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La Toscana nuova - Anno 4 - Numero 10 - Novembre 2021 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
a cura di Marco Gabbuggiani
Un mito di uomo
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Con il MotoGP di Valencia del 14 di novembre 2021 Valentino
Rossi chiuderà la sua dorata epoca di pilota motociclistico.
Credo che mai uno sportivo abbia avuto tanti ammiratori come
lui. Oltre a fotografarlo varie volte durante le gare del Mugello,
sono anche stato a Tavullia a soffrirne la sconfitta che incoronò
Lorenzo campione del mondo nell’agosto 2015 grazie
alla sciagurata antisportività di Marquez. Un’esperienza vissuta
nella bolgia di un paese dove tutto è giallo e dove l’amore
per questo personaggio si sente nell’aria come il profumo della
piadina che pervade le strade del luogo. E allora non potevo
non rendere omaggio ad uno straordinario campione che ha
unito il mondo attorno a sé come nessuno ha mai fatto in altri
sport. Un personaggio che ha colorato di giallo i circuiti di tutto
il mondo persino nel momento in cui non era più all’apice della
sua carriera, come quando, cadendo al primo giro al Mugello
nel 2013, venne costretto a scendere dal camper a suon di acclamazioni
per salire sul podio ed essere applaudito come se
fosse stato lui il vincitore. Queste mie tre foto vogliono essere
quindi un omaggio al grande personaggio e alla sua strepitosa
carriera: un panning ravvicinato scattato poco dopo la San
Donato al Mugello; il suo pubblico che festeggia sotto il podio
dove lui purtroppo non c’è; la cordialità e la simpatia mostrata
verso di me che alla domanda “stretto il casco, eh Vale?”, mi
sento rispondere in dialetto romagnolo “socc’mel se è stretto!”.
Un personaggio che mezzo mondo vorrebbe emulare nella
sua semplicità che fin dall’inizio lo ha visto scrivere accanto
alla chiusura della tuta quel “WLF” che penso ormai sia noto a
tutti. Grazie Vale, ci mancherai!
marco.gabbuggiani@gmail.com
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NOVEMBRE 2021
I QUADRI del mese
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Al Castello di Conversano la retrospettiva omaggio al maestro Luca Alinari
Vizi e virtù della vita in spiaggia nella mostra di Martin Parr a Livorno
Peter Henry Emerson, teorico della “realtà” in fotografia
Luigi Mariani, scultore e artigiano nel segno della tradizione
Il potere della verità nel nuovo romanzo di Maurizio Chinaglia
Piero Crivellari, pittore della complessità del vivere contemporaneo
Curiosità fiorentine: festa della “mortesecca”, l’antica versione di Halloween
Marcellina Ruocco, attrice con la passione “frizzante” per la recitazione
La rappresentazione dell’infinito nelle opere di Maria Paola Spadolini
Il cinema a casa: Si alza il vento, il sogno ad occhi aperti di Hayao Miyazaki
Annalisa Cestelli: riscoprire la natura con l’arte
Eventi in Toscana: a Palazzo Vecchio la Giornata in ricordo delle Vittime della strada
Dimensione salute: una boccata di aria fresca per ritrovare il benessere
Psicologia oggi: le relazioni dipendenti, volto patologico dell’altruismo
I consigli del nutrizionista: dieta mediterranea, patrimonio da riscoprire
Archeologia: il mondo antico in un bicchiere di vino
Luca Panarisi, artista classico e contemporaneo
Gianluigi Balsebre: dalla parola al segno attraverso il colore
Pittura e poesia, espressioni dell’anima per Silvana Fedi
L’armonia delle forme naturali nella pittura di Varren
La voce dei poeti: le liriche di Isabella Cipriani
Il percorso artistico di Mario Bettazzi tra onirismo e concretezza
Tutela dell’ingegno: lo scooter Piaggio copiato dalla Peugeot
Alla scoperta dei territori del mondo con il Movimento Life Beyond Tourism
Mario Aniello: l’anima della natura, la natura dell’anima
I giganti dell’arte: David di Donatello, simbolo della genialità italiana
Paola Parri, pittrice del femminile consapevole e libero da pregiudizi
L’avvocato risponde: violenza di genere, un reato in crescita
Ristorante Cafaggi, un angolo di storia e architettura a Firenze
Concerto in salotto: Gabriel Tacchino, esecutore di talento
La dirompenza del colore nella mostra di Wilma Mangani allo Spazio San Marco
Percorsi d’arte: i musei di San Gimignano, tra vestigia etrusche e arte contemporanea
Elena Galli, pittrice all’insegna dell’ottimismo
Marta Zuccaletti: l’arte di ridare vita agli oggetti
Al Centro Acustico Toscano i rimedi per curare la perdita dell’udito
I’ Bacco Toscano, “tempio” del gusto alle porte di Montespertoli
La personale di Daniela Sangiorgi al Terme Beach Resort di Ravenna
Storia delle religioni: le beatitudini, cammino di elevazione dello spirito
Percorsi trekking in Toscana: arte, natura e benessere in Maremma
Dario Dainelli, da giocatore a dirigente sempre con la viola nel cuore
Di-segni astrologici: Scorpione, segno della sensitività e della percezione profonda
Toscana a tavola: la ricetta di un piatto perfetto per la mezza stagione
Eccellenze in Cina: il XIV Piano Quinquennale, un’opportunità per le aziende italiane
Autunno sul lago con le strutture di B&B Hotels Italia
Intervista a Alberto Lupetti, il guru dello champagne francese
Benessere della persona: i benefici dell’olio extravergine d’oliva toscano
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Martin Parr
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Silvano Silvia
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Atelier
Giuliacarla
Atelier
Cecchi Giuliacarla
Cecchi
Alta Moda
Alta Moda
Concorso Internazionale
Giuliacarla cecchi
13 novembre 2021 - ore 18.00
Giardino dell’Orticoltura, Tepidarium
Ingresso solo su invito confermato e con Green Pass
Presentazione degli outfit dei TOP TEN
il Sistema Copernicano
ultima, inedita, collezione di Pola Cecchi per
GIULIACARLA CECCHI
La serata si concluderà in atelier
con un Convivio Rinascimentale
A cura di
Viktoria Charkina
Incontri con
l’arte
Luca Alinari
Al Castello di Conversano una retrospettiva per omaggiare
uno dei più enigmatici artisti del Novecento italiano
di Viktoria Charkina
Dal 29 ottobre 2021 al 6 gennaio 2022 il Castello di
Conversano ospita la mostra Luca Alinari / Nuove
visioni dall’immaginario colorato, organizzata dal
curatore Donato Mastropasqua e dalla Fondazione D'Arti,
con la collaborazione del Comune di Conversano e della
Pro Loco Conversano, e grazie al supporto dell’Archivio
Alinari. Quest’ultimo è gestito dalla famiglia del maestro,
dalla moglie Ivana e dal figlio Filippo, che hanno prestato
per l’esposizione la maggior parte delle opere che illustrano
come l’artista fiorentino sia sempre stato attento alla diversificazione
dell’uso di materiali, curioso di stili e generi
inediti e stimolato da tecniche pittoriche originali. Dalla continua
sperimentazione e dalle sfide contro se stesso emerge
come Alinari abbia vissuto il suo percorso artistico con
un’assoluta creatività, probabilmente dovuta anche alla voluta
assenza di un’istruzione accademica in ambito pittorico.
Così la raccolta spazia dall’inizio della carriera negli anni
Settanta con le opere pop, attraversa la rappresentazione
delle figure umane ricche di concetti filosofici, si rivolge verso
i paesaggi onirici e infine sfocia nell’ultimo periodo in cui
il maestro si orientò verso l’arte più astratta ed essenziale.
Oltre ad un occhio attento del curatore, che ha individuato i
dipinti capaci di evidenziare la variegata e complessa personalità
del pittore, è molto significativo anche il luogo in
cui si svolge la mostra che sottolinea come l’arte continui
a vivere dopo la scomparsa di un artista, arrivando anche a
Corea (rivisitata), (2015), tecnica mista su tela, cm 80x80, collezione privata
Luca Alinari nello studio con l'opera Corea del 2016 circa
realizzare i suoi sogni incompiuti. Quanto sarebbe stata apprezzata
da Alinari una mostra retrospettiva nella sua amata
Conversano, dove si recava non solo per le esposizioni artistiche
ma anche per gli incontri di amicizia che ricordava
sempre con una vena nostalgica e calorosa! Come quell’ultimo
incontro, in compagnia di discussioni e pensieri sull’arte,
in cui il maestro accennò il suo desiderio di esporre nuovamente
nel comune pugliese. L’ultimo saluto al luogo caro,
espresso tramite i quadri – da sempre il mezzo di comunicazione
prediletto dall’artista –, non avvenne nel momento
pianificato. Prima di concludere l’organizzazione della mostra,
Luca Alinari si spense, ma, grazie all’impegno di persone
vicine, il suo desiderio si è trasformato in realtà con un
progetto definito e valente di riaprire il suo dialogo artistico
nel cuore della cultura pugliese. I dipinti, da sempre contraddistinti
da una continua sperimentazione non soltanto nelle
forme e nei mezzi ma anche nei contenuti, evidenziano l’impossibilità
di racchiudere Alinari all’interno di una corrente
specifica. Tale caratteristica si rispecchia nella scelta di presentarne
l’opera in una mostra retrospettiva, che svela i dubbi,
le proteste, il senso d’incomprensione ma anche i sogni,
la speranza e la spiritualità di uno dei più enigmatici pittori
del Novecento italiano, le cui opere, con delicata pazienza,
ci invitano ad ascoltare il loro racconto.
LUCA ALINARI
7
I grandi della
fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Martin Parr
Fino al 12 dicembre ai Granai di Villa Mimbelli a Livorno gli scatti del celebre fotografo
inglese raccontano con ironia vizi e virtù della vita in spiaggia
di Serafino Fasulo / foto Martin Parr
Èoccorsa tenacia per non rinunciare a questo evento
minacciato dalla pandemia, ma alla fine la Fondazione
Carlo Laviosa ed il Comune di Livorno ce l’hanno
fatta. Riconosciuto come uno dei più grandi fotografi contemporanei,
Martin Parr (classe 1952) propone uno sguardo
per niente omologato di un mondo estremamente omologato.
Da oltre quarant’anni scandaglia fotograficamente le trasformazioni
sociali dell’Inghilterra, suo paese natale, fino ad
estendere il proprio sguardo sul globalizzato Pianeta Terra.
Testimone delle fratture socio-culturali dell’epoca thatcheriana,
dello sviluppo del turismo di massa, dell’avvento del cibo
industriale, dell’omologazione dei comportamenti e degli stili
di vita, Martin Parr racconta con sguardo critico, con ironia
sferzante, senza mai porsi al di sopra di un sistema ma denunciandone
le debolezze delle quali lui stesso è partecipe.
E forse, proprio in questo suo sentirsi partecipe di un mondo
la cui cruda rappresentazione rasenta il sarcasmo ed il
grottesco, sta la chiave del successo di critica, di pubblico
e commerciale. Lui stesso ha spesso posato come soggetto
dei suoi scatti non risparmiandosi un’autoironia che negli
Autoportraits lo colloca come icona al centro di composizioni
vicine ad un gusto nazional-popolare che spesso incontriamo
nelle case, soprattutto in quelle degli anziani, dove il
souvenir è proposto in un mélange che accosta oggetti di disparata
provenienza: ricordi familiari, oggetti da bancarelle,
icone religiose provenienti dai mercati di luoghi sacri, omaggi
floreali e, inevitabilmente, fotografie. Dagli anni Novanta
Parr fa parte della prestigiosa agenzia Magnum, fondata nel
1947 da Robert Capa, Henri Cartier-Bresson, David Seymour,
per citare alcuni dei prestigiosi nomi
che si associarono per difendere i diritti
dei fotografi. L’agenzia conosciuta per
il taglio documentaristico, rappresentato
da generazioni di grandi fotografi
in scatti di un rigoroso bianco e nero,
potrebbe sembrare una casa poco adeguata
ad un autore che ha fatto del colore
saturo, dell’uso del flash in pieno
giorno e del digitale gli strumenti della
sua cifra stilistica. La contraddizione
è solo apparente poiché Martin Parr
è il testimone di una società che si trova
a proprio agio nell’artefatto, nei cibi
che sembrano di plastica, nelle tinte innaturali.
È il reporter di un mondo che
ha sostituito la rappresentazione al paesaggio,
i sogni al concreto, che esalta
il sintetico e che si appresta a respira-
Spain, Benidorm (1997)
Great Britain, Eastboume (1995-1999)
8
MARTIN PARR
re aria confezionata. Parr, testimone
del suo tempo, si iscrive a pieno
titolo nella tradizione della fotografia
documentaria, con uno scarto,
spesso assente anche nei grandi
fotoreporter del passato, che lo
pone come osservatore e osservato,
dietro e davanti all’obiettivo.
Apocalittico e integrato, giudice e
imputato, coglie le debolezze della
contemporaneità ma ravvisa
anche i pregi dell’evoluzione scientifica,
annaffiando il tutto con una
dose di humor carico di pietas che
scaturisce dal sentirsi parte di un
“Truman show” al quale partecipa
divertito e inorridito. I soggetti trattati
non raccontano teatri di guerra,
né flussi migratori né catastrofi naturali,
soggetti cari a reporter che Belgium, Knokke (2001)
si muovono tra fotografia testimoniale
e autoriale. Parr è il cronista di una visione in cui
l’elemento quotidiano mette in relazione le classi sociali, il
triviale che accomuna i ceti e che si esalta nell’utilizzo del
tempo libero con i cliché che il consumismo impone, segni di
un’umanità ammantata di orpelli spesso volgari, ridicoli, un’umanità
che crea la caricatura di se stessa e che si libera nella
nudità estiva su spiagge che ancor prima degli abiti spogliano
del pudore. Life’s a beach, la vita come spiaggia esplode
l’estate quando i corpi si sgangherano in posizioni impensabili
in interni o in orari lavorativi. La “vita in mutande” ammette
le bizzarrie, svela i segreti taciuti dagli abiti e li trasforma
in ostentazione e posture che si arricchiscono di addobbi:
cappelli, occhiali, bandane, pareo, trucco, bibite colorate e
quant’altro permetta di concepire il tempo libero come momento
di perdita del controllo e della misura. Se la fotografia
si può intendere come specchio della realtà, la mostra Life’s a
Beach trova in Livorno una tessera mancante o meglio un’immagine
mancante. È in estate che lo spirito “anarchico” della
nostra città si esalta. Più volte ho osservato la traslazione
che il corpo di noi livornesi assume nei mesi estivi: il bacino
si sposta in avanti di circa 15°, i piedi si aprono “10’ alle
2” e si trascinano in quella che è la camminata da scoglio o
meglio da cemento, da stabilimento balneare. L’incontro tra
la fotografia di Martin Parr e Livorno può essere origine di
sinapsi scoppiettanti poiché raramente, quella che per molti
mesi all’anno diventa una città spiaggia, nel pur variegato
excursus delle “Martin’s beach”, contiene al tempo stesso la
capacità di porsi e di guardarsi, di essere in scena e in platea,
di essere testo e critica, attori e spettatori in un doppio ruolo
dal quale scaturisce una dose di autoironia rara da riscontrarsi
ad altre latitudini. L’ironia di chi sa bene che la vita è una
“bitch”. I livornesi sono un po’ tutti Martin Parr.
Great Britain, Kent Margate (1986)
MARTIN PARR
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Spunti di critica
fotografica
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Peter Henry Emerson
Teorico della “realtà” in fotografia
di Nicola Crisci
Nato a Cuba nel 1856 da madre britannica e padre
americano, Peter Henry Emerson è stato l’ideatore
della teoria estetica chiamata “fotografia naturalistica”.
Formatosi come medico, acquistò la sua prima macchina
fotografica nel 1882 e trascorse gli anni successivi
conducendo uno studio antropologico sui contadini e sui
pescatori dell’East Anglia. Queste fotografie, pubblicate in
libri come Life and Landscape on the Norfolk Broads (1886)
e Pictures of East Anglian Life (1888), sono una preziosa
documentazione della vita rurale inglese alla fine del XIX
secolo. Dal 1885 espose le sue opere e vinse numerosi premi.
Convinto che la fotografia fosse un mezzo di espressione
artistica superiore a tutti gli altri media grafici in bianco
e nero perché riproduce la luce, i toni e le trame della natura
con una fedeltà senza pari, si iscrisse al Linked Ring,
creato da Henry Peach Robinson proprio per difendere e
diffondere la fotografia come forma d’arte attraverso il movimento
del Pittorialismo. Ma proprio in contrapposizione
alle metodologie pittorialiste, che imitavano i dipinti di
genere sentimentale, nel suo manuale Naturalistic Photography
del 1889, Emerson delineò il sistema estetico della
cosiddetta “fotografia naturalistica” ovvero un tipo di foto-
River Blyth (1888)
Confessions (1887)
Gathering Waterlilies (1885)
grafia diretta e semplice, con persone reali
inquadrate nel loro ambiente di vita e non
modelli in costume posti davanti a fondali
falsi o altre formule predeterminate. Nonostante
questo libro fosse molto convincente,
nel 1891 il fotografo britannico pubblicò
un altro opuscolo, The Death of Naturalistic
Photography, in cui ritrattò le proprie opinioni
sulla fotografia. Le sue teorie iniziali
si rivelarono comunque influenti per la fotografia
del XX secolo, fissando i presupposti
di quella che sarebbe poi diventata
la Straight Photography. Emerson, deceduto
nel 1936, è stato anche uno scopritore
di talenti come Alfred Stieglitz, che divenne
famoso anche grazie ad un premio da
lui assegnatogli nell’ambito di un concorso,
e Julia Margaret Cameron, sulla quale
ha scritto un libro.
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Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
The Old Order and the New (1885)
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PETER HENRY EMERSON
Ritratti
d’artista
Luigi Mariani
Scultore e artigiano nel segno della tradizione della
terracotta dell'Impruneta
di Maria Grazia Dainelli / foto Carlo Midollini
La lavorazione della terracotta dell’Impruneta risale
agli Etruschi. Durante il Rinascimento molti artisti
la utilizzarono per realizzare le loro opere, come ad
esempio Filippo Brunelleschi, che se ne avvalse per costruire
la cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore a Firenze, e
i Della Robbia, che realizzarono opere incredibili grazie alla lavorazione
di questo materiale pregiato. Una grande e secolare
tradizione nella quale si colloca l’attività di Luigi Mariani, scultore
e artigiano imprunetino che nell’antica fornace M.I.T.A.L.,
di proprietà della sua famiglia, realizza manufatti di alto pregio
sia per l’arredamento che per il giardinaggio con una linea
classica ed elegante adatta ai più svariati contesti. Grazie alla
sua fantasia, all’abilità e all’originale vena artistica, Luigi ha
contribuito a valorizzare questa nobile e antica lavorazione,
eseguendo anche sculture come il monumento in cotto L’uomo
e il sogno dedicato all’artista suo amico Giuliano Ghelli per
omaggiarne la memoria dopo la scomparsa. Situata nel comune
di San Casciano, in una rotatoria tra viale Corsini e via Cassia,
l’opera, inaugurata nel 2017 alla presenza delle istituzioni
locali, celebra l’uomo e l’artista Ghelli attraverso i simboli del
suo immaginario pittorico e il richiamo alla forza creatrice della
fantasia. Ancora prima, nel 2015, in occasione della visita
di Papa Francesco a Firenze, Luigi ha donato al pontefice una
statua di San Francesco da lui ideata e realizzata con la sensibilità
che lo contraddistingue. Il progetto che più lo ha appassionato
e coinvolto negli anni è stato il presepe in terracotta
con figure a grandezza naturale eseguito su richiesta di don
Luigi Oropallo per la basilica di Santa Maria all’Impruneta e
donato dall’artista al santuario mariano. Tra tutti i personaggi,
Mariani ha posto particolare attenzione al volto della Madonna,
per il quale si è ispirato alla figura della madre scomparsa.
Il presepe di Luigi Mariani in Piazza del Duomo a Firenze
Un busto ritratto della moglie Rossana
Il pastore realizzato sulla base di un autoritratto dello scultore
In seguito alla pubblicazione dell’opera sui biglietti per i festeggiamenti
del sessantesimo anniversario di sacerdozio di
don Vasco Bianchini, il presepe ha riscosso numerosi apprezzamenti
da parte della curia fiorentina, tanto che il cardinal
Betori ha chiesto all’artista di realizzarne un altro da esporre
sul sagrato della cattedrale fiorentina. Insieme alla Sacra Famiglia,
Luigi ha eseguito anche il bue e l’asinello, aggiungendo
ad ogni Natale un nuovo personaggio, inclusa la figura di
una pastorella con le sembianze della moglie dell’artista, Rossana,
per ricordarla dopo la sua improvvisa scomparsa. «Ho
avuto questa intuizione – afferma lo scultore – spinto dalla
sofferenza per la perdita di mia moglie; quelli
che la conoscevano hanno subito notato la somiglianza
della pastorella con il suo volto. Non
è stato solo un omaggio a lei ma anche un regalo
a me stesso. La creazione dell’opera è iniziata
subito dopo la sua scomparsa ed è durata molti
mesi poiché avevo sempre qualcosa da ritoccare
essendo molto difficile plasmare il volto della
persona amata con l’argilla ed essere soddisfatto
del risultato. Il sorriso splendente di Rossana
adesso illumina piazza Duomo a Firenze, pronto
a scaldare il cuore di chiunque incroci il suo
sguardo». E proprio per sottolineare ancora di
più il legame con l’amata congiunta, da quest’anno
Luigi aggiungerà al presepe un pastore modellato
sulla base di un suo autoritratto: un modo
in più per stare vicino alla sua Rossana.
LUIGI MARIANI
11
Cinzia Pistolesi
L'automa
www.cinziapistolesi.com
I libri del
mese
L’ultima maschera
Il nuovo romanzo di Maurizio Chinaglia
sul potere della verità
di Serena Gelli
Maurizio Chinaglia
S’intitola L’ultima maschera il nuovo romanzo dello
scrittore certaldese Maurizio Chinaglia, pubblicato
nel 2021 dalla Società Editrice Fiorentina. È una
sequenza di sette storie raccontate da altrettante donne
che si confrontano e si confidano con Giovanni, capace di
ascoltare e di aiutarle a gettare, una dopo l’altra, le loro maschere.
Giovanni è un uomo empatico e amorevole capace
di suscitare in queste donne riflessioni e risposte interiori.
Cosa non facile per lui: è pur
sempre un uomo. «L’ultima maschera
– spiega l’autore – nasce
dalla mia necessità di capire se
c’è un momento di verità e quindi
se si riesce davvero a essere
sinceri con noi stessi». Si tratta
del secondo romanzo di Chinaglia,
autore, già circa otto anni
fa, de La scelta, in cui, come
suggerisce il titolo, descrive la
scelta non facile di un brillante
professore cinquantenne di vivere
una travolgente passione per
Paola, una donna più giovane di
lui. Nella scelta del protagonista
influisce anche la figura di Giulia,
una monaca di clausura sua
guida spirituale, proprio come
Beata Giulia della Rena probabilmente
lo fu nel Trecento per
l’autore del Decamerone Giovanni
Boccaccio. Chinaglia ha poi
pubblicato il romanzo L’amore
non basta, dove racconta l’esistenza
di molti tipi di amore: tra
moglie e marito, tra due amanti,
tra madre e figlio, tra due amici.
In cantiere ha ancora molti progetti,
alcuni interrotti a causa
della pandemia, come lui stesso
spiega: «Spero di riprendere
a pieno regime le presentazioni
de L’ultima maschera che ho dovuto
sospendere nei lunghi mesi
del lockdown. E poi vorrei ancora
continuare a scrivere per trasportare
il lettore sull’onda delle
mie emozioni».
L’ULTIMA MASCHERA
13
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Piero Crivellari
Racconti sulla complessità del vivere contemporaneo
di Daniela Pronestì
Dipingere il mondo contemporaneo procedendo per
astrazioni, ovvero per “estrapolazioni” di frammenti
– dinamiche sociali, gesti e rituali – che insieme
compongono come tessere di un mosaico l’odierno paesaggio
antropico. È così che Piero Crivellari pratica l’astrazione
pur rimanendo un artista figurativo. Nel suo caso, infatti, il
processo astrattivo consiste nel rilevamento delle convenzioni
alla base dell’esperienza percettiva, e quindi del modo
in cui linee, forme e colori orientano lo sguardo nell’interpretazione
della realtà. Un’operazione concettuale tradotta
in immagini caratterizzate da campiture piatte, mancanza
di profondità prospettica e contorni marcati, con l’intento
manifesto di far vivere gli elementi visivi legandoli alla superficie
del quadro, all’immediata percepibilità della griglia
entro la quale persone e cose appaiono incastonate. Un effetto
ottenuto semplificando al massimo il rapporto tra figura
e sfondo, quest’ultimo concepito come una lastra che
se da un lato accentua il risalto grafico dei soggetti rappresentati,
dall’altro sembra esserne la matrice. La scelta di un
fondale nero suggerisce infatti l’idea di uno spazio mentale
dal quale affiorano scampoli di realtà interiorizzata, vi-
Shopper (2020), acrilico su tela, cm 80x60
sioni acquisite nel profondo e restituite all’esterno soltanto
dopo averne estratto i valori estetico-simbolici. Insieme alla
fascinazione verso una pittura che strizza l’occhio all’astrazione
facendo leva sull’ambiguità di figure inquadrate
Discussione (2021), acrilico su tela, cm 60x80
Al mercato (2021), acrilico su tela, cm 80x60
14 PIERO CRIVELLARI
La banda musicale (2021), olio su cartoncino, cm 67x85
Gemelle al mare (2021), acrilico su tela, cm 50x50
in un contesto per niente naturalistico, si avverte
la volontà dell’artista di segnalare la presenza
nel quadro di significati che eccedono gli
scampoli di realtà raffigurati, offrendosi come
indizi di verità nascoste dietro la ritualità del
vivere quotidiano. Decontestualizzare il soggetto
ed inserirlo entro una schema compositivo
semplificato – poche linee a racchiudere
il volto, zone colorate al posto del tradizionale
chiaroscuro, piani sovrapposti anziché proiettati
in profondità – corrisponde, per quanto
riguarda il contenuto, a svuotare il campo visivo
dalle sovrastrutture che regolano la cultura
dell’immagine nella società contemporanea, richiamando
così la nostra attenzione su particolari
altrimenti destinati a perdersi nel caos
degli stimoli percettivi di cui fruiamo costantemente.
In questo modo, lo sguardo è messo
nella condizione di cogliere aspetti che, all’apparenza
secondari, assumono invece un forte
valore espressivo, come tutto ciò che riguarda,
ad esempio, il linguaggio dei gesti nelle relazioni
umane, i canali di comunicazione o viceversa
le situazioni di incomunicabilità che spesso
accompagnano i ritmi della vita moderna. Nella
folla senza volto che popola il paesaggio urbano,
Crivellari individua gruppi di persone intente
a svolgere semplici azioni quotidiane: turisti
seduti su di una panchina, donne al mercato,
artisti di strada, viaggiatori in metropolitana.
Quella che emerge, in tutti questi casi, non è
l’individualità della singola persona, e quindi il
modo di stare al mondo di ciascuno, ma la necessità
di allinearsi ad una condizione esistenziale
imposta dall’esterno, dai riti collettivi, dal
tran-tran giornaliero del lavoro, dei consumi,
dello svago. In altre parole, mettere in secondo
piano sogni, desideri e bisogni identitari per
farsi assorbire dal flusso incessante del mondo
globalizzato. Ecco perché in questi dipinti
si vedono figure umane e non individui, sagome
di persone anziché persone vere e proprie, ad
indicare, appunto, l’annichilimento dell’identità
nel conformismo del vivere contemporaneo.
Eppure, persino in uno scenario così poco confortante,
sopravvivono ritagli di bellezza: nella
trama fiorita di un vestito, nei colori abbaglianti
di un oggetto, nella grazia di un gesto femminile.
Pochi ma significativi dettagli chiamati ad
incarnare una speranza per il mondo nascosta
nel cuore autentico di un’opera d’arte.
www.pierocrivellari.it
Piero Crivellari
Le opere di Piero Crivellari sono in vendita sul sito
della galleria Artistikamente di Pistoia
www.artistikamente.net
PIERO CRIVELLARI
15
Paolo Pastacaldi, Il cigno (2018), olio su tela, cm 40x60
Paolo
Pastacaldi
e
Antonella
Nannicini
Antonella Nannicini, Ninfa (2021), grès smaltato e vetro, altezza cm 50
Pittura e scultura in dialogo
Paolo Pastacaldi
+ 39 339 3461307
Arcantarte
+ 39 320 2251213
www.antonellanannicini.it
Antonella Nannicini, Panta Rei (2021), grès smaltato e vetro, altezza cm 35
Paolo Pastacaldi, Albero intrecciato (2019), olio su tela, cm 50x60
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
Curiosità storiche
fiorentine
Festa della “mortesecca”
L’antica versione italiana di Halloween
di Luciano e Ricciardo Artusi
Al giorno d’oggi grandi e piccini usano “festeggiare” il
31 ottobre una ricorrenza “tutta americana” dal nome
Halloween animata da una zucca simboleggiante un
teschio, folletti, streghe e morti viventi. Una festa abbondantemente
preceduta da quella della nostra campagna, rimasta
in auge fino alla metà del secolo scorso, con la protagonista in
ambo i casi di una zucca arrangiata a teschio. I ragazzi per realizzare
la “mortesecca” prendevano una grossa zucca gialla e,
dopo averla vuotata sapientemente con un cucchiaio, incidevano
le fessure del naso e degli occhi, cercando di realizzarli
il più possibilmente malvagi, facendo la bocca con denti aguzzi
per renderle più spaventose, trasformazioni che teneva a lungo
occupati i giovani “scultori”. Ad opera conclusa vi mettevano
all’interno un lumino di cera che veniva acceso; poi, chiudendo
porte e finestre e ottenuta piena oscurità, potevano giudicare
se il teschio aveva raggiunto veramente l’effetto spettrale desiderato.
Dopo la cena, tutte le mortesecche venivano portate
sulla strada maestra dai ragazzi, con una sorta di processione
formata dai grandicelli ma anche da quelli più piccoli, dove
le zucche venivano sistemate in bella vista fra i cipressi, fuori
dell’orto, in giardino, su muretti o sui davanzali delle abitazioni
e, tanto per rendere la scena più macabra possibile, improvvisavano
anche strani rumori di catene, ululati e grida per spaventarsi
a vicenda. Ovviamente la paura in genere era quella
provocata sui più piccoli e sulle bambine, vittime preferite degli
scherzi; era uso cantare anche una filastrocca scaccia-paura
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
dall’incerto significato: «Morte Secca rimbombona, ha impegnato
anche la corona!». Risate fresche e piene di felicità fanciullesca
fino a tarda notte, poi tutti a letto sotto le lenzuola che
la brace dello scaldino appeso al trabiccolo aveva reso caldissime
e accoglienti. Dopo i timori e le chiassose risate della notte,
al mattino, quando i crinali dei poggi erano dipinti di rosa,
lo spettacolo dei teschi protagonisti delle tenebre era divenuto
dimesso e malinconico, poiché le zucche annerite dal fumo
dei lumini e un po’ cotte dal calore della tremolante fiammella
si erano afflosciate e raggrinzite su sé stesse, mostrando palesemente
che la “morte” era stata beffeggiata e il divertimento
terminato. Questo, in sintesi, lo spassoso gioco dei ragazzi,
ma la fiammella accesa nella zucca della mortesecca, quale festa
sentita dalla buona gente adulta, aveva l’arcano significato
di indicare ai morti la strada delle case che avevano abitato in
vita, dove avrebbero trovato, vicino al focolare, del cibo e del vino
per accoglierli. Infatti, secondo la tradizione, in quella notte
le anime dei defunti sarebbero tornate sulla terra a voler continuare
il dialogo fra chi ancora respirava e chi vagava in forma
d’anima. La festività della “mortesecca” approdò anche a Firenze
ma non diffusamente come nelle campagne, poiché in città
era molto più radicato l’uso di festeggiare la ricorrenza dei due
giorni dopo: Ognissanti e la Festa dei defunti. Non a caso i festeggiamenti
del 31 ottobre e del 2 novembre andavano di pari
passo con un appuntamento fondamentale per il calendario
agricolo: la semina del grano. Il grano, per garantire la sua fertilità,
lo si seminava possibilmente il giorno dedicato ai defunti,
ovvero il 2 novembre. Tanto il grano appena seminato e i morti
avevano in comune due cose molto importanti: la terra che li
accoglieva e la speranza di nascere e rinascere. Con la semina
il chicco doveva attraversare il gelido inverno prima di germogliare,
per cui si ricorreva all’aiuto dei morti affinché vigilassero
su di esso. In cambio, i vivi facevano visita alle tombe lasciandovi
un fiore e un lumino. In questa altalena di sacro e profano
siamo arrivati ad oggi, dimenticando quasi del tutto la nostrana
origine di quella antica usanza aggregativa di grandi e piccini,
ma ciò non toglie che il ricordo ne tramandi la memoria.
FESTA DELLA “MORTESECCA”
17
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Marcellina Ruocco
Dal teatro al cinema, il percorso di un’artista con la passione
“frizzante” per la recitazione
di Doretta Boretti / foto courtesy Marcellina Ruocco
Ci troviamo in compagnia di un’artista nella cui persona
convivono la cultura pugliese da parte di padre,
quella slava da parte di madre e quella toscana
perché nata e vissuta a Firenze, con una breve ma importante
parentesi di vita a Trieste. Le sue esperienze artistiche
sono molteplici: teatro, cinema, radiofonia, scrittura e
insegnamento. Molto versatile nei generi, dal drammatico
al brillante, tendenzialmente comico, Marcellina Ruocco ha
avuto numerosi rapporti professionali con registi anche di
fama internazionale. Quando la incontri sembra proprio una
“prima donna”, ma poi, parlandoci, appare una persona disponibile,
molto socievole e, come lei stessa si definisce,
una persona “tragicomica”.
Marcellina Ruocco è il nome vero. Hai mai sentito l’esigenza
di modificarlo per l’attività artistica?
No, non mi è mai interessato modificare il mio nome. Perché
poi lo avrei dovuto fare? Non andavo mica a rubare.
Sei stata diretta da molti registi. Ce n’è qualcuno che ricordi
con piacere?
Quando lavoravo in Rai, ricordo Umberto Benedetto, un regista
che si era formato alla vecchia scuola e che chiedeva
il massimo, ma dava anche molto. Nel teatro, penso a
Nino Mangano, brillante, simpatico e bravo regista. Nel cinema,
a Mario Monicelli, di cui rimpiango la grande capacità
registica e l’inaspettata tenerezza paterna nei miei
confronti. E poi Franco Zeffirelli, grande maestro che aveva
la non comune capacità di spiegare all’attore cosa volesse
da lui. Ho un ricordo personale di Zeffirelli: con mio
In questa e nelle altre foto Marcellina Ruocco in vari momenti della sua carriera
grande stupore e soddisfazione, durante la lavorazione a
Firenze del suo film Un tè con Mussolini, dopo aver girato
una scena importante e difficile, mi si avvicinò e mi disse:
«Sei davvero brava!».
Hai iniziato a lavorare nel cinema in età matura. Come mai
non lo hai fatto prima?
Perché per diversi anni ho vissuto con passione e con gioia
il lavoro di fare “la mamma”.
So che sei anche pedagogista. È vero che se si soffre per
amore o per altre cause, il recitare aiuta?
Moltissimo. Ci sono mille perché. Uno fra tutti: nella finzione
scenica, l’attore può “raccontare” il dolore anche attingendo
dal proprio dolore, che non sempre si ha il coraggio
di palesare agli altri.
18
MARCELLINA RUOCCO
Quando un artista diventa adulto conserva il desiderio di recitare
parti giovanili o con il tempo passa?
Quando un artista diventa “adulto”, con le esperienze umane
di una persona adulta, a volte pensa che in un ruolo giovanile
avrebbe tanto di più da dare. Ma il teatro non è per chi lo fa
ma per chi lo vede, e il pubblico vuole una Giulietta giovane e
una Medea matura. Se tu attrice ami veramente il teatro, comprendi
che stai sulla scena in funzione del pubblico. A volte ho
pensato che con l’esperienza di vita che ho adesso sarei una
meravigliosa Giulietta… Ma questi sono
fatti miei.
Si può vivere di “rendita di applausi”
oppure è un bacino, quello, che si
svuota e che ha bisogno di essere riempito?
Qualche volta mi manca il palcoscenico.
Questo periodo di pandemia,
poi, è stato un momento molto difficile
per noi artisti. Ma per me non è
una tragedia. Aprendo la porta di casa
ci sono delle felicità nel creato che
ti illuminano l’anima: un abbraccio,
un bacio, il sorgere del sole al mattino,
l’essere diventata nonna, proprio
in questo momento. Se voi sapeste
quanto teatro ho desiderio di fare al
mio nipotino...
Numerosi artisti continuano a recitare
fino ad età avanzata. Tu hai,
davanti a te, diversi anni da donare
al pubblico che ti ama. Viste le riaperture
del mese di ottobre, immagino
sia tornata in te quella voglia
frizzante di recitare. E se sì, che
cosa hai in programma per i prossimi
mesi?
Intanto un libro, scritto a due mani,
del quale adesso non voglio svelare
niente. Poi sto preparandomi per una
lettura scenica, nel Salone dei Cinquecento
in Palazzo Vecchio, domenica
21 novembre alle ore 10, e successivamente
prenderò parte ad un progetto
per i settecento anni dalla morte di
Dante. Quindi, sì, come vedi, ho ancora
quella voglia “frizzante” di recitare.
MARCELLINA RUOCCO
19
Maria Paola Spadolini
Dissonanze, olio su tela, cm 50x50
Equilibrio, olio su tela, cm 50x70
Sul filo dell'acqua, olio su tela, cm 50x70
Profondo rosso, olio su tela, cm 50x50
mariapaola.s@alice.it
Ritratti
d’artista
Maria Paola Spadolini
Una rappresentazione silenziosa e meditata dell’infinito
di Jacopo Chiostri
C’è nella pittura di Maria Paola Spadolini, artista fiorentina,
una rappresentazione silenziosa e meditata dell’infinito
che si riverbera in paesaggi, creature, profusione
di luce e piccoli oggetti che sono i suoi soggetti: mondi che tutti
noi abbiamo intorno, per lo più senza curarcene o accorgercene
e che, nei dipinti della Spadolini, assumono un ruolo ed una
significazione pari all’infinitamente grande, con uguale dignità,
pur senza modificarne la sostanza. Come a dire che l’universo,
che rimane un’immensa domanda, è attorno a noi e dentro
di noi se sappiamo vedere, concetto che quest’artista ci ricorda
per tramite della sua pittura. Nata a Firenze, dove vive, Maria
Paola Spadolini ha lavorato come grafica pubblicitaria con importanti
agenzie nazionali. Con la pittura ha un rapporto piuttosto
recente intrapreso dopo aver frequentato corsi di disegno
animato, modellato, acquerello, disegno e pittura a olio e con
gli insegnamenti ricevuti nello studio del pittore Nazareno Malinconi.
I suoi primi lavori erano marine e in genere paesaggi,
con un occhio di riguardo a quella forma essenziale di vita che
sono gli alberi, poi piccoli animali – esseri che la vita la rappresentano
– i fiori, che riuniscono forma e colore ma anche
raccontano, simbolicamente, di stati d’animo, e infine un guazzabuglio
di oggetti, vasi, strumenti musicali, pupazzi, libri, soprattutto
libri, assemblati assieme in un sapiente gioco di pesi
e contrappesi in una composizione minuziosa che sembra dover
mutare da un momento all’altro e che invece, sorprendentemente,
trasmette l’impressione di un ordine immoto, magari
inconsueto e inedito, ma pur sempre tale. Davanti ai nostri occhi
vecchi oggetti, a noi familiari, riprendono vigore, tornano a
vivere, a far sentire la loro voce. I libri sono a volte aperti con le
pagine come mosse da un soffio di vento, ci sono fogli che cadono,
oggetti posti in un equilibrio apparentemente instabile ed
è come se l’artista avesse fermato il tempo, lo avesse cristallizzato
prima che riprendesse il suo scorrere naturale. E questo
ha una sua logica, perché quello della Spadolini, in fondo, è un
racconto per immagini che passano lente davanti ai nostri occhi,
affiorando indifferentemente dal libro della memoria e dalla
vita contemporanea. Non è, infatti, un’operazione nostalgica,
neppure melanconica, è anzi un lavoro vitale che guarda avanti.
Del resto la stessa artista tiene a sottolineare che i suoi sfondi,
abbastanza scuri, non sono neri bensì blu, una colorazione
elegante piuttosto che cupa. Ed è ancora lei a spiegare che si
possono immaginare e costruire mondi fantastici con oggetti e
scenari reali. Dal punto di vista pittorico, le opere della Spadolini
hanno il sapore della precisione miniaturistica. Siamo, con
tutta evidenza, nel campo del figurativo, anche se, a dispetto di
un’istintiva e approssimativa lettura, non in quello del realismo.
Perché in ogni tocco di pennello più che una riproduzione rigida
del soggetto si avverte la traduzione di un sentimento e di
uno stato d’animo, quindi di un’immagine non visibile. C’è una
ricerca attenta e di gran livello tecnico dei particolari; la composizione
è studiata minuziosamente nella disposizione dei soggetti
che animano la scena – sia che si tratti di nature morte
che di paesaggi – e nella resa prospettica e ottica; i colori sono
sì fedeli all’originale – un pianoforte ha i tasti bianchi e neri, un
violino il colore del legno – ma i mazzi di fiori ci parlano anche
della capacità di assemblarli della pittrice in modo da ottenere
il massimo risalto emotivo. Numerose le esposizioni nel carnet
della Spadolini; queste le personali: 2011, Finestra sulla natura,
Centro Civico di Bolgheri, Livorno; 2013, Luci, ombre e trasparenze,
Gadarte, Firenze; 2014, La donna nell’arte, Hotel Residence
Esplanade, Viareggio; 2018, Particolari e altro, Centro Civico
di Bolgheri; 2018, L’ora dei balocchi, Gadarte, Firenze.
Bianco metafisico, olio su tela, cm 50x50
Incontri, olio su tela, cm 40x40
MARIA PAOLA SPADOLINI
21
Il cinema
a casa
A cura di
Lorenzo Borghini
Si alza il vento
Il fantastico sogno ad occhi aperti di Hayao Miyazaki
di Lorenzo Borghini
Un sogno. È con questo che si apre Si alza il vento, ultima
fatica di Hayao Miyazaki. Jiro Horikoshi sogna
di arrampicarsi su un tetto, sogna di scalarlo pezzo
dopo pezzo per raggiungere un aeroplano di sua invenzione.
Sale a bordo e parte. Inizia a volare nel cielo sfiorando campi
come farebbe una spada sguainata. Il buio della notte si
squarcia improvvisamente al suo passaggio, tutto si colora
di magico con le splendide note di Joe Hisaishi fino a quando
viene abbattuto da un enorme nave volante. Il ragazzo si
sveglia e capisce cosa vuole diventare: un progettista di aerei.
Tutta la storia è un delicato sogno ad occhi aperti, una
favola dolce ma anche triste, che parla di amore e di mor-
te trasportandoci, come sempre, in quel mondo che Miyazaki
ha creato con cura abituandoci a sognare di volta in volta
come succedeva nei giorni della nostra infanzia. I sogni del
protagonista si alternano alla vita reale, a quella vita vissuta
che gli fa incontrare negli anni dell'università – durante
lo spaventoso terremoto del 1922 – una ragazza apparsa e
scomparsa come in un sogno, una ragazza che ritroverà dopo
diversi anni malata di tubercolosi. Il maestro giapponese
ci consegna un'opera matura raggiungendo un livello artistico
mai visto prima in nessun film di animazione. I paesaggi
che costruisce intorno ai protagonisti sono poesia per immagini,
partendo dall'alto dei cieli fino a scendere in picchiata
su campi, case e fiumi. Le tavole
di Si alza il vento starebbero bene al
Louvre in compagnia di qualche pittore
impressionista perché sono quanto
di più bello e simile si sia visto in terra
animata. I nostri occhi vengono rapiti
da una sinfonia di colori pastello che
ci trasmette una pace dei sensi degna
di una meditazione su una montagna
tibetana. Miyazaki con il suo pennello
intinge di amore i nostri cuori, trasportandoci
in un mondo diverso da
quelli creati in precedenza, perché
meno fantastico, ma sicuramente forte
e denso di significati. Vediamo tutto
il suo amore per la vita (e per gli
aerei) mescolato a quei sogni ad occhi
aperti condensato nella bellissima
citazione di Paul Valéry: «Le vent se
lève… il faut tenter de vivre». Il vento
che ci spinge forte verso il raggiungimento
dei nostri obiettivi, il vento che
ci scompiglia i capelli nelle giornate
invernali, il vento che trasporta sogni,
ricordi e rimpianti facendoci sentire
vivi giorno dopo giorno. Leggere che
questo sarebbe stato l'ultimo film di
Miyazaki è stato come ricevere un pugno
al cuore, perché per me i film del
maestro sono stati come un'ancora a
cui aggrapparsi nei momenti tristi della
vita, sono riusciti a farmi scollegare
dal reale per quelle ore che speravo
non finissero mai; e allora sì, lo posso
dire: Miyazaki per me è stato come
un amico, un amico che non vorrei
perdere mai.
22
SI ALZA IL VENTO
Ritratti
d’artista
Annalisa Cestelli
Riscoprire la natura con l’arte
di Jacopo Chiostri
Fiducia nella natura (2018), terracotta, ottone brunito, legno, cm 29x41x56
Autodefinirsi “artista del cavolo”, come ha scritto sulla
propria brochure, può sembrare una provocazione:
nel caso di Annalisa Cestelli, talentuosa artista,
laureata in Arte e Scultura all’Accademia di Firenze, non è
niente di tutto ciò. La sua autodefinizione, infatti, fa riferimento
al cavolo vero, quello romanesco per la precisione,
che nel linguaggio della sua produzione artistica, come vedremo,
diviene punto d’incontro tra scienza, in particolare
matematica, e purezza della natura declinata in arte. Questa
giovane e promettente artista porta avanti un discorso
concettuale che traduce in opere – manufatti, sculture, gioielli
e installazioni – realizzate con una pluralità di materiali:
bronzo, argento 925, fusione a cera persa, alabastro, marmo,
marmo giallo di Siena e ottone. Il principio (e il proposito)
cui fa riferimento la Cestelli è di legare l’arte a valori
etici, farne cioè – come del resto è stato fin dai tempi del
Rinascimento – un’arma potente per educare, perché la conoscenza
non è un fatto privato dello scibile scientifico, ma
anche l’arte ne è fonte. «Quando studiavo all’accademia –
spiega la Cestelli – mi sono appassionata alla teoria di Goethe
che affermava che arte e scienza nascono da un’unica
fonte». Gli elementi primari su cui si fonda il suo lavoro sono
quelli della triade platonica – bene, sapienza e bello – in
stretta connessione con la natura, perché – ci ricorda – sono
le forze della natura che creano arte. Non per nulla, l’altro
punto cardine della sua poetica sono le interazioni tra prodotti
naturali e matematica, a conferma della stretta relazione
tra quello che crea la natura e ideazioni dovute all’uomo.
Nelle opere della Cestelli compaiono elementi vegetali nei
quali si rintracciano proporzioni matematiche, la sequenza
di Fibonacci, la sezione aurea, la spirale aurea; su tutti il cavolo
romanesco di cui abbiamo detto, esempio conosciuto
di frattale (oggetto geometrico dotato di omotetia interna:
si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse)
che personifica il punto d’incontro tra scienza e arte ed
è un’espressione formale di perfezione assoluta. Da qui il ni-
ckname della Cestelli, e anche il titolo (ironico e dissacratore)
della sua prima esposizione Mostra del cavolo tenutasi
a San Casciano Val di Pesa, dove ha dimostrato che anche
l’utilizzo di un modesto elemento vegetale, come appunto il
cavolo romanesco, può arrivare al cuore dell’arte. Per meglio
capire questa complessa artista possiamo proporre un
ricordo, significativo del suo percorso: Arte e Natura nella
Val di Pesa, con opere installate lungo la pista ciclopedonale
da Bargino a Calzaiolo. Tre le opere: Allegoria della Pesa
(terracotta), LiberiAlberi (corde di juta a pigmenti naturali
e olio di lino), Pan e Siringa (terracotta). Allegoria della Pesa
è una donna sinuosa e fertile (come il luogo adiacente),
in apparenza timida ma, come dimostra il suo volto, invece
determinata e autonoma; in LiberAlberi le corde che avvolgono
gli alberi sono fatte di juta naturale, biodegradabile e
riciclabile. L’imprigionamento evoca dolore, ma le fibre, col
tempo, cadranno e lasceranno libero l’albero. Pan e Siringa,
invece, fa riferimento alle Metamorfosi di Ovidio, che l’artista
considera una sorta di Bibbia da cui trarre continuamente
ispirazione. Oggi la Cestelli allarga ancor più il suo
orizzonte in direzione di un’arte militante e sensibile
alle grandi tematiche sociali. Attualmente,
sta lavorando infatti ad un progetto ispirato a
Zapatos rojos (scarpette rosse) di Elina Chauvet,
arte pubblica che punta il dito contro l’omertà
nei confronti della violenza sulle donne. Cestelli
ha inoltre esposto al Museo Ghelli di San Casciano,
presentata dall’eno-artista Elisabetta Rogai,
alla Fortezza di Montalcino e alla XII edizione di
Florence Biennale.
Giumella (2019), dittico, specchi, ottone brunito,
fusione a cera persa, terracotta, cm 50x50x20
Una fase di lavorazione dell'opera Giumella
annalisaceste@gmail.com
ANNALISA CESTELLI
23
Eventi in
Toscana
Il 21 novembre a Palazzo Vecchio la celebrazione
della Giornata Nazionale e Mondiale in ricordo
delle Vittime della strada
Ne parliamo con l’avvocato Chiara Riccitelli
di Doretta Boretti / foto courtesy Lorenzo Borghini
La settimana che si concluderà con il 21 novembre, terza
domenica del mese, sarà dedicata alle vittime della
strada. A Firenze, la sede fiorentina della AIFVS ha
organizzato una serie di eventi con inizio giovedì 18 novembre.
Ce ne parla l’avvocato della sede fiorentina della AIFVS
Chiara Riccitelli.
Avvocato, prima di tutto: perché ricordare?
Noi della AIFVS crediamo, più di ogni altra cosa, nella prevenzione
degli incidenti stradali e il ricordo ha una funzione sia
pedagogica che psicologica. Ricordare, quindi, educa e forma,
per cui previene.
Il progetto della AIFVS fiorentina prevede quest’anno diversi
eventi. Ce ne può parlare?
Il 18 novembre alle ore 10, nel tea-room restaurant della Fondazione
Zeffirelli, ci sarà l’inaugurazione della mostra degli artisti
Riccardo Salusti e Stefania Silvari. Quest’anno il tema della
manifestazione è Una luce nel buio del dolore e anche la mostra
risponde a questa tematica. Il progetto avrà il suo compimento
domenica 21 novembre nel Salone dei Cinquecento in
Palazzo Vecchio alle ore 10. La Famiglia del Gonfalone darà
inizio, con le clarine, allo svolgimento della manifestazione
che da pochi anni lo Stato italiano ha riconosciuto come Giornata
Nazionale del ricordo delle Vittime della strada la terza
domenica di novembre, tramutandola anche in legge il 29 dicembre
del 2017, mentre nel mondo lo era già dal 2005. Dopo
l’ingresso della Famiglia del Gonfalone verrà letto il canto funebre
Nell’anima del dolore con intermezzi musicali del maestro
Luciano Manara. Lo interpreteranno gli artisti Alessandro
Calonaci, Valentina Cerini, Ornella Grassi, Zeno Renzi e Valeria
Vitti, i giovanissimi artisti Emma Bongi, Matteo Sguanci, i
bimbi Anna e Gaia Bricoli, Lorenzo e Rebecca Longinotti. Come
coreografia al canto funebre saranno esposte due opere
del maestro Antonio Manzi. Sarà presente anche il coro della
Polizia Municipale. Al termine della lettura del canto funebre,
24
RICORDO DELLE VITTIME DELLA STRADA
il coro della Polizia Municipale canterà l'inno d'Italia. Successivamente,
il presidente del Consiglio comunale Luca Milani
farà gli onori di "palazzo" e parleranno l'Onorevole Rosa Maria
Di Giorgi e il presidente europeo della FEVR Filippo Randi.
Successivamente verrà proiettato il trailer del docufilm Strade
interrotte del regista Lorenzo Borghini, al quale andrà il premio
della AIFVS e della FEVR in ricordo di tutte le vittime della strada.
Il docufilm sarà visibile integralmente, al pomeriggio, in
una sala cinematografica fiorentina. Verranno inoltre premiati
la Fondazione Angeli del Bello, a cui la sede fiorentina della
AIFVS consegnerà un premio in denaro, l’artista Carlo Terzo,
al quale andrà il Premio Ponte Vecchio dell’associazione Toscana
Cultura, mentre all’artista Andrea Tirinnanzi verrà consegnato
il medaglione della Picchiani e Barlacchi in ricordo di
Elisabetta e Mariachiara Casini. Le digisculture di Andrea Tirinnanzi
orneranno la scalinata per raggiungere il Salone dei
Cinquecento e saranno visibili fino alle ore 14 della domenica
21 novembre. Infine, radio RVS donerà una targa agli artisti
Riccardo Salusti e Stefania Silvari che hanno inaugurato il progetto.
L’intera cerimonia sarà presentata da Piero La Greca.
Una curiosità: perché nel canto funebre c’è la presenza dei
bambini e degli adolescenti?
Perché nonostante la pandemia, gli incidenti stradali sono ancora
la prima causa di morte nel mondo nella fascia di età
di questi ragazzi. È una piaga sociale che ha proporzioni gigantesche.
Anche il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha
scritto: «Ogni anno troppi italiani perdono la vita in incidenti
stradali». È bene quindi che le persone sappiano e che i bambini
vengano tutelati dalla famiglia, dalla scuola e da tutti noi,
perché sono il futuro dell’umanità.
Avvocato Chiara Riccitelli
Via Guido Monaco 9 - Firenze
chiarariccitelli@hotmail.it
RICORDO DELLE VITTIME DELLA STRADA
25
Dimensione
salute
A cura di
Stefano Grifoni
Una boccata di aria fresca per
vivere in salute
di Stefano Grifoni
Il corretto ricambio dell’aria negli ambienti è fondamentale
per vivere in salute e benessere. Arieggiare
i locali di inverno è una pratica spesso sottovalutata
e non seguita con regolarità. Quando si è malati aprire
le finestre per cambiare l’aria riduce la possibilità di contagiare
chi vive con noi e chi viene a trovarci. Infatti se ci
ammaliamo di influenza nelle stanze di casa le particelle
del virus sono presenti con una concentrazione media di
quindicimila per metro cubo di aria. Far entrare aria fresca
dentro gli ambienti dove viviamo o dove lavoriamo abbassa
e talvolta dimezza la concentrazione del virus in pochi
minuti. Uno starnuto spara nell’ambiente fino a quarantamila
particelle di saliva a più di 160 km/h con una gittata
che raggiunge i dieci metri di distanza mentre per un colpo
di tosse sono circa tremila particelle a 80 km/h. In presenza
di starnuti e tosse i virus potrebbero rimanere sospesi
per aria. Tenere ben areate le stanze d’inverno potrebbe
prevenire il contagio da virus.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
26
ARIA FRESCA
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Le relazioni dipendenti
Quando l’altruismo diventa patologico
di Emanuela Muriana
Se si poetesse prevedere tutto il male che può nascere
dal bene che crediamo di fare!» scrive Luigi
Pirandello nel suo libro Sei personaggi in cerca
«di autore. L’altruismo sembra così ovvio e la nostra cultura
occidentale ne sembra così compenetrata, che pare un’eresia
suggerire possa avere anche un lato oscuro. La qualità
emergente di questa ricerca è proprio l’eccesso di altruismo
con le sue conseguenze problematiche o schiettamente patologiche.
Spesso identità fragili, dotate di scarsa autostima,
utilizzano modalità relazionali improntate a un eccesso
di altruismo, con la “finalità egoistica” – spesso inconsapevole
–, di evitare la critica, il giudizio, il rifiuto, pur di garantirsi
accettazione, stima, affetto. Il bisogno prepotente di
essere riconosciuto, amato e identificato induce l’altruista
patologico a costruire una relazione di dipendenza morbosa
con coloro che inonda della propria disponibilità (partner,
con conseguenze talora tragiche, ma anche “altri” specifici
o generici). L’esito è nocivo, e spesso in modo severo, per
se stesso e talora per chi è il destinatario di tanta “generosità”.
L’altruismo patologico diventa un linguaggio comune
che può esprimersi con diversi “copioni”, ognuno con le
sue caratterizzazioni, specificità e peculiarità discriminanti.
Il temine copione fa riferimento alla sceneggiatura teatrale
e cinematografica, in cui l’azione è già nota prima di essere
messa in scena. Gli individui imparano attraverso esperienze
ripetute ad utilizzare le loro aspettative per costruire
copioni che rendono le cose più facili da fare sul piano cognitivo
o più sicure a livello di relazioni interpersonali. La loro
ripetizione, sostenuta appunto dalla funzionalità, li porta
a strutturarsi come “meccanismi automatici” che diventano
i mediatori delle relazioni tra sé, gli altri e il mondo. I copioni
però possono, ad un certo punto, non funzionare più: l’automatismo
non si adatta a situazioni diverse da quelle nelle
quali aveva funzionato, o non si adatta a situazioni che cambiano
e mutano nel loro opposto. Ciò nonostante continuano
ad essere utilizzati, in base alla convinzione implicita che, se
hanno funzionato nel passato, funzioneranno anche nel presente.
È come se diventasse usuale indossare lo stesso abito
per ogni occasione, indipendentemente dal contesto: un
vestito da sera anche per fare la spesa al mercato la mattina.
I copioni relazionali che se portati all’eccesso possono
portare alla dipendenza sono: la prostituzione relazionale
(mai deludere gli altri), la salvazione (io ti salverò) e il legame
indispensabile (se io ti amo, tu non puoi non amarmi). Il
lettore potrà scoprire facilmente come le migliori intenzioni
e l’eccesso di disponibilità possano trasformarsi in sofferenze
severe e trovare soluzioni terapeutiche. Il libro, frutto
di una ricerca clinica, è stato scritto in collaborazione con la
mia cara ed esimia collega Tiziana Verbitz e sarà in uscita in
tutte le librerie e store online da novembre.
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
RELAZIONI DIPENDENTI
27
Marco Maccioni
Le • verità • del • volto
Gianluca, olio su tela, cm 25x45
drgianlucamaccioni@katamail.com
A cura di
Silvia Ciani
I consigli del
nutrizionista
Dieta mediterranea
Un patrimonio di buone abitudini da riscoprire
di Silvia Ciani
Gli ultimi dati epidemiologici portano a stimare che 4
adulti su 10 siano in eccesso ponderale: 3 in sovrappeso
e 1 obeso. Sorge allora spontanea la domanda:
gli italiani conoscono la dieta mediterranea? Ma facciamo
un passo indietro per capire l’importanza che questa dieta
ha acquisito nel tempo. Negli anni Cinquanta, lo scienziato
e biologo statunitense Ancel Keys (1904-2004), grazie ai
suoi prolungati soggiorni nel Salento, è stato il primo ad intuire
come l’alimentazione mediterranea tipica delle comunità
agricole del Meridione costituisse un fattore di prevenzione
nei confronti delle patologie cardiovascolari. Keys in particolare
osservò che nel Sud Italia vi era un’incidenza decisamente
più bassa delle malattie del benessere rispetto a
quanto si registrava fra i ceti più ricchi degli USA. Nonostante
il consumo di grassi fra la popolazione americana e quella
italiana fosse molto simile in termini di quantità, quest’ultima
risentiva in maniera minore della diffusione delle patologie
cardiovascolari. Per avvalorare le proprie ipotesi, Keys
dette avvio al monumentale Seven Countries Study (Studio
delle Sette Nazioni), un imponente programma di ricerca epidemiologico
che coinvolse 12.000 persone
di età compresa fra i 40 e i 59
anni di sette nazioni differenti (Stati
Uniti, Giappone, Italia, Grecia, Jugoslavia,
Olanda, Finlandia). Riscontrò così
che paesi come Italia, Grecia, Jugoslavia
e, fuori dal contesto europeo, Giappone
erano accomunati dalle stesse
abitudini alimentari, caratterizzate dal
consumo prevalente di grassi monoinsaturi
(tra cui gli omega 3 ricavati dai
pesci), cereali, frutta e verdura e, al
tempo stesso, da un ridotto consumo
di grassi saturi e proteine animali. Lo
scienziato descrive in questi termini il
modello nutrizionale da lui fatto oggetto
di studio: «Minestrone fatto in casa,
pasta di tutte le varietà, con salsa di
pomodoro e una spolverata di Parmi-
giano, solo occasionalmente arricchita con qualche pezzetto
di carne o servita con un piccolo pesce del luogo, fagioli
e maccheroni, tanto pane, mai tolto dal forno più di qualche
ora prima di essere mangiato e senza nulla con cui spalmarlo,
grandi quantità di verdure fresche spruzzate con olio d’oliva,
una modesta porzione di carne o pesce forse un paio
di volte alla settimana e sempre frutta fresca per dessert».
Moltissimi sono stati poi gli studi scientifici a sostegno della
salubrità di questo stile alimentare, tanto che nel novembre
2010, la dieta mediterranea è stata riconosciuta dall’UNE-
SCO Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità. Purtroppo
stiamo osservando un graduale scostamento da
questo stile alimentare che va di pari passo con il peggioramento
dello stato di salute della popolazione. Dobbiamo
quindi davvero tornare indietro, riappropriarci di sane e vecchie
abitudini, imparare di nuovo a cucinare e a scegliere cibi
con criteri diversi e più ecosostenibili di quelli attuali. Chiediamoci
dunque: quante volte i legumi e i cereali in chicco
sono presenti nella nostra tavola? Quante volte invece i prodotti
raffinati, conservati e lavorati?
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
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DIETA MEDITERRANEA
29
Quando tutto
ebbe inizio…
A cura di
Francesco Bandini
Il mondo antico in un bicchiere di vino
di Francesco Bandini
Nella Grecia classica il vino era l’imprescindibile
fulcro attorno al quale ruotava il simposio, quella
bevuta collettiva in cui si rafforzavano i vincoli
di amicizia, si intrecciavano discorsi, si corteggiavano ragazzi
e cortigiane. Era soprattutto la prima coppa di vino
bevuta a divenire l’emblema di un vero e proprio rito di passaggio
verso l’età adulta ed era con la levità di un brindisi
che veniva offerta la conoscenza di una visione originale
e vivida della straordinaria cultura di quel popolo. Fino dai
tempi della formazione delle prime Città-Stato della civiltà
greca, intorno all’VIII-VII secolo a. C., gli appartenenti
all’aristocrazia avevano preso l’abitudine di unirsi in gruppi
contraddistinti da comuni interessi, orientamenti politici
o da esperienze comuni. Tali incontri, chiamati eterìe,
assumevano il simposio come momento privilegiato per
rafforzare la loro “philìa-amicizia”; tra una coppa di vino
e l’altra, discutevano degli argomenti più disparati. Quando
i Greci si ritrovarono per “bere insieme” e festeggiare la
morte di Cleopatra, lo fecero pronunciando la celebre frase
nunc est bibendum, alludendo naturalmente al vino. Dopo
che il sole era tramontato e la servitù, prima impegnata
a servire la cena, era intenta a spazzare il pavimento per
ripulirlo dei resti del cibo, il padrone di casa e i suoi amici,
dopo essersi lavati le mani con l’acqua attinta dalle brocche
e dopo aver incoronato il capo con ghirlande di edera
e di vite, le piante care a Dioniso, il dio del vino, si intrattenevano
in conversazioni fino a notte fonda, coccolati dalla
musica di una lira o di un flauto doppio, continuando a
bere vino per tutto il simposio, che era innanzitutto un rito,
di natura insieme religiosa e sociale, con un preciso codice
di comportamento che aveva inizio con un brindisi alle
divinità. I simposiasti sceglievano a sorteggio un capo
simposiarca che stabiliva la proporzione della somministrazione
di acqua e vino, perché il vino, per i Greci e i Romani,
si beveva solo diluito con le prescritte parti di acqua
nel cratere, il contenitore dove il vino veniva versato tramite
una caraffa con beccuccio chiamata oinochoé, nelle
singole coppe di solito a due manici. Il simposio prendeva
avvio con un sorso di vino puro che poi veniva bevuto solo
annacquato. Dal cratere veniva versato in coppe di fogge
differenti; le più tipiche erano le kylikes e kantharoi. I
Romani accolsero di buon grado l’abitudine di cenare alla
greca sdraiati sui triclini, iniziando a passare le loro serate
nel convivium, la variante romana del simposio greco,
nel quale erano ammesse non solo le cortigiane ma anche
le mogli. Plauto e Cicerone ricorrono spesso all’immagine
della donna adagiata accanto all’uomo che l’ha portata
al convivio. Il reclinare insieme ha chiare allusioni di tipo
erotico ed è a partire da allora che reclinare diventa sinonimo
di trasgressione sessuale.
I bevitori di vino (III secolo a. C.), affresco, Tomba del tuffatore, Paestum
30
MONDO ANTICO
Ritratti
d’artista
Luca Panarisi
Artista classico e contemporaneo
di Jacopo Chiostri
Quella di Luca Panarisi è una pittura figurativa nella
quale si avverte l’intento, riuscito, di unire la
rappresentazione oggettiva del soggetto con una
sua traduzione sulla tela ove emerga, netto, il suo
sguardo sul mondo e le sue emozioni, queste ultime esplicitate
con il segno, la composizione, il cromatismo e il punto
di osservazione. Del resto, lo stesso Panarisi spiega: «Il
cardine del mio lavoro è il disegno, sono opere figurative
nelle quali cerco di non essere iperrealista, tantomeno fotografico».
Un proposito percepibile che, sebbene necessiti
di attenzione nell’osservazione, risulta acquisito. Se
mai ci sarà in pittura una definizione condivisa del termine
“classico” e “moderno”, il lavoro di Panarisi, ammesso
e non concesso che all’artista questo interessi, entrerà a
pieno titolo nella schiera delle opere capaci di coniugare
classicità a modernità. Siamo in un momento storico
in cui si manifesta una ribellione, non più silente, al concetto
che la modernità non possa essere quella classica
o comunque riferibile a impressionismo, espressionismo
e “ismi” vari. Questo, che non è un ritorno al passato ma
una rivoluzione alla rovescia, si deve ai tanti artisti, come
Panarisi, che hanno tenuto saldamente in mano il timone
della propria rotta senza addentrarsi in scorciatoie legate
alle tendenze del momento e, non raramente, riuscendo a
rappresentare quello che non vediamo senza distorcere la
riproduzione del mondo nel quale ci troviamo a vivere. Di
sé, Panarisi racconta che fin da bambino aveva una predilezione
per il disegno. Si è poi diplomato al Liceo artistico
Leon Battista Alberti e in seguito ha frequentato corsi di
perfezionamento in pittura ad olio alla scuola Calamandrei
– docente il professor Bugatti – e a Fiesole nello studio di
Valerio Mirannalti. Le sue opere abbracciano a 360 gradi
la declinazione della pittura figurativa, fiumi, nature morte,
la neve su Firenze, Lucky, un bel quattro zampe bianco
e nero, preso in un momento di ferma in attesa di correre
libero in un prato verde. Dal punto di vista pittorico, gli
oli di Panarisi trasmettono anzitutto una sensazione di armonia;
sono immagini silenti, ricche di dettagli, studiate
nel disegno – anima del suo operare, come ci diceva e come
abbiamo scritto – con una colorazione matura, dove i
singoli toni appaiono coerenti negli accostamenti, ricchi
di sfumature che ne esaltano la natura e mai invadenti. Il
dettaglio è curato, non accennato neppure nella paesaggistica
che diviene complessa quando il punto di ripresa
è distante; c’è un attento studio degli elementi prospettici
che si traduce in una visione naturale, ben organizzata.
E questo della naturalezza con cui si entra in questi dipinti,
è forse la caratteristica più evidente della poetica di
Panarisi. Lo sguardo dell’osservatore è accompagnato e
istradato dalle linee guida presenti nel soggetto riprodotto
e il punto di osservazione è scelto in modo da essere il
più spontaneo e onnicomprensivo possibile degli elementi
presenti. Tra le opere recenti di Panarisi segnaliamo un
dipinto che raffigura due donne, mamma e figlia, davanti a
uno specchio, a rappresentare una certa vanità femminile,
controllata e proposta amichevolmente, poi un rifacimento
della testa del David di Fabio Viale vista a Pietrasanta,
dove era esposta nel giugno dello scorso anno: un David
tatuato, a simboleggiare un inedito sconvolgimento degli
equilibri estetici.
doriangrayhb@gmail.com
Luca Panarisi
Remember David, olio su tavola, cm 110x70
LUCA PANARISI
31
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Gianluigi Balsebre
Dalla parola al segno attraverso il colore
di Daniela Pronestì
Tra le conquiste dell’arte astratto-informale vi è certamente
quella di aver affrancato segno e colore dai
vincoli della realtà oggettiva per farli confluire in un
linguaggio in cui le ragioni della pittura prendono il sopravvento
sul concetto di rappresentazione. Se è vero, infatti,
che l’arte astratta sottrae le proprietà figurative e spaziali
del dipinto per rivelare un’essenza non-rappresentativa, è
altrettanto vero che la mancanza di un soggetto convoglia
l’attenzione sulla superficie della tela, sulla “concretezza” di
segni e colori che, distribuiti sul piano, compongono insieme
un codice del tutto simile ad una scrittura. Le opere di
Gianluigi Balsebre compiono un passo ulteriore coniugando
la pittura astratto-gestuale con il rapporto tra parola e immagine
caratteristico della poesia visiva, alla quale si legano
le prime esperienze di quest’artista avviate già negli anni
Settanta. L’adesione ai criteri concettuali e compositivi dello
storico movimento incarnato a Firenze dal Gruppo 70 ha
consentito a Balsebre di sperimentare le potenzialità espressivo-formali
dell’elemento verbale e, partendo da queste, di
giungere nel tempo alla codificazione di un linguaggio in cui
la parola acquista valore in quanto segno grafico-cromatico
– da qui la definizione delle ultime opere con il termine Cromografia
– che occupa la superficie del dipinto talvolta saturandone
e quasi eccedendone lo spazio, ad indicare una
forma che si espande astrattamente anche oltre il campo visivo,
talaltra invece sdoppiandosi, sovrapponendosi o ancora
dividendosi in macchie e grumi di colore che, pur trovandosi
sullo stesso piano, suggeriscono, a guardarli, la presenza di
un’illusoria profondità entro la quale questi elementi si distribuiscono
in maniera apparentemente casuale. Osservando
meglio queste “scritture del colore” si comprende infatti co-
me l’artista abbia saputo raggiungere un equilibrio, e tramite
questo anche una sintesi, tra gli aspetti compositivi della
scrittura, alla quale compete l’ordine logico di parole accostate
secondo un preciso significato, e il flusso di segni – risultato
di un automatismo gestuale – che esprimono l’atto
creativo nel suo spontaneo divenire. Entrambi questi fattori
confluiscono in quello che potremmo definire un “linguaggio-grafia”,
ovvero un codice fatto di segni in cui convivono
il gesto, la parola e l’idea stessa del dipingere scrivendo. È
il colore, senz’altro, a facilitare questo passaggio, inducendo
una vera e propria deflagrazione dell’elemento grafico,
che rompe la bidimensionalità della superficie generando a
livello percettivo la sensazione di uno spazio dotato di profondità,
e quindi di un primo piano occupato da caratteri sovradimensionati
e di uno sfondo nel quale le parole-segno
si moltiplicano e si legano formando una tessitura replicata
idealmente all’infinito. La parola diventa quindi un pattern
che, ripetuto più volte con un ritmo cadenzato ed armonico,
lascia pensare alla ritualità di un gesto antico quanto l’uomo,
ai segni incisi sulle pareti delle caverne dai nostri lontani
progenitori e a quelli dipinti dagli odierni street artist sui
muri delle città. Non meno importante, poi, è la ritualità del
fare artistico, che in Balsebre si configura come un legame
mai interrotto con un’idea di pittura in cui la componente gestuale
offre uno spunto conoscitivo e di riflessione sulla possibilità
di arrivare, proprio attraverso la fusione di segno e
colore, ad un linguaggio primario che veda l’universale convivere
con il particolare, l’uno con il molteplice, l’ordine con
il caos. L’intenzione pare essere quella di avvalersi della parola
come pura forma attraverso la quale indagare il rapporto
tra superficie e profondità, tra separazione e aggregazione
Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 35x50
Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70
32
GIANLUIGI BALSEBRE
Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70
degli elementi visivi, tra l’unità concettuale e percettiva della
singola opera e la continuità che lega ogni opera all’altra
in un’unica e coerente sequenza narrativa. Quella di Balsebre
dunque è una pittura degli “sconfinamenti”, oltre i valori semantici
del segno verbale, oltre i margini del supporto, oltre
le divisioni tra generi pittorici. Ma soprattutto oltre qualunque
limitazione alla creatività di un artista che, fin dai propri
Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70
esordi, ha scelto di essere un battitore libero.
Le opere di Gianluigi Balsebre sono in vendita sul sito della
galleria Artistikamente di Pistoia
www.artistikamente.net
gianluigi.balsebre@gmail.com
Cromografia (2021), acrilici su carta, cm 50x70
GIANLUIGI BALSEBRE
33
Ritratti
d’artista
Silvana Fedi
Pittura e poesia: evocative
espressioni dellʼanima
di Rosanna Bari
Animata dalla passione per la pittura e la poesia, Silvana
Fedi nasce a Fucecchio e vive, sin dallʼinfanzia,
nella campagna circostante, dove impara ad amare
la natura, la quiete e il paesaggio. La sua casa, a due passi
dallʼOasi del Padule, scrigno di colori e di infinite sfumature,
è luogo ideale per esprimere i propri sentimenti attraverso
la pittura: il paesaggio, quindi, non poteva che essere il
suo soggetto preferito. Attratta dai colori e dai contrasti di
una natura che non è mai uguale, che cambia continuamente
in un susseguirsi di identità nuove e irripetibili ad ogni
nuovo mutare del tempo, dove il continuo cambiamento, alla
fine, diventa la costante giornaliera, alla pari del perenne
turbinio dellʼanimo. Attraverso lʼarte, quindi, riesce ad esternare
liberamente e a dare un volto alla propria personalità.
Con la poesia, sinonimo di immediatezza, utile mezzo
per uno sfogo interiore, per placare lʼanimo quando, al culmine,
pervaso da forti tensioni, sente il bisogno di traboccare
per trasmettere agli altri ciò che sta elaborando, in un
intricato gioco di emozioni e sentimenti tessuto in un particolare
istante. Con la pittura, invece, la traduzione delle
emozioni in immagini è più lenta, si ha il tempo di meditare
sul soggetto, per poi destinare lʼimmagine ad un tempo infinito.
Il colore quindi come mezzo dʼespressione, utilizzato
in una brillante cromia associata a vividi contrasti, dove la
malinconia del grigio si accosta alla gaiezza di un rosa acceso,
capaci di svelare con forza lʼinteriorità dellʼartista che
man mano prende corpo sulla tela. Premiata nelle edizioni
2018 e 2019 del Premio Letterario Internazionale “Massa
città fiabesca di mare e di marmo”. Ha pubblicato le sue
poesie nelle collane Luci Sparse (2020) ed Emozioni (2021)
per Pagine Editore. Costantemente ispirata dai luoghi a cui
Silvana Fedi scrive una poesia
è molto legata, impressi con vigore nella sua mente e descritti
nei suoi dipinti, e che rappresentano quel legame indissolubile
che ha profondamente influenzato la sua natura
e reso forte la sua anima.
fedisilvana@hotmail.com
Caro amico
Caro amico
solo dolci parole
potrei trovare
per raccontare
quello che avviene nel nostro incontrarci;
nel nostro vivere
questi momenti di vita abbracciati
nei nostri incerti passi di danza.
Incerti come il tempo che viviamo,
incerti come il futuro che vogliamo,
ma questi momenti che la solitudine
allontana
ci daranno la forza per vivere
una piccola gioia di vita ritrovata.
(Da Luci sparse)
1. Barchini del Padule, olio su tela 30x40 2. Alba a Cigoli, olio su tela, cm 70x50 3. Incontro d'amore, olio su tela, cm 50x35
34
SILVANA FEDI
Ritratti
d’artista
Varren
Dalle forme naturali all’armonia in pittura
di Mario Bizzoccoli
Qualificare Adelco Cesari, in arte Varren, soltanto come
pittore può essere per molti aspetti limitativo. La
sua esperienza artistica inizia nella prima giovinezza,
quando, costretto anche dai tempi in cui si è trovato a
vivere (anni Cinquanta, dopo la guerra e quindi in epoca di piena
ricostruzione), ha dovuto ingegnarsi prestissimo col lavoro
che gli ha permesso di acquisire una manualità incredibile.
I suoi esordi artistici partono da un’istintiva adesione al parafigurativo,
ponendosi cioè “in mezzo al guado”, tra l’onirico e
il costruttivo; scoprendo, innanzitutto, come linguaggi diversi,
prendendone prima coscienza e poi studiandoli attentamente,
possano sposarsi senza problemi. Ed ecco quello che è il suo
imprinting: un geometrismo sostanziale che si sviluppa sulle
lezioni dirette di Klee e Kandinsky, corroborato dal visionario
ambiente surrealista di Dalì, pur senza esserne un epigono.
Varren si pone di fronte ai grandi contemporanei dell’arte come
il musicista che, in un primo tempo, ristrumenta la sinfonia
dei maestri, poi, a sua volta, compone e crea un suo stile,
variegato e connotativo al tempo stesso. In Varren sono forti
gli elementi naturali (foglie, uova, prati, etc.) e artificiali (impalcature
architettoniche, condotti e tunnel, città geometriche,
etc.), sino ad arrivare ad un altro dei suoi fondamenti vitali,
la musica, percepita essenzialmente come arte astratta che
si concretizza nella scrittura e nell’evocazione emotiva. Quindi,
spirali vorticose che sospingono figure geometriche pure
(Varren predilige il triangolo, in tutte le sue flessioni, e il cerchio,
perfezione assoluta), linee parallele libere ma sempre
ben definite e azioni naturali incrociate. La natura, in Varren,
è un elemento basilare: sfondo, dettaglio, individuazione metaforica
fanno già di questo elemento pittorico un’opera a sé
stante. Su questa scena, agisce l’ulteriore processo metaforico
dei soggetti “vivi”: i triangoli e i cerchi che si muovono in
sviluppi quasi filmici o fotografici, le strutture presentate prima
come soliste nel contesto generale, poi come sintesi e conduzione
armonica dell’opera. In tutto ciò, soprattutto nelle ultime
opere, compare la farfalla, geometria cromatica, effimera
eppure viva, presentata nel suo splendore assoluto e terminale,
sempre in volo disteso, sempre in primo piano e dettagliata,
esplosiva nei colori ma, al tempo stesso, destinata all’ago
feroce e selettivo del collezionista. Eccola bellissima, grande,
accesa, forse diretta alle geometrie coinvolte e sconvolte, forse
in fuga da un mondo che violenta e uccide la natura, per uccidere
se stesso. Ecco la grande diffusione dei colori sulle sue
ali che si replicano nei diversi elementi naturali ed artificiali
dell’opera, perché Varren impiega colori “crudi”, con la tecnica
dello smalto ad acqua. La farfalla, però, può essere a sua
volta violentata: in certe opere appare scissa, o meglio, un’ala,
pur rimanendo nella perfetta posizione di volo, è staccata,
quasi che un bisturi crudele l’abbia colpita (Varren proviene
da una lunga militanza nel comparto sanitario). Ma la farfalla,
anche mutilata, continua il suo volo, spesso avvicinandosi
ai pentagrammi verticali che, frequentemente, concludono
l’opera dell’artista, e non cade schiacciata dalle forme geometriche,
in cui dobbiamo riconoscere molte parafrasi umane. E
questo mondo, questo melodramma artistico, corredato da geometrie
in rilievo ligneo, sorgono da uno sfondo completamente
nero, non dal buio ma dalla conoscenza, dunque, come nel
Medioevo le figure dei santi che emergevano dall’oro dell’eternità.
Dunque, le farfalle di Varren vengono eternizzate dall’allegoria
vitale, anche con la tecnica personalissima dell’artista
che inserisce le proprie opere in
cornici che non sono cornici ma
autentiche opere connotative, il
vero accompagnamento dell’opera
centrale; mai rigidamente
inquadrate come da tradizione,
ma sagomate, quasi a definizione
araldica, veri stemmi-targhe di
una visione forte, convinta. Varren
non raffigura l’uomo nella sua
prospettiva ritrattistica o anatomica,
lo presenta con la tecnica
della convinzione intima, ad un
tempo materiale e spirituale, in
un gesto continuamente evolutivo
e sorprendente.
Geometria scomposta, cm 40x50
Farfalla - Distruggiamo la natura, cm 40x62
www.artistidibottega.it
www.arteitaliana.org/varren
VARREN
35
La voce
dei poeti
Le liriche di Isabella Cipriani
di Isabella Cipriani
cade questa esistenza
pezzo a pezzo
si squama
in trasparenza
falciata in serafica lama
schizza lontana
e ritorna alla terra
mi offro all'ala che manca
e resto in tiepida attesa
come la terra sotto la neve
come una resa
Padre
benedici anche me
che possa stare
ancora una volta
incastonata tra la valle e il cielo
come un lago bianco zitto
in attesa
di squarcio d'alveo
isabella.cipriani@yahoo.it
Testi tratti dalla silloge àmina, menzione speciale Premio Internazionale di Poesia e Letteratura Kalos 2021
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ISABELLA CIPRIANI
Ritratti
d’artista
Mario Bettazzi
Un itinerario artistico tra onirismo e concretezza
di Assunta Fiorini
Cariatide (2021), olio su tavola, cm 100x120
L’artista si dispone ad un dialogo ammirato con la
realtà, con forme nitide e colori luminosi che alimentano
una rigorosa geometria compositiva pervasa
di oniriche e visionarie associazioni. L’atmosfera
onirica è filtrata da un intreccio di echi surrealisti e metafisici
rielaborati in chiave intima che restituiscono suggestive
narrazioni con una ricca palette cromatica: dai toni scuri
agli squarci di luminosità intensa, dai colori tenui a quelli
vividi e ai caldi squillanti, sempre molto tirati e levigati.
Quello di Mario Bettazzi è un percorso creativo tra onirismo
e concretezza, tra composizioni sempre più articolate
e complesse, tra figure misteriose che si compenetrano
con lo sfondo fatto di cieli leggeri e liberi e che abitano un
microcosmo atemporale ricreato dall’immaginario dell’artista,
con notazioni naturalistiche e architettoniche, stratificazioni
di iconografie e simboli sospesi tra figurazione e
astrazione, visibile e invisibile. Questi dipinti invogliano ad
immaginare una storia, ad individuare un
significato esplicito, ma sulla spiegazione
narrativa o razionale vince l’atmosfera del
quadro, la sensazione che emana dal dipinto,
il climax, la gradazione ascendente
da un concetto ad un altro, quasi a creare
un effetto di progressione che potenzia
l’espressività discorsiva, con l’accostamento
di elementi in apparenza estranei,
ma in realtà ricollegabili all’intera trama.
L’espressione pittorica si fonde con la vita
in un racconto fluido da cui emergono
sogni e ricordi, luoghi visitati o narrati, architetture
e figure impresse nella mente,
in una sorta di viaggio dentro di sé, dentro
l’uomo, che illumina i motivi delle sue
composizioni e i modi di rappresentarli
nella pratica quotidiana del disegno e della
pittura, dove oggetti d’uso comune, figure
ed esseri animati e non assumono
una valenza simbolica da cui trarre ispirazione
onirica. Il suo metodo di lavoro
è un ripercorrere le cose o le sensazioni,
un cercare di descriverle, un abbandonarsi
al flusso della rêverie, un ragionare per
immagini dove le figure si intrecciano ed
emergono da una precisione descrittiva
fatta di tecnica, vivida di colori e risultato
di un’osservazione costante, e tutte legate
da un fil rouge: la rielaborazione mentale
puntuale e personale della realtà declinata
in una salda unità di esternazioni pittoriche
e in una ricerca tesa ad analizzare e valorizzare il
rapporto luce-spazio. Più che proporre una propria visione
sul mondo, Bettazzi osserva, scompone e riassembla pezzi
di realtà esistenti, confondendo verità e finzione, realtà
e sogno, quasi a sollecitare il pubblico a costruire nuovi significati
e relazioni. Le architetture trovano la perfezione
formale nel racconto di spazi interni ed esterni ben delineati
in prospettive e in volumi costellati di oggetti feticcio
ed identitari come l’uovo quale metafora di un principio originario,
di una casa primordiale. Realizza muri, cippi, colonne,
installazioni minimaliste che non precludono mai la
possibilità di vedere gli squarci di cielo e di mare, le vallate,
il sole o la luna; nastri, corde e fili rossi, poi, sembrano voler
legare insieme, abbracciare, risanare e riunire metaforicamente
ferite, divisioni, confini, spaccature e distanze.
mario.bettazzi@virgilio.it
MARIO BETTAZZI
37
La tutela
dell’ingegno
A cura di
Aldo Fittante
Peugeot copia lo scooter Piaggio
a tre ruote
A deciderlo è una sentenza del Tribunale di Milano
di Aldo Fittante / foto courtesy ufficio stampa Piaggio
Ènotizia di appena qualche settimana fa la condanna
della multinazionale Peugeot per aver copiato lo
scooter a tre ruote della Piaggio. L’azienda toscana
ideatrice della Vespa – lo scooter più famoso al mondo, vera
e propria icona del Made in Italy – ha vinto una causa per
contraffazione di brevetto che aveva intentato contro il colosso
francese. La Peugeot Motocycles è stata ritenuta responsabile,
in particolare, del plagio del modello MP3 della
Piaggio. La recente decisione – quasi contemporanea alla
pressoché identica pronuncia d’oltralpe emessa dal Tribunal
Judiciaire di Parigi – è del Tribunale ordinario di Milano.
I giudici meneghini, in particolare, con pronuncia non
ancora definitiva – è bene precisarlo – hanno ritenuto che
il modello Metropolis del colosso francese integri una contraffazione
del brevetto europeo sulla tecnologia dello scooter
a tre ruote richiesto e concesso all’azienda toscana. Ad
oltre cinque anni dall’inizio della bagarre giudiziaria intentata
da Piaggio, i giudici – sia pure con decisione soggetta
ad appello e pertanto tuttora passibile di revisione – hanno
ritenuto lo scooter francese in violazione della invenzione
brevettata dall’azienda di Pontedera, in particolare per
quanto riguarda la tecnologia che consente al veicolo a tre
ruote oggetto di contesa di inclinarsi lateralmente come
una moto tradizionale. La Piaggio non è nuova ad iniziative
giudiziarie adottate a tutela delle proprie innovazioni tecnologiche
e delle numerose ed importanti privative industriali
ed intellettuali richieste ed ottenute dalla società toscana
presso gli uffici brevettuali di tutto il mondo. È di qualche
anno fa la storica decisione della Sezione Specializzata in
materia di Impresa del Tribunale di Torino che ha addirittura
riconosciuto la iconica Vespa del gruppo industriale toscano
come vera e propria opera d’arte tutelabile attraverso il
diritto d’autore. La Vespa Piaggio – hanno affermato i giudici
torinesi nel 2017 – assurge ad opera del design industriale
dotata di un notevole carattere creativo e di uno spiccato
valore artistico, tali da garantirle in particolare l’accesso
alla protezione autorale, in considerazione del fatto che “i
plurimi ed eccezionali riconoscimenti da parte di numerosi
ed importanti istituzioni culturali, che annoverano la Vespa
tra le espressioni più rilevanti del design, confermano il
38
SCOOTER PIAGGIO
suo carattere creativo ed il valore artistico. Ed infatti il carattere
creativo ed il valore artistico di un’opera di design
vengono evidenziati e debbono essere valutati alla stregua
del riconoscimento collettivo di mercato e degli ambienti
artistici, considerando il successo di critica, il conferimento
di premi, la presenza nei musei, la partecipazione a mostre,
la diffusione di pubblicazioni sulle riviste”. Nel caso
deciso dai giudici del foro di Torino, Piaggio aveva reagito
alla copiatura del proprio mitico e celeberrimo scooter da
parte di un’azienda cinese. A distanza di qualche anno anche
il Tribunale di Milano ha risposto positivamente alla domanda
di tutela giudiziaria dei diritti di proprietà industriale
con i quali Piaggio – da sempre – porta avanti una politica
di valorizzazione e protezione giuridica del frutto dei propri
investimenti in ricerca e innovazione. La recentissima pronuncia
del Tribunale di Milano segna un’altra importantissima
vittoria per l’azienda di Pontedera: i giudici meneghini
hanno infatti inibito a Peugeot Motocycles l’importazione,
l’esportazione, la commercializzazione e la pubblicizzazione
anche attraverso Internet sul territorio italiano del modello
di scooter a tre ruote Metropolis del colosso francese,
stabilendo 6.000,00 euro di penale per ogni veicolo venduto
dopo il termine di 30 giorni dalla comunicazione della sentenza.
I giudici del foro milanese hanno inoltre statuito che
Peugeot Motocycles deve ritirare dal commercio nel nostro
paese tutti gli esemplari del proprio scooter a tre ruote in
contraffazione entro 90 giorni dalla decisione. In caso di
mancata ottemperanza di tale ordine giudiziale di ritiro dei
motocicli contraffatti nel termine fissato, la
pronuncia giudiziaria in commento ha previsto
anche un’ulteriore penale di 10.000,00 euro
per ogni giorno di ritardo nell’esecuzione di
tale ordine. Si tratta di un altro risultato molto
importante per il Gruppo Piaggio, da sempre
particolarmente attento ad investire in ricerca
e innovazione, valorizzando e tutelando giuridicamente
con altrettante privative industriali
il proprio qualificato patrimonio di idee. È
ragionevole prevedere comunque che la contesa
con la multinazionale francese – dato
il rilievo in termini economici ma anche mediatico
e d’immagine che la controversia ha
inevitabilmente assunto – possa non essere
definitivamente conclusa, restando al momento
aperta la possibilità per Peugeot di sottoporre
a gravame la decisione del Tribunale di
Milano al fine di ottenerne in appello una revisione
a sé favorevole.
Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale
all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista
iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo
Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni
scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie
in materia di Diritto Industriale e d’Autore.
www.studiolegalefittante.it
SCOOTER PIAGGIO
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
The World in Florence, alla scoperta dei
territori del mondo riuniti a Firenze
Palazzo Medici Riccardi ospiterà la mostra fotografica delle
espressioni culturali del mondo
di Stefania Macrì
L’edizione 2021 del Festival Internazionale
delle espressioni culturali
del mondo The World in Florence è la
prima di cinque edizioni che mirano a:
• favorire l’interpretazione e la comunicazione
delle tipiche espressioni culturali dei luoghi,
• promuovere la consapevolezza culturale
delle comunità locali,
• valorizzare l’attrattività internazionale dei
siti trasformando il turismo in ospitalità per
l’inclusione, la solidarietà e il dialogo interculturale.
La città di Firenze, con la sua storia e la sua
eredità umanistica, diventa il luogo ideale
dove le giovani generazioni di studenti interessati
a viaggio e patrimonio, amministrazioni
locali e ONG possono condividere e
offrire una visione autentica e interiorizzata
del proprio luogo di nascita, fatta di poster
fotografici, video e informazioni extra di realtà
aumentata fruibili grazie alla tecnologia
NFC. Guideranno il potenziale visitatore a godere
dell’anima e dei sapori di luoghi che la
pandemia ancora ci impedisce di vivere; i loro
occhi, cuori e anime ci portano ad andare
ben oltre un’escursione turistica, ci portano a
cogliere lo spirito dei loro luoghi.
L’idea del Festival
Gli eventi che hanno caratterizzato gli ultimi
due anni delle nostre vite dimostrano
che l’equilibrio del mondo, sia ambientale
che sociale, economico e relazionale è fragile.
Dobbiamo tornare nel bel mezzo del lockdown
pandemico quando per la prima volta
abbiamo deciso di creare qualcosa in grado
di viaggiare per il mondo durante un periodo di impossibilità
di muoversi da casa, per continuare il dialogo interculturale
e la valorizzazione delle espressioni culturali. Nonostante
fossimo nel pieno dell’isolamento pensavamo a cosa fare,
mossi dal desiderio di ritorno alla normalità, consapevoli
che si sarebbe trattato di una sfida importante, considerando
un quadro internazionale di grande difficoltà. Con la
collaborazione della Fondazione Romualdo Del Bianco e del
Centro Studi e incontri internazionali, abbiamo avviato un
primo progetto per il coinvolgimento delle università e delle
istituzioni di formazione della rete Life Beyond Tourism a cui
abbiamo dato un nome evocativo, pieno di voglia di vivere e
di ritorno a una situazione di normalità: Back to Life - Revitalisation
of Places post Covid-19. Questo, a sua volta, ha da-
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
to il via alla creazione della rete internazionale Infopoint Life
Beyond Tourism che oggi conta trentasei centri di diffusione
LBT in diciassette paesi del mondo (Azerbaijan, Georgia,
Giappone, India, Italia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Kosovo, Lettonia,
Lituania, Marocco, Polonia, Regno Unito, Repubblica
Ceca, Russia, Slovacchia, Taiwan) e tanti altri se ne stanno
attivando. Contestualmente abbiamo pensato a come poter
contribuire alla valorizzazione e comunicazione dell’autenticità
dei territori, anch’essi in forte difficoltà. Grazie al modello
Life Beyond Tourism abbiamo scelto come tema quello
del dialogo per immagini, partendo dal racconto della città
di Firenze in una mostra internazionale interattiva e itinerante:
Florence in the World. La mostra ha iniziato a viaggiare
all’interno della rete internazionale infopoint LBT ponendo
le basi di un programma più alto che si è tradotto in un progetto
di marketing territoriale circolare a livello internazionale
Florence in the World - The World in Florence, con una
programmazione quinquennale (2021-2025) di attività che
già sta coinvolgendo molti degli attori presenti sui territori:
pubbliche amministrazioni, enti territoriali, istituzioni formative,
musei, fondazioni culturali, gruppi di giovani studenti,
abitanti dei luoghi.
Da Florence in the World a The World in Florence:
due fasi dello stesso programma
Partendo dalla narrazione della città di Firenze, con Florence
in the World, l’osservatore viene introdotto alla conoscenza
guidata del luogo attraverso la presentazione di dettagli e di
espressioni culturali con una sua espansione online e possibilità
di interazione sul portale www.lifebeyondtourism.org
attraverso la tecnologia NFC (la comunicazione di prossimità
- Near Field Communication). In questo modo tutto il
mondo può conoscere Firenze e la Toscana con gli occhi del
residente. L’esposizione della mostra nei vari Infopoint LBT
ha contribuito a diffondere, in termini pratici, quale sia una
delle applicazioni possibili del modello Life Beyond Tourism
nel racconto dei territori e coinvolgere i viaggiatori in un
viaggio dei valori etico e sostenibile. Da qui, grazie al coinvolgimento
delle istituzioni formative e culturali e a quello
degli enti locali, nasce la seconda fase del programma, quella
del ritorno: The World in Florence. I territori si presentano
a Firenze nella loro interezza, con i loro saperi e il loro “saper
fare”, i prodotti, i paesaggi e le curiosità, utilizzando il dialogo
con le immagini tramite tecnologia NFC. The World in Florence
sposta dunque la narrazione territoriale a un livello
superiore, trasformando la mostra e i contenuti NFC in uno
strumento di marketing territoriale. Ma il programma continuerà
a crescere nel quinquennio 2021-2025 arricchendosi
di nuovi contenuti, nuovi territori, nuove narrazioni culturali
per la valorizzazione e la comunicazione delle espressioni
culturali del mondo. Anche The World in Florence partirà nel
mondo per partecipare agli eventi più importanti nel settore
del viaggio, per ritornare ancora a Firenze nell’arco del quinquennio
e mostrarsi più vario e interculturale che mai per
arrivare a coinvolgere cento paesi ciascuno con i propri territori,
nell’edizione 2025.
I territori come meta di viaggiatori consapevoli
Tutto questo si traduce in un contributo concreto per la ripresa
economica dei territori che potranno così presentarsi
in modo non canonico e attrarre quindi viaggiatori consapevoli,
in grado di apprezzare i prodotti a km0 che i vari luoghi
propongono e i pezzi unici dell’artigianato artistico, che
visitano i piccoli musei e possono diventare stimolo per altri
viaggiatori, superando così il concetto del turista “mordi
e fuggi” e divenendo sempre più residenti temporanei, con
un conseguente auspicato aumento di soggiorno medio. Durante
la due giorni fiorentina i visitatori potranno accedere
gratuitamente alla mostra internazionale dei territori e vivere
direttamente l’esperienza NFC, viaggiando nel mondo
in maniera virtuale, alla scoperta delle peculiarità degli oltre
trenta territori in esposizione, italiani e internazionali: Azerbaijan,
Cina, Georgia, Giappone, India, Italia, Kosovo, Lituania,
Polonia, Repubblica Ceca, Russia, Slovacchia, Taiwan.
Chi volesse partecipare anche al convegno può collegarsi al
sito www.lifebeyondtourism.org per scoprire le modalità di
partecipazione e iscriversi. Il convegno sarà fruibile sia in
presenza che virtualmente.
Per maggiori informazioni scrivere a info@lifebeyondtourism.org
Life Beyond Tourism partecipa al Festival delle Città Narranti (Maratea)
Le attività del Movimento LBT-TTD continuano e si arricchiscono
di un programma formativo specifico per
lo sviluppo di una comunicazione efficace nei territori,
all’insegna della individuazione e valorizzazione delle espressioni
culturali che ciascuno custodisce. In questo contesto, il
28 ottobre abbiamo partecipato al Festival delle Città Narranti
di Maratea, organizzato dalla Fondazione Francesco Saverio
Nitti e durante il quale Barbara Castellano, referente marketing
per il Movimento LBT-TTD, ha tenuto un breve ma intenso
corso di formazione sul modello Life Beyond Tourism con la
partecipazione di un’audience composta prevalentemente da
rappresentanti istituzionali locali e delle regioni limitrofe, oltre
che referenti di enti di promozione territoriali.
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE 41
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Mario Aniello
L’anima della natura, la natura dell’anima
di Daniela Pronestì
Dal punto di vista etimologico, la parola “atmosfera”
indica un involucro di particelle aeree (dal greco
atmòs “vapore”) tutt’intorno ad un corpo celeste
(sfaira “sfera”). Un’immagine che spiega perché quando
parliamo ad esempio dell’atmosfera di un determinato luogo,
intendiamo riferirci a qualcosa di impalpabile ed etereo
che non vediamo ma la cui presenza permea il contesto in
cui ci troviamo influenzando il nostro modo di percepirlo.
Nelle opere di Mario Aniello, protagoniste di una recente
mostra personale alla galleria Gadarte a Firenze, l’atmosfera
è appunto una presenza che abita il paesaggio naturale,
creando all’interno della scena una magica sospensione
tra visibile e invisibile, corporeo ed incorporeo. In questo
caso, l’attenta resa pittorica del vero, basata su di un solido
impianto compositivo e sulla scrupolosa restituzione
dei dettagli, nulla toglie all’intensità dell’emozione che
ha guidato la mano dell’artista e che trasforma il dipinto
in qualcosa di vivo e palpitante capace di interloquire con
l’osservatore. Quello che viene a crearsi è un dialogo intimo
e profondo tra gli elementi del paesaggio – l’orizzonte
con il primo piano, la terra con il cielo, la luce diurna con
l’ombra della sera –, che sfumano l’uno nell’altro, fino quasi
a diventare un tutt’uno. L’atmosfera di un luogo – sembra
dire Aniello – è una forza che svela le segrete corrispondenze
tra le cose, un sentimento che le accomuna e che risuona
nell’interiorità di chi le osserva. Molto ovviamente
dipende dalla capacità di chi guarda di riconoscere questo
segreto, di sentirlo vivere nelle forme della natura, proprio
42
MARIO ANIELLO
come fa l’artista che, con straordinario spirito di osservazione,
riesce a leggere il paesaggio, a decifrarne i simboli
e a trasporli sulla tela in un raffinato gioco di rimandi. Così,
la volta celeste che domina la scena lasciando ai margini
pochi lembi di terra comunica il senso di una bellezza irresistibile
e maestosa, al cui cospetto qualunque altra cosa
s’inchina, come fa l’uomo ogni volta che, alzando gli occhi
al cielo, in quella vastità luminosa cerca una speranza, una
via di fuga o il volto divino. Allo stesso modo, i raggi del
sole che, passando attraverso una coltre di nubi, illuminano
un cipresso ferito dalle intemperie, possono interpretarsi
come un segno di rinascita, una possibilità di guarigione,
un guardare con rinnovata fiducia alla vita mentre il resto
del paesaggio intorno giace impietrito nell’ombra. Le estremità
di una siepe dipinta in primo piano si protendono verso
il cielo come braccia alzate di chi cerca aiuto o chiede
di essere ascoltato; il grande albero che domina la vallata
dall’alto della collina esprime l’atteggiamento fiero di chi
sente un forte attaccamento alla propria terra. A volte lo
stesso soggetto viene rappresentato in condizioni di luce
diverse, e allora anche l’atmosfera cambia: il cielo si apre
o si fa cupo, le nuvole si addensano minacciose o si sparpagliano
portate in qua e in là dal vento, il paesaggio si veste
di verdi brillanti o si colora di toni smorzati con ombre
assenti o indistinte. In questo continuo divenire di stati luminosi,
di nuvole mai uguali a sé stesse, di cieli ora limpidi
ora carichi di presagi di un’imminente tempesta, la natura
diventa specchio delle atmosfere altrettanto mutevoli che
abitano l’animo dell’artista e, in senso più generale, l’animo
umano. Rimarcando la relazione tra l’universale e il particolare,
tra il movimento della vita in natura e il dinamismo
interno all’esistenza dell’uomo, la pittura di Aniello invita a
riscoprire il senso di totalità che lega l’individuo alla realtà
che lo circonda, l’indissolubile unità del singolo con il tutto.
Dipingere diventa così un modo per conoscere sé stessi
in rapporto alla natura, per far vibrare all’unisono lo “sguardo-anima”
dell’artista con l’anima del mondo. Un messaggio
mediato da una cifra pittorica forte e vigorosa, libera e
potente, che porta dentro tutta la capacità tecnica e la sensibilità
di un artista-poeta, raffinato cesellatore di immagini
senza tempo.
Mario Aniello
+ 39 334 1833358
MARIO ANIELLO
43
I giganti
dell’arte
A cura di
Matteo Pierozzi
Il David di Donatello
Il giovane eroe simbolo della genialità
artistica italiana nel mondo
di Matteo Pierozzi
L’artista che ha realizzato la famosa scultura in bronzo
del David è Donato di Niccolò di Bardi, meglio conosciuto
come Donatello. Nato a fine Trecento, è stato uno degli
artisti più importanti del Rinascimento che con il David ha
realizzato la prima scultura di un nudo maschile a tuttotondo a
grandezza naturale. La sua posizione è basata sul chiasma, ma
in realtà l’arcuarsi del corpo, anche per lo sbilanciamento generato
dalla presenza della testa di Golia sotto un piede di David,
sembra più seguire la preferenza dell’arte gotica per le posizioni
flesse e sinuose. L’opera risulta quindi un’inedita mescolanza
tra scelte stilistiche gotiche e rinascimentali, proprio per questo
si presenta come una delle opere più ricercate ed eleganti di Donatello,
che qui ottiene una bellezza che spesso, nelle altre sue
opere, sacrifica alla tragicità. Ideata per essere posizionata su di
un piedistallo in modo da poterla osservare girandoci intorno, la
scultura del David è stata realizzata nel 1440 su commissione di
Cosimo I de’ Medici per celebrare la battaglia di Anghiari, che vide
Firenze vincere su Milano. L’opera dunque ha un significato
politico e per questo venne scelto come soggetto l’eroe biblico
David, che ebbe la meglio sul gigante Golia. La statua rappresenta
un giovinetto che tiene chiusa nella mano sinistra la pietra con
la quale ha appena colpito Golia, mentre la mano destra cinge la
spada. Ai suoi piedi giace la testa decapitata del gigante. Il David
è nudo e senza armatura perché la sua unica protezione proviene
direttamente da Dio; il suo atteggiamento è spavaldo come
di chi è consapevole di aver realizzato una grande impresa. Originariamente
era impreziosito da numerosi dettagli dorati come
il pomo della spada, le foglie del cappello, le palmette dei calzari,
le ali dell’elmo di Golia e aveva i capelli biondo oro, come tramandato
dai testi sacri. Qualche anno prima, nel 1409, Donatello
aveva già realizzato un David, ma in marmo. Le due sculture sono
molto diverse: il primo David somigliava infatti più ad un nobile
gentiluomo che al valoroso eroe della Bibbia. Tuttavia, alcuni
dettagli presenti nel David in bronzo e le tante differenze con la
scultura in marmo di trent’anni prima hanno fatto sollevare il dubbio
agli studiosi che quello che conosciamo come David in realtà
sia Mercurio. Il particolare copricapo adornato da foglie d’alloro,
la spada e la pietra strette nelle mani, la testa tagliata riversa ai
suoi piedi, sono dettagli che possono
richiamare un’altra storia: l’uccisione
da parte di Mercurio di Argo Panoptes
su ordine di Giove, che desiderava liberare
la ninfa Io di cui era follemente
innamorato. Il David è sempre stato a
Firenze ma ha cambiato spesso casa.
Originariamente era collocato presso
Palazzo Medici e dai documenti sappiamo
certamente che la scultura si
trovava lì nel 1469, durante le nozze
di Lorenzo il Magnifico con Clarice Or-
David di Donatello (1440 circa), bronzo dorato, Museo del Bargello, Firenze
sini. Nel 1495 venne trasferito a Palazzo Vecchio, dopo che i Medici
furono cacciati, diventando così il simbolo della libertà di
Firenze. Successivamente, la statua fu mossa molte volte ed in
vari palazzi, finché entrò nella Galleria degli Uffizi nel 1777. Nella
seconda metà del Novecento entrò a far parte definitivamente
delle collezioni del Museo Nazionale del Bargello, dove è tutt’oggi
esposta al pubblico. In poche, rare occasioni, la scultura ha lasciato
Firenze per farsi ammirare nel mondo, contribuendo così
a diffondere la conoscenza dell’arte italiana e ad alimentando il
mito della sua grandezza: nel 1930, con la trasferta alla Royal
Academy of Arts di Londra per la mostra dedicata all’eccellenza
artistica italiana (Exhibition of Italian art: 1200–1900) o per l’Expo
1967 di Montreal, quando il David fu protagonista assoluto del
padiglione italiano in un allestimento appositamente realizzato
da Carlo Scarpa. Nel 1887, in occasione dei cinquecento anni dalla
nascita di Donatello, la Sala delle Udienze del Palazzo del Bargello
venne trasformata in un grande salone espositivo dedicato
al maestro. Il successo fu tale che da quel momento lo stesso
magnifico salone venne intitolato all’artista. Oggi il giovane eroe
di Donatello che sconfigge Golia, emblema della genialità, della
creatività e della perfezione stilistica italiana, dà anche il nome al
più importante riconoscimento del cinema italiano.
44
IL DAVID DI DONATELLO
Ritratti
d’artista
Paola Parri
Un universo femminile consapevole e libero da pregiudizi
di Jacopo Chiostri
Donne che ci guardano dall’alto in basso con enormi
orecchini a forma di cerchio – il cerchio senza
inizio e senza fine simboleggia eternità e infinito
ma anche completezza –, donne che ballano armoniose,
donne maliziose, perfino trasgressive, che esibiscono,
non senza una certa alterigia, la loro femminilità, ma anche
un’anziana con una pezzuola rossa sui capelli bianchi:
la pittura di Paola Parri è un racconto al femminile con protagonista
l’eterno femminino, quello che Goethe nel suo
Faust dice ci farà salire in cielo. Quindi non le peculiarità
femminili contingenti, ma la donna nella sua essenza immutabile.
Paola Parri, pittrice fiorentina, complice i tempi
bui della pandemia e la quarantena, da non molto ha ripreso
in mano i pennelli ed ha riacceso una passione che nella
sua storia risale alla fanciullezza, periodo da lei trascorso
nella campagna delle colline attorno Firenze dove si è manifestata
l’altra sua passione per l’ambiente e gli animali,
concretizzatasi con gli studi di Agraria. La vena artistica
era riaffiorata nella storia della Parri in età adulta, rivolta
inizialmente alla lavorazione dell’argilla. Due i passaggi
cruciali di quel periodo: la frequentazione della bottega
del ceramista Luciano Landi e lo studio della decorazione
pittorica della ceramica, prima sotto la guida di Antonio
Abussi, poi presso la prestigiosa e storica manifattura Richard
Ginori. «Il lavoro sulla ceramica – racconta l’artista
– ha il fascino della materia ruvida che viene plasmata e
che prende forma e dell’alchimia dell’azione degli altri elementi:
l’acqua e il fuoco». La Parri si segnalò in questa fase
per un’intensa ricerca sui materiali e sulle tecniche, e il
lavoro le valse la partecipazione a mostre collettive e a diverse
personali. Ne ricordiamo alcune: Progetto formativo
Terra a Sesto Fiorentino (2008), le personali Hypnose a Firenze
(2009) e Terracqua alla torre del porto dell’Isola di
Capraia (2010). Tornando alla pittura, le sue donne sono
figure altere, non sprezzanti ma consapevoli. Non una sfida
(che sarebbe una contraddizione), bensì una serie di affermazioni.
Un attacco ai luoghi comuni e alla narrazione,
stantia, che ancora incombe sull’universo femminile. Così
l’anziana, con la sua pezzuola rossa, lo scialle bianco sulle
spalle e seduta su una sedia, non è rappresentata col volto
rugoso assunto ormai a icona di questo tipo di figura, ma
è raffigurata di profilo con in grembo una rivista e ai piedi
delle calzature moderne, tanto simili alle famose sneakers.
La rappresentazione è ricca di simbologie e la donna
torna a essere la divinità, quella che nell’antichità era rappresenta
soltanto al femminile. Dal punto di vista pittorico,
il segno è sicuro, i colori sono a volte cupi, altre affiancati
e sgargianti a comporre un insieme che dovrebbe apparire
disordinato e invece trasmette armonia ed equilibrio nella
composizione cromatica e non solo. Su tutto domina la capacità
di idealizzare le posture, di cristallizzare il gesto e
il movimento dei soggetti; il risultato emerge senza strepiti.
Anzi. La lettura per l’osservatore risulta immediata, l’intenzione
dell’autrice ci arriva subito col suo significato, e vi
rintracciamo senso di libertà espressiva mediato però dal
rigore verso il mondo che rappresenta. La pittura della Parri
si avvale di tecniche miste: acrilico, olio, terre. Con queste
sperimenta, un punto fermo del suo lavoro in continuo
aggiornamento, giacché l’artista sembra piuttosto restia
ad accettare di essere identificata con uno stile riconoscibile.
Molte le partecipazioni a esposizioni di pittura soprattutto
recenti, tra il 2020 e il 2021: Galleria IAC, ART ART
Impruneta, Artisti in San Domenico a Prato, Filo rosso - Mostra
di opere diffuse a Firenze, New Orizon alla Rosso Tiziano
Art Accademy, Rassegna di Arte Contemporanea nel
chiostro di Santa Maria dei Pazzi a Firenze, Artisti a Pietrasanta
e Contemporanea allo Spazio Espositivo San Marco.
maill@paolaparri.com
Io guardo avanti, tecnica mista (terre, matite, olio), cm 50x70
PAOLA PARRI
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Quadrupedante putrem cursu quatit ungula campum (tratto dal XI libro dell’Eneide), olio su tela
Alessandro Lombardi
Cavalli in corsa come note sul pentagramma
alex.lombardi2016@icloud.com
L’opera è stata donata dall’artista al celebre autore Mogol che qui vediamo in foto con il quadro
A cura di
Alessandra Cirri
L’avvocato
risponde
La violenza di genere, un reato in crescita
di Alessandra Cirri
Il 25 novembre di ogni anno si celebra la giornata mondiale
della violenza contro le donne. Il termine “femminicidio”
è un neologismo che può essere fatto risalire agli
anni Novanta per qualificare gli omicidi basati sul genere che
vedono come vittima la donna “in quanto donna”. I dati ISTAT
confermano che in Italia le forme di violenza contro le donne
sono in continua crescita. In generale, le donne tra i 16 e 70
anni hanno subito nel corso della loro vita una qualche forma
di violenza fisica o di violenza sessuale da parte di uomini, sia
estranei che partner o conoscenti, amici, parenti e colleghi di
lavoro. Le donne subiscono minacce (12,3%), sono spintonate
o strattonate (11,5%), sono oggetto di schiaffi, calci, pugni
e morsi (7,3%). Altre volte sono colpite con oggetti che possono
fare male (6,1%). Meno frequenti le forme più gravi come il
tentato strangolamento, l’ustione, il soffocamento e la minaccia
o l’uso d’armi. Tra le violenze sessuali le più diffuse sono
le molestie fisiche, cioè l’essere toccate o abbracciate o baciate
contro la propria volontà (15,6%), i rapporti indesiderati
vissuti come violenze (4,7%), gli stupri (3%) e i tentati stupri
(3,5%). Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner,
parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7%
dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici.
Anche le violenze fisiche (come schiaffi, calci, pugni e morsi)
sono per la maggior parte opera dei partner o degli ex. Gli sconosciuti
sono autori soprattutto di molestie sessuali (76,8%
fra tutte le violenze commesse da sconosciuti). Da un’inchiesta
del Ministero della Giustizia il femminicidio rappresenta
un vero e proprio massacro a considerarne i numeri: circa
150 casi all’anno in Italia (157 nel 2012, 179 nel 2013, 152 nel
2014, 141 nel 2015, 145 nel 2016) per un totale di 600 omicidi
in quattro anni. Significa che in Italia ogni due giorni viene
uccisa una donna. Nel mondo se ne contano migliaia. Il femminicidio
rappresenta una parte preponderante degli omicidi
di donne, con la caratteristica della maturazione in ambito fa-
miliare o all’interno di relazioni sentimentali poco stabili. L’ordinamento
italiano non prevede il femminicidio come ipotesi
di reato autonoma bensì come un’aggravante. La legge contro
il femminicidio fu varata dal Parlamento nel 2013 e modificata
con la legge n. 69 del 2019 che ha introdotto il c.d.
“codice rosso” che nel codice penale introduce nuovi quattro
delitti: il delitto di deformazione dell’aspetto della persona
mediante lesioni permanenti al viso (nuovo art. 583-quinquies
c.p.); la diffusione illecita di immagini o video sessualmente
espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (inserito
nell’art. 612-ter c.p. dopo il delitto di stalking); il delitto
di costrizione o induzione al matrimonio (art. 558-bis c.p.);
il delitto di violazione dei provvedimenti di allontanamento
dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi
frequentati dalla persona offesa (art. 387-bis). Per quanto riguarda
la procedura penale, l’intento era quello di velocizzare
il procedimento penale per i delitti di violenza domestica e
di genere, accelerando l’adozione di provvedimenti di protezione
delle vittime. A tale fine la Legge n. 69/2019 prevede,
a fronte di notizie di reato relative a delitti di violenza domestica
e di genere, che la polizia giudiziaria riferisca immediatamente
al pubblico ministero, anche in forma orale, e che il
pubblico ministero, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia
di reato, assuma informazioni dalla persona offesa o da chi
ha denunciato i fatti di reato. Nella pratica, purtroppo, questa
celerità di intervento sia delle forze dell’ordine che della magistratura
non si sono propriamente realizzate. Le donne uccise
avevano quasi tutte denunciato più volte i delitti subiti, senza
ricevere la dovuta protezione né l’applicazione di misure rapide
contro l’autore del reato. Dopo un anno dall’entrata in vigore
del c.d. “codice rosso”, nel 2020, il presidente della Corte di
Cassazione ha rilevato l’incremento di reati spia, quali i maltrattamenti
in famiglia, lo stalking e le altre violenze sulle donne,
ritenendolo un indice della crescita del fenomeno.
Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università
di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione
di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto
di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista
dal 2006.
Studio legale Alessandra Cirri
Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze
+ 39 055 0164466
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alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it
VIOLENZA DI GENERE
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Attività storiche
in Toscana
Ristorante Cafaggi
Un angolo di storia e architettura in via Guelfa a Firenze
di Andrea Cafaggi
Anticamente, quando il Mugnone scorreva ancora per
via San Gallo e via dei Ginori, là dove Boccaccio situa
la dimora del mitico Calandrino, dal torrente si
dipartiva il fosso detto Macinante, le cui acque fornivano
forza motrice ad un molino e defluivano poi ad alimentare il
fossato della Fortezza da Basso alla Porta Faenza. Il nome
del Canto alla Macine è tutt’oggi conservato dalla storica
farmacia all’angolo di via Guelfa con via dei Ginori. Fino
all’ultima guerra mondiale due grosse macine di pietra erano
presenti sul sagrato dell’attuale chiesa evangelica delimitato
da un cordolo. Il fosso Macinante venne poi interrato
quando il Mugnone fu deviato oltre le mura della terza cerchia,
e al suo posto venne realizzato il tracciato di una nuova
strada, l’attuale via Guelfa, che nel primo tratto (da via
Cavour) prese appunto il nome di via del Canto alla Macine,
“quae (...) protenditur per Cafadium canonice Flor. Versus
(…) Portam Mugnonis de Campo Corbolini” (Davidsohn). Il
Cafadium, cioè Cafaggio, è un altro fra i numerosi terreni urbani
entro le mura appartenenti ad enti ecclesiastici. L’alveo
interrato fornì terreno da costruzione, ma una grossa falda
acquifera permane tutt’oggi nel sottosuolo: in quasi tutte le
cantine del circondario è presente un pozzo, peraltro ovviamente
inutilizzabile come acqua potabile. Accanto all’abitazione
della nostra famiglia, posta al numero 19, esisteva un
vetusto fabbricato risalente al XVI secolo, costruito dall’Ospedale
degli Innocenti per ospitare le “malmaritate”. Era
poi stato acquistato dai miei, che lo chiamavano la Casina,
che ne utilizzavano i fondi come magazzino. Nel 1958 la nostra
famiglia decise di abbatterlo, in quanto strutturalmente
fatiscente, privo di efficienti impianti igienici negli appartamenti
e infestato dagli acari portati dai piccioni che nidificavano
nel sottotetto. I lavori, su progetto degli architetti
Raffaele Martelli e Luciano Fabbri, furono eseguiti dall’impresa
edile del geometra Renzo Cafaggi, fratello e socio di
Giancarlo, nostro padre. Per abbattere l’edificio fu necessario
il permesso delle Belle Arti, e l’operazione poté essere
compiuta soltanto puntellando con grosse travi di legno gli
edifici limitrofi via via che procedeva la demolizione, per poi
costruire in appoggio il nuovo edificio moderno in cemento
armato la cui struttura fu calcolata dall’ingegnere Nofri. Furono
eseguiti quindi gli scavi per le fondazioni: i plinti dovevano
raggiungere la profondità di sei metri sotto il livello
della cantina. Arrivati al letto interrato dell’antico Fosso Macinante,
ci si accorse che le fondazioni della demolita Casina
erano costituite da oltre quattromila paletti di legno
piantati nella massa di riporto. Furono gettate le fondazioni
e venne realizzata una razionale cantina per ospitare la centrale
termica e gli impianti a servizio del ristorante e dei sovrastanti
appartamenti, poi il piano terreno destinato ad
La Casina delle Malmaritate al n. 21 (1959)
ospitare la sala grande del ristorante. Per questa sala da
pranzo l’architetto Moravio Martini concepì gli spazi interni
e l’arredamento, come felice connubio di materiali e di colori,
gli stessi del Rinascimento fiorentino: bianco delle pareti,
rosso dei rivestimenti in ceramica, grigio del pavimento. Disegnò
il passa-pranzi a vista sulla cucina, creando una notevole
armonia e continuità di linee fra il cristallo zigrinato
sovrastante la plafoniera del passavivande e la porta di comunicazione
fra la sala e la cucina, anch’essa in cristallo zigrinato,
ottenuta mediante un pannello in legno a fungere da
raccordo e richiamo stilistico alla boiserie. La realizzazione
fu affidata alla ditta Giusti di Prato. Ma cedo la parola direttamente
all’architetto Martini: «Renzo Cafaggi, un mio compagno
di scuola divenuto importante impresario edile, nei
primi anni Sessanta aveva ricostruito un immobile situato in
via Guelfa di proprietà della sua famiglia. Il piano terra era
destinato ad ingrandire i locali della loro ottima trattoria. Mi
48
RISTORANTE CAFAGGI
contattò per chiedermi un progetto
di arredamento; ero un giovane architetto
con idee molto moderne e
così cominciai a pensare a un arredamento
che fosse innovativo e funzionale
per un pubblico esercizio. In
quegli anni ero il tecnico della ditta
artigiana Arredamenti di Prato che
lavorava nell’arredamento di negozi
e locali, e con il titolare Bruno Giusti,
uomo di intelligenza sopraffina, onesto
e capace nel suo lavoro, portai
avanti il progetto seguendo i suggerimenti
del mio amico Renzo Cafaggi
e della sua famiglia. Particolare curioso:
mi chiesero di nascondere i
pur inevitabili attaccapanni. Ci riuscii
sistemandoli dietro pannelli di
mogano intervallati da fioriere in
basso e plafoniere in alto. C'erano
anche delle soluzioni, per quel periodo
abbastanza audaci e rivoluzionarie,
per le diverse zone della sala,
concepite per la miglior funzionalità
del servizio e per la facilità di pulizia
e manutenzione dell'ambiente. Una
volta ultimati sottoposi i disegni a
Renzino e a Giancarlo, che ne furono
entusiasti fin da subito, e così li presentai
alla ditta Giusti con la quale
trovarono velocemente un accordo.
Fondamentalmente il mio progetto
si basava su tre o quattro materiali:
acciaio inossidabile, rame battuto,
legno mogano, cemento armato
scalpellinato per i pilastri, che dove-
vano mostrare i sassolini di fiume a facciavista ed erano rivestiti
da legno di noce. Il rivestimento in cotto delle pareti
e dei pavimenti sono toscanissimi, trattandosi della famosa
fabbrica di ceramiche Vicano. Fu grazie ad una straordinaria
convergenza di relazioni, fattori tecnici e contenuti concettuali
che realizzammo tutto questo, un insieme che riuscì
magnificamente, al di là delle nostre stesse aspettative, anche
in virtù della reciproca stima ed amicizia fra me ed i fra-
Sala nuova verso le vetrine di via Guelfa (1962)
Passapranzi e porta di comunicazione (1962)
telli Cafaggi». Furono scelti dall’architetto Martini tavoli e
sedie disegnate da Giovanni Michelucci per Poltronova di
Agliana. Le sedie imbottite avevano sedute in similpelle trapuntate
in nove sezioni quadrate con bottoncini ornamentali
alle intersezioni del quadrato centrale. Lo schienale era
anatomico in legno lamellare piegato a caldo, le gambe i ritti
e tutte le bacchette a sezione quadrata anziché circolare,
rese possibili da una stagionatura dei legni oggi introvabile.
L'oste di fiducia consegna il vino alle famiglie (1934) Famiglia e dipendenti a pranzo (1955)
RISTORANTE CAFAGGI
49
Dopo quarantatré anni di lodevole servizio queste sedie sono
state sostituite (2005) da altre con caratteristiche simili
ma purtroppo non pari data la diversità dei materiali reperibili.
Il 4 novembre 1966 l’alluvione di Firenze sommerse le
cantine e arrivò a 60 cm nelle sale ed in cucina. L’enorme lavoro
di ripulitura dal fango e dalla nafta portati dall’alluvione
fu affrontato con grande eroismo dai miei familiari che in
giorni e notti di duro lavoro riuscirono a salvare l’arredamento
ancora nuovo, grazie anche agli eccellenti legnami adoperati.
Nel 1967 la famiglia decise di rifare l’arredamento della
prima sala, ancora una volta affidandosi a Moravio Martini
ed alla ditta Giusti. Moravio disegnò anche la bussola in acciaio
inox dell’ingresso con l'insegna in lettere scatolari retroilluminate
e il nuovo bancone di esposizione e di servizio
su due fronti che metteva in comunicazione le sale attraverso
il vano ricavato dal sottoscala condominiale, con pensilina
aggettante nella sala d’ingresso. Scegliemmo per questa
sala tavoli e sedie della ditta Planula che aveva raccolto le
idee della Poltronova e realizzato gli studi e i disegni dell’architetto
Ettore Sottsass. Negli anni alcune modifiche, pur
dolorose dal punto di vista estetico, si sono rese inevitabili
per adeguare l’attività alle nuove normative. Nell’insieme le
Angolo destra della sala nuova e mamma Maria che prepara le cestine di frutta (1962)
Verso la cucina con Beppe Giovannetti (1962)
Nonno Settimo e nonna Roma (1950)
modifiche non hanno comunque cancellato la fisionomia
dell’ambiente che resta informato ai criteri dell’Architettura
razionale che trova in Martini uno dei più rappresentativi
esponenti, caratterizzato dalla sobrietà e pulizia di linee finalizzate
alla funzionalità dell’ambiente rispetto alla sua
destinazione ed alla attività lavorativa. Da allora moltissimi
architetti e arredatori italiani e stranieri
ci hanno chiesto il permesso di scattare
foto dei nostri interni, e questo è per
noi motivo di fierezza. Oltretutto, lavorare
in un ambiente razionale e comodo
è stato un piacere anno dopo anno e
per questo ringraziamo ogni giorno il
coraggio dei familiari che ci hanno preceduti,
che coltivavano il futuro perché
avevano un passato. E ringraziamo del
pari, se non di più, l’illuminata lungimiranza
dei nostri architetti, veri umanisti,
i quali nel loro pensiero creativo
seppero coniugare estetica e funzionalità
progettando spazi e ambienti a misura
d’uomo, dove possono conciliarsi
al meglio il nostro lavoro e il benessere
di chi siede ai nostri tavoli per ritrovare
ricordi – e sapori! – piacevoli. Facciamo
nostra questa riflessione di Moravio
Martini: «Sono tornato recentemente
nel ristorante, invitato dai figli di Giancarlo
che ancora mandano avanti il locale
avito, ed ho avuto la soddisfazione
di constatare che la famiglia ha saputo
conservare per sessant’anni l’arredamento
originale in una maniera quasi
perfetta: che io lo abbia disegnato mi
dà tuttora soddisfazione, ma ancora di
più me ne dà pensare che, se le nostre
opere sono figlie del nostro ingegno e
del nostro amore per la vita, la cosa più
bella che ci possa capitare è che qualcuno
le ami e le conservi per tramandarle
a chi verrà… ».
50 RISTORANTE CAFAGGI
A cura di
Giuseppe Fricelli
Concerto in
salotto
Gabriel Tacchinò
Esecutore di talento
di Giuseppe Fricelli / foto courtesy www.gabrieltacchino.com
Gabriel Tacchinò è uno dei più famosi ed importanti
pianisti classici francesi. Nato a Cannes, di origini
italiane, ha studiato al Conservatorio di Parigi con
Jaques Févriere e Margherite Long. Vincitore di importanti
concorsi internazionali, ha tenuto un’infinità di concerti
suonando anche con orchestre dirette da Karajan, Monteaux,
Clytens e Muti. Ha suonato in formazioni cameristiche
con Rampal, Stern, Ciccolini. Molte le sue incisioni discografiche.
Vastissimo il suo repertorio che comprende, fra le
altre cose, tutta l’opera di Poulenc di cui Gabriel è stato l’unico
e vero allievo. Tacchino è stato insegnante al Conservatorio
di Parigi ed oggi tiene corsi di perfezionamento in
varie accademie mondiali. L’ho conosciuto anni fa ed ho anche
avuto modo di suonare con lui a quattro mani in concerto
pagine di Ravel. Sono rimasto conquistato dal suo modo
di porgere la pagina musicale sempre sobria, viva, descrittiva,
poetica. Splendido il suo appoggio fisico sulla tastiera
e ricercata la sua sonorità timbrica. Musicalità, dizione
strumentale, legato, consapevolezza espressiva fanno di
quest’artista uno splendido pianista. È una persona riservata
di grandi sentimenti, di gran cuore, a volte anche timido.
Un vero e caro amico.
Gabriel Tacchino alla Biennale di Firenze durante la consegna del Premio
Lorenzo il Magnifico
Con Jaques Févriere (a destra)
Giovanissimo con Francis Poulenc
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
GABRIEL TACCHINÒ
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Primavera in inverno, olio su tavola, cm 40x50
Composizione floreale, olio su tavola, cm 33x59
Fresca allegria, olio su tela, cm 50x60
Loretta Casalvalli
Colori e forme della natura
In mostra personale allo Spazio Espositivo San Marco
dal 31 ottobre al 10 novembre 2021
loretta.casalvalli@live.it
Iris fiorentina, olio su tavola, cm 40x60 (dipinto eseguito
per il libro Flora e fauna sul colle di Vespignano)
Giaggioli, olio su tavola, cm 30x60
Primo ottobre sul colle di Vespignano (omaggio a Giotto
per i 750 anni dalla nascita), olio su tavola, cm 30x40
Firenze
mostre
Wilma Mangani
La dirompenza del colore nella personale dell’artista fiorentina
allo Spazio Espositivo San Marco
di Jacopo Chiostri
Le opere che Wilma Mangani propone con la personale
presso lo Spazio Espositivo San Marco sono, al
momento, il punto di arrivo di un lungo e coraggioso
percorso artistico. Wilma Mangani ci dice con questi lavori
che lei non si accontenta di dormire sugli allori, che si è
messa in discussione e che, in questo modo, ha fin qui tirato
le somme di tutto il lavoro fatto nei tanti anni di carriera:
sorprendentemente, anche in questa modalità espressiva, rimane
saldamente ancorata al proprio stile che ha traversato
molteplici e feconde stagioni. Pittura, la sua cui, che potremmo
definire “diversamente figurativa”, pittura nella quale si
avverte il gesto quasi liberatorio di un’artista che completa
un percorso che, come lei stessa racconta, è stato senz’altro
complicato. «L’astrattismo – dice – è una meta alla quale volevo
arrivare, che mi fa sentire completamente realizzata, è stato
però un percorso travagliato». Artista di lungo corso, Wilma
Mangani fin da adolescente ha dato ascolto alla propria vena
creativa; ha un passato anche di narratrice, con racconti pubblicati,
a suo tempo, sui rotocalchi, ma la pittura – corroborata
dagli studi al liceo artistico a Firenze – è sempre stata la prima
compagna di vita. La sua storia richiederebbe molto spazio;
condensiamo perciò al massimo. D’altra parte come non
ricordare l’attività di gallerista, a Firenze e a Forte dei Marmi,
le mostre accanto a de Chirico, Guttuso, Sironi, Annigoni,
i molti riconoscimenti ottenuti nel tempo, l’essere conosciuta,
e apprezzata, al di là dei confini nazionali, l’accostamento
riconosciuto da critici illustri al realismo sui generis di Gino
Severini, pittore col quale la accomuna la ricerca costante di
nuovi stimoli e, in ultimo, un percorso, sorprendente, iniziato
con evidenti riferimenti ai valori plastici della pittura tradizionale
classica – sua cifra caratterizzante – e sfociato ora in
una nuova strada, possibile proprio perché a monte ci sono
solide basi. A proposito delle opere in mostra al San Marco
si potrebbe aprire un dibattito sulle differenze tra astrattismo
e informale; la pittura di Wilma Mangani, lo scriviamo in via
convenzionale tra di noi consci che non abbia granché importanza,
è astratta (del resto è il termine che usa anche lei) laddove
mantiene quel substrato intellettuale e spirituale che è
rifiutato in genere dagli informali. Certo il gesto anticonformista,
che fortemente si avverte, farebbe pensare il contrario,
ma c’è nei segni, ricchi di colore, espressività, forza controllata,
di queste opere un’organizzazione razionale che è quella
per cui prima le abbiamo definite “diversamente figurative”.
Sia come sia, quello che leggiamo è l’esplicitarsi dell’interiorità
dell’artista, il suo saltare, con gioia, gli steccati accademici
e la costrizione della forma, verso un nuovo mondo possibile;
una rappresentazione, del tutto credibile, di quello che non vediamo
ma che, qui, diventa riconoscibile. Ci si aspetta
che questo magma di luce e di energia esploda da
un momento all’altro, esca dalla tela e si arrampichi
sul muro dove è appesa l’opera per andare a colorare
e a discutere col mondo circostante e a raccontare
la sua verità che non è meno autentica di quelle
che già conosciamo. La Mangani sposta l’asticella
del possibile con l’invito a esplorare nuove traiettorie
dell’intelletto e ascoltare nuovi suoni: questo è.
Infine, il colore, tratto dirompente nella sua poetica.
Colore che definisce la sintesi emozionale delle opere,
colore sapientemente dosato e accostato nelle
sue declinazioni per esaltare la narrazione, tante sillabe
a comporre un linguaggio viscerale e speculativo
inedito.
+ 39 055 643571
WILMA MANGANI
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Percorsi d’arte
in Toscana
A cura di
Ugo Barlozzetti
I musei di San Gimignano, scrigni di tesori
dagli Etruschi all'arte contemporanea
di Ugo Barlozzetti / foto courtesy ufficio stampa Opera Laboratori
Il Museo archeologico, la Spezieria di Santa Fina e la
Galleria d’arte moderna e contemporanea “Raffaele De
Grada” sono situati presso l’antico monastero di Santa
Chiara a San Gimignano. Il monastero è stato recuperato
tra gli anni Ottanta e Novanta del Novecento. Il Museo archeologico
di San Gimignano conserva testimonianze che
tracciano la storia del territorio dal periodo etrusco arcaico.
L’esposizione è organizzata su due sezioni, una dedicata
nello specifico all’arte etrusca e romana con reperti
provenienti da insediamenti e necropoli dell’area sangimignanese
(tra cui Cellole, Pugiano e La Ripa) dal VII secolo
a. C. al I d. C.. Vi è esposta la più recente scoperta dell’area:
nel 2010 è stata trovata una statua etrusca, alta circa
64 cm, che rappresenta un offerente, del tipo dei bronzetti
allungati di età ellenistica e di alta qualità, simile all’Ombra
della Sera di Volterra. Gli scavi in seguito hanno fatto
emergere una straordinaria area sacra etrusca all’aperto,
frequentata dal III sec. a. C. al II d. C.. L’altra sezione evidenzia
le attività di carattere artigianale quali vetro e ceramica
prodotte da San Gimignano durante il Medioevo.
Nella Spezieria di Santa Fina, annessa nel 1253 allo spedale
omonimo fondato alla metà del Trecento, sono esposti
suppellettili e arredi delle antiche istituzioni sanitarie
della città. L’allestimento propone l’assetto e gli aromi originali
della farmacia, una delle più antiche della Toscana,
con la suddivisione della “cucina”, ossia il laboratorio
dove si preparavano i medicinali, e della “bottega”, dove
venivano posti in vendita
i prodotti. Vasi ceramici
e vitrei di altissimo livello
qualitativo riferibili al periodo
tra il Quattrocento e
il Seicento, contenevano i
medicinali. La visita è organizzata
in modo da effettuare
un percorso che
descrive la storia delle attività
connesse alla produzione
della spezieria.
Sono esposti anche medicinali
antichi, quali l’olio di
scorpioni o la mandragora.
Intitolata a Raffaele De
Grada (1885-1957), pittore
che dopo aver viaggiato
in tutta Europa scelse
San Gimignano come patria
d’elezione, è la Galle-
ria d’arte moderna e contemporanea, ospitata anch’essa
nell’antico monastero di Santa Chiara. Raffaele De Grada
iniziò a frequentare la città nel 1915 in seguito al matrimonio
con Magda Ceccarelli. Sono esposte molte opere che
spiccano sia per la qualità artistica e documentano il legame
che l’artista instaurò con San Gimignano. Inaugurata
nel 2002 a cura di Enrico Crispolti, la collezione riunisce
opere dell’Ottocento toscano e del Novecento. A Niccolò
Cannicci e a Raffaele De Grada sono destinate due salette
monografiche. Vi sono inoltre imponenti tele dalle suggestioni
surreali di Giannetto Fieschi. Il museo conserva
ed espone le opere entrate nella collezione a partire dagli
anni Settanta, con il premio De Grada (tra cui Guttuso,
Sassu, Vacchi) e all’esposizione Grande Adesione (1985)
curata da Andrea del Guercio e dedicata all’arte astratta,
progettuale e alla nuova pittura, e grazie alle iniziative seguenti
che fino agli anni Duemila hanno arricchito di doni
la galleria. Il lascito della collezione Pacchiani incrementa
inoltre la pinacoteca di dipinti italiani fra gli anni Trenta e
Ottanta con opere di artisti come Casorati, Campigli, Carrà,
de Chirico, Sironi, Soffici, Mafai, Morlotti, Adami e altri
grandi maestri. La galleria ha inoltre lo spazio espositivo
più grande della città, all’interno del quale si tengono mostre
temporanee dedicate all’arte dell’Ottocento, del Novecento
e degli artisti contemporanei.
www.sangimignanomusei.it
La Galleria di arte moderna e contemporanea Raffaele De Grada
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PERCORSO A SAN GIMIGNANO
Ritratti
d’artista
Elena Galli
Una pittura all’insegna dell’ottimismo
di Jacopo Chiostri
Il rapporto che la pittrice Elena Galli ha con la sua arte lo si intuisce
da come, in maniera coincisa e disinvolta, descrive il
suo percorso. «All’inizio – racconta – sono partita con lavori
artigianali, poi sono passata a copiare a modo mio opere di grandi
artisti, quindi quadri su commissione, e alla fine ho deciso di
fare quello che mi piace». E quello che piace a Elena Galli è una
pittura all’insegna dell’ottimismo e del colore, quest’ultimo specchio
fedele della vivacità e delle emozioni che trasmette ai suoi
quadri, e con i suoi quadri. Ammesso (e non concesso) che sia
necessario, non è facile stabilire una classificazione convincente
dello stile della Galli; che è più cose assieme. Potrebbe essere
espressionista per la capacità di esaltare emotivamente la realtà
rispetto alla sua percezione oggettiva, ma poi la sua è tutt’altro
che una pittura cupa, anzi. A volte è decorativa, altre vicina al naïf,
ma la definizione – ovviamente ha un’importanza limitata, si fa
per capirsi – più convincente è che si tratta di pittura ricca di simboli,
che diventa tramite per una riflessione, e lo fa grazie a contenuti
di non immediata comprensione perché, istintivamente, si
sarebbe portati a pensare il contrario in ragione della spontaneità
che si avverte nel gesto pittorico e nella, volutamente, essenziale
raffigurazione dei soggetti. Del resto, la stessa Galli spiega
in questi termini la “filosofia” del suo agire artistico: «Di primo acchito,
i miei dipinti possono sembrare semplici, ma dietro ad ogni
quadro c’è sempre una morale. Uso l’arte per esprimermi e i colori
sono le mie emozioni». L’ispirazione viene dalla natura, dagli
animali, ma anche da tematiche di attualità sociale, il tutto
all’insegna di una visione positiva della vita e, come già detto,
Ipnosi, pittura acrilica e sassi su legno, cm 50x60
La mano di Kami, pittura acrilica e sassi su legno, cm 50x60
del colore. I suoi sono colori vivaci, accostati in modo da esaltarsi
vicendevolmente, senza stridere, bensì creando un impatto
visivo cui è difficile restare indifferenti. La libertà creativa domina
su tutto, perché il tentativo è riuscito: Elena Galli ha creato un
suo mondo. Lei decide il taglio degli occhi, le capigliature e le vesti
delle sue figure femminili. Le dipinge così come ha immaginato
la rappresentazione che affida loro, amalgamando memorie e
fantasia. Sono tante, le sue donne: un’egiziana, una giovane con
occhiali alla John Lennon, una giapponese, un’islamica, un’elegante
ragazza con un turbante e una margherita gialla in testa,
una “donna con capello rosso” che richiama alla mente Antonio
Bueno e subito dopo Magritte. Poi ci sono le sue composizioni
floreali che sembrano prendere per mano il visitatore e sussurrargli
che verrà accompagnato a visitare un mondo dove i criteri di
bellezza e armonia gli riserveranno delle sorprese e che deve essere
pronto ad imparare un nuovo linguaggio. Perché l’originalità
è la caratteristica più “appariscente” dell’arte della Galli. Dicevamo
anche della simbologia che è evidente nei dipinti di Elena Galli.
Il messaggio più forte è legato proprio a quelle figure femminili
di cui abbiamo detto. C’è nel suo racconto una naturale consapevolezza
del momento storico che sta attraversando la condizione
femminile. E la donna della Galli è una donna fiera, consapevole,
che guarda alla vita con ottimismo, una donna forte, che la sua
forza non la ostenta: la esprime con lo sguardo e il sorriso, autoironico
ma fermo. Insomma un’artista sui generis, una pittura che
è il prodotto di un’idea. E così è proprio vero, come è stato detto,
che “l’arte rende tangibile la materia di cui sono fatti i sogni”.
isassidinena@gmail.com
+ 39 3397988665
@i_sassi_di_nena
ELENA GALLI
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Ritratti
d’artista
Marzia Zuccaletti
L’arte di ridare vita agli oggetti
di Barbara Santoro
Ho conosciuto Maria Zuccaletti ad una cena fra amici
e siamo entrate subito in sintonia. Abbiamo tanti
interessi in comune ed un amore per le cose belle.
Marzia si diletta ad inventare con estrema facilità e quasi
dal nulla piccole e preziose creazioni, oggetti decorativi
che stanno bene un po’ ovunque. Ha raccolto quasi per caso,
durante passeggiate nel bosco o sulla spiaggia, piccoli
legnetti o ciottoli per lo più inosservati, ma che all’occhio
e al cuore di Marzia hanno parlato. Un giorno, andandola a
trovare a casa sua, sono rimasta impressionata dalla quantità
di ninnoli da lei creati con passione. Avrei portato via
tutto, a tal punto mi piacevano quelle sue creature. Definirla
artista è forse eccessivo, artigiana invece è riduttivo; quel
che è certo, invece, è che ciò che esce dalle sue mani riesce
a soddisfare il gusto di molte persone perché è innato in lei
il senso della forma e del buon gusto. Umile e senza alcuna
altezzosità, ha trovato un passatempo di grande soddisfazione,
e dopo averne realizzata una, nella sua testa già
frulla una nuova idea. Così da quelle mani magiche escono
incredibili opere d’arte formato mignon: la vecchia zeppa di
legno, che teneva ferma la porta, diventa una piccola scenografia,
così come pure il bruschino da bucato, ormai inutilizzabile,
riacquista vita diventando un canneto di fronte
ad una casa. Vecchie cornici, grucce da armadi smembrate,
cassette da frutta e contenitori di vetro riacquistano una loro
realtà diventando paesaggi sospesi, bancarelle del mercato,
casette variegate e piene di vita, con i fiori alla finestra
e le tendine di trina, bucati stesi al sole, graziose facciate di
case di campagna o marine. I vecchi chiodi arrugginiti conquistano
una loro dignità diventando tetti e comignoli. La
vecchia sedia abbandonata, magari trovata davanti al cassonetto,
diventa un oggetto di designer e ti puoi sbizzarrire
a farne una seduta floreale oppure con un pesce appena
pescato. Creatività, fantasia, buon gusto, equilibrio, raffinatezza
e senso della misura fanno di Marzia un’artista fuori
dal comune, che ci incanta e ci diverte, ricordandoci che
in ognuno di noi vive il “fanciullino” di pascoliana memoria
che non dobbiamo mai dimenticare.
Marzia Zuccaletti con alcune sue creazioni
56
MARZIA ZUCCALETTI
Dimensione
salute
L’ipoacusia, ovvero la perdita parziale dell’udito
Ne parliamo con i professionisti del Centro Acustico Toscano
Testo e foto di Carlo Midollini
In un mondo in continua evoluzione il rinnovamento è un’esigenza.
Da questo presupposto parte la filosofia del Centro
Acustico Toscano, una realtà formata da un gruppo di professionisti
sanitari in campo audioprotesico che operano nelle
province di Prato, Firenze e Pistoia. I disturbi uditivi nella nostra
società sono in costante aumento a causa di una popolazione
sempre più anziana e dell’esposizione continua a fonti di rumore
anche nei giovanissimi. Si stima che in Italia attualmente ne
soffrano sette milioni di persone, ovvero circa il 12% della popolazione.
Gli effetti di tali problemi possono causare, a chi ne è
soggetto, una considerevole diminuzione della qualità di vita. Soprattutto
negli anziani una perdita uditiva non trattata può provocare
un maggiore senso di tristezza, paura ed ansia, aumentare
la frequenza degli infortuni dovuti a cadute e renderli maggiormente
soggetti a sviluppare demenza e depressione. «L’ipoacusia
sta diventando un problema sociale ma sfortunatamente è
ancora estremamente sottovalutato – spiega Marco Ranaldi, ingegnere
ed audioprotesista titolare del Centro Acustico Toscano
–; tra l’insorgenza del deficit uditivo e la decisione di ricorrere
ad un apparecchio acustico passano anche dieci anni, mentre è
fondamentale intervenire precocemente, tenuto conto che oggi è
possibile migliorare o risolvere la maggior parte dei deficit uditivi
con un tempestivo riconoscimento del problema ed un precoce
trattamento». Spesso, invece, i soggetti ipoacusici tendono a
negare il problema sia perché lo ritengono erroneamente trascurabile
sia per la paura che, affrontarlo, equivalga ad ammettere
l’avanzare dell’età. Un controllo periodico è indispensabile non
solo per chi è esposto a rumori, chi ha raggiunto la terza età e chi
ha già manifestato problemi uditivi, ma è buona prassi per tutti a
tutte le età. «Fondamentale – continua Marco Ranaldi – è rivolgersi
a professionisti sanitari seri e preparati. Dopo anni di esperienza
ho imparato che uno dei cardini fondamentali nel percorso
riabilitativo audioprotesico è il rapporto di fiducia che si instaura
fra audioprotesista e paziente. Il sanitario deve essere capace
non solo di mettere al servizio del paziente esperienza e capacità
professionali adeguate ma anche di focalizzare tutta l’attenzione
sulle necessità e peculiarità del singolo. Chi entra da noi ha la
certezza di ottenere i prodotti più innovativi presenti sul mercato
e un’assistenza professionale all’avanguardia e di uscire con
la sicurezza di aver fatto la scelta migliore per sé». Infatti, presso
le sedi di Centro Acustico Toscano è stato adottato da anni un
peculiare percorso riabilitativo dove la persona con ipoacusia è
messa al centro. Tutto parte da un colloquio informativo, durante
il quale vengono valutate le difficoltà soggettive nell’ascolto, le
condizioni ambientali e lavorative in cui il soggetto si trova abitualmente,
in quali situazioni è per lui più difficile ascoltare e quali
sono le sue esigenze e necessità. Dopo il colloquio viene analizzata
la storia audiologica passata e sottoposto il paziente ad una
batteria di test, atti a valutare i parametri audiologici attuali in maniera
tale da evidenziare la reale presenza di un deficit uditivo.
La sede fiorentina del Centro Acustico Toscano
La visita con l'audioprotesista
Questo sarà considerato il punto di partenza per lavorare insieme
verso una soluzione, definendo quale tecnologia e tipologia
di apparecchio acustico siano ottimali per ogni singola perdita
dell’udito, per le preferenze estetiche ed economiche di ognuno.
«Rivolgersi ad un audioprotesista di fiducia è importante anche
perché la scelta dell’apparecchio acustico è solo l’inizio del
processo di miglioramento dell’udito. Seguirà un delicato percorso
di adattamento con visite programmate, il cosiddetto “fitting”
dell’apparecchio. Qui, le capacità, l’esperienza e le conoscenze
dell’audioprotesista faranno la differenza per raggiungere il maggiore
recupero uditivo possibile. Inoltre è importante assicurarsi
che i pazienti sappiano utilizzare e gestire al meglio le protesi
acustiche. Per questo nelle nostre sedi ci sarà sempre personale
a disposizione per chiarire qualsiasi dubbio e perplessità e garantire
controlli periodici per verificare le prestazioni, le condizioni e
le regolazioni dell’apparecchio nel tempo». Inoltre, oggi, sfruttando
le nuove tecnologie e le sempre più innovative funzioni delle
recenti protesi acustiche, Centro Acustico Toscano ha messo
a disposizione dei clienti un sistema di consulenza, assistenza
e fitting da remoto. Infatti, dopo le regolazioni iniziali fatte in ufficio,
sarà possibile agire sull’apparecchio acustico a distanza,
senza che il paziente sia fisicamente presente nello studio audioprotesico
e quando questo non sarà possibile, in caso di necessità,
l’audioprotesista potrà garantire assistenza a domicilio.
www.centroacusticotoscano.it
IPOACUSIA
57
Mauro Mari Maris
Un’anima semplice e sensibile
Verso le montagne, smalto, cm 50x70
Il dipingere di Maris denuncia con evidenza propria la spontaneità e lo slancio di chi
si affaccia alla vita, e la salute, diciamo così, di avventatezza e di energia che sono
propri dell’età. In Maris, residui futuristici, cubisti e anche surrealisti escono dalla
trama del quadro piacevolmente aperti. E soprattutto vi è un senso evidente della
costruzione del quadro, un camminare per parabole strutturali, una ferma e decisa
volontà di afferrare una dimensione. I colori a volta scuri a volta vivaci, con figure tagliate
nell’ombra, danno un senso drammatico e allo stesso tempo fiabesco, come se
la tematica dell’artista risentisse di un qualcosa di interiore, sofferto, malinconico,
triste. È una ricerca ancora vergine quella di Maris, una ricerca che lo potrà portare
a stadi più avanzati, ma la tematica è quella di un’anima semplice e sensibile. Due
aggettivi questi che potranno avere in futuro una strada aperta, una strada che Maris
ha intrapreso con ferrea volontà e soprattutto con grande umiltà.
Aldo Giovannini (tratto dal quotidiano La Nazione)
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
Sapori di
Toscana
I’ Bacco Toscano
“Tempio” del gusto alle porte di Montespertoli
Testo e foto di Filippo Cianfanelli
Siamo a Baccaiano, frazione di Montespertoli.
In prossimità di una rotonda
stradale si trova il ristorante I’Bacco Toscano
nello stesso edificio dove sino dal 1600
si trovava l’antica Osteria di Ponte a Vergigno.
L’aspetto esterno del locale è rimasto quasi
identico a quello originale ma è nell’interno
che si apprezza l’antica architettura, con imponenti
volte in cotto risalenti probabilmente
al Medioevo. Il locale è spazioso e in bella vista
c’è il forno a mattoni per la cottura delle
pizze; alle pareti sono appese opere di artisti
contemporanei della zona che usufruiscono
di questi locali per mostre temporanee. Non
vi sono barriere architettoniche per i portatori
di handicap e all’esterno del locale una bella
tettoia offre la possibilità di pranzare all’aperto
con ampi spazi verdi dove i bambini possono
scorrazzare in totale sicurezza. Il posteggio per le auto
è molto vasto così che a qualsiasi ora non esistono problemi
di parcheggio. È un locale adatto anche per grandi tavolate,
per matrimoni ed altri eventi conviviali, da cinque anni
gestito in modo impeccabile da Carmine Foglia, dopo una
precedente gestione che lo aveva portato alla chiusura. Foglia
viene dal mondo della ristorazione ma ha anche lavorato
nella grande distribuzione e ciò lo ha portato a sviluppare
varie iniziative per andare incontro ai clienti, fra le quali una
raccolta punti (virtuali) con ricchi premi per i clienti più fedeli.
Il sito Internet è molto accurato ed è in fase di realizzazione
anche un’applicazione per gli smartphone. Prima
di iniziare il pasto ci è stato offerto un aperitivo di benvenuto,
una specie di spritz realizzato con vino bianco e birra
L'esterno del ristorante
La sala interna
dal gradevole aroma di frutta. Il menù è cartaceo, ma può
essere anche scaricato grazie ad un Qr code, compresa una
carta dei vini e delle birre piuttosto fornita. Per i meno esigenti
sono disponibili due gradevoli vini della casa, con una
simpatica etichetta personalizzata. Fra gli antipasti, accanto
ai tradizionali taglieri misti, coccoli fritti e crostini, da
segnalare un intrigante carpaccio di avocado con bufala e
pomodorini e una millefoglie di melanzane. I primi piatti sono
molto invitanti e ben presentati, la pasta, quando non è
fatta in casa, è esclusivamente Rummo o De Cecco. Si va
dai pici all’anatra agli ottimi gnudi alla crema di tartufi, dalle
linguine al pesto di rucola agli eccentrici tortelli di patate
in salsa di prosciutto e melone. Nel menù mancano i primi
di pesce, d’altronde ci troviamo tra la Valdelsa e la Valdipesa
dove il pesce non è certo un prodotto locale. I secondi
spaziano dalle classiche bistecche, le tagliate, la grigliata
mista, il fritto misto fino agli spiedini di agnello e a un’ottima
tartare di filetto di manzo con avocado che ho particolarmente
apprezzato. Non mancano le “insalatone” anche a
base di gamberetti, parmigiano e perfino pere e noci. Niente
da dire sulle pizze dall’aspetto molto invitante, che però non
abbiamo assaggiato. Molto curati i dessert ottimi alla vista
ma soprattutto all’assaggio. Tutti gli allergeni sono segnalati
in calce al menù ed il personale è in grado di dare preziosi
consigli in caso di intolleranze da parte del cliente. Il
ristorante offre anche il servizio di asporto.
Un piatto del locale
Ristorante I' Bacco Toscano
Via Volterrana Nord 50 - 50025 Montespertoli (FI)
www.ibaccotoscano.it
+ 39 328 723 4152
BACCO TOSCANO
59
Comune di Ravenna
PUNTA MARINA TERME (RA)
Arte &
Vacanze
A cura di
Andrea Petralia
Daniela Sangiorgi
Protagonista al Terme Beach Resort
di Ravenna con Il colore dei sogni
di Stefania Reitano
La scrittura geroglifica è caratterizzata da un rapporto
di tipo pittografico tra il concetto che si desidera
comunicare e il segno scelto per esprimerlo.
Vale a dire che a ogni segno corrisponde una parola. Osservando
le tele di Daniela Sangiorgi sembra essere tornati
a comunicare con le immagini come facevano i nostri
antenati: un linguaggio che supera la barriera delle lingue.
La sua pittura timbrica, dai colori vivaci, che ricorda quelli
della grafica pubblicitaria e la linea spessa di contorno che
mette in evidenza le pure forme, diventano linguaggio, icone,
ciò che possiamo definire “geroglifici contemporanei”.
Le figure, i volti, le forme sono pittogrammi pop dal contenuto
più complesso di ciò che l’immagine apparentemente
raffigura. Ricorrente è la tematica del volto di donna: ma
quale donna? Chi è? Cosa vuole rappresentare? Difficile a
dirsi perché la “creatura” dipinta dalla Sangiorgi, senza età
e senza etnia, sembrerebbe rappresentare la faccia della
stessa medaglia: il bene e il male, il buio e la luce, la ragione
e il sentimento. Nelle sue tele, chiunque, indipendentemente
dalla propria identità di genere, dal proprio status
sociale, viene accolto e incluso. L’entusiasmo e l’energia
della “pittura iconografica” dell’artista è caratterizzata da
colori accesi e da contorni ben definiti che rappresentano
forme primitive e universali con un linguaggio semplice e
riconoscibile. Ma cosa significa pittura iconografica? Per
quanto riguarda la pittura di Daniela Sangiorgi, significa
compiere un passaggio da un’analisi superficiale del lavo-
Arte & Vacanze
TERME BEACH RESORT
Viale C. Colombo, 161
Punta Marina Terme (RA) 48122
“il colore dei sogni”
In ottemperanza delle disposizioni di legge si prega di munirsi di green-pass
ro dell’artista, cioè dal contemplare i soggetti come fini a
sé stessi o come una scelta puramente casuale, a un’analisi
molto più profonda ricca di messaggi latenti che vanno
decodificati. La storia della filosofia dell’immagine ci
spiega che la prima forma di comunicazione erano le immagini
allegoriche che i Greci utilizzavano per trasmettere
Opera 53 (2021), cm 100x100
Opera 52 (2021), cm 100x100
60
DANIELA SANGIORGI
Opera 13 (2007), cm 60x80
Opera 23 (2008), cm 70x70
la conoscenza e avvicinarsi alla
verità. Nell’epoca attuale l’immagine
è una forma totalmente
indipendente, potremmo quasi dire
essere un ulteriore linguaggio
di comunicazione, probabilmente
il più efficace perché parla dell’universalità.
Le immagini, infatti,
rivestono un ruolo centrale nella
cultura di massa, oggi più di ieri
e la Sangiorgi questo lo sa bene,
perché i suoi “geroglifici pop”,
dall’aspetto vivace e a volte frivolo,
vogliono indurre lo spettatore
ad una riflessione sulla psicologia
umana e sulla società.
L’artista Daniela Sangiorgi vive la sua infanzia in provincia
di Latina, ma si trasferisce a Ravenna all’età
di undici anni. Dopo aver conseguito una laurea in
Conservazione dei Beni Culturali nel 2005, si specializza in
Archivistica. Allo stesso tempo intraprende il suo percorso
personale come pittrice, seguendo istinto, ricerca e passione,
tenendo così fede alla promessa che aveva fatto a
se stessa molti anni addietro di esprimersi attraverso l’arte.
Timidamente, quasi di nascosto, comincia a scoprire i
colori e a realizzare i primi dipinti con la tempera su carta
e poi man mano a conoscere altri pigmenti. Con l’impeto
e l’emozione della scoperta, nel 2019 incontra il curatore
Andrea Petralia di Mecenate.online, con il quale inizia una
collaborazione. Petralia, incoraggiando il suo istinto creativo,
la invita a conoscere nuove tecniche espressive. Daniela
espone una sua opera come ospite d’onore alla mostra
Lo Zibaldone dell’arte contemporanea presso il Terme Beach
Resort di Ravenna, curata da Andrea Petralia. La sua vita
nel frattempo si arricchisce con la nascita di tre figli che
contribuiscono a definire ancora più intensamente le sue
emozioni e la visione della donna protagonista delle sue
opere. Il rapporto con l’arte diventa ancor più interessante
con la conoscenza e i suggerimenti del maestro Paolo
Nuti che a piccoli passi la invita a continuare a camminare
nell’arte. Per Daniela è diventata quasi una vera e propria
necessità di crescita. Nell’aprile 2021 Italica Net le dedica
un articolo e il critico Stefania Reitano ne scrive, definendo
le sue opere “geroglifici contemporanei”. Nella primavera
del 2021, viene selezionata per la collettiva Ars et Lux II
organizzata a Milano dall’associazione Art-Space Milano,
presso lo Spazio Arte Tolomeo, dal 4 al 21 maggio. Nello
stesso mese partecipa alla mostra itinerante I fiori dell’arte
al Terme Beach Resort di Ravenna e all’Hotel Lalla di
Cesenatico, curata da Andrea Petralia. A settembre 2021
è nuovamente selezionata per la collettiva DreamArs II organizzata
da Art-Space Milano, presso HubArt, dal 9 al 23
settembre. Oggi, Daniela Sangiorgi accetta il confronto
con il pubblico nella sua prima personale intitolata Il colore
dei sogni al Terme Beach Resort; con la riservatezza che
la contraddistingue, vuole che siano i suoi dipinti a parlare
di lei e a lasciare all’osservatore quell’emozione che solo
l’arte sa dare.
Mecenate.online non è solo un portale dedicato agli appassionati che presenta decine
di artisti e permette loro un contatto diretto con i collezionisti (soprattutto nel mondo anglofono).
Ora che la situazione emergenziale comincia a dare tregua, Mecenate riprende
anche la sua attività di organizzazione di mostre, partendo come sempre dalla riviera
romagnola, in particolare da Punta Marina, a pochi chilometri da Ravenna, all’interno del
Terme Beach Resort, direttamente sulla spiaggia: uno spazio che è stato il “banco di
prova” delle attività di Mecenate fin dagli albori…
Ufficio Stampa Alberto Mazzotti
DANIELA SANGIORGI
61
Francesco
Farolfi
Visioni senza tempo
Francesco Farolfi
Studio: via Libero Andreotti, 61 – Firenze
+39 329 6427545
francescofarolfi@gmail.com
www.atelierfarolfi.com
Francesco.Farolfi.pittore
farolfifrancesco
1.
Il Cupolone da via dei Servi (2019),
acrilico su tela, cm 40x70
2. Ponte Vecchio (2020), olio su tavola, cm 80x70
A cura di
Stefano Marucci
Storia delle
religioni
Le beatitudini
Un cammino di elevazione dello spirito
di Stefano Marucci
Ritorna nello spazio di questa rubrica la pittrice Maria Lorena
Pinzauti Zalaffi con l’opera intitolata Le beatitudini
– Discorso della montagna. Per poterne comprendere
il significato è necessario premettere alcune considerazioni sui
versi iniziali del famoso Discorso della montagna pronunciato
da Gesù e riportato dall’evangelista Matteo. Qui Gesù enunciò
diversi tipi di beatitudini, ognuna delle quali iniziava con l’incipit
“Beati”. Ogni beatitudine parla di una “benedizione” o “favore
divino” che sarà conferito alla persona che possiede una certa
qualità interiore, e quindi implica sia uno stato attuale di appagamento
e “compiutezza” spirituale che una meta da raggiungere
nel percorso della vita. Vale la pena riportare almeno in parte
il testo del Discorso per meglio capire il concetto di beatitudine
e come questo venga reso pittoricamente da Maria Lorena Pinzauti
Zalaffi. Si legge in Matteo: «Beati i poveri in spirito, perché
di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché
saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno
saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Beati gli operatori
di pace, perché saranno chiamati figli di Dio. Beati i perseguitati
per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli. Beati voi quando
vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni
sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate,
perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti
perseguitarono i profeti che furono prima di voi. Nel Vangelo
di Luca, lo troviamo descritto così: «Beati voi poveri, perché vostro
è il regno di Dio. Beati voi che ora avete fame, perché sarete
saziati. Beati voi che ora piangete, perché riderete. Beati voi
quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando
e v’insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato,
a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate,
perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo
stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti». Il quadro
della Pinzauti paragona il raggiungimento di ciascuna delle condizioni
di beatitudine alla difficoltà di guadagnare la sommità di
una vetta diversa: la povertà di spirito, la mitezza, la purezza di
cuore, la ricerca della verità e della giustizia, la tensione nella
costruzione della pace diventano così, nella sua allegoria, altrettante
vette che elevano lo spirito verso il cielo.
Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, Le beatitudini
LE BEATITUDINI
63
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Felice Giannelli
Felice Giannelli è un pittore autodidatta residente
a Sesto Fiorentino. Predilige la pittura figurativa;
ritratti e nature morte dominano le sue
tele. Le sue opere risultano ricche di colori e di luce.
Negli ultimi tempi si è dedicato alla realizzazione di dipinti
che hanno come tematica principale il degrado
di automobili e biciclette ormai abbandonate dall'uomo.
Dal 2018 svolge la mansione di responsabile delle
arti visive presso il Centro Espositivo Culturale San
Sebastiano in piazza della Chiesa 84 a Sesto Fiorentino.
Ha esposto sia in collettiva che in personale.
giannellifelice@yahoo.it
+ 39 349 6062629
Felice Giannelli
Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale
Venezia, olio su tavola, cm 52x33
Murano, olio su tavola, cm 52x33
Primavera, olio su faesite, cm 70x50
64 FELICE GIANNELLI
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Julius Camilletti detto JulCam
Nato a Melbourne (Australia) nel 1960, Julius
Camilletti, detto JulCam, rientra presto in Italia
dove inizia il suo percorso artistico in veneranda
età. Il suo amore viscerale per la pittura è
confluito nell’ideazione di una tecnica “unica”: le sue
opere nascono, infatti, da sentimenti riprodotti sulla
superficie tramite “tratti” di pennarello dal forte im-
patto visivo. Le figure sono
il risultato di un lavoro certosino,
di raffinati incastri
di colore. A questa tecnica
ha dato il nome di “Trattilismo”,
che per lui significa
“istante di vita”. Ogni istante
della sua vita è caratterizzato
da momenti e
ogni momento è formato Julius Camilletti
da istanti. Ogni istante è il
“Trattilismo” della sua vita, una retta costituita da tanti
piccoli segmenti (tratti) che si susseguono senza
mai ripetersi. Il “tratto”, quale linfa vitale che alimenta
l’immagine nata dal cuore, elaborata dalla mente
e sviluppata con la mano, è l’inizio e contemporaneamente
la fine di un percorso di vita, la sua vita.
trattilismocamilletti@gmail.com
Due labbra che s'incontrano, cm 70x50
La mano del destino ha catturato un'altra anima, cm 100
Dedicato a mia moglie Susy, cm 50x70
JULIUS CAMILLETTI
65
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Antonietta Gioscia
Antonietta Gioscia (vero nome di battesimo
Antonia) è nata a Pomarico (Matera) nel 1952
e vive a Sesto Fiorentino da molti anni. Svolge
l’attività di decoratrice su vetro. Nel tempo libero
le piace dedicarsi alla scrittura. Nell’ottobre 2001,
ad un concorso tenutosi a Luco di Marsi (AQ) con
premiazione avvenuta a Roma, ha ottenuto il quinto
posto con la poesia Ricordi e Solitudine. Nel 2002 a
La danza del tempo e della vita
Si apre l’aspro cammino
ed il viaggio forzatamente debutta
e quando ti nevica sui capelli
la strada comincia a sfollarsi
si disperdono gli amici
ed il canto delle tue risa
non è più sereno.
Va il calcolo del tempo
s’allontana con il suo ritmo uguale
e tu ripassi la tua memoria
intanto l’amarezza si ferma
dentro al tuo petto inquieto
e mentre tutto corre insieme al vento
il tuo giardino si prepara d’antico.
Come l’acqua dei fiumi inarrestabile
il tempo ingannevole si unisce ai tuoi dolori
con solitudini sforzi trascini la tua carcassa
mentre si snodano gli anni fuggevoli
è già sera e con parole morte inseguì la via
tutt'intorno c’è aria di polvere
e nella terra che attende riprendi il tuo posto.
Fucecchio è stata
premiata con
un secondo posto
ex aequo con
la lirica Ti penso
Amore. Nel 2004
a Viareggio, nel
concorso a tema
sul Carnevale,
le è stato riconosciuto
il primo
posto con la
lirica Viareggio.
Nel marzo 2007
è stata segnalata
quale finalista Antonietta Gioscia
del quarto concorso
internazionale Autori per l’Europa 2007 (Ibiskos
Ulivieri). Le sue composizioni compaiono su
alcune antologie poetiche, tra le quali Voci dell’Anima,
L’Amore in versi, Firenze capitale d’Europa. Nel
2007 ha pubblicato una piccola raccolta di poesie
intitolata Ricordi e Solitudine (Ibiskos Ulivieri). Nell’agosto
2019 le è stato conferito il secondo premio
per la lirica Paese a Pomarico (Matera). Nel 2021 risulta
finalista in attesa della premiazione all’evento
Poesie in concorso
2021 organizzato
dal Centro
Espositivo Culturale
San Sebastiano
a Sesto
Fiorentino.
+ 39 335 8257617
Ti penso amore
Oh! Amore come ti penso
quando la luna e le stelle
s’impadroniscono del cielo.
Quando rannicchiata sulle ginocchia
i singhiozzi nella stanza
uccidono il silenzio.
Quando m’accorgo di sprofondare
nella melma dei giorni rocciosi
implacabili bari di vita.
E capisco allora che camminare da
sola non mi basta più.
Terra mia (Lucania)
Dolce terra
terra mia.
Arsa, argillosa
terra di lucus lontani
d’ignote abitazioni di roccia
tra maestosi alberi di fichi d’India.
Dolce terra
terra mia.
Obliata, offuscata
terra di rosso fuoco
di lontani orizzonti senza mete
tra gridi di rondini a primavera.
Dolce terra
terra mia.
Vestita, spogliata
terra di tutto di niente
terra di tristi silenzi
tra la mia gente ti ho lasciata.
Dolce terra
terra mia.
Amata, odiata
terra di colorati oleandri
di rovine e di colline senza età
tra passato e futuro: c’è il lontano.
66 ANTONIETTA GIOSCIA
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Elio Toniutti
Elio Toniutti nasce a Roma il 27 ottobre del 1929.
La sua passione per la pittura è iniziata preparando
i colori e pulendo i pennelli nelle botteghe
dei decoratori fino a quasi 18 anni. Ha frequentato
per alcuni anni l’Accademia delle Belle Arti di via Ripetta.
Nel 1951 viene trasferito a Novara al 19° reparto
mobile della Polizia di Stato, con il quale prende parte
ai soccorsi durante l’alluvione del Polesine. Una sua
opera, esposta al Museo storico della Polizia di Stato
in via Castro Pretorio a Roma, rappresenta il salvataggio
della popolazione ad opera dei reparti di cui Toniutti
faceva parte. Torna nella capitale nel 1955/56
per un corso di specializzazione e tra nel 1957 viene
trasferito a Firenze. Si sposta a Sesto Fiorentino nei
primi anni Sessanta. È a Firenze e alle Giubbe Rosse
incontra i grandi protagonisti della pittura passati
alla storia: Pietro Annigoni, Silvio Loffredo, Dino Mi-
gliorini, Ottone Rosai, insieme
ad altri grandi nomi. Ha
partecipato a innumerevoli
mostre, diverse volte anche
alla Triennale di Torino. Dal
1957 e per altri anni a seguire
ha esposto le sue opere
durante le mostre tenutesi
nell’abbazia di Vallombrosa.
In occasione di eventi espositivi
ha conosciuto: Giorgio
Elio Toniutti
de Chirico, Carlo Domenici e Renato Natali. In quegli
anni le opere di Elio Toniutti sono richieste in gallerie
d’arte di Milano e di via Margutta a Roma. Ha eseguito
opere a tema religioso su commissione della basilica
di San Marco a Firenze e un’opera mezzo ovale di oltre
3 metri, su tela preparata da Rigacci, Madonna con
bambino, esposta in una chiesa
della Toscana. L’ultima mostra
del maestro ancora in vita, risale
al 2018 presso il Centro Espositivo
Culturale San Sebastiano a
Sesto Fiorentino (FI).
danitoniutti@yahoo.it
+ 39 348 5369076
Ritratto di Daniela
Madonna
Scogli di Ibiza
ELIO TONIUTTI
67
Percorsi trekking
in Toscana
A cura di
Julia Ciardi
Terme di Saturnia
Tour in Maremma tra arte, natura e benessere
di Julia Ciardi
Avete mai sentito parlare del Bonus Terme? Ebbene
sì, il Ministero dello Sviluppo Economico ha previsto
un bonus del valore di 200 euro a persona
per ogni cittadino maggiorenne senza Isee e senza alcun
limite familiare al fine di rilanciare questo settore molto
colpito dalla pandemia. Le uniche condizioni sono il termine
fino ad esaurimento fondi e l’obbligo di usufruirne
entro sessanta giorni dall’emissione. Vista questa possibilità,
vale la pena fare un salto alle Terme di Saturnia
per trascorrere un week-end indimenticabile. Si tratta di
una delle attrazioni più belle della Toscana, in particolare
del grossetano. Le vasche di calcare sono nate grazie alla
pressione delle cascate d’acqua solfurea, che hanno creato
queste piccole piscine dalla temperatura di 37.5 gradi
centigradi, piacevolissima anche in stagioni più fredde.
Ciò che contribuisce a darci tutti gli effetti benefici che
Le Terme di Saturnia
Trekking a cavallo
68
TERME DI SATURNIA
Il Giardino dei Tarocchi
ci aspettiamo da un’acqua curativa, è un minuscolo amichetto
abitante delle acque calde, il plancton termale, che
aiuta a migliorare la pelle e a sollecitare anche gli intestini
più pigri. Le Terme di Saturnia sono aperte tutto l’anno.
Il loro nome è legato alla leggenda che ne avvolge le antiche
origini: si narra infatti che le fonti termali sarebbero
scaturite da un fulmine lanciato da Giove, adirato contro
il padre Saturno. Questi, tiranno detronizzato dall’Olimpo
dal suo stesso figlio, finì per vagabondare fino a fermarsi
nella bellissima e selvaggia Maremma. Prima di godere di
questa esperienza e di diventare “pane in brodo” (l’effetto
post-termale mette k.o., si sa...), facciamo un tour a cavallo
per conoscere meglio la Maremma, apprezzarne gli
odori e i profumi. Il cavaliere Andrea, del maneggio Belvedere
di Sovana, ci propone un trekking di mezza giornata
tra i resti di tufo del popolo etrusco che ha lasciato una
presenza forte in questo territorio. Tra una visita e l’altra,
ci fermiamo per un picnic campagnolo con i prodotti locali
che ci vengono gentilmente offerti dal maneggio e, terminato
il trekking, degustiamo uno dei vini più deliziosi della
zona, il bianco di Pitigliano. A questo punto, facciamo
tappa alle Terme di Saturnia, dove, grazie al bonus, possiamo
usufruire di un trattamento benessere, un massaggio
o un trattamento olistico a nostra scelta. Al chiaro di luna
siamo pronti per un bagno caldo nelle cascate del Mulino,
un ottimo defaticante dopo una giornata intensa trascorsa
alla scoperta della bella campagna maremmana. Oltre
al vino, alle terme, all’arte e alla natura possiamo visitare
anche il parco esoterico dell’artista francese naturalizzata
californiana Niki de Saint Phalle, luogo meglio conosciuto
con il nome di Giardino dei Tarocchi. Ispirato al Park
Güell di Gaudí a Barcellona, è una vera e propria foresta di
sculture raffiguranti le ventidue carte degli Arcani realizzate
con materiali diversi: vetro, acciaio, porcellana, il tutto
in una gestione anarchica dei colori. Ci sono la Sfinge,
la Sacerdotessa, il Mago, il Vescovo e così via… Speriamo
che in questo week-end escano le carte giuste, non ci resta
che andare a scoprirlo.
Pitigliano
TERME DI SATURNIA
69
Il super tifoso
viola
A cura di
Lucia Petraroli
Dario Dainelli
Da giocatore a dirigente sempre
con la viola nel cuore
di Lucia Petraroli
In questa intervista, Dario Dainelli si racconta ricordando
i momenti belli passati da giocatore viola, da simbolo gigliato
nel ruolo di capitano e gli incarichi successivi da dirigente,
inclusa l’esperienza conclusa da poco nella Fiorentina
targata Rocco Commisso. Senza dimenticare di fare il punto
sulla squadra gigliata capitanata oggi da Italiano che Dainelli
conosce molto bene avendolo avuto anche come compagno
di squadra.
Come giudica questa Fiorentina?
Un inizio molto positivo. Italiano è un allenatore che conosco
bene, ci ho giocato insieme, so quello che riesce a creare
all’interno di un gruppo sia a livello di empatia che tecnicamente.
Dobbiamo dargli il tempo di lavorare. La squadra sta
rispondendo bene ed è stata costruita in ottimo modo.
Il tecnico è il valore aggiunto di questa squadra?
Secondo me ci sono tanti valori affinché una squadra vada
bene, proprio perché si tratta di un gruppo che comprende
anche la società e l’organizzazione. Italiano è un allenatore
che è stato messo nelle condizioni di poter fare il massimo.
Chi l’ha impressionata di più nella squadra?
Gonzalez sta facendo la differenza per cambio di passo e accelerazione;
ha molta intensità sia in fase di possesso che
non. Gli esterni creano superiorità e danno pressione. Ma anche
Milenkovic, Pulgar e Bonaventura stanno dando un contributo
importante. Duncan per esempio è stato rivitalizzato.
Come valuta l’attacco? Manca un vice Vlahović, il quale per
altro sta per lasciare la squadra?
Manca sicuramente un vice Vlahović con quelle caratteristiche,
ma Italiano ha fatto vedere allo Spezia come sappia adattare
i giocatori. Spero con Vlahović si possa trovare un accordo e
che comunque possa dare il massimo fino alla fine.
Come giudica la difesa?
Si sta comportando bene. Il mister vuole una difesa più alta,
con più pressione, un gioco diverso da come avevamo visto
prima.
siasmo sia negli investimenti
che nel resto. Poi
è normale che ci voglia
tempo per rodarsi e mettere
basi importanti.
Manca una figura viola
di riferimento?
Il presidente sta facendo bene, ha dimostrato di avere entu-
Sono figure che secondo
me è importante ci siano
sempre in qualsiasi
club. Per il mio trascorso
personale, c’è stata
piena condivisione tra le
parti perché è stata una
decisione presa da me.
In merito a questo, vorrei
fare una precisazione:
alcuni hanno detto che Dario Dainelli in maglia viola
ho accolto la Fiorentina
perché non avevo altro, perché avevo ormai appeso le scarpette
al chiodo. In realtà, non è così, ho dato il massimo alla
Fiorentina, il mio ruolo era quello di stare a contatto con la
squadra, essere un punto di raccordo tra rosa e società. Nel
periodo Covid eravamo circa sessanta persone da coordinare,
la gestione quotidiana andava fatta con tanto entusiasmo
e serietà, come ho fatto fino all’ultimo giorno.
Quali differenze tra questa e la sua Fiorentina?
È il calcio che è cambiato totalmente. Sono stato molto longevo
nella carriera e ho vissuto anche da calciatore questo
momento. I giocatori sanno di essere delle aziende, dei personaggi
pubblici anche grazie alla ribalta dei media e dei social.
Di positivo però c’è una professionalità più alta. Sanno
che più curano sé stessi più portano avanti il loro lavoro.
Il suo ricordo più bello in maglia viola?
Da giocatore la partita di Champions col Liverpool. Allora era
davvero una squadra forte. Da dirigente la partita con la Juventus
vinta e poi la partita col Lecce l’anno precedente con
Iachini sulla panchina, una partita spartiacque dove era necessaria
una vittoria.
Un giorno potrà tornare in viola?
Non lo escludo, anzi. A gennaio farò il corso per allenatore a
Coverciano. La Fiorentina già mi aveva proposto di allenare
una squadra del settore giovanile, mi piace e mi interessa, vedremo
dopo il mio corso e lo studio fatto cosa potrà succedere.
Voglio migliorarmi.
Come valuta la gestione Commisso?
70
DARIO DAINELLI
A cura di
Manuela Ambrosini
Di-segni
astrologici
Scorpione
Il segno della sensitività e della
percezione profonda
di Manuela Ambrosini
Il perdono è l’energia che più di tutte le altre riesce a trasformarti,
amico dello Scorpione. Proprio tu che hai come
compito nella vita quello di apprendere l’impermanenza,
necessiti di imparare come affrancarti dal patimento di riavvolgere
continuamente il nastro delle emozioni dolorose per
riascoltarlo all’infinito. Lo fai, il più delle volte, a spese tue. Infatti,
nella vita continuamente sperimenti la perdita e questo
ti fa entrare nel circolo vizioso del risentimento, se non impari
a diventare un mago della trasformazione. Il tuo essere è
talmente permeato di sensitività e abilità a percepire qualsiasi
movimento dell’Anima che per rimanere nel mondo devi costruirti
delle difese forti. La tua vita inizia quando capisci di
averne una sola a disposizione, generalmente con una morte
Laura Venturi, Heart Map, tecnica mista e collage a rilievo, cm 25x25
Opera acquistabile presso:
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Salvatore Sardisco, Scorpione (2020), linearismo continuo, cm 24x33
www.salvatoresardisco.art / + 39 335.5394664
e una rinascita, allora puoi accettare di uscire dalla solitudine
infinita a cui ti condanni celando la tua vulnerabilità. L’intimità
è quanto di più desiderabile per te, il contatto profondo con un
altro essere è come linfa vitale, ma, nello stesso tempo, causa
una pena inestimabile al tuo cuore perché nel momento in cui
ti unisci sai già che soffrirai il distacco. Il segreto è sviluppare
l’abilità di trovare un punto di incontro, la distanza dinamica
vantaggiosa per tutti. Puoi rimanere di sasso per la mancanza
di sensibilità di qualcuno o sentirti sminuito/a, ferito/a, distrutto/a
dal comportamento di altri, per questo tiri fuori l’aculeo
acuminato adatto a colpire chi ti sta causando una sofferenza,
ma dentro sei perfettamente consapevole che quella condanna
sarai tu il primo/la prima a subirla. Allora, dai retta a chi ci è
passato, impara a trasformare quelle emozioni che corrodono
il più puro dei cuori e diventa l’Aquila, che dall’alto sorvola gli
intrecci dell’istinto e li sublima nel volo. In questo modo le tensioni
si dissolvono e tu puoi utilizzare la tua sensitività per oltrepassare
la soglia dei malintesi. Hai una speciale abilità nel
sondare la psiche, questo ti rende capace di entrare in empatia
con quello che provano gli altri. Esercitati nell’arte del sorriso
per brevi o lunghi periodi tutti i giorni. Il respiro e il rilassamento
profondo possono portarti benefici, così come apprendere
tecniche che ti permettono di stare in un equilibrio interiore
soddisfacente. Grazie ad alcuni strumenti potrai contattare il
profondo benessere di un salutare distacco e una dolce serenità.
Le turbolente montagne russe del cuore vanno bene fino
ad una certa età, poi bisogna introdurre la pace e surfare sulle
acque per rimanere in equilibrio con se stessi e per dare il meglio.
Hai una specifica qualità che puoi mettere a frutto: la percezione.
Si tratta solo di diventare bravo/a a disegnare i confini
entro i quali ci sei tu e quelli in cui contatti l’altro. È lì che rischi
di confonderti rimanendo deluso/a.
Astrologa, professional counselor, facilitatrice in costellazioni
familiari, è fondatrice del metodo di crescita personale Oasi di
Luce e insegnante di Hatha Yoga. Vive e lavora a Monsummano
Terme, effettua incontri individuali di lettura del tema natale astrologico
e di counseling ed è insegnante del corso online di astrologia
umanistica Eroi di Luce.
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Solisjoy
Manuela coccole per l’anima
SCORPIONE
71
Toscana
a tavola
A cura di
Franco Tozzi
Paccheri, cozze e fagioli
Un piatto perfetto per la mezza stagione
di Franco Tozzi
Siamo arrivati a quella che una volta si chiamava
“mezza stagione”, ma che oramai è andata persa
come tante altre cose, abitudini, usanze che tra
mutamenti climatici e globalizzazione sono scomparse.
E proprio da mezza stagione è questa ricetta: ricordi del
mare, anticipo di terra.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
La ricetta: paccheri, cozze e fagioli
Ingredienti (per 4 persone):
- 1 kg di fagioli secchi (meglio se cannellini)
da mettere in ammollo
- 1 kg abbondante di cozze
- 3 scalogni
- 1 spicchio di aglio, al quale togliere l’anima verde
- peperoncino macinato q. b.
- 1 ciuffo di prezzemolo fresco
- sale
- olio extravergine di oliva
Lavare bene le cozze, metterle in una padella con un bicchiere
di vino bianco ed uno di acqua e farle aprire a fuoco
vivo. Dopo aperte, abbassare il fuoco e tenerle per qualche
minuto, girandole nella padella. Toglierle dal fuoco e
sgusciarle, buttando i molluschi che non si sono aperti e
conservando il liquido rimasto in padella. Far raffreddare
il tutto e nel frattempo scolare e cuocere i cannellini dopo
averli tenuti in ammollo per tutta la notte. In una pentola
mettere due cucchiai d’olio, tre scalogni e uno spicchio
d’aglio schiacciato, quindi aggiungere i cannellini, senza la
loro acqua di cottura, il liquido di cottura delle cozze e far
amalgamare per almeno cinque minuti. Passare questo intruglio
col passatutto e nel frattempo cuocere i paccheri.
In una padella mettere un bicchiere d’olio, un bel pizzicotto
di peperoncino macinato, quindi togliere un po’ di acqua di
cottura dai paccheri ed unirla all’olio in padella. Aggiungere
le cozze e i paccheri al dente e finire la cottura mantecando
e unendo la crema di cannellini. Lasciare da parte un po’ di
cozze da aggiungere al piatto per decorazione, insieme ad
una pioggia di prezzemolo tritato.
72
PACCHERI, COZZE E FAGIOLI
A cura di
Michele Taccetti
Eccellenze toscane
in Cina
Le opportunità per le aziende toscane
nel XIV Piano Quinquennale cinese
di Michele Taccetti
I
piani quinquennali in Cina ( 五 年 计 划 Wŭ nián jìhuà) hanno
una storia molto particolare se messi a confronto con
gli altri paesi socialisti. Essi si configurano come uno strumento
fondamentale per analizzare le politiche della Repubblica
Popolare Cinese. Sin dal 1953, anno dell’approvazione
del primo piano quinquennale, essi hanno subito diversi cambiamenti,
che riflettevano le nuove direzioni impresse alla
politica economica dai pianificatori. Alcuni sono particolarmente
rilevanti, poiché possono essere considerati passi fondamentali
nel percorso di costante crescita economica del
paese a livello internazionale. Il sistema dei piani quinquennali
in Cina risulta di centrale importanza anche per le imprese
straniere: la grande dinamicità che li caratterizza in seguito
ai cambiamenti a cui sono stati sottoposti nel corso della storia
rende sempre più difficoltoso capire i passi successivi che
la Cina effettuerà nel suo percorso di crescita. Tuttavia, continuano
comunque ad essere un utile strumento di analisi per
comprendere quali siano i rischi e i vantaggi per gli investitori
stranieri. Il XIV Piano Quinquennale (2021-2025) si basa su
quattro pilastri fondamentali: dual circulation, indipendenza
scientifica e tecnologica, nuova urbanizzazione, green development.
La dual circulation è la combinazione della circolazione
interna, ovvero incentrare lo sviluppo della produzione
e dei consumi interni come motore principale dell’economia
cinese con la circolazione internazionale basata su investimenti
e commercio estero. Si evince quindi come il Governo
cinese punti ad una sempre maggiore autonomia dal punto
di vista economico, guardando al mondo internazionale attraverso
partnership con realtà produttive e commerciali straniere
che possano garantire la crescita tecnologica e qualitativa
e la presenza sui mercati strategici. L’indipendenza scientifica
e tecnologica è strettamente legata alla dual circulation e rappresenta
l’obiettivo primario dell’economia cinese. Se è vero,
infatti, che la produzione tecnologica, ad esempio nel settore
elettronico, è ormai quasi tutta in Cina, è anche vero che il numero
dei brevetti di innovazione cinesi è ancora troppo basso
rispetto al numero della popolazione. Se guardiamo alle innovazioni
rivoluzionarie degli ultimi dieci anni nel campo della
scienza e della tecnologia, la quota della Cina è ancora molto
al di sotto delle quote dei suoi brevetti in quantità. La nuova
urbanizzazione è un problema sociale che tiene conto delle
profonde trasformazioni economiche e sociali degli ultimi de-
cenni (per esempio, la riduzione del tasso di povertà al di sotto
del 5%). Da anni ci sono politiche nazionali volte a rallentare
i flussi migratori interni con programmi di urbanizzazione delle
aree rurali e in linea anche con gli obiettivi di ridurre l’intensità
energetica (quantità di energia necessaria per produrre
un punto di PIL) in coerenza con gli obiettivi di decarbonizzazione.
Il green development, infine, è un passaggio necessario
per costruire una civiltà ecologica, come indicato dagli obiettivi
di decarbonizzazione. Già da diversi anni i governi locali,
secondo le indicazioni del Governo centrale, hanno attuato
politiche di aumento di spazi verdi nei centri urbani, sviluppo
di aree boschive, promosso i mezzi pubblici elettrici per la circolazione
urbana ed extra urbana, sviluppato linee di treni ad
alta velocità per il collegamento interno del paese, promosso
progetti pilota di città green. Adesso la scommessa più grande
è la decarbonizzazione che è il combustile da cui dipende
tutta l’energia cinese. La Cina, per sostituire il carbone, sta
investendo non solo nelle tecnologie verdi, ma anche sul nucleare.
Questo piano quinquennale offre grandi opportunità
alle aziende italiane e toscane in special modo. Le eccellenze
toscane nel settore tecnologico, della architettura e della
progettazione urbana, insieme alla propensione all’internazionalizzazione
ed alla collaborazione con partner internazionali
tipiche dell’imprenditoria toscana, possono aprire nuove opportunità
in un mercato come quello cinese che guarda sempre
più a partnership con eccellenze dell’innovazione e della
ricerca. Un’occasione da non perdere, forse l’ultima per essere
partner di un paese che è destinato comunque ad essere
“il” mercato del futuro.
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
Michele Taccetti
Michele Taccetti
PIANO QUINQUENNALE
73
B&B Hotels
Italia
Autunno sul lago con B&B Hotel
di Chiara Mariani
Cosa c’è di più rilassante e romantico del lago in autunno?
Quando le sue sponde si tingono di colori caldi
e le temperature sono ancora miti, il lago diventa la
meta ideale per una gita fuori porta. B&B Hotels, catena internazionale
con più di 580 hotel in Europa e Brasile, è presente
in Italia con ben due strutture sul Lago di Como, una
sul Lago Maggiore e una sul Lago di Garda, luoghi da sempre
affascinanti e meta di vacanze da parte di turisti di tutto
il mondo. Un’ospitalità, quella di B&B Hotels, volta a soddisfare
ogni tipo di esigenza e declinata in totale sicurezza grazie
al protocollo di sanificazione dedicato garantito dal Safety Label
High Quality Anti Covid-19, a tutela della salute di tutti. Il
Lago Maggiore, il più esteso dei laghi prealpini, da cui il nome
“Maggiore”, si circonda di ben 11 isole di straordinaria
bellezza, così come di ville e di imponenti rocche e castelli.
Non troppo lontano, si trova il B&B Hotel Malpensa Lago
Maggiore, situato in posizione strategica vicino al Parco Naturale
del Ticino, alla città di Varese e all’aeroporto internazionale
di Milano Malpensa. La struttura è la soluzione ideale
per esplorare le zone limitrofe, dalle quali potrai prendere numerosi
spunti per passare le tue vacanze. Dalle visite culturali
alle attività all’aperto, non avrai che l’imbarazzo della scelta.
Tutt’intorno al Lago di Garda, invece, potrai trovare borghi pittoreschi,
lidi e porticcioli, centri storici pieni di vita e parchi e
riserve naturali. Il B&B Hotel Affi Lago di Garda offre ottime sistemazioni
per rilassarsi dopo una giornata trascorsa al lago,
nella città di Verona oppure nei vicini parchi di divertimento
come Movieland, Gardaland o il Parco Natura Viva. La struttura
si trova vicino anche alle famose terme di Sirmione e agli
altri parchi termali del Garda. Denominato anche “Lario”, come
lo chiamavano i Romani, il Lago di Como ha incantato per
secoli artisti e viaggiatori come Ugo Foscolo, Giuseppe Verdi
e Stendhal. Concedersi dei giorni qui significa immergersi
in un luogo suggestivo fatto di paesaggi mozzafiato, ville ricche
di storia e città di meravigliosa bellezza. Tra queste spicca
Como, che si rivela la scelta perfetta per un week-end fuori
casa. Il B&B Hotel Como City Center, a soli 400 metri dalla stazione,
e il B&B Hotel Como, in zona Camerlata, a 2 km dall’uscita
dell’autostrada A9, sapranno accoglierti con servizi di
alta qualità e sempre all’insegna del relax e del comfort.
B&B Hotel Como City Center
74
B&B HOTEL
Su B&B Hotels
Destinazioni, design, prezzo. B&B Hotels unisce il calore e
l’attenzione di una gestione di tipo familiare all’offerta tipica
di una grande catena d’alberghi al miglior prezzo sempre
e solo su hotelbb.com. Un’ospitalità di qualità a prezzi
contenuti e competitivi, senza fronzoli ma con una forte
attenzione ai servizi. Colazione con specialità salate, dolci
e gluten free, camere dal design moderno e funzionale
con bagno spazioso e soffione XL, Wi-Fi in fibra fino a
200Mega, TV 43” con canali Sky e satellitari di sport, cinema
e informazione gratuiti. Nei B&B Hotels sono presenti
Smart TV che offrono un servizio di e-concierge per scoprire
la città a 360°.
B&B Hotel Malpensa Lago Maggiore
B&B Hotel Affi Lago di Garda
B&B Hotel Como
B&B HOTEL
75
Arte del
gusto
A cura di
Elena Maria Petrini
Alberto Lupetti
Al Modena Champagne Experience, intervista ad uno dei
massimi esperti al mondo del celebre vino francese
Testo e foto di Elena Maria Petrini
Il 10 e l’11 ottobre 2021 si è svolta Modena Champagne
Experience, la più grande manifestazione italiana
dedicata esclusivamente allo champagne organizzata
dalla Società Excellence, associazione che riunisce
diciotto tra i maggiori importatori e distributori di champagne.
Giunto quest’anno alla 4^ edizione, l’evento ha riunito
sessantacinque importatori e centoventuno maison in
gran parte rappresentate dagli stessi produttori francesi
presenti alla manifestazione. Un’occasione straordinaria
per conoscere e degustare più di seicento differenti tipologie
di champagne. Si tratta di un’esperienza sensoriale
unica nel suo genere perché pensata per esaltare passione
e tecnica in un contesto di alto livello professionale. I
quattro appuntamenti delle masterclass in programma sono
stati ideati proprio per offrire al pubblico la possibilità
di degustare bottiglie particolarmente rinomate sotto la
guida di grandi esperti a livello internazionale. Per le pagine
di questa rubrica abbiamo intervistato uno dei massimi
esperti al mondo di champagne, Alberto Lupetti, giornalista
con oltre duecento viaggi nella regione dove lo champagne
viene prodotto, oltre alla frequentazione assidua di
grandi chef de cave e vignerons di straordinaria ispirazione
e la partecipazione, come unico italiano, ad eventi e degustazioni
presso importanti maison. È inoltre ideatore e
curatore della guida Grandi Champagne e del sito LeMie-
Bollicine, con i quali divulga la conoscenza dello champagne
ad un pubblico sempre più ampio di professionisti e
appassionati. Autore del libro La mia Champagne, è Chambellan
dell’Ordre des Coteaux de Champagne.
Alberto Lupetti
Alla luce della grande esperienza da te maturata attraverso
i tanti viaggi nella regione della Champagne, cosa
consiglieresti a chi volesse avvicinarsi al mondo dello
champagne?
Va detto anzitutto che il Modena Champagne Experience è
una bella manifestazione promossa in una regione, l’Emilia
Romagna, che ha sempre rappresentato un mercato importante
per lo champagne, quindi sicuramente una scelta
vincente. Questo evento riscuote sempre grande successo
perché mette in contatto i produttori, o il loro tramite come
i distributori, con il pubblico che compra le bottiglie e
che, senza intermediari, le può acquistare e degustare. Cosa
consigliare? Di non inseguire i luoghi comuni, assaggiare
e leggere le guide di settore come la mia, farsi un’idea e
poi costruirsi il proprio gusto all’assaggio. Non esiste un
consiglio generico da dare, lo champagne si scopre assaggiandolo
e maturando un proprio gusto.
76
ALBERTO LUPETTI
Pensando ad un abbinamento tutto toscano, cosa suggeriresti?
Suggerirei sicuramente uno champagne di struttura, con
qualche anno alle spalle, abbinato alla Fiorentina, e trovo che
funzioni benissimo anche uno champagne bianco.
Secondo te, è importante per i giovani avvicinarsi alla conoscenza
dello champagne costruendosi il proprio gusto
oppure lo champagne non è per tutti?
Non sono d’accordo nel dire che non sia per tutti. È vero che
ha un costo d’ingresso che può limitarlo, ma ricordiamoci
che lo champagne è costoso ma non caro. Costoso perché
costa produrlo, in quanto l’uva in champagne ha costi molto
elevati, quindi soltanto di materia prima in una bottiglia ci sono
tra i 10 ed i 15 euro, insieme ad un ciclo produttivo di diversi
anni. Ci sarà quindi chi potrà permettersi una bottiglia
a settimana e chi una al giorno. Per quanto riguarda invece
la costruzione di un proprio gusto, consiglio di iniziare con
i grandi produttori, assaggiando gli champagne non millesimati,
e dopo passare a qualche piccolo produttore per vedere
l’altro lato dello champagne, in modo da farsi un’idea delle
due grandi categorie. Da quel momento in poi si può procedere
con i millesimati, i rosati e le couvée de prestige. Ricordiamoci
che lo champagne è un piacere e non un lusso. È un
piacere che qualcuno potrà permettersi più spesso e qualcun
altro meno, ma vale la pena di poterselo gustare.
Modena Champagne Experience
Champagne per tutti
Alle Terme Tettuccio di Montecatini, un festival dedicato ai piccoli vignerons
Testo e foto di Elena Maria Petrini
Lo scorso mese di ottobre si è aperto in Toscana con
il festival Champagne per tutti alle Terme Tettuccio
di Montecatini, in provincia di Pistoia. La manifesta-
zione, svoltasi il 2 e 3 ottobre, è dedicata allo champagne
dei piccoli vignerons, come anteprima della prossima manifestazione
che si terrà ad aprile 2022. Gli organizzatori, Plinio
Parenti e Mirko Boschi, quest’ultimo patron di Edro 21,
insieme ad Alessandro Benedetti hanno selezionato alcune
delle piccole realtà produttive per lo più a carattere familiare
che propongono champagne di alta qualità a prezzi accessibili
e difficili da reperire sul nostro mercato. All’interno della
manifestazione sono state effettuate da AIS Wine School le
“pillole di degustazione”, con approfondimenti sulle varie cuvée
presenti all’evento e con la direzione del vicepresidente
nazionale AIS Roberto Bellini, esperto ed autore di libri sullo
champagne. Anche per questa terza edizione, il servizio è
stato svolto dai sommelier della delegazione AIS di Pistoia.
Roberto Bellini, vicepresidente nazionale AIS
I sommelier AIS, delegazione di Pistoia, insieme agli studenti
dell‘Istituto Alberghiero di Montecatini
ALBERTO LUPETTI
77
Benessere e cura
della persona
A cura di
Antonio Pieri
Olio extravergine di oliva toscano IGP biologico
Un vero toccasana per la pelle
di Antonio Pieri
Dopo la vendemmia dei mesi di settembre e ottobre, a
novembre in Toscana c’è un appuntamento al quale
è impossibile mancare: la frangitura delle olive. Da
sempre l’olio extravergine di oliva è un prodotto immancabile
nella tradizione culinaria, in quanto ricco di principi attivi.
Fin dall’antichità le sue proprietà benefiche sono note anche
a livello cosmetico.
Non tutti gli oli sono uguali
L’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico è unico nel
suo genere. Si tratta infatti di una vera e propria spremuta
di olive, ricca di sali minerali e dalle forti proprietà emollienti,
lenitive e antinfiammatorie. Grazie a tutte queste proprietà
l’FDA (Food and Drug Administration) ha promosso l’olio extravergine
di oliva da alimento salutare a medicinale, e studi
dermatologici di comprovata serietà l’hanno accreditato come
l’alleato numero uno della pelle umana. Alcune delle sostante
che rendono unico questo olio sono:
- eleuropeina, azione antiossidante e regolatrice del rinnovamento
cellulare
- oleocantale, azione lenitiva
- fitosteroli, azione “bioattivante” e nutriente
- squalane, azione protettiva e idratante
- polifenoli, azione antiossidante
- tocoferolo, azione idratante, antinfiammatoria e lenitiva
In campo cosmetico l’olio extravergine di oliva toscano IGP
biologico è famoso soprattutto per la sua azione antiossidante,
in quanto riesce a prevenire l’invecchiamento cellulare
e cutaneo e a contrastare i dannosi effetti dei radicali liberi
come la rarefazione dell’elastina e del collagene, responsabili
del progressivo stato di atonicità e secchezza della pelle.
È un ottimo elemento nutriente per la pelle e la aiuta a ricostruire
il film idrolipidico messo a dura prova quotidianamente
da sole, luce, smog e fumo. Oltre a tutto ciò, è anche ricco
di grassi polinsaturi e monoinsaturi. Per questo viene definito
“sebo compatibile” e i prodotti per il corpo in cui è presente
riescono a nutrire in modo ottimale il derma stimolando la
produzione di nuovo collagene, ripristinando il giusto equilibrio
idrolipidico e salvaguardando l’elasticità e la morbidezza
della nostra pelle.
Linea Prima Spremitura di Idea Toscana
La linea Prima Spremitura, composta da prodotti per la cura
della persona come bagnoschiuma, shampoo e creme idratanti,
ha come principio attivo principale questo magnifico
olio, che la rende una vera e propria alleata per la cura della
propria pelle.
Linea Prima Spremitura Bio di Idea Toscana
La linea Prima Spremitura BIO per la cura della pelle del viso
è stata certificata Organic cosmetics (oltre il 95% di ingredienti
naturali) da Natrue e, come Prima Spremitura corpo, ha
come principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano
IGP biologico, che la rende perfetta per contrastare i
segni del tempo, nutrendo in profondità la pelle del viso e donandole
luminosità e idratazione.
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Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
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