, il cui direttore
di allora era Ghirelli. L’intervista a Fidel Castro invece è
stato il coronamento della mia carriera.
Nel corso dei suoi numerosi viaggi in giro per il mondo ha
potuto assaggiare molte preparazioni della cucina locale.
Ce n’è stata qualcuna che l’ha particolarmente colpita?
In realtà, a dispetto della mia pancia, non sono uno che ha
mai amato la cucina. Mi ricordo che da bambino mio padre
mi metteva in castigo perché osavo non mangiare la carne
che lui, durante e dopo la guerra, riusciva a trovare per me e
per mio fratello Enzo. La carne non l’ho mai potuta soppor-
Gianni Minà con l'allora presidente della Repubblica Sandro Pertini mentre riceve
il premio come miglior giornalista dell'anno
tare. Mia nonna, per non farmi andare a letto senza cena, mi
allungava di nascosto pane e formaggio e io all’estero ho
sempre preferito mangiare verdura, pane e formaggio. Ora,
in vecchiaia, sono diventato quasi vegetariano: non mangio
più neanche il pesce, ma solo verdure, alcuni formaggi
e uova.
Quali sono i suoi piatti preferiti? C’è un piatto toscano che
ricorda con piacere?
Il mio piatto della vita sono le polpette di melanzane che
mia nonna e mia madre messinesi mi preparavano e poi anche
la mia tata Maria Gagliarducci, che ha seguito la mia
famiglia fino a tarda età. Ricordo spesso con amore sia lei
che le sue inimitabili polpette. Il primo e unico piatto toscano
che amo e di cui non mi stanco mai è, ovviamente, la ribollita.
Le piace cucinare? E se sì, ha un suo cavallo di battaglia?
No, a dir la verità non so neanche apparecchiare la tavola,
con somma gioia (si fa per dire) di mia moglie. E, va da sé,
neanche cucinare.
76
GIANNI MINÀ
Al ristorante Checco il carrettiere a Roma, Gianni Miná con (da sinistra) Gabriel García Márquez, Sergio Leone, Mohammad Alì e Robert De Niro
Se dovesse descrivere il suo “cibo della memoria” quale ricorda
con più emozione?
Oltre alle polpette di melanzane, il tortino di alici. Io sono nato
a Torino, ma da due genitori che avevano salde radici siciliane.
Mia madre, quando ero triste, mi faceva il tortino di
alici. Era così buono e consolatorio che ho smesso di mangiarlo,
anche se ne ho trovati di squisiti, perché nessuno aveva
il profumo di “quei” tortini di alici.
Ha un ricordo in particolare legato al cibo condiviso con gli
amici o con qualcuno dei personaggi che ha intervistato?
Uno su tutti, la condivisione del cibo in un campo profughi del
Chiapas, insieme a Rigoberta Menchù, Premio Nobel per la
pace 1992. L’avevo voluta seguire in questo viaggio tra la sua
gente perché mi ero appassionato alla sua storia e ci ho voluto
imbastire un documentario. Al seguito, come produttore,
avevo Loredana, la mia assistente che poi è diventata mia
moglie. Lì conobbi la miseria nera che non ha nulla a che fare
con la povertà che noi conosciamo. Questa gente, che non
aveva neanche gli occhi per piangere, volle condividere con
noi il proprio cibo, una brodaglia scura dove ogni tanto emergevano
zampe di gallina. Ma venne in soccorso mia moglie,
che aveva nascosto nei sacchi a pelo scatolette di tonno e
parmigiano per le emergenze. Lei e la troupe mangiarono bevendo
Pepsi Cola perché non si poteva bere neanche l’acqua.
Io non ce la feci.
Ha anche altre passioni?
No. La mia unica vera passione è stato il mio lavoro e gli ho
dedicato tutta la mia vita sacrificando, a volte, i miei affetti.
A febbraio del prossimo anno, prima di passare in TV,
sui canali Rai, uscirà nelle sale cinematografiche il documentario
intitolato Gianni Minà, una vita da giornalista.
Si segnalano inoltre altri due progetti editoriali di
prossima uscita: Bibbia del pugilato e Tutto Fidel Castro.
GIANNI MINÀ
77
Benessere e cura
della persona
A cura di
Antonio Pieri
Tempo di vendemmia e cura del corpo
con il succo d’uva biologico
di Antonio Pieri
Se c’è una ricorrenza che non può mancare ad ottobre
in Toscana è la vendemmia. L’uva viene raccolta dalle
viti e trasformata in vino secondo usanze tramandate
di generazione in generazione: questo non è solamente un
processo meccanico per produrre il vino, in Toscana è una
vera e propria tradizione e l’uva viene trattata come fosse
un gioiello.
Uva: un elemento prezioso
L’uva non è solamente un elemento fondamentale per l’alimentazione
(è ricca di flavonoidi, antiossidanti naturali per
eccellenza, e quercetina, straordinaria fonte di energia) o per
ottenere dell’ottimo vino. Infatti anche in campo cosmetico l’uva
è un vero e proprio toccasana. Possiede molti sali minerali,
in modo particolare potassio, fosforo e ferro ed è anche una
grande riserva di vitamine (C, B1, B2, PP e A). Il succo d’uva
previene l'invecchiamento cutaneo e dona elasticità alla pelle.
Bio Le Veneri di Idea Toscana
Grazie a tutte queste magnifiche proprietà, nasce la linea Bio
Le Veneri di Idea Toscana con succo d’uva biologico composta
da tre bagnoschiuma (pelle secca, pelle delicata, pelle
normale) e tre shampoo (capelli secchi, capelli grassi, capelli
normali). Tutti i prodotti, oltre a possedere le proprietà benefiche
dell’uva, sono privi di SLS/SLES, siliconi, parabeni, oli
minerali, coloranti artificiali e profumi sintetici e sono certificati
organici da Natrue e Bioagricert come prodotti con
il più alto standard nella cosmesi biologica, oltre il 95% bio.
canina e latte di cocco. Setificante, idrata la pelle senza aggredirla
rendendola così liscia come seta.
Bagnoschiuma pelle normale
Rinfresca e idrata la pelle in maniera naturale grazie alla combinazione
del succo d’uva biologico con l’aloe vera biologica.
Shampoo capelli secchi
La combinazione del succo d’uva bio con gli oli biologici di
mandorle e argan rende i capelli morbidi e luminosi detergendoli
con dolcezza.
Shampoo capelli grassi
Gli estratti di menta e rosmarino biologici uniti alle proprietà
del succo d’uva bio riescono a rendere i capelli sani e protetti,
detergendo e purificando la cute in profondità senza essere
aggressivi.
Shampoo capelli normali
Adatto a tutti i tipi di capelli, grazie alle proprietà del succo
biologico d’uva e l’aloe vera bio. Capelli sani e protetti in modo
naturale.
Scegli il prodotto più adatto a te
Bagnoschiuma pelle secca
Grazie al succo d’uva riesce ad alleviare i fastidi provocati da
dermatiti, psoriasi e pruriti. Nutre in profondità e deterge la
pelle secca in modo delicato grazie alla presenza al suo interno
dell’estratto di mandorle dolci.
Bagnoschiuma pelle delicata
Un occhio di riguardo per la pelle delicata grazie alla combinazione
del succo d’uva con estratti di rosa damascena,
Scopri Bio Le Veneri e tutti i prodotti di Idea Toscana nel
nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze o sul
sito www.ideatoscana.it
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
78 SUCCO D’UVA
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www.bancofiorentino.it