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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 9 - Ottobre 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
Il vino fa buon sangue
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Adoro fotografare la vendemmia. Una passione che per me
non è mai cambiata, nonostante adesso le macchine abbiano
sostituito gran parte del fascino che questo rito aveva ai tempi
in cui, ragazzino, mi “incerottavo” le galle alle dita dopo una
giornata di tagli con forbici forniteci dagli adulti di proposito
poco taglienti per salvaguardarci da ferite accidentali. Ricordo
come fosse adesso l’allegria quando, a fine serata, saltavamo
dentro le “bigonce” piene di grappoli per pesticciarli. Un
divertimento concessoci dagli adulti come una sorta di ringraziamento
dopo la fatica della giornata. E poi tutti riuniti a mangiare
in un’enorme tavolata piena di cibo, fiaschi di vino e tanta
allegria. A quei tempi era l’unico premio che ricevevamo per
l’aiuto dato al contadino. Una cosa meravigliosa! Questi ricordi
sono rimasti talmente vivi dentro di me che, ancora oggi, non
manca vendemmia che io non prenda la mia Nikon e vada a
documentare questo affascinante evento che ha quasi del sovrannaturale,
un rito che spalanca le porte ad un nuovo ciclo
di vita donandoci l’uva. Quell’uva che, una volta raccolta, subiva
un tempo la “pigiatura” con i piedi, quasi a rappresentare il
forte legame con la terra, col potente significato simbolico del
piede che richiama l’idea del “cammino” e del passaggio della
vita. Questo prezioso nettare dà nutrimento e vitalità; è inoltre
considerato la bevanda degli amanti e della sensualità. Proprio
l’accostamento alla sensualità e alla vitalità esplosiva del
vino, paragonato al sangue e alla passione, mi ha ispirato nel
realizzare la foto qui pubblicata. Rappresenta la bellezza della
natura e la sensualità della modella Carmen Benfari che si integra
perfettamente nel “calore” di questo frutto, simbolo di un
nutrimento eccezionale anche nella più remota antichità. Non
a caso il primo miracolo Gesù lo compì proprio con il vino (vita/sangue),
tanto che si usa dire che il vino “fa buon sangue”.
E allora godiamoci un buon bicchiere di vino che, oltre a darci
energia e nutrimento, ci rammenta il magico rito della vendemmia
e la bellezza unita alla passione che ho cercato di trasmettere
con la mia foto scattata nella vigna dell’agriturismo Corte
di Valle a Greve in Chianti.
marco.gabbuggiani@gmail.com
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OTTOBRE 2022
I QUADRI del mese
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Percorsi d’arte: le pievi di Sant’Appiano e San Pietro in Bossolo
Piergiorgio Branzi, attento narratore dell’Italia in fotografia
Fotografia contemporanea: le immagini surreali di Michela Goretti
Intervista a Pietro Bartolini, fondatore e direttore dell’Accademia Teatrale di Firenze
Philippe Halsman, fotografo visionario e sorprendente
La vita nascosta sotto il colore nella pittura di Letizia Pecci
Scuola e formazione: al via i corsi di MITA Academy per lavorare nella moda
Archeologia: Haghia Sophia, la sapienza divina
Riflessioni sulla fede: il valore della spiritualità secondo l’abate Bernardo Gianni
Dimensione salute: la silenziosa vita dei virus
Psicologia oggi: quando preoccuparsi diventa una malattia
Consigli del nutrizionista: gli ingredienti immancabili nella dieta mediterranea
I giganti dell’arte: Fidia, il più grande scultore del mondo classico
Psicologia e arte: i murales, gallerie “a cielo aperto” per donare emozioni
Curiosità storiche: il braccio fiorentino, antico sistema di misurazione
Grandi mostre: l’Italia “in scala diversa” nelle foto di Luigi Ghirri a Reggio Emilia
Firenze mostre: a Palazzo Strozzi la retrospettiva record sull’opera di Olafur Eliasson
Vacanze in agriturismo: Corte di Valle, un angolo di paradiso a Greve in Chianti
L’eterna “attualità” del vizio nei collage di Adriana Setter
Cinema a casa: I vitelloni, un malinconico ritratto di una realtà provinciale
Pioggia di premi per il film su Leonardo da Vinci di Alessandro Sarti
Movimento Life Beyond Tourism: arte e innovazione con i tabernacoli “parlanti”
Premio Le Fonti Awards come avvocato dell’anno 2021 ad Aldo Fittante
Ritratti d’artista: Riccardo Salusti, attento osservatore del vivere quotidiano
Eventi in Toscana: a San Piero a Sieve, il Lions Club Mugello presenta il programma 2022-23
I libri del mese: il “sapore” del mare nell’esordio letterario di Domenico Russello
Scienza e società: l’importanza di stare insieme per conoscersi e vivere meglio
Patrizia Tummolo, artista dal caos all’ordine attraverso il colore
Firenze mostre: la “poesia del vero” protagonista al Circolo Artisti “Casa di Dante”
Turismo e innovazione: il progetto etico e slow di Crocus Trip per scoprire la Toscana
L’antica tecnica della tarsia lignea nell’originale rilettura di Riccardo Lolli
Italia e Cina dialogano con il progetto Italy Lifestyle and Culture
Firenze mostre: le sculture di Antonio Signorini alla Oblong Contemporary Art Gallery
Sabrina Seck, pittrice di un femminile iconico e senza tempo
Eventi in Toscana: la presentazione del nuovo Club Panathlon Firenze Medicea 488
La personale di Odara a Firenze per celebrare la magia della luna
Ritratti d’artista: Rita Susini, scultrice e raffinata medaglista
Centro San Sebastiano: i ritratti di Gualtiero Risito alle “moschettiere” dell’estetica
L’esplosione delle emozioni nella potente pittura di Rosella Giorgetti
Polvere di stelle: Ave Ninchi, indimenticabile caratterista di cinema e teatro
Itinerari del gusto: Trattoria Baldini, il meglio della tradizione toscana a Firenze
“A tavola con” Daniela Morozzi, attrice in note fiction e maestra nell’improvvisazione
Toscana a tavola: arista, un nome toscano per un piatto adatto a tutti i palati
Vacanze in bicicletta godendo dell’ospitalità di B&B Hotels
Cura della persona: olio extravergine di oliva toscano, alleato numero uno della pelle
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Periodico di attualità, arte e cultura
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Anno 5 - Numero 9 - Ottobre 2022
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Michele Taccetti
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Raffaella Zurlo
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Anniversary 2022
by Pola Cecchi
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I
primi
primi
50
50
anni
anni
di
di
Claudia
Claudia
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Diacceto, 14 - Firenze
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Giuliacarla Cecchi
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Annunciazione
Cinzia Pistolesi
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cinzpistol@virgilio.it
La pieve di Sant’Appiano si trova nell’omonima località
del Comune di Barberino Val d’Elsa - Tavarnelle.
è uno dei rari edifici del contado fiorentino che conservi
resti di un battistero autonomo rispetto alla chiesa come
la vicina pieve di San Pietro in Bossolo. Del battistero
restano solo quattro pilastri, testimoni della pianta centrale
dell’edificio. La pieve conserva le tracce di due fasi costruttive:
le archeggiature che dividono la navata sinistra
appartengono al decimo-undicesimo secolo, come l’abside
decorata a fornici e sopraelevazione della navata ritmata da
archetti lombardi. Le archeggiature di destra sono state ricostruite
in cotto dopo il crollo del campanile avvenuto nel
1171. All’interno, oltre all’urna con le reliquie di Sant’Appiano,
vi è la lastra tombale con figura di cavaliere di Gherarduccio
Gherardini morto nel 1331: si tratta di un importante
documento dello sviluppo dall’armamento all’armatura studiato
da Lionello Giorgio Boccia. Nei locali annessi alla
chiesa sono stati ricavati, dal 1991, gli spazi per un antiquarium
con la raccolta di reperti archeologici emersi durante
gli scavi condotti dalla fine dell’Ottocento nelle zone
di Sant’Appiano, San Martino ai Colli e Semifonte, territori
fertili e densamente popolati sin dall’VIII secolo a. C. L’importanza
del museo è dovuta alla qualità dei reperti esposti:
nella prima sala è ospitata una parte dei corredi funebri delle
numerose tombe magnatizie etrusche rinvenute nel 1907
nella zona di San Martino. Gli oggetti esposti coprono il periodo
dal VII al II secolo a. C. facendo intendere la ricchezza
dei committenti che potevano permettersi beni di lusso
come ceramiche attiche (VI-IV secolo a. C.) e urne in alabastro
più diffuse che in centri come Volterra. Nella seconda
sala si trova il pezzo più curioso della collezione, una sculdi
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte in Toscana
A cura di Ugo Barlozzetti
Tesori d’arte sacra alle pievi di Sant’Appiano
e San Pietro in Bossolo
Pieve di Sant’Appiano: veduta della navata sinistra con i quattro archi protoromanici
e sullo sfondo tre riquadri affrescati
tura in pietra arenaria
con un putto a
cavallo di un cane.
L’epoca medievale
e rinascimentale è
rappresentata da ceramiche
provenienti
anche da Semifonte.
Il Museo di Arte
Sacra di Tavarnelle
è ospitato nella canonica
della pieve di
San Pietro in Bossolo
che risale, forse,
alla II metà dell’XI
secolo e, grazie ai
restauri, ha recuperato
il suo aspetto angeli (1270-1280 ca.), tempera su tavola, Museo
Meliore di Jacopo (attr.), Madonna col Bambino e
originario. Durante di Arte Sacra, Tavarnelle
le campagne di scavo
negli anni Sessanta furono ritrovate le fondamenta del
battistero che era posto di fronte alla chiesa. Il museo conserva
in alcune vetrine oggetti liturgici tra il XV e il XIX secolo
provenienti da chiese vicine oltre che da San Pietro in
Bossolo. Due croci astili, di grande qualità, sono databili al
XIII secolo e provengono dalla pieve stessa. Importanti sono
le opere pittoriche come la tavola a fondo d’oro attribuita
a Meliore di Jacopo, uno dei pochi pittori fiorentini del Duecento
testimoniati in documenti perché aveva preso parte
alla battaglia di Montaperti. Meliore cooperò con Coppo di
Marcovaldo nella decorazione musiva del battistero fiorentino.
Vi è poi un trittico attribuito a Ugolino di Nerio (Siena
1280 c. -1330/35), uno dei più fedeli seguaci di Duccio
di Buoninsegna. La Madonna con il Bambino di Rossello di
Jacopo Franchi (Firenze 1376/77-1456), oltre ad essere ritenuta
miracolosa, è il capolavoro di questo allievo di Lorenzo
Monaco. Della fine del Trecento è una Madonna con il
Bambino di Lorenzo di Bicci (Firenze 1350-1427), fondatore
di una fortunata dinastia di artisti tra cui il nipote Neri di
Bicci (Firenze 1418/20-1492) che ha proprio in questo museo
diverse opere su tavola degli anni Settanta. Vi è anche
una tavola della fine del XV secolo della discussa personalità
definita il Maestro di Tavarnelle. Del XVII secolo è esposta
una tela di Jacopo Chimenti da Empoli, detto appunto
l’Empoli (Firenze 1551-1640), uno dei più significativi maestri
del suo tempo. E infine una tela con i santi Pietro e Paolo
che rivela le qualità e la cultura di un pittore protetto dai
marchesi Riccardi, Francesco Conti (Firenze 1682-1760).
TESORI D’ARTE
7
I grandi della fotografia
A cura di Maria Grazia Dainelli
Piergiorgio Branzi
Scomparso lo scorso agosto a 93 anni, è stato uno dei più attenti
narratori dell’Italia del secondo dopoguerra
Lo scorso 28 agosto, all’età di 93 anni, è scomparso
Piergiorgio Branzi, grande fotografo
ed interprete della modernità. Nato a Signa,
in provincia di Firenze, terzo di sette fratelli, nasce in
una famiglia cattolica integralista e impegnata politicamente.
Suo padre entra nella Resistenza come
rappresentante dei cattolici nel CLN (Comitato di Liberazione
Nazionale); nel dopoguerra intraprende la
carriera politica a livello nazionale come consigliere
di De Gasperi. Successivamente apre a Firenze una
libreria ed una piccola casa editrice in via del Corso
dove a turno i figli vanno ad aiutarlo. In quegli anni il
capoluogo toscano è una “piccola Atene” per la presenza
di numerose gallerie d’arte, di importanti case
editrici come Vallecchi, Sansoni, La Nuova Italia e di
tanti scrittori e pittori che popolano la città. Crescendo
in questo ambiente intellettuale, Branzi è stimolato
ad avvicinarsi alla fotografia, soprattutto dopo la
“folgorazione” ricevuta visitando la mostra di Hen-
ri Cartier-Bresson a Palazzo Strozzi nel 1953. Compra subito
la Ferrania Condor, una buona macchina fotografica prodotta
dalle Officine Galileo di Firenze, e inizia a scattare. Sia le sue
radici toscane che il forte impegno civile maturato lavorando
nel mondo dell’informazione si riflettono nel suo stile fotogra-
di Maria Grazia Dainelli / foto Piergiorgio Branzi (courtesy Fondazione Forma per la Fotografia)
Piergiorgio Branzi
fico, definibile come “realismo-formalista”. Nel suo percorso
di crescita apprezza le immagini di autori americani come Weston,
Adams, Smith, e subisce anche il fascino di alcuni fotografi
della rivista Life, come Walker Evans, Bourke-White, Paul
Strand e Robert Frank, del quale ammira la grande capacità
nel raccontare la società americana. Comincia un’assidua frequentazione
con alcuni maestri della fotografia e nei primi anni
Cinquanta conosce Vincenzo Balocchi, uno dei membri del
gruppo La Bussola, associazione creata nel 1947 con l’obiettivo
di promuovere la fotografia come forma d’arte. «Fotografare
è un’operazione compromettente – afferma Branzi – perché
quel lampo di luce racchiude un frammento di realtà, ma l’immagine
proviene dal nostro intimo più profondo e nascosto,
ci racconta e ci smaschera. La fotografia diventa un tramite
per approfondire. Le foto buone, infatti, vengono dall’interazione
e dal coinvolgimento del fotografo con ciò che sta fotografando.
Non importa quale sia il soggetto, ogni fotografia è
un romanzo, è pur sempre un intervento dell’occhio, cosciente
o non cosciente, colto o non colto, quindi il risultato è inesorabilmente
truccato. Dopo tutto riprodurre la realtà non avrebbe
senso. Poi c’è la fase di stampa. Berengo Gardin parla male
del digitale, ma quando sei in camera oscura non fai le ma-
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8
PIERGIORGIO BRANZI
schere? Non scegli la carta, la pellicola, lo sviluppo adatto, la
luce, i secondi di esposizione?». Collabora con il settimanale
Il Mondo di Mario Pannunzio, registrando con l’occhio della
sua fotocamera la nascita della società di massa, il formalismo
nei comportamenti della nuova borghesia, il graduale
processo di omologazione consumistica. «Il giro dell’occhio
in cui ci conduce Piergiorgio Branzi con le sue fotografie –
scrive Alessandra Mauro nell’introduzione al volume Il giro
dell’occhio pubblicato nel 2015 – è un turbine d’immagini e
memorie, di ricordi, impressioni e scelte meditate». Nel 1955,
Branzi realizza un grande reportage percorrendo in lambretta
l’Italia del sud: parte da Firenze verso l’Abruzzo, arrivando
poi in Puglia, Basilicata e Campania. In questi scatti cerca
di coniugare, all’interno dell’inquadratura, la figura umana e il
suo ambiente di vita. Un viaggio importante
anche perché gli fa venire voglia
di diventare giornalista. E infatti all’inizio
degli anni Sessanta viene assunto
in RAI. Nell’Italia della tivù a canale unico
e in bianco e nero, il nuovo direttore
del telegiornale, Enzo Biagi, invia il
videoreporter Branzi, allora trentaquattrenne,
a Mosca. Un primato per la RAI,
l’unica al mondo in quel momento –
era il 1962 – ad avere un corrispondente
nel cuore dell’impero sovietico. Biagi
gli dice: «Vai e vedi cosa si può fare, resta
una, due settimane». Branzi rimane
in Unione Sovietica quattro anni come
corrispondente RAI scattando numerose
fotografie in quella parte di mondo
della quale l’Occidente allora conosceva
soltanto l’ideologia politica ma non
possedeva molte immagini. Il grande
fotografo riesce, con il suo obbiettivo,
ad entrare nel vivo della società sovietica
e a realizzare degli scatti che espone
poi a distanza di vent’anni. Rientrato da
Mosca nel 1966, diventa corrispondente
RAI da Parigi. Qualche anno dopo,
nel 1968, torna a Roma come conduttore
e inviato speciale del telegiornale.
Verso la fine degli anni Sessanta accantona la fotografia
per dedicarsi unicamente alla professione di giornalista. Sperimenta
la pittura, l’incisione, fino a quando, a metà degli anni
Novanta, ricomincia a fotografare immortalando i luoghi pasoliniani.
Nel 2007 comincia a cimentarsi anche nella fotografia
digitale. Nel corso della sua carriera, ha tenuto numerose
mostre personali e molte delle sue immagini sono ospitate in
gallerie private, sedi istituzionali e importanti musei come il
Guggenheim di New York. Ha realizzato inchieste e documentari
in Europa, Asia e Africa. È stato inoltre direttore della sede
RAI di Firenze negli anni Settanta e Ottanta. Tra le sue pubblicazioni
si ricordano: Piergiorgio Branzi (Alinari - Fiaf, 1997);
Diario moscovita (Il Ramo d’Oro, 2001); Piergiorgio Branzi (Istituto
Superiore per la Storia della Fotografia, 2003).
PIERGIORGIO BRANZI
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Ombretta Giovagnini
Senza titolo, collage fotografico su tela, cm 30x40
ge75ge@yahoo.it
Fotografia contemporanea
A cura di Alberto Desirò
Michela Goretti
Immagini surreali per far scaturire emozioni
di Alberto Desirò / foto Michela Goretti
Michela Goretti è una fotografa professionista
con base a Firenze dove
ha conseguito il diploma di laurea
in Fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni.
La sua formazione è sia in ambito commerciale
che artistico grazie ad un profondo
lavoro nella strutturazione e sperimentazione
del linguaggio visivo. Suoi progetti fotografici
di natura artistica sono stati esposti in mostre
personali e collettive in gallerie d’arte nazionali
ed internazionali; ha inoltre conseguito riconoscimenti
e premi. «Io non fotografo la realtà
– dichiara Michela – ma ciò che essa fa scaturire
in me. Non realizzo un’immagine che ne sia
la semplice mimesi, sarebbe di per sé una presunzione
in cui non vorrei mai cadere, ma creo
un’immagine che trasudi le emozioni che il reale
mi trasmette. Il mio lavoro fotografico inizia
con gli occhi chiusi, lascio agli altri sensi l’arduo compito
di assimilare sensazioni, emozioni, paure, malinconie». Ne
conseguono immagini oniriche, astratte, surreali, visionarie,
risultato dell’impatto che la realtà che la circonda esercita
su di lei. Lo scopo è confrontarsi con il fruitore, capire in
che modo le sue fotografie lo influenzino e quali riflessioni
ne derivino, creando così un dialogo con l’osservatore. Una
Rebirth
conferma di come la fotografia contemporanea consista nel
saper vedere la realtà con occhi diversi, più attenti e sensibili,
cogliendo istanti altamente significativi che emozionano
o spingono alla riflessione.
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Introspectio
Soul
MICHELA GORETTI
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Dal teatro al sipario
A cura di Doretta Boretti
Pietro Bartolini
Attore e regista in compagnie primarie nazionali e internazionali, è socio
fondatore e direttore artistico dell’Accademia Teatrale di Firenze
di Doretta Boretti / foto Chiara De Luca, Filippo Manzini e courtesy Pietro Bartolini
Pietro Bartolini al Meta 2017 (ph. Chiara De Luca)
Prosegue la ricerca, iniziata a gennaio 2022, di artisti
che hanno creato una scuola di teatro in Toscana. In
questo nostro viaggio non poteva mancare un grande
personaggio della scena teatrale fiorentina: Pietro Bartolini.
Attore, regista, scrittore, docente, Bartolini ha calcato palcoscenici
nazionali e internazionali e ha trasmesso la sua arte
a migliaia di allievi.
Sono trascorsi alcuni anni da quando lei ha iniziato a insegnare,
impresa non facile e piuttosto faticosa. Che cosa
l’ha spinta a farlo?
Il desiderio di imparare dagli altri, soprattutto dai miei allievi,
di andare più a fondo nella comprensione del mistero dell’essere
umano, di abitare l’altro. Un modo efficace per soddisfare
questo desiderio è quello di condividere le esperienze e le
tecniche con chi, come me, è alla ricerca di una conoscenza
sempre più profonda, purché si tenga l’ironia come compagna
di viaggio e non si dimentichi che interpretare è sempre
gioco e gioia.
Tra ieri e oggi cosa è cambiato nelle sue tecniche di insegnamento?
Le prove di Con l’abito bianco di Paola Bonazzi
All’inizio la mia applicazione delle tecniche di insegnamento
era segnata dal contagio della tradizione viva che mi hanno
12
PIETRO BARTOLINI
Bartolini mentre tiene una lezione di teatro online
trasmesso i maestri Orazio Costa e Vittorio Gassman insieme
all’amore per l’arte. Fondamentale il sostegno dei miei giovani
compagni di viaggio Renato Condoleo e Marco Giorgetti nella
scoperta di quello che per me era un mondo totalmente nuovo
e inaspettato e nel quale sono entrato in modo del tutto accidentale.
Sono tanti gli artisti con cui ho vissuto una felicissima
stagione di tournée pluriennali, “veri animali” da palcoscenico
capaci di passare da latrati cavernosi a delicatezze angeliche
nel soffio fra due sillabe, come Roberto Herlitzka e Mariangela
Melato, troppo presto scomparsa. Questi titani della scena mi
hanno iniziato al culto nel sacro tempio della phoné, fra cassa
toracica e velo molle, teso a raggiungere una tecnica a volte
dolorosa, sempre faticosa, spesso sorprendente. Nel 1985
inizia la mia esperienza di assistente e di insegnante con Orazio
Costa: il metodo mimico da allora è rimasto come un marchio
rovente nella carne viva. Qualche anno più tardi affronto
un'esperienza professionale che mi segnerà profondamente
come teatrante e da cui ho ricevuto un forte impulso verso
una conoscenza approfondita delle teorie drammatiche e della
regia: due anni di lavoro con Peter Stein nel Tito Andronico
di Shakespeare e nella sua tournée europea in cui ho conosciuto
altre realtà teatrali. In Germania, durante una prova al
Staattheater di Braunschweig, ho finalmente compreso quale
fosse l’impalcatura metodologica di realizzazione della scena
e come questa si origini nell’intimo del performer per poi
estendersi a determinare il funzionamento di tutti i sistemi
scenici e il loro integrarsi. Da quel momento i miei interessi si
sono ampliati, ho percepito la mia professione di attore come
limitante per quello che il teatro può offrire ed è iniziato uno
studio dissennato ripartendo dal testo, dalla sua analisi profonda,
dall’origine della parola, dal logos. Questo studio poteva
trasformarsi in pratica solo all’interno di un laboratorio i cui
programmi fossero il consolidamento delle conoscenze della
tradizione e l’apertura alla metodologia di ricerca e alla sperimentazione.
Così, insieme a l’event manager Ludovica Sanalitro,
ho fondato a Firenze, nel 1992, il primo laboratorio, che
poi si è strutturato nel corso degli anni diventando una scuola
stabile di teatro: l’Accademia Teatrale di Firenze. Con il nuovo
team di docenti, tra i quali Saverio Contarini, Tiziana Acomanni
e Antonella Cellai, applico un sistema che mira alla valorizzazione
delle caratteristiche individuali di ogni singolo allievo
Sul palco durante le prove a teatro (ph. Filippo Manzini)
PIETRO BARTOLINI
13
con programmi di studio personalizzati.
Scomparsi i maestri, davanti al vuoto incolmabile
che hanno lasciato, dovevo ritrovare
la sacra fiamma fra gli ignari. Oggi credo
di avere unito la tradizione pedagogica con
le nuove tecnologie digitali. Per questo ho
riorganizzato le tecniche di insegnamento
coinvolgendo nella mia ricerca teorici,
studiosi, scienziati, ingegneri, tecnici. Con
loro sviluppo approcci di derivazione neuroscientifica,
applicazioni dei sistemi emergenti
delle nuove tecnologie digitali nella
didattica e nella performance, con l’utilizzo
di avatar, robot, sistemi di visualizzazione
immersiva, di intelligenza artificiale. Per
condividere questo lavoro a livello europeo,
con il supporto fondamentale del Comune
di Firenze, della Regione Toscana e della
Fondazione Teatro della Toscana, abbiamo
organizzato il META, un meeting internazionale
giunto alla sesta edizione sulle metodologie
teatrali applicate nelle più importanti accademie del
mondo, dove sono organizzate tavole rotonde, performance,
discussioni e sessioni di lavoro con i maggiori teorici e insegnanti
esistenti e dove verifichiamo lo stato dell’arte della
pedagogia teatrale e i programmi di studio con gli allievi dei
diversi paesi. È questo il cambiamento, questo è il nostro contributo
al teatro del futuro.
Consegna dei diplomi d’attore
Il percorso che l’ha portata a dare vita ad un’accademia teatrale
è stato difficile? Si è sentito supportato dalle istituzioni
oppure c’è stata quella “solitudine” che avvertono
tutti i “numeri primi”?
Dietro le quinte al Teatro la Pergola per la prima edizione nel 2015 del Meeting delle Accademie Teatrali Europee
Lavorare in questo settore rappresenta sempre una sfida, soprattutto
per i giovani comʼero io quando ho cominciato. Gli
inizi sono stati duri, la continuazione anche, i livelli di difficoltà
per chi si applica alla ricerca scientifica sono costantemente
alti, ma gli ostacoli mi spronano a fare sempre di più e
con maggiore impegno, a trovare nuove soluzioni per realizzare
i progetti. Se così non fosse, dove sarebbe il divertimento?
La strada è ancora lunga ma grazie ai miei collaboratori,
agli allievi, all’amministrazione comunale e a diversi enti privati
e pubblici che mi hanno supportato fino ad oggi e non
mi hanno mai lasciato da solo, ho la possibilità di sviluppare
programmi e condurre ricerche fondamentali in partenariato
con istituzioni accademiche internazionali e centri di ricerca
universitari di eccellenza.
In questi anni di insegnamento le è mai capitato di sopravvalutare
un allievo oppure viceversa di sottovalutarlo?
Nell’insegnamento cerco sempre di tenere un equilibrio fra lo
sviluppo della tecnica e il rispetto della spontaneità istintiva.
Non è possibile all’inizio prevedere quale potrà essere la curva
di evoluzione artistica di una persona, la sua disponibilità ad
essere altro da sé; ci vuole tempo, studio, pazienza. Questa è
un’arte il cui unico strumento è la vita stessa e i docenti devono
prestare la massima attenzione alle sfumature espressive,
a quello che il corpo effettivamente
comunica. Il nostro compito è accompagnare
l’allievo che si affida a noi nel
travaso dalla persona al personaggio.
Dobbiamo anche operare un continuo
discernimento per capire la genuinità
della vocazione e assecondare gli
obiettivi reali della persona, che non
è detto siano totalmente incentrati nel
teatro. Mi occupo di formare, consigliare,
capire, le valutazioni deve farle
il pubblico ed è lui che decide se abbiamo
sul palco una vera attrice e un
vero attore. L’accademia accoglie tutti
e a tutti cerco di dare un congruo tempo
scenico in cui possano crescere ed
essere creativi.
14 PIETRO BARTOLINI
Per chi volesse iscriversi ai corsi dell’Accademia
Teatrale di Firenze, sono ancora
aperte le iscrizioni? Per quale fascia di età?
C’è una prova preliminare da superare? Chi
fosse interessato a chi deve rivolgersi?
Una lezione all’Accademia Teatrale di Firenze (ph. Chiara De Luca)
Immagino abbia avuto allievi che hanno scelto il teatro come
professione. Che ricordo conserva di alcuni di loro?
Li ricordo come persone molto speciali a cui devo gratitudine
perché riempiono di senso il mio lavoro. Sono certo che
avrebbero raggiunto quei livelli anche in altro modo, ma mi
piace pensare che in qualche forma ho collaborato anch’io a
farli diventare quello che sono oggi.
Le iscrizioni al corso base propedeutico sono
aperte fino ad esaurimento posti. Alla conclusione
del corso propedeutico annuale, è possibile
accedere al corso triennale per attori.
Abbiamo corsi di regia, teatro in inglese, dizione
e public speaking, drammaturgia, laboratorio
cinematografico, con preparazione di
spettacoli di fine corso. I corsi iniziano a ottobre
e novembre, accogliamo allievi dai 14 anni
fino all’età adulta, abbiamo anche un settore
per ragazzi che va dalla terza elementare alla
terza media diretta da Saverio Contarini e Lorenzo
Belli con l’associazione I Sognambuli.
www.accademia-teatrale.it
segreteria@accademia-teatrale.it
+ 39 335 5204807
Accademia Teatrale di Firenze
accademiateatralefi
Lo spettacolo Donne attente alle donne di Thomas Middleton (Teatro della Pergola - META 2022)
PIETRO BARTOLINI
15
Rocco Rusiello
• Visioni metafisiche •
rocco.rusiello@gmail.com
Frutto magico, olio su tela, cm 50x70
Oltre la realtà, olio su tela, cm 50x70
Entrambi i quadri sono stati in mostra a Castrocaro Terme
Spunti di critica fotografica
A cura di Nicola Crisci
Philippe Halsman
Un punto di vista sul mondo visionario e sorprendente
di Nicola Crisci / foto Philippe Halsman
Nato nel 1906 a Riga da una ricca
famiglia ebrea, a 15 anni Philippe
Halsman si appassiona alla
fotografia. Espulso dall’Austria, passa
un periodo a Parigi, dove entra in contatto
con i fotografi surrealisti che lo influenzano
notevolmente. Abbandona gli
studi di ingegneria e si dedica completamente
alla fotografia, privilegiando
soprattutto il ritratto. A questo proposito
dice: «Ai miei occhi il soggetto più
interessante della fotografia era il volto
umano, speravo di poterlo scoprire
proprio come i miei autori preferiti,
Tolstoj e Dostoevskij, avevano indagato
la natura umana, con la stessa profondità
psicologica». Realizza i ritratti di
molti personaggi famosi, tra cui il duca
e la duchessa di Windsor, Marilyn Monroe
e Richard Nixon, e lavora per Vogue.
Le sue foto sono dirette, incise, con luci
sorprendenti e angolazioni particolari.
Dopo l’invasione nazista, si rifugia negli
Stati Uniti, dove diventa famoso realizzando foto pubblicitarie
tra cui Un profilo americano. Nel 1941 inizia a collaborare
con l’artista surrealista Salvador Dalì, un sodalizio che
Cocteau (1949)
Dalì Atomicus (1948)
dura trentasette anni producendo opere immaginifiche, tra
cui spiccano Voluptas mors (1951) e Dalì Atomicus (1948).
Negli anni Cinquanta viene incaricato di fotografare le donne
più belle del mondo fra le quali diverse dive italiane come
Gina Lollobrigida, Anna Magnani, Sofia Loren e Claudia
Cardinale. «Non esistono limiti all’invenzione – afferma
–, nessuno scrittore si vergogna per avere scritto di cose
che esistono solo nella sua immaginazione e nessun fotografo
dovrebbe essere biasimato quando, invece di catturare
la realtà, cerca di mostrare cose che ha visto solo
nella sua immaginazione. La fotografia ha smesso di imitare
le altre arti, il suo scopo è documentare nel modo essenziale,
con chiarezza e precisione, e tuttavia essere più
di una registrazione, di essere
un’opera d’arte proprio in virtù
della verità e della bellezza
delle sue immagini». Di fondamentale
importanza, per conoscere
meglio il suo lavoro, è il
libro del 1961 da lui pubblicato
con il titolo Halsman on the
Creation of Photographic Ideas.
Nel 1958 una giuria di fotografi
lo colloca tra i dieci più grandi
fotografi di tutti i tempi. Muore
a New York nel 1979.
PHILIPPE HALSMAN
17
Occhio critico
A cura di Daniela Pronestì
Letizia Pecci
La vita nascosta sotto la “pelle” della pittura
di Daniela Pronestì
Pensare che la tecnica in pittura sia soltanto tramite
e non parte integrante dell’espressione artistica
significa concentrarsi soltanto sulla “pelle”
dell’opera, sugli aspetti percettivi, tralasciando invece la
“sostanza” che vive sulla superficie della tela, nella combinazione
di colore, segno e materia. Se applicassimo
questo schema interpretativo alle opere di Letizia Pecci,
soffermandoci quindi unicamente sui soggetti che queste
raffigurano – siano essi volti, paesaggi o fiori –, andremmo
incontro ad un totale travisamento delle finalità dell’artista,
il cui obiettivo è appunto quello di invitare lo sguardo
ad attraversare la “pelle” del dipinto, ad andare oltre il naturale
istinto dell’occhio a riconoscere ciò che osserva, per
entrare nella “carne” della pittura, nella densità degli strati,
dove l’inchiostro unito alla carta genera un caleidoscopio
di forme e di altrettante suggestioni visive. La comprensione
di queste opere passa infatti attraverso un continuo
gioco di rimandi tra quello che la superficie rivela al primo
sguardo – e quindi scorci di paesaggi, elementi figurali
o rimandi al mondo vegetale – e quello che invece si nasconde
sotto gli strati di pittura lasciandosi soltanto intravedere.
Ed è proprio in questo contenuto “nascosto”, negli
indizi della sua presenza, nel suo esserci senza mai manifestarsi
del tutto, che risiede il valore poetico – e dunque
anche espressivo – di una tecnica artistica che all’inizio
procede aggiungendo materia e colore sulla tela e poi interviene
sottraendo allo sguardo quella stessa sostanza,
quella stessa stratificazione di elementi, lasciando visibile
soltanto ciò che progressivamente acquista importanza
nell’armonia generale dell’opera. Un processo creativo
fondato quindi sulla dialettica tra profondità e superficie,
e in senso simbolico anche tra l’interiorità chiusa e segreta
dell’artista e le parti che di questo mondo intimo si palesano
all’esterno, senza tuttavia mai farsi completamente
raggiungere. In questo caso, sottrarre non significa cancellare
l’inessenziale, perché tutto in queste opere ha valore,
anche e, in certi casi, soprattutto quello che non vediamo
ma intuiamo esserci e vivere sotto gli spessori cromatici.
Una profondità insondabile, un nucleo irraggiungibile che
fa sentire la sua presenza ogni volta che lo sguardo, incontrando
l’opera, non si appaga di ciò che vede, ma avverte
il desiderio di scoprire cosa davvero si celi sotto la pelle
del dipinto. E così come la pelle del corpo nasconde fibre,
terminazioni nervose e vasi sanguigni, allo stesso modo la
pelle della pittura nasconde colori, gesso e carta che, come
fossero vene e nervi, irrorano di vita il corpo dell’opera,
lo fanno respirare, in uno scambio osmotico tra le varie
stesure, tra il primo e l’ultimo strato. Aspetto tutt’altro che
Homeland I, II e III, tecnica mista su tela, cm 50x70
18
LETIZIA PECCI
Cornfield flower, tecnica mista su tela, cm 100x100
Crystal stones, tecnica mista su tela, cm 80x100
inessenziale è infatti il legame o, come l’artista
stessa ama dire, la connessione fra tutti
gli elementi compositivi, la rete di rapporti
che viene a crearsi tra forme e colori, stesure
piane e rilievi materici, ma anche tra i vari
passaggi che lo sguardo compie nel procedere
dalla visione d’insieme, che lo rimanda
ad un soggetto realistico, alla visione di un
singolo particolare che, osservato da solo,
diventa invece del tutto astratto. In questa
ambiguità percettiva risiede la doppia anima
di una pittura che non si propone di rappresentare
qualcosa, un paesaggio, una figura
o altro, o per lo meno, non ha questa come
unica finalità. L’atto del “rappresentare” viene
dopo, non è scopo ma conseguenza di un
iter creativo che si propone anzitutto di indagare
la vita “organica” del colore, la maniera
in cui questo si combina con la carta e
con il segno, il modo in cui genera e fa dialogare
tra di loro le forme creando una rete
che tutte le collega. Opere come Homeland
fanno leva proprio su questa duplice natura
dell’immagine proponendo un paesaggio
che, osservato da vicino e nel dettaglio, rivela
al suo interno la presenza di altri paesaggi,
questa volta però astratti e non reali:
un insieme armonico di segni e macchie di
colore che fanno pensare alla superficie di
un vecchio muro, alle nervature di una foglia,
agli atomi in una molecola. Allo stesso modo,
le opere con i fiori – si pensi ad esempio
a Cornfield flower e Magic flowers – trasformano
l’elemento vegetale in un tripudio di
forme astratte che, a loro volta, richiamano
la natura: fondali marini, venature del marmo,
impronte fossili sul terreno. Una chiave
di lettura valida anche in opere che, sebbene
concepite come astratte – la serie Crystal
stone ne è un esempio –, nascono dall’osservazione
di un sasso e si traducono nella
resa pittorica in un collage di forme che ricordano
la trasparenza di un cristallo o le ossidazioni
di un minerale. Queste immagini,
quindi, non hanno una sola chiave di lettura
ma tante quante è in grado di attribuirgliene
la sensibilità del singolo osservatore; occorre
avere uno sguardo vivace, dinamico, curioso,
pronto a “navigare” la superficie del
dipinto come si fa con un’onda. E, per tramite
di questa esperienza, rivivere la stessa
sensazione che l’artista per prima ha sperimentato,
la meraviglia che sempre si accompagna
alla nascita di un’opera: il gusto di una
scoperta ogni volta nuova grazie al colore.
www.letiziapecci.com
LETIZIA PECCI
19
Scuola e formazione
MITA Academy
Ai nastri di partenza i corsi di formazione
professionale di una delle prime scuole
toscane di alta specializzazione per
lavorare nel settore moda
di Elisabetta Mereu
La specializzazione negli ITS apre le porte al mondo del lavoro:
è una certezza confermata dalle statistiche. E, nel
settore moda, un fiore all’occhiello del panorama nazionale
per la formazione di alti profili professionali è senza dubbio l’Accademia
MITA di Scandicci, una delle prime scuole di eccellenza
post diploma in Toscana, che ha registrato ottimi risultati anche
in periodo di pandemia. «In 12 anni abbiamo raggiunto percentuali
altissime di successo con il quasi totale inserimento lavorativo
dei nostri studenti in varie realtà imprenditoriali – dice Cristina
Bardazzi, coordinatrice didattica e progettista della Fondazione
con sede al Castello dell’Acciaiolo – perché oltre alle importanti
nozioni teoriche apprese nelle 1000 ore di didattica in aula e nei
laboratori con docenti qualificati, la formazione dell’ITS MITA comprende
anche 800 ore di stage pratici presso aziende prestigiose,
non solo nazionali. Ciò consente ai ragazzi di cimentarsi subito negli
ambiti in cui poi vorranno lavorare». In sintesi, Mita rappresenta
un ponte fra domanda e offerta creando un canale privilegiato per
poter lavorare in tempi molto brevi. «Sia chiaro – specifica Bardazzi
– noi non formiamo stilisti, ma ci interfacciamo con le aziende
che conoscono bene le istanze e le esigenze del mercato italiano e
mondiale del fashion che è sempre in evoluzione e così rispondiamo
alle necessità di tecnici per un turn-over professionale, e anche
generazionale, in un determinato distretto. D’altronde la Toscana
rappresenta un osservatorio privilegiato, in quanto la maggioranza
delle produzioni di alcune fra le più importanti filiere artigianali
italiane viene fatta nella nostra regione. Dunque è un luogo di elezione
per lo sviluppo di una serie di strategie sia produttive che
stilistiche». A fine ottobre partiranno sei nuovi corsi; abbiamo chiesto
alla coordinatrice Bardazzi di spiegarci chi vi può accedere e
quali saranno le specializzazioni per il biennio 2022/24. «Gli unici
requisiti sono l’età, fra 18 e 29 anni, ed il possesso di un diploma di
scuola superiore. Nessun’altra preclusione. I nostri candidati provengono
dai più vari settori di formazione liceale, dal classico allo
scientifico, dal socio pedagogico fino all’alberghiero. L’importante
è che manifestino curiosità di inserirsi nel settore moda. I nuovi
corsi in avvio sono cofinanziati da Regione Toscana POR FSE e dal
Ministero dell’Istruzione e si svolgeranno fra Scandicci, dove abbiamo
la sede principale (uno dei distretti produttivi più importanti
nell’ambito della pelletteria ndr), Prato e Grosseto. Proprio qui, in
collaborazione con il Polo Universitario della città e il neonato ITS
PRODIGI, effettueremo il corso DBMita Digital Brand Manager che
mira a creare alti profili professionali all’interno degli uffici marketing,
con competenze che attraverso strumenti digitali riescono a
gestire la corretta immagine e il posizionamento sul mercato di
brand e maison nel settore moda, ideare piani di sviluppo, così come
la promozione di nuovi prodotti o l’acquisizione di nuovi clienti,
Cristina Bardazzi, coordinatrice didattica del MITAcademy con alcuni studenti
ottimizzando le strategie di vendita anche tramite i social network
e il Web in generale. ALT è l’acronimo con il quale vogliamo indicare
la preparazione di tecnici esperti dell’accessorio leather anche
nelle fasi di controllo qualità delle imprese del lusso nel comparto
moda pelle. ARTIST è invece relativo al settore del tessile e si farà
a Prato, distretto con cui collaboriamo da quattro anni. Lo studente
acquisirà competenze specifiche di innovazione tecnologico/digitale
e di economia circolare che gli consentiranno di coniugare
la storia e la tradizione presente nel territorio con le novità in ambito
tessile. Con BEST gli studenti impareranno sia le classiche
tecniche di modelleria artigianale per la realizzazione di un oggetto
moda/lusso in pelle sia a traslare il disegno anche su grandi
software evoluti. E contestualmente affronteranno le tematiche
attuali della sostenibilità ed ecocompatibilità della materia prima.
Il TOP3D invece preparerà tecnici digitalmente evoluti nel settore
degli accessori metallici con realizzazione e stampa in formato
tridimensionale. Consentirà ai ragazzi lo studio della filiera moda
e dell’applicazione del complemento metallico all’accessorio in
pelle o al capo di abbigliamento. Il corso Mc.FASH mira a formare
personale tecnico manutentore di macchine tessili e di pelletteria
e si svolgerà fra Scandicci e Prato. Al termine di ogni biennio
– conclude Bardazzi – dopo un esame di Stato, si consegna un
diploma di V livello EQF (European Qualifications Framework), rilasciato
dal Ministero dell’Istruzione, valido in tutti i paesi della Comunità
Europea, che consente agli specializzati di lavorare subito,
anche fuori dei confini nazionali».
Fondazione MITA Made in Italy
Tuscany Academy
Castello dell’Acciaiolo, via Pantin, Scandicci (FI)
Dal lunedì al venerdì (ore 9/13)
+ 39 055 9335306
info@mitacademy.it
20 MITA ACADEMY
Haghia Sophia
La sapienza divina
Abbiamo avuto più volte l’occasione di parlare della
grande chiesa, Santa Sofia, quale progetto grandioso
che sposa la maestà e la ricchezza decorativa a
una nuova concezione dello spazio. Vogliamo riprendere questo
argomento, cogliendo in tal modo l’occasione di descrivere
oltre agli aspetti architettonici di questa stupenda basilica
anche quelli politici che attraverso i secoli ne hanno caratterizzato
usi e costumi. Il modello edilizio privilegiato per quell’edificio
era stato quello basilicale e l’imperatore Costanzo II si
era adoperato affinché quel tempio dedicato appunto al Cri-
sto in quanto Sapienza Divina risultasse magnifico.
Nella lunetta del portale di sud-est
visibile all’uscita di quello che oggi è un monumento-museo
all’interno del quale però
dal 2020, per volere del presidente Erdogan,
si sono ristabiliti i servizi e le funzioni di moschea
senza comprometterne gli aspetti artistici
e museali, un bel mosaico raffigura
Costantino e Giustiniano che, in vesti imperiali,
presentano alla Vergine in trono i loro
omaggi: il primo, Costantino, tiene tra le mani
la “maquette” della città in quanto fondatore
della Nova Roma; il secondo, Giustiniano,
quale costruttore della nuova cattedrale, tiene
tra le mani la “maquette” del santuario.
Dopo il 532 Giustiniano aveva intrapreso un
complesso di ristrutturazione che durò solo
cinque anni in quanto sostenuto da un colossale
finanziamento. Marmi e metalli preziosi
furono impiegati a profusione per l’edificio,
completamente rivestito all’interno di splendidi
mosaici. Il catalogo delle pietre e delle
colonne che, a quanto si diceva, erano state
utilizzate per costruirlo fa venire il capogiro:
a cominciare da quelle del tempio di Artemide
in Efeso. Una volta ridotta dopo il 1453
a moschea, privata dei suoi preziosi mosaici,
non mancò di causare delusione e indignazione
in molti visitatori occidentali fra i
quali Byron, Lamartine, Mark Twain che vollero
visitarla ed ai quali custodi avidi e guide
improvvisate venderono i preziosi tasselli
musivi strappandoli dalle pareti. Oggi, dopo
la museificazione voluta da Mustafà Kemal
e il restauro artistico-religioso promosso da
Erdogan, le cose sono molto cambiate. Una
parte del tempio è adibita a moschea e resta
di Francesco Bandini
2^ parte
Quando tutto ebbe inizio...
A cura di Francesco Bandini
visitabile da chiunque, salvo nei giorni e nelle ore di preghiera.
I mosaici ivi presenti sono velati da un sistema di tende leggero
e non invasivo, mentre lo spazio museale è rimasto intatto
e l’accesso dei turisti è gratuito in quanto la tassa d’ingresso
è stata abolita dal momento che l’edificio è formalmente tornato
a una funzione religiosa e dunque secondo le indicazioni
del diritto musulmano è vietato ogni tipo di lucro. Il vescovo
di Roma, titolare dell’unico patriarcato cristiano esistente nella
vecchia Pars Occidentis, aveva in qualche modo ereditato il
titolo della massima autorità cittadina dell’antico Caput mundi
e quindi del potere spettante all’ufficio imperiale derivante da
quel documento (peraltro nel Quattrocento svelato come falso
da Lorenzo Valla) la Donazione di Costantino secondo il quale,
alla vigilia della partenza per Costantinopoli, avrebbe ceduto le
pertinenze e i poteri imperiali al presule per garantire la continuità
dell’ordine costituito, cioè ai vescovi della città di Roma
chiamati familiarmente “papa”, termine di origine greco-siriaca
che significa “padre”. Tale termine, intendendo dotarlo di
un’immagine sempre più pregnante dal punto di vista religioso,
divenne tale da valorizzare al massimo il rapporto fra essa e il
principe degli apostoli, Pietro.
«Chiunque vi entri per adorare, si rende subito conto che questa opera è stata portata a termine non
per mezzo della forza o dall’abilità umana ma con il favore di Dio»: Procopio di Cesarea, VI secolo
d. C., Santa Sofia di Costantinopoli; disegno di Francesco Bandini
HAGHIA SOPHIA
21
Lorenzo Senzi
Visioni tra storia e natura
Il sacro monte della Verna in Casentino
info@studiosenzilorenzo.it
Riflessioni sulla fede
A cura di Stefano Marucci
Il valore della spiritualità nel mondo contemporaneo
Ne parliamo nella seconda parte dell’intervista all’abate di San Miniato
Bernardo Gianni
di Stefano Marucci / foto Maria Grazia Dainelli
2^ parte
Qual è il suo legame con Firenze, città dove è molto
conosciuto ed apprezzato anche grazie alle iniziative
per i genitori che hanno perso i figli?
Dobbiamo sempre interrogarci sul luogo dove il Signore ci
chiama a vivere. Nel mio caso, diventare abate di San Miniato
a Firenze mi ha portato a confrontarmi con il dolore dei genitori
che vengono qui nell’attiguo cimitero sulle tombe dei loro
figli. Vedendo questa sofferenza mi sono detto che bisognava
trovare il modo di far incontrare questi genitori, per condividere
la loro drammatica esperienza e, così facendo, darsi
speranza l’un l’altro, avviando insieme un cammino di fede.
In abbazia accogliamo anche i senza fissa dimora dando loro
un supporto sia materiale che spirituale. La nostra attenzione
va anche ai giovani, sempre più soli, smarriti e senza guida
in un momento storico così difficile.
Che ricordi ha dell’incontro con Papa Francesco?
L’ho incontrato nel 2019 ad Ariccia, nella Casa del Divin Maestro,
in un momento importante per lui, l’appuntamento annuale
con gli esercizi spirituali che si protraggono per una
settimana. In quell’occasione ho avuto l’onore di presenziare
agli esercizi spirituali del Papa, riflettendo con lui su come
sia possibile oggi conciliare l’assolutezza di Dio con la
vita frenetica delle città contemporanee. Ammetto di essermi
sentito non all’altezza di questo compito, ma il Santo Padre
ha scelto la mia povera persona per questa esperienza
davvero straordinaria. Sono stati giorni molto intensi, durante
i quali abbiamo parlato tanto e ancora oggi, a ripensarci,
sento l’onore e il privilegio di quello che ho vissuto.
Come può la Chiesa oggi intercettare i bisogni dei giovani?
Qui a San Miniato vengono spesso gruppi di giovani o scolaresche
che cerchiamo di accogliere senza farli sentire giudicati.
È senz’altro vero che oggi le nuove generazioni sono
distratte da troppe cose, la vita quotidiana, gli amici, i social,
ma è altrettanto vero che siamo noi adulti, per primi, a
doverli comprendere ed accompagnare nel loro percorso di
crescita spirituale, fargli scoprire l’enorme bellezza che risiede
in Dio.
Padre Bernardo Gianni
Una bellezza che qui a San Miniato viene celebrata anche
attraverso l’arte…
Certamente, questo è un luogo straordinario, ma bisogna tuttavia
fare attenzione. La chiesa non è un museo dove andare
ad ammirare delle opere d’arte, ma deve essere un luogo
aperto alla cittadinanza, un luogo vivo che dialoga con la
contemporaneità. Per questo motivo nel 2018, in occasione
dei festeggiamenti per il millenario dell’abbazia, ho chiesto
al compianto maestro Luca Alinari di realizzare un manifesto
che commemorasse questa importante occasione. Nessuno
meglio di lui poteva incarnare l’arte del presente e i grandi valori
storici e culturali di Firenze.
LA SPIRITUALITÀ
23
Dimensione salute
A cura di Stefano Grifoni
La silenziosa vita dei virus
di Stefano Grifoni
Ivirus si replicano e si riproducono, sono ladri di geni e
si modificano continuamente prendendo in prestito strutture
e materie prime dalle cellule che infettano per moltiplicarsi
e continuare ad esistere. Una caratteristica che li
contraddistingue dagli esseri umani è che il loro codice genetico
può mutare: ogni anno per esempio si parla di nuovi ceppi
di Covid derivati dai precedenti. Questo tipo di mutazione
rallenta la loro riproduzione permettendo al virus di rimanere
in vita il più a lungo possibile e quindi di poter infettare altre
persone. I virus si trasmettono silenziosamente per via aerea
o con una stretta di mano e prediligono le persone che hanno
più basse difese immunitarie come gli anziani. Le donne
si ammalano meno facilmente rispetto all’uomo perché sono
protette dagli estrogeni, ormoni che riducono il tasso metabolico
della cellula inibendo la capacità del virus di replicarsi.
La vita è, nella malattia, un avvicendarsi di probabilità.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
24
LA VITA DEI VIRUS
Psicologia oggi
A cura di Emanuela Muriana
Quando preoccuparsi diventa una malattia
Preoccuparsi è una tendenza che tutte le persone hanno,
chi più chi meno, in base alla propria personalità,
all’ambiente che ci circonda, allo stato emotivo in cui
ci troviamo. Provare un sentimento di preoccupazione può aiutarci
ad agire, spronandoci a trovare la soluzione ad un particolare
problema. Tuttavia, le preoccupazioni, soprattutto se
presenti con una certa frequenza, non hanno un impatto positivo
sul nostro organismo e sulla qualità della vita: potenzialmente
possono esaurire la nostra energia emotiva, minando la
nostra serenità. Possono creare un’insonnia persistente, stanchezza
fisica, irritabilità e difficoltà di concentrazione. Quando
la preoccupazione per qualcosa di specifico diventa pervasiva
e incontrollabile può generare stati d’ansia, a volte anche molto
intensi. Preoccupazione per la paura di non poter far fronte
a ciò che potrebbe accadere; preoccupazione per la propria
salute fino a sviluppare la temibile ipocondria; preoccupazione
per i figli fino a limitarne il fisiologico sviluppo per eccesdi
Emanuela Muriana
so di controlli o precauzioni. E così via di seguito. Esiti molto
dannosi delle buone intenzioni! Oppure l’eccesso di preoccupazione
può virare in uno sforzo di razionalità per controllare i
timori per il futuro, per sé e per gli altri, dando luogo a pensieri
ossessivi pervasivi contro i quali la persona cerca di difendersi
di cercando di non pensarci, ma pensare di non pensare
è pensare ancora di più. Un paradosso logico che alimenta proprio
il pensiero che si vuole scacciare: il risultato è l’opposto
del desiderato sollievo della distrazione. Il timore preventivo,
accompagnato da uno stato d’ansia, finisce per tenere assorto
la persona impedendogli il rapporto con gli altri e la realtà
esterna. La preoccupazione allora è diventata una rimuginazione
ossessiva inarrestabile, ormai di qualità psicopatologica.
La psicoterapia breve strategica tratta questi disturbi limitanti
e pervasivi con un’efficacia documentata: disturbi fobici e ansiosi
(95% dei casi), disturbi ossessivi e ossessivo-compulsivi
(89% dei casi).
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
PREOCCUPARSI DIVENTA UNA MALATTIA
25
Farmacia Mijno e
Farmacia Guandalini
Autunno: è tempo di supportare il sistema immunitario
Ogni anno, assieme ai primi freddi, arrivano puntuali anche
i malanni di stagione come mal di gola, tosse, raffreddore,
laringite… Si tratta di fastidi che colpiscono indistintamente
tutta la popolazione e che si risolvono di solito in pochi
giorni ma lasciano spesso spossatezza e calo di prestazioni fisiche
per tempi più lunghi, durante i quali, peraltro, si hanno spesso
ricadute. A differenza di cosa si pensi abitualmente, le basse temperature
sono collegate solo indirettamente all’insorgenza dei sintomi
influenzali; infatti, in inverno si passa più tempo in ambienti
chiusi con occasioni maggiori di assembramento e l’aria asciutta
dei riscaldamenti favorisce la disidratazione della mucosa nasale
rendendola più vulnerabile all’attacco degli agenti patogeni. Le
basse temperature, inoltre, rallentano il movimento delle ciglia che
rivestono le vie respiratorie. Viene così a mancare la fondamentale
azione di pulizia che tali ciglia esercitano spostando verso l’esterno
tutto ciò che è estraneo. Batteri, virus e allergeni hanno “via libera”.
Il nostro sistema immunitario è la squadra di difesa invisibile
che dobbiamo cercare di mantenere il più efficiente possibile per
evitare che questi microrganismi prendano il sopravvento! I pilastri
su cui si fonda il nostro sistema immunitario sono:
- sana e bilanciata alimentazione
- benessere psicofisico: elevati livelli di stress indeboliscono significativamente
le difese.
- benessere dell’intestino in cui risiede circa il 70% delle nostre difese
unitarie.
Stress, inquinamento e vita sociale senza mascherina fanno sì che
tutti possiamo trarre grande beneficio aiutando il nostro sistema
immunitario a rinforzarsi con integratori specifici. Esistono numerosi
attivi efficaci: vitamine, estratti vegetali, farmaci omeopatici.
Per la scelta raccomandiamo sempre di rivolgersi a professionisti
preparati e capaci di suggerire il giusto percorso di integrazione e
di NON ricorrere al “fai da te”. Un’efficace strategia di prevenzione
prevede l’alternanza di attivi che vadano ad agire in modo mirato
sui punti deboli di ciascuna persona, eventualmente modificati
o ulteriormente integrati e modulati nel tempo per accompagnare
il percorso di salute. Fondamentale è inoltre avere la garanzia della
qualità delle materie prime utilizzate. La farmacia Guandalini e la
farmacia Mijno si affidano ad aziende selezionate che prediligono
la filiera corta, l’ecosostenibilità del processo produttivo, l’utilizzo di
metodi di estrazione che permettono la massima concentrazione
degli attivi. Ascoltarti, orientarti, consigliarti e seguirti nel tuo percorso
di benessere è quello che facciamo ogni giorno.
Nelle nostre farmacie troverai personale costantemente aggiornato sempre pronto ad assicurarti un percorso di salute su misura
I professionisti della Farmacia Mijno
via Gramsci 5, Signa (FI), + 39 055 875639
Il team della Farmacia Guandalini
via 24 Maggio 3/5, Lastra a Signa (FI), + 39 055 8720090
I consigli del nutrizionista
A cura di Silvia Ciani
Gli ingredienti immancabili nella dieta mediterranea
La dieta mediterranea fa riferimento alle abitudini
nutrizionali storicamente diffuse tra le popolazioni
del bacino del Mediterraneo. Si tratta di
una dieta semplice e frugale basata prevalentemente
su alimenti vegetali. Laddove questa diventi parte dello
stile di vita, risulta essere un modello per la prevenzione
di molte malattie croniche oltre che per il mantenimento
e il recupero del peso forma, tanto che nel 2010
è stata definita patrimonio culturale immateriale dell’umanità
dall’Unesco. Per capire quali siano gli ingredienti
di questa dieta immaginiamo di essere in un centro
commerciale e di fare la spesa per una settimana. Poiché,
come già detto, alla base della dieta mediterranea
ci sono alimenti di origine vegetale, dobbiamo subito
aver cura di inserire nel carrello verdura fresca di stagione,
che non può mancare nei pasti principali. Abbondiamo
sulle quantità di quella da cuocere e cerchiamo
di pensare alla verdura non solo come un contorno (insalata
o bietole cotte) ma anche come una componente
del piatto di portata (per esempio zuppa di porri con
patate o pollo con peperoni), o addirittura come spuntino
o aperitivo. Poi dobbiamo pensare alla frutta di
stagione che deve essere presente almeno 2-3 volte al
giorno per completare un pasto o anche da sola come
spuntino o merenda. Ogni giorno e ad ogni pasto non
devono mancare i cereali, soprattutto quelli integrali e
quelli in chicco di varia origine: frumento, orzo, farro,
mais e avena. Bisogna mangiarli a colazione (pane, fette
biscottate, cereali), a pranzo e a cena (piatti asciutti
e minestre), ma anche negli spuntini e nelle merende
per i ragazzi o per chi fa sport. Dovremmo abituarci a
fare un uso più frequente dei legumi come condimento
dei primi piatti (pasta e fagioli, riso e lenticchie), come
contorno, in sostituzione del secondo piatto o in sosti-
tuzione del pane. Il condimento deve essere a base di olio extravergine
di oliva e la frutta secca oleosa (una manciata tutti
i giorni) non dovrebbe mai mancare. Gli alimenti di origine animale
devono essere invece più contenuti: latte (1 bicchiere),
yogurt (un vasetto) e un paio di cucchiai di parmigiano al giorno,
mentre carne, pesce, formaggio e uova dovrebbero ruotare
settimanalmente stando attenti alla frequenza e limitando
di Silvia Ciani
la quantità dei prodotti in scatola, i trasformati e i salumi. Dolci,
condimenti, salse, paste ripiene, alcolici, succhi, bibite,
snack e altro dovrebbero essere acquistati consapevolmente
e sporadicamente perché è facile abusarne: teniamo presente
che questi, insieme alle occasioni sociali, ai pasti fuori casa,
agli imprevisti potrebbero contribuire ad allontanarci dallo
stile mediterraneo. Ma questa è un’altra storia…
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
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DIETA MEDITERRANEA
27
I giganti dell’arte
A cura di Matteo Pierozzi
Fidia
Il più grande scultore del mondo classico nel fregio del Partenone
di Matteo Pierozzi
Fidia e aiuti, Hestia, Dione e Afrodite, particolare del frontone orientale del Partenone, 438-432 a. C., British Museum, Londra (ph. Marie-Lan Nguyen)
«
Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un
nemico degli uomini, visto che nessuno lo
amava. Eppure egli non fu soltanto un grande
scultore, ma anche un grandissimo maestro,
che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola,
trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e
Alcamene, continuatori del “classico”». Queste parole di
Indro Montanelli introducono il personaggio di Fidia, maggior
esponente della scultura del mondo antico e tra i più
grandi nella storia dell’arte. Nacque ad Atene intorno al
500 a. C.; in gioventù si cimentò nella pittura e nella scultura
in bronzo, per poi dedicarsi quasi esclusivamente alla
scultura in marmo. Alcuni studiosi gli attribuiscono la
realizzazione del frontone del tempio di Zeus ad Olimpia;
scolpì inoltre la statua del dio posta all’interno del tempio
stesso. La sua partecipazione ai lavori del tempio nel 450
a. C. è testimoniata dal ritrovamento di un vaso, riesumato
di recente, che reca la scritta “io appartengo a Fidia”. La
statua di Zeus, alta tredici metri, era una delle sette meraviglie
del mondo antico ma purtroppo la conosciamo solo
attraverso delle copie. Pericle affidò i lavori a Fidia per
la costruzione del tempio di Atena Parthènos, meglio conosciuto
come Partenone, di cui Fidia curò anche le decorazioni.
Utilizzò oltre alle sue mani anche quelle dei suoi
numerosi collaboratori. Le statue sono giunte a noi solo
ridotte in frammenti. La statua di Atena, che dominava il
tempio, segnò l’apice della gloria di Pericle e di Fidia. Lo
scultore qualche anno dopo fu incolpato di essersi ritratto
sullo scudo della dea, compiendo un atto sacrilego, e
di aver sottratto dell’oro destinato alla decorazione della
statua. Nonostante l’improbabile fondatezza delle accuse,
da quel momento non abbiamo più notizie certe del maestro
che probabilmente morì in esilio o in carcere tra il 430
e il 420 a. C. Fidia fu il primo a trasformare il duro e gelido
marmo in un morbido tessuto che avvolgeva perfette
anatomie; gli va inoltre riconosciuta la capacità di dirigere
numerose maestranze, riuscendo a realizzare nell’arte gli
ideali politici di Pericle.
28
FIDIA
PsicHeArt
A cura di Maria Concetta Guaglianone
I murales, gallerie “a cielo aperto” per donare
emozioni ai passanti
Testo e foto di Maria Concetta Guaglianone
«
C’è ritmo in ogni arte, non importa che tu sia un pittore,
un musicista o un regista: il ritmo c’è, e la gente
ne sente il richiamo». Credo che in questa frase
del regista e produttore americano Felix Gary Gray sia racchiusa
una grande verità: quel desiderio e bisogno di espressione che dà
tempo e ritmo ad emozioni e pensieri, e il richiamo che ogni forma
d’arte attiva in ognuno di noi, l’arte che non si può separare dalla
vita. Tra le vie delle città o dei piccoli borghi ci si ritrova spesso a
passeggiare in “gallerie a cielo aperto”, nelle quali il passante dà
inizio ad un colloquio intimo con le immagini dipinte che sembrano
avere un’anima. Se si presta attenzione, se si entra in contatto
e in ascolto, si può sentire la voce di quel muro che racconta
una storia. Quest’estate mi sono ritrovata a passeggiare nella via
di un piccolo borgo calabrese, luogo delle mie origini in cui, quando
posso, faccio ritorno. Sant’Agata di Esaro, il nome del borgo,
Santa Lucia il nome della via. In questa via nasce la storia di una
donna, figlia d’arte e pittrice talentuosa, Laura Castellucci, in arte
Castellaura. Qui prende forma il suo progetto di arte urbana figurativa,
tuttora in corso di elaborazione che si andrà ad arricchire di
altre rappresentazioni. Passo dopo passo, s’incontra Totò e Peppino
che chiedono indicazioni, Stanlio e Ollio che salutano sorridenti
e, qualche passo più in là, lo sguardo di Charlie Chaplin e del
monello. La bravura dell’artista e il potere comunicativo delle sue
rappresentazioni hanno stimolato la mia curiosità. Ho chiesto cosa
l’avesse spinta a scegliere questa forma d’arte urbana e quale
messaggio volesse trasmettere. La sua risposta è stata ricca
di emozioni, significati e di un profondo senso di identità. È stato
coinvolgente conversare con lei per la passione che trasmette
con il suo lavoro e per la profonda gratitudine verso questo “dono”
che vuole, in un certo qual modo, lasciare alla collettività. Chi
incontra queste opere intraprende un viaggio immersivo in scene
di film che hanno contribuito a fare la storia del cinema e della
cultura nazionale e internazionale, e in quelle immagini ritrova
propri ricordi e vissuti emotivi. La sua arte cerca un vero e proprio
dialogo con il luogo e con i passanti-spettatori. Sono opere
che non colorano solo muri, non nascono soltanto dal puro piacere
di dipingere, ma dal desiderio di aprire la mente, stimolare
un nuovo punto di osservazione, valorizzare il territorio, promuovere
sentimenti di comunità, inclusione, identità e appartenenza.
Il suo progetto, oltre ad omaggiare la storia del cinema, si muo-
Laura Castellucci con uno dei suoi murales
ve sul desiderio di lasciare una sorta di “testamento culturale” alla
comunità, a quel luogo tanto caro e amato. Si tratta – spiega lei
stessa – di «parlare attraverso un muro» comunicando contenuti
facilmente accessibili al pubblico in modo incondizionato. Per
lei il murale è uno strumento di attivismo comunitario che può
assumere diversi significati: denuncia pacifica, solidarietà, sensibilizzazione,
rivalutazione di aree urbane, spazi abbandonati e
luoghi di aggregazione. Nel suo modo di raccontare si respira una
brezza soave che porta il passato ad incontrare il presente accogliendo
il futuro: un punto di incontro tra individualità e collettività,
realtà e fantasia. Racconta che i momenti più belli sono stati
mentre dipingeva, quando le persone si fermavano ed esprimevano
un senso di meraviglia davanti ai personaggi che prendevano
vita dai suoi pennelli. Rammenta lo stupore dei bambini, il loro interesse
e la curiosità e i ricordi evocati da quelle immagini negli
adulti. La sua voce vibra di emozione mentre mi parla e ripensa
al regalo che ogni passante le porge fermandosi davanti alle sue
rappresentazioni: il dono del “sentire”.
Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta
Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia
di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di
Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e
Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali
di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).
+39 3534071538 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com
I MURALES
29
Curiosità storiche fiorentine
A cura di Luciano e Ricciardo Artusi
Il braccio fiorentino, antico sistema di misurazione
Testo e foto di Luciano e Ricciardo Artusi
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
Il braccio fiorentino in via dei Cerchi
tuato di lato alla porta d’ingresso alla torre del Bargello, detta
Volognona, unitamente ad un pezzo di catena marina tolta
dai fiorentini dal porto di Pisa nel 1364. A tal proposito Emilio
Bacciotti, nel suo Il Fiorentino istruito (1845), scrive: «Il
campione della misura lineare fiorentina, che sta nel muro
fra la porta e la catena, è il passetto di bronzo diviso in 2
braccia (un’auna), che è la sola misura lineare prescritta dalla
legge in tutta la Toscana». Prima che venisse introdotto
il sistema metrico decimale con “l’annessione al Governo di
Sua Maestà il Magnanimo Re Vittorio Emanuele II”, tutte le
città d’Italia, compresa Firenze, avevano un proprio sistema
di misurazione. Questo creava non pochi problemi dato che
le varie unità di misura cambiavano da regione a regione e
perfino da città a contado. Pertanto si decise di uniformarsi
al nuovo sistema metrico decimale. Vincenzo Tantini nel
suo Ragguaglio del nuovo Sistema Metrico, così ci informa
sulla nuova misura del metro: «Il metro preso dal greco “me-
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r
50134 Firenze
Il braccio fiorentino, detto anticamente
“braccio a panno”,
misurava 58,36 cm del contemporaneo
metro e si divideva in 20
soldi, il soldo in 12 denari, il denaro
in 12 punti. Tale dimensione, generalmente
applicata alla misurazione
dei tessuti di lana, seta e lino, corrispondeva
più o meno alla lunghezza
media dell’arto superiore di una
persona adulta, appunto, il “braccio”.
Infatti le prime misure adottate
dall’uomo facevano riferimento proprio
a specifiche parti dei suoi arti
come il pollice, il palmo, il piede e
il braccio. Nel granducato di Toscana
si usò la misura del braccio fiorentino
dal 1781, unificata a tutto
il territorio, fino a quando con l’annessione
al governo del re Vittorio
Emanuele II, “l’antiquato e incomodo”
sistema fu sostituito con quello
metrico decimale. Ritornando al
braccio fiorentino, sovente sorgevano discussioni circa la misurazione
delle stoffe fatte misurare furbescamente dai lanieri
a giovani garzoni – che avevano ovviamente il braccio
più corto – dando adito a contestazioni quando, controllate
e rimisurate dagli acquirenti, si riscontrava la difformità
della lunghezza. Affinché la corretta unità di misura venisse
rispettata, fu deciso di realizzare barre di ferro o di bronzo
della lunghezza di 58,36 cm (cioè del braccio) da affiggere
nei mercati e nei luoghi dove erano specialmente concentrate
le botteghe dei lanieri. Via dei Cerchi era una di queste, ecco
perché al numero civico 5 si nota ancora, all’altezza delle
braccia, una stretta scanalatura vuota lunga un metro che alloggiava
l’esatta misura metallica del braccio fiorentino usata
per gli opportuni riscontri. Il passetto misurava invece il
doppio del braccio cioè 116,72 cm e si usava sempre prevalentemente
per misurare le stoffe. Un autentico prototipo di
queste misure necessario per le opportune verifiche era sitron”
misura primordiale che ha dato
il nome al nuovo sistema, è la 10millionesima
parte di un quarto del meridiano
terrestre, base fondamentale
di tutto il sistema». Da quel periodo
si è iniziato a usare la voce “metraggio”,
specialmente gli artigiani e
i commercianti, per indicare le stoffe
vendute un tanto al metro o per significare
la quantità di tessuto che
occorre per un dato lavoro.
30
IL BRACCIO FIORENTINO
Grandi mostre in Italia
A cura di Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli
Luigi Ghirri
L’Italia vista “in scala diversa” negli scatti del celebre fotografo in
mostra a Reggio Emilia
Testo e foto di Miriana Carradorini
Fino all’8 gennaio 2023, presso il Palazzo dei Musei a
Reggio Emilia, è in corso la mostra In scala diversa /
Luigi Ghirri, Italia in Miniatura e nuove prospettive, promossa
in occasione del trentesimo anniversario della prematura
scomparsa del fotografo. La mostra raccoglie le foto, alcune
delle quali inedite, del progetto In scala realizzato da Ghirri, uno
dei più importanti fotografi europei del Ventesimo secolo, tra
gli anni Settanta e Ottanta del Novecento all’interno del parco
Italia in miniatura, nato da un’idea di Ivo Rambaldi agli inizi degli
anni Settanta. Filo conduttore dell’esposizione è la fotografia
per come declinata da Ghirri e Rambaldi: mentre il primo analizza
il mondo e le illusioni ottiche che ne possono derivare, Rambaldi
utilizza la fotografia per catturare più dettagli possibili dei
monumenti italiani da riprodurre all’interno del parco. Inoltre,
Rambaldi, offrendo uno sguardo complessivo su tutta la penisola,
rendeva con i suoi modellini reali le illusioni tanto amate
da Ghirri. L’intento delle fotografie di Ghirri è quasi opposto
a quello di Rambaldi: immortalando scorci degli scenari italiani
riprodotti in piccolo nel parco, egli realizza queste cartoline
di un’Italia che non esiste, quasi surreale, immagini che proprio
per questo trasmettono un senso di straniamento. Nelle foto si
denota anche il suo interesse per l’elemento naturale che appare
in maniera strana e ambigua dietro i monumenti più importanti
d’Italia, come ad esempio una vetta innevata dietro Piazza del
Campo a Siena. In questa mostra dunque la fotografia diventa
punto di contatto tra Ghirri e Rambaldi e gli scatti realizzati da
entrambi si confrontano sottolineando la differenza tra copia e
modello. Per comprendere meglio gli scatti di Ghirri viene raccontata
al visitatore anche la nascita del parco, partendo dall’idea
di Rambaldi ispirata a Swissminiatur, ovvero la Svizzera in
miniatura. Vengono poi mostrati i progetti per la creazione del
parco e la modalità di realizzazione dei modellini. Si offre inoltre
una visuale più contemporanea su questo sito turistico attraverso
i progetti e le ricerche realizzati da ex studenti e studentesse
dell’ISIA di Urbino, con la supervisione di Joan Fontcuberta e
Matteo Guidi. Seguendo lo stile di Ghirri, gli studenti hanno proposto
nuovi modi di concepire il parco, analizzando ad esempio
i comportamenti dei turisti, il rapporto con le nuove tecnologie e
gli elementi naturalistici osservati con uno sguardo scientifico.
www.musei.re.it
Dr. Fabio Giannarini
Wealth Advisor
+39 347 3779641
fabio.giannarini@bancamediolanum.it
LUIGI GHIRRI
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Duilio Tacchi
Mondi lontanissimi
L’opera fa parte di un nuovo ciclo di lavori realizzati dall’artista
in preparazione di un importante evento espositivo a Firenze
duiliotacchi@msn.com
Duilio Tacchi
duiliotacchi
Firenze mostre
Olafur Eliasson
A Palazzo Strozzi la più ampia retrospettiva mai realizzata in Italia sull’opera
di un maestro dell’arte relazionale
Dal 22 settembre 2022 fino al 22 gennaio 2023 la Fondazione
Palazzo Strozzi ospita la mostra Nel tuo tempo
del celebre artista internazionale Olafur Eliasson. Curata
da Arturo Galansino in collaborazione con lo Studio Olafur
Eliasson, l’esposizione è la più grande mai realizzata in Italia
dall’artista e offre un’ampia panoramica di opere realizzate sia
nel corso della sua trentennale attività che pensate appositamente
per Palazzo Strozzi. Utilizzando spesso medium espressivi
“naturali” come luce, acqua e nebbia, Eliasson è diventato
celebre per un’arte che riflette sull’idea di percezione ponendo lo
spettatore al centro dell’esperienza di fruizione. Attraverso scultura,
installazione, pittura, fotografia, architettura e design, l’artista
danese di origini islandesi esplora il ruolo dell’arte nel mondo
contemporaneo intendendolo come un linguaggio che mette insieme
scienza, politica e ambientalismo. Questa mostra nasce
come un incontro tra le opere d’arte, i visitatori e il palazzo che la
ospita, non semplice contenitore, quindi, ma coproduttore di significati.
L’idea dell’esposizione ha avuto origine, non a caso, da
una riflessione di Eliasson sul valore artistico e architettonico di
Palazzo Strozzi, da lui visitato per la prima volta nel 2015. È iniziata
allora l’ideale conversazione dell’artista con il palazzo che
ha portato all’odierna esposizione e alla creazione di opere site
specific che dialogano con la sede espositiva occupandola interamente.
A cominciare dal cortile, dove il visitatore viene accolto
dall’opera Under the weather, una grande struttura ellittica sospedi
Barbara Santoro / foto courtesy Fondazione Palazzo Strozzi
Beauty (1993), ph. Ela Bialkowska
Under the weather (2022), ph. Ela Bialkowska
sa a 8 metri di altezza che genera interferenze visive simili allo
sfarfallio di uno schermo con un “effetto moiré”, in modo da destabilizzante
la rigida architettura ortogonale del palazzo. Nelle
prime tre sale del piano nobile l’artista si confronta con le finestre
della storica residenza mettendo insieme realtà e rappresentazione,
presenza e assenza, con un alternarsi di luci, colori e
ombre. Particolarmente suggestiva è l’opera Beauty (1993), uno
spettacolare arcobaleno in cui fasci di luce bianca sono scomposti
nei colori dello spettro visibile attraverso una cortina di nebbia.
Questa apparizione nasce dagli effetti di rifrazione della luce
generati dalle gocce d’acqua nelle quali il pubblico è chiamato
ad immergersi. A seconda dell’angolazione si ottiene una visione
soggettiva e personale che fa apparire l’arcobaleno ogni volta diverso.
Procedendo nelle altre stanze appare sempre più evidente
la ricerca di Eliasson sulla visione come azione di frammentazione
e complessità del pensiero. Qui alcuni caleidoscopi giocano
sul fatto che ciò che vediamo possa essere facilmente disorganizzato
o riconfigurato in base alle percezioni e alla storia personale
dell’osservatore. Un’altra tematica ricorrente è quella della
tutela ambientale e della denuncia da parte dell’artista dei devastanti
effetti dei cambiamenti climatici anche in rapporto a recenti
fatti di cronaca. Non mancano proposte in grado di coinvolgere
soprattutto un pubblico giovane come Your view matter, opera
in realtà virtuale fruibile gratuitamente anche sul Web indossando
un visore che consente di immergersi in sei diverse dimensioni
spaziali accompagnati da una musica composta dall’artista.
L’obiettivo – come chiarisce lo stesso Eliasson – è quello di disimparare
e imparare di nuovo ad usare il senso della vista coinvolgendo
non solo gli occhi ma anche il corpo e la mente.
www.palazzostrozzi.org
OLAFUR ELIASSON
33
Vacanze in agriturismo
Corte di Valle
Un angolo di paradiso a Greve in
Chianti, tra prodotti caratteristici
e paesaggi mozzafiato
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Marco Mazzoni, proprietario dell’agriturismo Corte di
Valle a Greve in Chianti, ha una grande passione per
il suo lavoro. Dal 1989, seguendo la tradizione e l’esperienza
di famiglia, produce diversi vini (Chianti Classico
DOCG anche bio e riserva e tre IGT toscani Vindia, Vin Mazzoni
e Bianco Toscano) con uve – Sangiovese, Cannaiolo nero,
Trebbiano bianco di Toscana, Cabernet Sauvignon e Merlot
– provenienti da vigneti di 15-20 anni dislocati nel raggio dei
due chilometri intorno all’azienda, la cui estensione totale è di
20 ettari circa. La raccolta delle uve viene fatta a mano permettendo
un’ulteriore garanzia di qualità del prodotto che andrà
nei tini per la vinificazione. Prima dell’imbottigliamento, i
vini vengono fatti maturare in botti di quercia da 500 litri o in
barriques di rovere. Oltre al vino, a Corte di Valle vengono realizzati
anche diversi prodotti allo zafferano, antica spezia coltivata
nelle campagne fiorentine già in epoca medievale che
fiorisce annualmente in ottobre regalando gli stigmi rossi brillanti
che, una volta essiccati, sprigionano un aroma intenso,
caldo e avvolgente. Per gli amanti di questa spezia nell’agriturismo
di Greve è possibile acquistare un tipo di pasta di grano
duro allo zafferano, preparata in un pastificio artigiano locale,
Il Chianti Classico DOCG Riserva prodotto dall’agriturismo
miele toscano di acacia, arricchito anch’esso con lo zafferano,
una gustosa salsa di porri e zafferano, ottima per preparare
delle bruschette o come condimento, e biscotti allo zafferano,
preparati seguendo un’antica ricetta di famiglia utilizzando
esclusivamente olio extravergine di oliva di alta qualità di
produzione propria dal tipico gusto speziato. Ed è proprio l’o-
Marco Mazzoni, proprietario dell’agriturismo Corte di Valle a Greve in Chianti
34
CORTE DI VALLE
Un momento della vendemmia
lio d’oliva la terza specialità prodotta da Corte di Valle sfruttando
le caratteristiche del clima, del terreno e le diverse altitudini
che rendono il territorio del Chianti una regione vocata alla produzione
di un eccellente olio d’oliva extravergine. L’offerta si arricchisce
con la possibilità di soggiornare nella villa e nei due
casali sede dell’agriturismo: nella villa le stanze sono ampie e
con i soffitti alti, mentre i due casali sono più tradizionali e in
stile country, con interni caratterizzati dai tipici soffitti con travi
in legno a vista. A disposizione degli ospiti sedici camere doppie,
ciascuna con bagno privato, arredate con mobili antichi in
stile classico che creano un’atmosfera accogliente e rilassante.
Ci sono inoltre due appartamenti – situati al piano terra e
con terrazze private – ognuno dei quali può ospitare fino a tre
persone e un bambino. È presente anche una piscina dove rilassarsi
godendo delle bellezze della campagna circostante.
Completa il servizio un ristorante con giardino dove gustare la
prima colazione con ampio buffet oppure deliziarsi a pranzo o
a cena con i piatti della migliore tradizione culinaria toscana.
Corte di Valle
SR 222 Chiantigiana km. 18,5 – Località Le Bolle
50022 Greve in Chianti (FI)
www.cortedivalle.it
cortedivalle@cortedivalle.it
Le vigne di Corte di Valle (modella Carmen Benfari)
CORTE DI VALLE
35
Occhio critico
A cura di Daniela Pronestì
Adriana Setter
Un’affascinante riflessione sull’eterna
“attualità” del vizio
Tra le tante opere collezionate dal re di Spagna Filippo
II, I sette peccati capitali di Hieronymus Bosch
era una delle sue preferite perché, come scrive un
suo bibliotecario all’Escorial, «questo pittore fiammingo ha
il coraggio di dipingere gli uomini non per come appaiono
ma per come sono realmente». Si comprende quindi perché
il cattolicissimo ed intransigente sovrano custodisse
quest’opera nelle sue stanze private, nonostante il dipinto
fosse popolato di figure diaboliche e scene per niente edificanti.
Come per Bosch anche per un artista contemporaneo
dipingere un soggetto del genere significa confrontarsi
con la difficoltà di raccontare gli aspetti più oscuri dell’animo
umano, le debolezze impossibili da estirpare perché
legate ad istinti primordiali. Il ciclo sui sette vizi capitali
di Adriana Setter, artista italiana residente a Madrid, supera
questa difficoltà calando il tema nell’attualità, e in particolare
in quegli aspetti della società contemporanea che
maggiormente favoriscono l’inclinazione umana al peccato.
A conclusione di questa indagine sulle odierne “radici”
del vizio, l’artista ha analizzato alcune opere celebri – incluso
il capolavoro di Bosch – traendone spunto per l’udi
Daniela Pronestì
Superbia
so dei colori e dei simboli. Infine, ha scelto la tecnica, il
collage, che le ha richiesto oltre due anni di lavoro per la
ricerca le immagini. Il risultato sono sette composizioni
che rispondono in maniera del tutto originale al quesito
Lussuria
Ira
36
ADRIANA SETTER
che lei per prima si è posta, ovvero capire in che modo
si manifestino oggi i vizi capitali, in quali contesti
e con quali protagonisti. Per quanto riguarda la
superbia, ad esempio, lo scenario in cui questo peccato
più facilmente attecchisce sono i regimi dittatoriali.
Non a caso, Putin – qui insieme alla presidente
argentina Cristina Fernandez de Kirchner – e Nerone
vestono i panni dei superbi al centro della scena,
mentre intorno a loro si muovono come pedine altre
forme di potere a loro volta colpevoli: il sistema economico,
la corruzione e persino la Chiesa. Non c’è superbia
peggiore di chi pensa di potersi sostituire a
Dio, e nessuno può dirsi esente da questo peccato,
neanche gli uomini di fede. Nel collage con l’avarizia,
il senso del possesso riguarda non solo il denaro
– con le monete applicate direttamente sul supporto
– ma anche vari “preziosi” – gioielli, gemme e orologi
– dal quale mai l’avaro si separerebbe. “Solo il denaro
è importante” recita una scritta, interpretando il
pensiero di chi sarebbe pronto a compiere qualunque
scelleratezza pur di accaparrarsi ricchezze; lo sanno
bene gli “avari” della finanza mondiale, quelli che nel
caveau della banca hanno rinchiuso, insieme ai soldi,
anche la propria anima. Facile chiedersi quanti tra
questi “campioni” del vizio siano inclini alla lussuria,
la quale, del resto, – ci ricorda l’artista – non riguarda
soltanto i piaceri della carne, ma qualunque azione
smodata e priva di ritegno. Quello che conta per i
lussuriosi è possedere “l’oscuro oggetto del desiderio”,
il frutto proibito di Adamo ed Eva, senza mai appagarsi
di una conquista alimentata dall’ossessione
del piacere. Se domani scoccasse l’ora del giudizio
universale, l’ira di Dio saprebbe con certezza chi colpire.
A questo proposito l’artista immagina una scena
apocalittica, con al centro lampi e fuoco dell’ira divina
pronti a scagliarsi contro chi calpesta la sua legge.
È una lotta tra il bene e il male, tra il volere di Dio e
il diavolo, quest’ultimo incarnato non solo dalla figura
di Lucifero ma anche dai potenti del mondo dispensatori
di guerra e morte. Diventare “verdi di invidia” è
molto facile in una società che giudica il valore delle
persone in base a ricchezza e successo. L’invidia
ha origine da questa errata percezione sia del proprio
“valore” che di quello altrui: gli specchi applicati
in superficie sottolineano l’interscambiabilità delle
due posizioni, l’invidioso e l’invidiato, lasciando a chi
guarda il compito di capire da quale parte stare. La
“gola” è un tripudio di piatti succulenti e bevande con
le quali inebriarsi, calandosi nei panni della strana figura
al centro – una sorta di Bacco o di Pantagruel
– dallo sguardo minaccioso e l’aria famelica. Quello
dell’accidia è un tempo fermo, immobile, congelato;
un tempo che gli orologi non possono misurare
– nell’opera infatti le lancette sono bloccate – perché
esiste soltanto nella mente dell’accidioso, che giace
inerte in fondo alla scena schiacciato dal peso della
sua inguaribile inconcludenza.
Gola
Accidia
ADRIANA SETTER
37
Il cinema a casa
A cura di Lorenzo Borghini
I vitelloni
Un malinconico ritratto di una realtà provinciale
Con Lo sceicco bianco (1952), Fellini inizia una collaborazione
con gli sceneggiatori Tullio Pinelli e
Ennio Flaiano che durerà fino a Giulietta degli spiriti
(1965), ma il suo riconoscimento come regista di rilievo
avviene solo quando, nel 1953, vince il Leone d’argento
al festival del cinema di Venezia con I vitelloni. La storia
è ambientata in una cittadina di provincia che ricorda vagamente
la Rimini tanto cara al regista e mette in scena
le vicende di cinque perdigiorno figli della piccola borghesia.
Gli scenari evocano luoghi cruciali della giovinezza
del cineasta e la vicenda si conclude con la fuga di uno
di loro proprio in quella Roma dove approdò Fellini a diciannove
anni. Non a caso la storia è narrata dalla voce
fuori campo di un anonimo “vitellone” che guida lo spet-
tatore in un mondo popolato da spettri che albergano
nella memoria del regista riconducendo
il film al genere dell’autobiografia. Questo spazio
del ricordo non è stato ricostruito a Rimini
ma ad Ostia, quasi a sottolineare che le immagini
a noi proposte non sono la realtà ma la sua
reinvenzione. Il regionalismo “vitelloni”, di origine
marchigiana, rende l’idea di personaggi che
non sanno che fare della propria vita e rimangono
in uno stato di attesa continua. I cinque
protagonisti sono in moto perpetuo per tutta la
durata del film, camminano per le strade della loro
cittadina senza mai fermarsi fino alle ore più
tarde della notte ma, paradossalmente, rimangono
intrappolati in un’immobilità statuaria proprio
come degli equilibristi che camminano su una
fune che non li porta da nessuna parte, con il rischio
continuo di poter cascare da un momento
all’altro nel baratro della vita, prigionieri nel loro
microcosmo e incapaci di uscire da quel piccolo
mondo che tanto canzonano. Ognuno di loro
incarna diversi aspetti della mediocrità provinciale.
Fausto (Franco Fabrizi) che possiamo considerare
il personaggio principale, collante della
storia e delle situazioni che la attraversano, è un
seduttore da quattro soldi, un ipocrita che ricorre
continuamente alla menzogna per occultare le
sue avventure. Si rende ridicolo, quando la moglie
lo lascia dopo esser venuta a conoscenza
della sua tresca con una ballerina, cadendo in
un panico patetico a lui solitamente estraneo.
Alberto (Alberto Sordi), nullafacente che vive in
famiglia, sorveglia in maniera ossessiva la sorella
Olga. Leopoldo (Leopoldo Trieste) insegue
i suoi sogni artistici facendosi mantenere dalle
zie. Riccardo (Riccardo Fellini), pur essendo par-
di Lorenzo Borghini
te del gruppo, rimane più in ombra rispetto agli altri, forse
proprio perché fratello del regista. Moraldo (Franco Interlenghi)
è la coscienza del gruppo, una sorta di spettatore
esterno che osserva e critica la condotta degli amici.
Tramite un insolito espediente tecnico, Fellini riesce a dare
un tono da falsa biografia calandosi nel gruppo con un
curioso sdoppiamento tra Moraldo e la voce fuori campo
che appare come un sesto “vitellone”. Film permeato da
una grande malinconia che si può riassumere nello sguardo
di Sordi – dopo il veglione di Carnevale – che vaga per
le strade inveendo contro i suoi amici, per restare da solo
abbracciato a quella maschera di cartapesta, l’unica che
forse può capirlo e con cui per una volta può smettere di
mentire a sé stesso e al mondo intero.
38
I VITELLONI
Premi nel cinema
Alessandro Sarti
Pioggia di premi in Cilento e a Firenze per il film del regista ed ex
assessore alla cultura sulla figura di Leonardo da Vinci
di Federico Berti / foto Umberto Visintini e Sandro Zagli
Pioggia di premi su Alessandro Sarti, regista,
scrittore ed ex assessore alla cultura del Comune
di Pontassieve. Soltanto pochi giorni
fa Sarti è stato uno dei premiati del Porcellino insieme
a Gigi Paoli, Lorenzo Paoli, Stefano Mancuso
e Marco Bacci. Già quel riconoscimento da solo
è un’ennesima affermazione di prestigio, con la seguente
motivazione: “per aver contribuito a valorizzare
attraverso l’arte e la cultura la fiorentinità nel
mondo prima come assessore poi come scrittore
e regista, premio Porcellino 2022 ad Alessandro
Sarti”. Se poi al premio Porcellino si va ad aggiungerne
un altro appena ricevuto all’International Cilento
Film Festival che si è concluso sabato sera,
si può senz’altro dire che per Sarti questo è davvero
un periodo entusiasmante. Il regista ed ex assessore
era tra i candidati con il suo film dedicato alla
figura di Leonardo da Vinci intitolato Quel genio del
mio amico che vede protagonista il sempre bravo Sergio Forconi.
Insieme a lui, nel cast, tanti volti noti del cinema toscano
come Athina Cenci, Katia Beni, Daniela Morozzi, Rosanna
Susini, Bruno Santini, Alessandro Calonaci, Alessandro Riccio,
Piero Torricelli, Giovanni Lepri, Renato Raimo, Jerry Potenza,
Pietro Fornaciari e tanti altri. “Per la capacità di rendere moderna
una figura storica così importante come Leonardo da Vinci,
con l’ironia e l’arguzia tipica toscana, senza banalizzarlo”: con
questa motivazione Sarti ha conquistato il premio della critica
in un festival di cinema che sta crescendo in qualità e prestigio,
anno dopo anno. L’edizione 2022 ha visto la partecipazione
di autentiche leggende del mondo dello spettacolo come Pupi
Premio Porcellino: un momento della premiazione da parte di Vincenzo Ferrara
dell’Osteria del Porcellino (ph. Umberto Visintini)
Cilento Film Festival: la presidente della Fondazione MIdA Sabrina Capozzolo consegna il
premio ad Alessandro Sarti; accanto a lui l’attore Sergio Forconi (ph. Sandro Zagli)
Avati, Giancarlo Giannini, Sergio Castellitto, Renato Carpentieri,
Andrea Roncato, Francesco Baccini, Lello Arena e la livornese
Enrica Guidi. «È stato tutto bellissimo, all’insegna della
professionalità. Il target del festival era davvero elevato e la lista
dei presenti lo conferma», ricorda con entusiasmo Alessandro
Sarti. «Un premio così importante – prosegue – con quella
motivazione per una produzione come la nostra, non può che
riempirmi di gioia. Non solo me come regista ma anche tutti i
miei collaboratori, la troupe e il cast e lo stesso Sergio Forconi
che ad 81 anni ha avuto questa grandissima soddisfazione».
Dunque, la figura del genio di Leonardo riletta da Sarti ha
davvero “stregato” la critica del Cilento Festival. Ennesima affermazione
per un piccolo film – in senso produttivo
s’intende – che si è imposto nel tempo grazie al passaparola.
Ma Sarti è da tempo al lavoro per un nuovo
lungometraggio la cui lavorazione è iniziata da mesi.
Un progetto subito “sposato” da una grande diva del cinema,
Sandra Milo, che ha accettato di prendere parte
a Che bella storia la vita, questo il titolo del nuovo film
che vedremo nel 2023. Con la partecipazione di un’altra
star del mondo dello spettacolo, Gene Gnocchi. In
attesa di vedere la mitica Sandrocchia – così era chiamata
da Fellini – di nuovo sul grande schermo diretta
da Sarti, sarà un piacere gustare la performance di
Sergio Forconi e il suo Leonardo da Vinci, un po’ invecchiato
e un po’ stanco ma con un premio in più. Una
maniera insolita e divertente di raccontare “il genio”
che sta facendo incetta di riconoscimenti importanti.
ALESSANDRO SARTI
39
Movimento Life Beyond Tourism Travel To Dialogue
Arte e innovazione: a Firenze i tabernacoli ora “parlano”
grazie alla tecnologia
Il programma dei Luoghi Parlanti® si arricchisce di nuovi itinerari
Altari a cielo aperto per celebrare
messa durante le pestilenze; edicole
che segnavano il cammino dei condannati
a morte; immagini capaci di attirare
tanti devoti da dover chiudere al traffico
le strade limitrofe. E ancora, affreschi presso
cui hanno dimorato Cimabue, Giotto e
Buffalmacco e altri di fronte ai quali si sono
consumati efferati delitti: per le vie della città
37 gioielli d’arte e architettura si raccontano
tra tech e passaparola, entrando nella
rete internazionale dei Luoghi Parlanti ® . L’iniziativa
è di Movimento Life Beyond Tourism
- Travel to Dialogue in collaborazione con
Amici dei Musei e dei Monumenti Fiorentini
- Comitato per il Decoro ed il Restauro dei
Tabernacoli, nell’ambito del 2° Festival delle
Associazioni Culturali. Trentasette gioielli
d’arte e architettura, nascosti in piena vista
per le strade della città, che si rivelano a ap-
passionati, residenti e passanti attraverso un sistema di targhe
interattive. È così che i tabernacoli fiorentini diventano
Luoghi Parlanti ® , entrando a far parte dell’omonimo progetto
di “turismo sostenibile” di Movimento Life Beyond Tourism -
Travel to Dialogue che propone un nuovo modo di esplorare
di Stefania Macrì
La presentazione del progetto sui tabernacoli del Movimento Life Beyond Tourism in occasione del
Festival delle Associazioni Culturali: da sinistra, Francesca Fiorelli, Antonia Ida Fontana, Carlotta Del
Bianco e Lorenzo Manzani
il territorio grazie a una rete di QR code e all’unico strumento
davvero indispensabile per il viaggiatore contemporaneo: lo
smartphone. Una selezione di tabernacoli del centro storico
della città, tornati all’antico splendore dopo le operazioni di
restauro (a cura del comitato stesso), si raccontano a chiunque
voglia ascoltarli, ma non solo. Avvicinando il telefono
all’apposita targa digitale si potrà accedere a informazioni,
cenni storici, curiosità e suggerimenti per completare
il proprio percorso di visita sul territorio, ma anche interagire,
condividere foto, suggerimenti e esperienze caricandole
sulla apposita piattaforma digitale, visitabile su
www.luoghiparlanti.com. I tabernacoli entrano così nella
rete che ha già attivi oltre venti territori nazionali, da
Trieste a Roma, da Milano a Napoli (a Firenze il primo
luogo parlante è Palazzo Coppini, dimora storica, museo
e centro congressi internazionali, sede del Movimento Life
Beyond Tourism), ai nove comuni del Mugello e alle Terre
Canavesane, appena approdata su scena internazionale
in Repubblica Ceca con i tredici distretti e Praga; da
Tabernacolo in via del Porcellana
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Tabernacolo delle Fonticine
poco i Luoghi Parlanti ® sono anche una guida cartacea,
grazie alla collaborazione con il Touring Club italiano. Tra
le opere di maggior rilievo che sarà possibile riscoprire ci
sono il celebre tabernacolo delle Fonticine in via Nazionale,
splendido esempio di arte robbiana; quello all’angolo tra
piazza Santa Maria Novella e via della Scala, voluto dall’Arte
dei Medici e degli Speziali; quello tra via del Porcellana e via
Palazzuolo, preziosa testimonianza della vocazione all’assistenza
di questo angolo di città, legato all’antico Spedale
del Porcellana. E poi il tabernacolo cosiddetto “delle cinque
lampade”, di fronte a cui nel 1731 fu perpetrato un delitto che
sconvolse la città ai danni di Tommaso Bonaventuri, funzionario
di corte del granducato di Toscana, al tempo
del granduca Gian Gastone de’ Medici. Si aggiunge
poi il tabernacolo tra via Sant’Antonino e via Faenza,
contenente un’immagine mariana – ritenuta protettrice
di inquilini e sfollati – che nel periodo a cavallo
tra le due guerre fu protagonista di un fatto di cronaca:
una mattina del 1926 le strade limitrofe dovettero
essere chiuse al traffico, talmente era ingente la folla
di persone, radunate presso il tabernacolo. E infine
l’opera suggestiva posizionata su un angolo smussato
dell’edificio tra via del Leone e via della Chiesa,
attribuita al figlio di un allievo di Giotto. Per chi invece
è interessato a percorsi più articolati, sono stati
pensati cinque diversi itinerari suddivisi per zone. Il
concetto alla base della una rete in costante crescita
dei Luoghi Parlanti ® è quello di narrare ogni destinazione
in un’ottica glocal, ribaltando culturalmente la
figura del viaggiatore che così diventa un vero e proprio
residente temporaneo del luogo che
lo ospita. Il Movimento Life Beyond Tourism
nasce per mettere in pratica i principi
della filosofia teorizzati dalla Fondazione
Romualdo Del Bianco nella sua ultratrentennale
esperienza di dialogo tra culture
per il rispetto reciproco, la valorizzazione
dei territori e dei loro saperi e saper fare.
Luoghi Parlanti ® si inserisce in questo
contesto e si pone come un’esperienza
itinerante che invita alla scoperta e interviene
sul territorio per creare un legame
più profondo, una conoscenza autentica
e una connessione diretta con la comunità
locale, superando il turismo di massa,
quello mordi e fuggi che ha finito per depauperare
i territori, e affermando un nuovo
modo di viaggiare nel rispetto di luoghi, persone, culture
e tradizioni. Il racconto parte da istituzioni, soggetti privati e
stakeholder vari, ma viene implementato dai residenti di tutto
il mondo grazie alla possibilità di inserire foto e commenti direttamente
sulla piattaforma interattiva con l’obiettivo anche
di aprirsi a collaborazioni nazionali e internazionali per favorire
una sinergia anche con progetti già esistenti ma che hanno
una scala più locale. Il progetto dei “tabernacoli parlanti”
è stato presentato nell’ambito del Festival delle Associazioni
Culturali Fiorentine dello scorso settembre. Per maggiori
informazioni sui percorsi di visita dei tabernacoli e sul programma
consultare il sito: www.luoghiparlanti.it.
Tabernacolo delle cinque lampade
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism
® , ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme
alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che
custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle
identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e
i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
41
Personaggi
Aldo Fittante
Avvocato dell’anno 2021 per il diritto d’autore secondo Le Fonti Awards, è
uno dei professionisti più autorevoli nella tutela del Made in Italy
di Jacopo Chiostri / foto courtesy Aldo Fittante
Nel 2021, Aldo Fittante, uno dei più autorevoli esperti
italiani in diritto industriale e d’autore, è stato insignito
del prestigioso premio Le Fonti Awards come
avvocato dell’anno per il diritto d’autore. In questa intervista
parliamo della sua l’attività non solo come avvocato ma anche
professore universitario e autore di numerose pubblicazioni
scientifiche.
Quali sono gli ambiti di pertinenza del suo studio legale?
Lo studio opera in Italia e nel mondo da oltre 30 anni e svolge
la propria attività principalmente nell’ambito del diritto
d’autore, del diritto industriale, nella protezione del Made
in Italy, nella tutela della concorrenza e del diritto dell’innovazione,
occupandosi di tali materie sia nell’esercizio della
professione forense, sia in ambito istituzionale ed accademico.
Ci piace definirci da sempre una boutique artigiana
incastonata nei network moderni delle law firm internazionali,
con lo scopo di garantire ai clienti una risposta tempestiva
e qualificata alle loro specifiche esigenze di difesa
ed offrendo un’assistenza legale adatta ai loro concreti obbiettivi,
sia in sede stragiudiziale sia in fase di litigation. I
nostri clienti – operanti principalmente nei settori dell’arte,
della fotografia, della moda, del lusso, del manifatturiero e
del design – hanno ormai chiaro che l’intellectual property
è strategica per lo sviluppo e la valorizzazione del patrimonio
aziendale come elemento competitivo più rilevante
in particolare per i prodotti di eccellenza del Made in Italy.
La nostra struttura si compone di un team con partnership
nelle più importanti aree del mondo – Usa, Gran Bretagna,
L’avvocato Aldo Fittante a Milano durante la consegna del premio Le Fonti Awards
42
ALDO FITTANTE
Ha inoltre preso parte alla realizzazione della riforma
che ha dato vita alle sezioni specializzate
in materia di impresa: quali novità ha introdotto?
Quella dell’istituzione di un giudice specializzato
per la soluzione delle controversie in materia di diritto
industriale e d’autore è un’altra grande riforma
alla quale ho avuto il privilegio di partecipare.
Le sezioni specializzate in materia di impresa sono
state istituite presso i tribunali e le corti d’appello
aventi sede nel capoluogo di ogni regione: in
questo modo, controversie che prima potevano essere
trattate da centinaia e centinaia di magistrati,
vengono ora affidate alla cognizione di un numero
molto inferiore di giudici civili, con una concentrazione
del contenzioso industrialistico presso sezioni
con competenza specialistica. Una riforma
che, attribuendo ad un giudice specializzato le liti
in materia di privative industriali, di diritto d’autore
e di concorrenza sleale interferenti, lascia
chiaramente trasparire un duplice obbiettivo perseguito
dal nostro legislatore: da un lato realizzare
una concentrazione della trattazione delle controversie
presso un numero ridotto di uffici giudiziari,
dall’altro ridurre drasticamente i tempi di definizione
delle controversie industrialistiche, nelle quali
una risposta rapida si rivela spesso vitale.
E l’attività accademica?
Cina, Francia, Germania, Spagna e Russia – potendo dunque
offrire consulenza ed assistenza anche a livello internazionale.
Sul piano istituzionale, ha partecipato alla redazione del
nuovo Codice della Proprietà Industriale. Una sfida importante
…
Sì, in qualità di esperto scientifico, sono stato nominato, dal
Ministero dello Sviluppo Economico, membro della Commissione
ministeriale incaricata dell’elaborazione del Codice della
Proprietà Industriale, che ha svolto e svolge un’importanza
strategica per il riassetto della disciplina relativa alla proprietà
industriale secondo criteri di omogeneità, chiarezza e
semplificazione tali da stimolare la ricerca, l’innovazione e, di
conseguenza, la competitività delle imprese. Il Codice ha infatti
sostituito oltre quaranta testi normativi previgenti, operando
una completa riorganizzazione sistematica dell’intera
normativa sostanziale e processuale. L’intervento di unificazione
della materia industrialistica ha permesso di garantire
una maggiore certezza del diritto ed una migliore fruibilità
complessiva del sistema in termini di facilità di comprensione
ed applicazione delle norme, con conseguente accresciuta
efficacia e rapidità della tutela, e favorendo al contempo il
potenziamento della competitività delle imprese nazionali ed
il rilancio della ricerca e dello sviluppo tecnologico.
Credo molto nell’insegnamento e nell’importanza
dello studio approfondito del diritto, anche nelle facoltà
più tecniche. Sono infatti titolare, ormai da molti anni, del
corso in Diritto della Proprietà Industriale presso il Corso
di Laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi
di Firenze, nonché ricercatore – sempre nell’ambito dell’Ateneo
fiorentino – in tema di “protezione legale del Made
in Italy”. In precedenza, ho svolto attività di docenza accademica
– in particolare dal 2008 al 2015 – presso l’Università
Lum “Jean Monnet” (Bari-Casamassima), presso la
quale sono stato titolare del corso in Industrial and Intellectual
Property. Ho inoltre pubblicato numerosi manuali
legati al diritto industriale e d’autore, l’ultimo nel 2020,
dal titolo Lezioni di Diritto Industriale, che tratta prevalentemente
di marchi, disegni e modelli, contraffazione e Made
In Italy.
I suoi principali contributi in ambito scientifico?
Ho organizzato numerosi ed importanti convegni dedicati
alle materie del diritto industriale e d’autore e pubblicato
monografie ed articoli scientifici dedicati ai medesimi temi.
Ho avuto il piacere di essere relatore nell’ambito dei seminari
organizzati nell’ambito della convenzione per la diffusione
della cultura brevettuale con la CC.I.AA. di Firenze e
Unioncamere e di svolgere numerosi seminari annuali di aggiornamento
professionale dei dirigenti nazionali di CNA.
ALDO FITTANTE
43
Emo Formichi
L’arte di far rivivere gli oggetti quotidiani
Atelier e studio:
via Secondo Risorgimento 1
53026 Pienza (SI)
Cerbiatto (2012), motore fuoribordo, forcelle e spazzola da ferro, h cm 81
Ph. Raffaella Zurlo
La Paparazza (2010), tubi di scappamento ed oggetti vari, h cm 162
Ritratti d’artista
Riccardo Salusti
Un attento osservatore del
vivere quotidiano
Non sono il primo a dire che le opere del fiorentino Riccardo
Salusti posseggono una solidità impegnata, cioè
a dire che in molte – facenti parte di un percorso particolarmente
ricco, come qualità ed esposizioni – è facile notare
un messaggio che, se capito e accettato dai più, darebbe luce ad
una collettività come la nostra, purtroppo scalfita e ferita in questi
tempi non soltanto dalla “non conoscenza”, ma anche e soprattutto
da un egoismo imperante vestito di superficialità. Mi
soffermo ad ammirare alcuni dei suoi dipinti, ricchi di equilibrio
e di armonia. Uno è Il portatore di amore, un altro è Salvare quello
che conta, ma ce ne sono altri e i titoli si accavallano gli uni
sugli altri vestendosi di contenuti. Ciò che emerge dalla stesura
supportata da un ottimo impianto grafico, è un pullulare di simbologie,
pagine facenti parte del gran libro della sua creatività,
ed ecco la “barca”, cioè il viaggio, l’arca piena di vita e di cultura
che raffigura quella che di Salusti definisco “coscienza sociale”,
un modo per indicare ad altri una via onde far superare, o speradi
Lodovico Gierut
Il portatore di amore, olio e acrilico su tela, cm 70x100
Il costruttore di sogni, acrilico su tela, cm 60x90
Salvare quello che conta, olio e acrilico su tela, cm 100x70
re di farlo, le tragedie di cui non è opportuno in questa sede fare
un elenco, fin troppo lungo. Dicevo dei “simboli”, ed ecco qua
e là bianche creature alate, messaggi di speranza che a stormi
evocano l’aggregazione positiva, e c’è la “scala” a significare “salvezza”
o ancora “percorso verso la conoscenza” e pure – per alcuni
– “la facoltà del giusto sapere”. Osservando ancora le tele
dell’impegnato Salusti non posso non dare evidenza alla complessità
del “sogno”, mi riferisco a quel “costruttore di sogni”, forse
l’artista stesso, un giovane che pensa ad un futuro migliore ed
è in attesa di partire, ricordando altrui perdite di equilibrio e raccogliendo
pezzi di memorie. Il tutto è definito da un insieme pittorico
dove il linguaggio è lineare, nitido e con un’impostazione
piena di positivo sentimento. La poetica cromatica del nostro si
affolla di introspezione e al tempo stesso di una piena vitalità in
cui cieli azzurri e in alcuni casi persino di un plumbeo asprigno,
si uniscono talvolta a visioni di volta in volta affollate o deserte.
Pure qui non manca un’impegnata ricerca che racconta e raccoglie
fatti quotidiani di tempi e modi d’essere diversi nel tempo,
permeata dalla sua partecipazione, velata da un poco di malinconia.
Riccardo Salusti è un osservatore attento del quotidiano,
lo fa senza forzature esprimendosi con una sicura impostazione
stilistica e con quel suo modo d’essere che, a mio giudizio, è una
risposta culturalmente impegnata ad un’epoca come la nostra,
spesso arida. Per fortuna c’è ancora l’Arte!
www.riccardosalustiart.com
riccardo.salusti67@libero.it
46
RICCARDO SALUSTI
Eventi in Toscana
Lions Club Mugello
Presentato a San Piero a Sieve, alla presenza delle istituzioni locali, il programma
dell’annata lionistica 2022-23: molte ed ambiziose le iniziative a favore di salute,
ambiente, scuola, giovani, sport e comunità
di Fabrizio Borghini / foto Adriano Buccoliero
Domenica 2 ottobre, nella splendida sede dell’azienda
K-Array di San Piero a Sieve, si sono riuniti i trentadue
membri del Lions Club Mugello per la presentazione, da
parte del nuovo presidente Simone Bettini, del programma da realizzare
nel corso dell’annata lionistica 2022-23. Bettini, importante
imprenditore mugellano che è stato anche a capo della
Confindustria Fiorentina, ha stilato un progetto di grande respiro
che prevede interventi impegnativi, sotto ogni punto di vista,
che se interamente realizzati potrebbero rappresentare un vero e
proprio valore aggiunto sostanziale per tutto il territorio. Lo hanno
dimostrato, con la loro presenza in sala, il sindaco di Borgo
San Lorenzo Paolo Omoboni, quello di Vicchio Filippo Carlà Campa
e l’assessore allo Sviluppo economico del comune di Scarperia-San
Piero a Sieve Elena Seriotti, che hanno entusiasticamente
accolto le molteplici proposte di lavoro di Bettini concedendo incondizionatamente
il patrocinio a tutte le iniziative. Un segno di
stima nei confronti del Lions Club Mugello ma, soprattutto, nella
persona del presidente che ha avuto la forza di affrontare un
impegno ambizioso e molto articolato. Cinque sono le voci relative
ad altrettanti settori di intervento: salute, ambiente, scuola,
giovani e sport, comunità. Le sottosezioni sarebbero lunghe
da elencare e per questo ci limitiamo a segnalare quelle più originali
e significative. Senz’altro la novità più eclatante è stata
la presentazione del “barattolo dell’emergenza” cioè la fornitura
gratuita a tutti gli anziani del territorio di un contenitore all’interno
del quale viene riposta una piccola brochure con il quadro
clinico del destinatario nella quale sono riportate le patologie e
i farmaci assunti. Verranno conservati in frigorifero, considerato
il luogo più sicuro per preservarli anche da eventuali incendi o
altre calamità, dove i soccorritori potranno agevolmente e velocemente
reperirli per poi provvedere ai primi soccorsi in caso di
Bettini con alcuni sindaci e assessori del Mugello presenti alla presentazione
del programma lionistico 2022-23
Simone Bettini, presidente Lions Club Mugello
necessità. E, sempre in ambito sanitario, la raccolta di occhiali
usati e quella del sangue e poi l’utilissima manifestazione “i medici
in piazza”. Per quanto riguarda l’ambiente, sono previsti fondamentali
interventi nel Parco Carlo Zoppi di Scarperia, creato
proprio dal Lions Mugello anni fa, che verrà dotato di acqua, luce
e panchine. Sempre in tema di ambiente verranno, in sintonia
con le istituzioni, studiati sistemi per la messa in sicurezza degli
alberi pericolosi a bordo strada e proposto nuove piantumazioni
di alberi “ripiantati” a distanza di sicurezza senza ridurre o addirittura
incrementando il patrimonio verde esistente. L’impegno
nei confronti della comunità non può prescindere dalla celebrazione
del centenario della nascita di don Milani che in Mugello,
dove è sepolto, ha lasciato un’impronta profonda e tuttora attuale.
E, insieme a lui, verrà ricordata un’altra figura importante del
cattolicesimo fiorentino, don Facibeni. È previsto anche l’inizio
del restauro del monumento ai caduti americani sulla Linea Gotica
che si trova in località Ponzalla. Scuola, giovani e sport pienamente
coinvolti in varie iniziative, in primis il progetto Martina
che mira alla lotta ai tumori partendo dalla prevenzione e per
questo dalla sensibilizzazione dei giovani dai 14 ai 18 anni. Un’altra
originale proposta è quella di reintrodurre nelle aule scolastiche
le vecchie e mai dimenticate carte geografiche che saranno
acquistate a prezzo agevolato dall’Istituto Geografico Militare di
Firenze, che quest’anno compie 150 anni, per donarle alle scuole.
Sempre in ambito militare e rivolti soprattutto ai giovani sono
gli incontri con i reparti di carabinieri cinofili e, rimanendo in tema
di cani, il presidente, da luchese doc, ha preso l’impegno di
ricordare nel suo paese, il fedelissimo Fido che, inconsapevole
che il suo amico uomo, un tempo si sarebbe detto padrone, era
perito sotto un bombardamento, per 15 anni ha percorso il tragitto
dalla casa di Luco del signor Soriani fino alla corriera aspettandolo
inutilmente. Verrà apposta una targa per ricordare una
storia di amicizia e affetto che non deve essere dimenticata.
LIONS CLUB MUGELLO
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Nikla Biagioli
nikla.29@hotmail.it
Girasole (2017), digital art, cm 52x75
I libri del mese
Domenico Russello
Il mare, eterno scenario di storie e amori nell’esordio letterario del
giornalista e conduttore siciliano
di Rosanna Bari
«
Il mare sei tu. Nella tua serenità o nel tuo tormento,
(...) nella realtà di una paura che ti opprime, nella
bellezza che ti rasserena nel profondo, il mare
sei tu». Queste parole sintetizzano l’importanza che viene
attribuita al mare, protagonista e filo conduttore del primo
libro di Domenico Russello, C’è sempre il mare, pubblicato
da L’Erudita, Giulio Perrone Editore, Roma 2021. Giornalista
e conduttore, Domenico Russello è nato a Catania dove si è
laureato in Lettere, vive e lavora a Gela. Appassionato di teatro,
da undici anni si occupa di arte e cultura per il quotidiano
catanese La Sicilia, per il quale ha condotto sui canali
web e social il programma Still Life - Foto di Sicilia, prodotto
da Frame Garage. Come autore fa parte della Demea
Eventi Culturali diretta da Antonio Oliveri. Per la sua attività
di giornalista e autore ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti
sia a livello locale che nazionale. C’è sempre il
mare, raccolta di racconti dall’intensa carica poetica, si può
leggere tutto d’un fiato o si può centellinare per far sì che,
cullati dagli affetti più cari, il sapore di Sicilia, di mare e di
buon cibo, possa restare con noi il più a lungo possibile. In
un inno d’amore per la propria terra, con la raffinatezza del
linguaggio e l’eleganza della forma, il libro affascina il lettore
già dalle prime battute attraverso il racconto di storie
semplici, quotidiane ed intense che arrivano sin nel profondo
del cuore. L’autore, infatti, nell’interpretare le emozioni
Domenico Russello
dell’animo, è riuscito a creare e descrivere singolari atmosfere
sospese in un’aura di soave attesa.
Qual è il significato che nel libro attribuisci al mare?
Il mare è visto come “metafora della vita”, come un qualcosa
che è sempre vivo e presente, pronto ad accoglierti e consolarti,
rappresenta una certezza su cui poter sempre contare.
Il libro, finalista al Premio Letterario Internazionale Dostoevskij
2021 di Aletti Editore, continua a riscuotere un gran
successo, pensi di scriverne un altro?
Sicuramente questo risultato, unito alla calorosa accoglienza
del pubblico, è un grande incoraggiamento. Sì, può darsi che
in futuro possa scriverne un altro.
C’è sempre il mare, il mare che placa l’inquietudine, sana le ferite
e custodisce i ricordi, a lui, quindi, possiamo sempre affidare
le nostre paure o le nostre speranze, il mare è lì, come
un’ancora di salvezza che non ci abbandonerà mai.
domenico.russello@live.it
Domenico Russello
mimmo_russello
DOMENICO RUSSELLO
49
Scienza e società
L’importanza della socialità per conoscere
sé stessi e vivere meglio
L’uomo è per natura un animale sociale. Lo sosteneva
già il filosofo Aristotele, vissuto in Grecia nel IV
secolo a. C., nel primo libro del saggio intitolato Politica.
Grande studioso della natura umana e attento osservatore
dei tratti che accomunano la nostra specie, il filosofo
spiega e riassume uno dei tratti più caratteristici dell’essere
umano, la sua “politicità”, ovvero il bisogno di confronto e di
rapporto senza il quale sarebbe un comune animale solitario.
La socialità è anche importante nel processo che porta
alla conoscenza. Non possiamo trovare il sapere in noi
stessi: dobbiamo fare esperienze della natura che ci circonda,
degli oggetti che la compongono e soprattutto dell’altro,
del nostro simile. Stare con gli altri non può fare altro che
arricchirci, contribuire al nostro percorso di formazione; ci
apre a nuove conoscenze, nuove idee, nuovi punti di vista.
Anche un altro celeberrimo filosofo sottolinea l’importanza
degli altri nelle nostre vite: Georg Wilhelm Friedrich Hegel.
Nella sua complessa trattazione intitolata Fenomenologia
dello spirito, Hegel sottolinea la necessità dei rapporti sodi
Serena Gelli
ciali che nasce dall’incapacità della coscienza individuale
di comprendersi e riconoscersi in autonomia. L’intersocialità,
il “vedere gli altri”, è di fondamentale importanza affinché
il singolo individuo possa capire prima di tutto se
stesso. Gli altri sono necessari a noi come noi siamo necessari
agli altri. In particolare, secondo Hegel senza l’esperienza
del mondo e della socialità rimaniamo vuoti, chiusi in
un mondo illusorio, incapaci di vedere quello che realmente
ci circonda. Numerosi studi scientifici dimostrano che il ritiro
sociale o l’impossibilità di passare del tempo con le altre
persone rappresentano una difficoltà, a riprova del fatto che
l’interrelazione è una peculiarità dell’essere umano. In particolare
molte evidenze scientifiche mostrano come l’isolamento
sociale abbia ripercussioni negative sulla salute. Le
attività di socializzazione si pongono infatti come protettive
rispetto allo sviluppo delle patologie neurodegenerative,
in quanto permettono da una parte di ricevere maggiori stimoli
a livello cognitivo, dall’altra di mantenere un migliore
tono dell’umore.
50 L’IMPORTANZA DELLA SOCIALITÀ
Ritratti d’artista
Patrizia Tummolo
Dal caos all’ordine attraverso il colore
Patrizia Tummolo, genovese, artista internazionale, da
sempre percorre una strada personalissima nella quale
non vi è spazio per compromissioni esterne, il dna del
pensiero, forte, che genera la sua pittura, è, infatti, intimamente
connesso al suo io interiore, e risponde solo alle sollecitazioni
dell’inconscio dando vita ad una nuova realtà da esplorare e
da capire. Il processo creativo che si rintraccia nelle opere della
Tummolo, siano esse pittura o scultura, racconta dell’elaborazione
a carattere speculativo del suo mondo interiore. La pittura
nasce come un puzzle, anche se, a differenza di un puzzle, l’esito
non è noto in anteriori e si costruisce per passaggi ordinati,
ciascuno coincidente e generato dai precedenti ma in divenire e
quindi sottoposto ad una continua rielaborazione. Pittura che ricorda
il cubismo è stato detto, e il dato appare scontato, ma la
destrutturazione e ricomposizione dei soggetti qui non rispondono
a finalità meramente tecnico-formali, bensì sono parti, ciascuna
necessaria, di una narrazione che si serve un linguaggio
inedito, non meno autentico e credibile e autorevole degli infiniti
idiomi che non conosciamo. Con questo racconta le sue città,
i suoi paesaggi, e, nella scultura, in genere riconducibile assiedi
Jacopo Chiostri
Matrix, olio su tela, cm 70x90
Donna al sole, tasselli di cartoncino in rilievo su base materica
e colore acrilico, cm 70x90
me a figurativo e astratto, opere anche a carattere musicale. La
Tummolo doma il caos, quello che appartiene a ciascuno di noi
e alla nostra esistenza; caos che non è necessariamente mancanza
di ordine o di raziocinio, anzi nelle sue opere è piuttosto
un affollarsi di stimoli, di emozioni e, in ultimo, di pensiero, da
controllare, carezzare e organizzare per consentirne una lettura
allo spettatore. Tutto questo avviene riuscendo a far coesistere
incanto visionario e coerenza formale, richiami metafisici con
esigenze compositive. La coloristica tiene dietro ad un sapiente
uso degli accostamenti cromatici, ma la sua finalità precipua è
di rappresentare stati d’animo; e l’occhio, che percorra la superficie
della tela o, indifferentemente, delle superfici delle sculture,
è guidato con piglio deciso a percepire suggestioni contrastanti,
ora carezzevoli, ora simili a inciampi visivi, quelli che nelle sculture
ottiene utilizzando materiali diversi, marmo, rame, ottone,
bronzo, acciaio, resine. Il tutto realizzato con un’autorevolezza
e spigliatezza sorprendenti. La Tummolo ha compiuto gli studi
artistici nella sua Genova, ha completato la propria formazione
nello studio dello scultore Balàzs Berzeny a Lorsica - Moconesi
(Genova); a conferma della sua ecletticità vanno ricordati gli
interventi scenografici al teatro del centro turistico di Squillace-Catanzaro
e al Teatro della Gioventù di Genova. Innumerevoli
e significative le sue presenze in sedi istituzionali in Italia e all'estero:
New York, Mosca, Ungheria, Bulgaria,Cina, Islanda, North
Carolina(USA). Opere in permanenza: Ungheria (Lago Balaton),
South Carolina (USA), Genova, Istituto Chiossone, Museo degli
Angeli, Muro dell'Arte piazza De Ferrari, Chiesa San Giuseppe e
Padre Santo (Ge-Nervi).
ppittyart@gmail.com
PATRIZIA TUMMOLO
51
Firenze mostre
Poesia del vero
Al Circolo degli Artisti “Casa di Dante” tre artiste del figurativo a confronto
di Daniela Pronestì
Tre donne vocate al linguaggio della figurazione,
tre artiste dotate di spiccata sensibilità nel modo
di rappresentare il vero soltanto dopo averlo riletto
in chiave poetica. Da qui bisogna partire per introdurre
la mostra Poesia del vero che, dal 15 al 27 ottobre 2022, al
Circolo degli Artisti “Casa di Dante” a Firenze, vedrà Joanna
Aston, Patrizia Gabellini e Giovanna Ugolini confrontarsi
sul terreno del realismo figurativo con tre proposte artistiche
tanto diverse sul piano tecnico-espressivo quanto intimamente
collegate dal medesimo afflato lirico. Per Joanna
Aston, artista inglese da anni residente in Toscana, la pittura
è prima di tutto un diario degli affetti familiari, un modo
per fissare sulla tela frammenti del quotidiano destinati altrimenti
a perdersi nell’inarrestabile fluire degli eventi. Se
esiste una poesia misteriosamente sottesa ad ogni aspetto
del mondo visibile – figure umane, oggetti, contesti di vita
–, l’unico modo per dare corpo a questa “sostanza” segreta,
alla sua ineffabilità, al suo essere presenza immateriale
nella materialità delle cose, è renderla visibile attraverso la
luce. Ecco allora che, nella pittura della Aston, tutto nasce
dalla luce, dalla maniera in cui questa amorosamente si posa
su volti, oggetti e figure definendone i volumi, stabilendone
la posizione nello spazio, decretando il rapporto nella
composizione di ciascun elemento con l’altro. Questa luce,
carezzevole e avvolgente, si diffonde nell’aria come un pulviscolo
che, sfumando i contorni e diluendo il colore, esalta
l’intima e poetica connessione tra le figure e le ambientazioni
del vivere quotidiano, tra il perenne fuggire dell’esistente
e la memoria conservata per sempre nell’immagine dipinta.
Per Patrizia Gabellini, principio di ogni realtà è il segno,
testimonianza, per lei, del “qui ed ora”, del suo esserci, corpo
e mente, davanti al soggetto raffigurato e del tentativo
di “catturarlo” con un tracciato lineare dallo sviluppo nervoso,
tormentato, più simile ad uno schizzo che ad uno studio
di figura. L’intento è evidentemente quello di ribaltare i dettami
del disegno accademico – che l’artista in questo caso
ben conosce – per fare sì che il segno incarni non già una
regola ma un impeto di libertà. Con i suoi stupefacenti giochi
grafici – talvolta simili ad una danza dal ritmo frenetico
talaltra ad una scrittura che riempie la pagina in maniera
compulsiva –, la Gabellini si affranca dal vincolo della rappresentazione
facendo nascere le figure sul foglio in maniera
quasi accidentale, usandole più che altro come pretesto
per dare libero sfogo all’incontenibile vitalità del segno. A
riprova di come nell’arte non vi sia nulla di più “astratto” di
un disegno, che non è mai soltanto strumento al servizio del
“visibile” ma è anche e, in questo caso, soprattutto incarnazione
di un pensiero, di un esercizio immaginativo che pesca
a piene mani nell’interiorità. Il cerchio si chiude con le
nature morte di Giovanna Ugolini, mirabili interpretazioni di
un grande classico della pittura che in questi dipinti rivive
da un lato conservando la componente intimista, riflessiva,
di pacata meditazione propria di questo genere, dall’altro lato
ammantandosi di un’atmosfera nuova, più gioiosa e interessata
ad indagare la vita segreta delle cose, il loro dialogo
muto. Ed è proprio la curiosità dell’artista, il muoversi lento
ma preciso del suo sguardo, ad animare queste rappresentazioni,
lasciando intuire tutti i passaggi che l’hanno vista
prima scegliere gli oggetti da raffigurare – fiori, piante, vasi
–, poi combinarli insieme su di un tavolo in modo da farli
“dialogare” e quindi procedere con la trasposizione pittorica
mantenendo intatta l’armonia dell’insieme: armonia delle
forme che, sebbene mai troppo definite, conservano una
presenza plastica; armonia degli accordi cromatici scaturiti
dall’emozione dell’artista; armonia tra gli elementi ben
definiti in primo piano e l’aspetto sfuggente e appena abbozzato
dello spazio intorno. Un “vedere” che, pur essendo
ancora legato ai sensi, riesce allo stesso tempo a superarli,
a preservare il palpito fugace del vero senza rinunciare alla
profondità di una visione interiore.
52
POESIA DEL VERO
Turismo e innovazione
Crocus Trip
Il nuovo progetto per un turismo alternativo, etico e slow
di Elisabetta Mereu
Rivoluzionare il mondo del turismo: è questo l’intento
di cinque ragazze toscane che hanno riunito esperienze
e competenze professionali per dare vita ad un progetto
che propone tour alternativi e itinerari culturali diversi da
quelli abitualmente “in cartellone“ a Firenze e in Toscana. Una
mission riassunta anche nel nome: Crocus Trip - Social Tour Revolution.
«Ci siamo ispirate al crocus etruscus – spiega Francesca,
una delle ideatrici – cioè il tipico zafferano di Toscana,
perché vogliamo dare un colore e un sapore nuovo a ciò che
proponiamo a turisti e cittadini, perché spesso neanche questi
ultimi conoscono molti dei contesti in cui vivono. Perciò abbiamo
scelto di fare un lavoro di nicchia e di non agganciarci alle
principali piattaforme consultate dal turismo di massa in tutto
il mondo». «Vogliamo definire nuovi orizzonti di fruizione anche
negli ambiti più classici – aggiunge Benedetta – creando non
solo situazioni di accrescimento culturale da noi riproposte in
maniera inedita, ma persino di svago e comunque mai banali. In
questo modo speriamo di rispondere alle esigenze di chi cerca
qualcosa di unico ed esclusivo, magari anche come originale
idea regalo per parenti e amici». «Il nostro obiettivo – continua
Valentina – è anche creare il presupposto per una nuova socialità
attraverso il mezzo turistico. Quindi organizziamo visite in
musei o borghi dimenticati e facciamo incontrare le persone
su percorsi in cui la gente non cammina più da anni, permettendogli
così di provare sensazioni e profumi sconosciuti. Per
esempio, questa estate abbiamo fatto visitare Villa Il Ventaglio,
nella zona di Campo di Marte a Firenze, una delle prime opere
di metà Ottocento dell’architetto Giuseppe Poggi, con uno
straordinario parco all’inglese». È un’attività svolta a passo lento,
quella del team Crocus Trip, riducendo al massimo l’impatto
sull’ambiente, come dimostrano gli adesivi in carta riciclata
e biodegradabile, i biglietti da visita ottenuti dalle bucce d’arancia
o i gadget in cotone realizzati a mano dalle loro mamme. Il
loro progetto rappresenta insomma una biodiversità che spicca
nella routine della consueta giostra turistica. «Qualche giorno
fa – dice Chiara Jean – abbiamo accompagnato dei gruppi
a scoprire le Gualchiere di Remole e conoscere Piero Gensini,
uno scultore che vive e lavora lì a custodia di un luogo che risale
al medioevo ed ha una fortissima rilevanza storica. Questo
edificio era strutturato per lavorare i panni di lana sfruttando la
forza delle acque dell’Arno e la sua fiorente commercializzazione
contribuì ad accrescere la potenza economica di Firenze nel
Trecento. È dunque uno straordinario esempio di archeologia
industriale sul fiume Arno, quasi più conosciuto all’estero che
dai fiorentini stessi (visitato sia dalla regina d’Olanda che dal re
Carlo d’Inghilterra ndr)». «Fare la guida – conclude Francesca
P. – per noi vuol dire rendere il cittadino, il viaggiatore, il turista
partecipante attivo di una città o di un territorio che ha molteplici
storie da far conoscere, riscoprire
e raccontare».
www.crocustrip.com
info@crocustrip.com
+ 39 375 7085075
Crocus Trip
crocustrip
CROCUS TRIP
53
Ritratti d’artista
Riccardo Lolli
Un’originale rilettura della tecnica rinascimentale della tarsia lignea
di Jacopo Chiostri
Non è frequente vedere in mostra opere realizzate
con la tecnica della tarsia lignea. Così viene facile
capire come un’esposizione di opere del genere,
proposta a fine settembre nella saletta Barbano dello Spazio
Espositivo San Marco a Firenze, abbia destato particolare
interesse tra i visitatori. L’artista che ha esposto una
ventina di opere – la mostra si è inaugurata domenica 25
settembre – è Riccardo Lolli, uno dei non molti virtuosi di
questa forma espressiva, della quale ha dimostrato assoluta
padronanza. Diffusa già nel Trecento, la tarsia lignea
conobbe la sua massima fioritura nei due secoli successivi,
quando fu utilizzata da artisti come Brunelleschi e Leon
Battista Alberti e fu studiata anche da Paolo Uccello e Piero
della Francesca; ne scrive, tra gli altri, il Vasari ne Le vite
dicendo così: «Sono state fatte dai nostri vecchi di piccoli
pezzetti di legno commessi ed uniti assieme nelle tavole
del noce e colorati diversamente: il che i moderni chiamavano
lavoro di commesso, benché a vecchi fosse tarsia». Uno
studioso come André Chastel la definì “il cubismo del Rinascimento”.
Riccardo Lolli si è accostato alla tarsia lignea
dopo aver studiato a lungo la pittura rinascimentale e dopo
aver sperimentato la costruzione e la problematicità di un
dipinto realizzato con la stesa di velature. Questo – ci racconta
– gli ha permesso di raggiungere un’elevata capacità
di sintetizzare ed esaltare l’espressività dei soggetti che
è alla base della sua poetica. Allo Spazio Espositivo San
Marco Lolli ha presentato una panoramica dei suoi lavori,
alcune decine di opere in
genere di dimensioni raccolte:
tavole che, oltre alla
bellezza naturale del
legno, emanano anche
una certa dose di mistero.
I soggetti spaziavano
dai volti noti di cantanti come
Leonard Cohen, Guccini,
De André e Elvis Presley
a panorami, vedute cittadine,
nature morte e soggetti
religiosi tra cui una Pietà
di rara bellezza con uno
struggente Cristo morto. Il
dato centrale di questi lavori
deriva dalla peculiarità
della tarsia: l’uso di piccoli
pezzi di legno di colore diverso
che, ritagliati in maniera
idonea, definiscono i
Pietà (omaggio a Michelangelo), tarsia lignea, cm 50x40
soggetti in termini di fisiognomica, espressività, profondità,
volume, luci ed ombre. L’abilità dell’artista consiste nella
scelta dei legni e nella sagomatura delle piccole parti che
andranno a completare il soggetto che viene inizialmente
abbozzato con un disegno sulla tavola (anche questa di legno)
e completato successivamente con infinita pazienza.
La scelta del legno adatto ovviamente non è casuale, anzi.
Perché ciascun legno ha una diversa risposta alla luce che
occorre conoscere e sperimentare. Le piccole tessere vengono
incollate (stupefacente è il fatto che non ci sia spessore),
quindi, a lavoro ultimato, avviene la lucidatura che in
ultimo prevede un trattamento con la gomma lacca. Sono
lavori che richiedono tempi lunghi, non di rado settimane.
Ma la vera difficoltà – confessa l’artista – è oggi la reperibilità
dei materiali. A Firenze c’è rimasto molto poco. «Il legno
– dice Lolli – lo cerco e lo acquisto online, in Germania
e Inghilterra, quelli più pregiati e la maggiore disponibilità
di scelta». Poi c’è la questione degli scarti: «Dopo aver scelto
le tarsie necessarie – continua – è inevitabile trovarsi
con dei resti inutilizzabili». Una tecnica antica e affascinante
che fortunatamente ha ancora dei cultori appassionati,
anche ben organizzati, ed è stato, infatti, non più tardi del
luglio scorso che alcuni maestri della tarsia lignea si sono
trovati per discutere della loro arte. È successo a Sorrento
nel museo-bottega della tarsia lignea.
ricky27113@gmail.com
Francesco Guccini, tarsia lignea, cm 50x40
RICCARDO LOLLI
55
Eccellenze toscane in Cina
A cura di Michele Taccetti
Italy Lifestyle and Culture
Un progetto per promuovere il dialogo culturale e commerciale tra Italia e Cina
Testo e foto di Michele Taccetti
China 2000 continua la politica di promozione del dialogo
culturale fra Italia e Cina attraverso la promozione
in Cina delle aziende gestite e riunite nel programma
Italy Lifestyle and Culture. La strategia di Italy Lifestyle and
Culture è quella di presentare unite sul mercato cinese le imprese
italiane con i loro marchi e prodotti, in sinergia con le
istituzioni ed organizzazioni culturali e politiche del territorio
di appartenenza, creando un dialogo con i territori della Cina.
Obiettivo principale di Italy Lifestyle and Culture è aprire
il mercato cinese attraverso la vendita dei prodotti e dei servizi
dei singoli membri, attraverso la creazione di partnership
con organizzazioni e istituzioni cinesi sfruttando la presenza
stabile ultradecennale di China 2000 in Cina. Così facendo si
promuove anche il territorio in modo tale da incentivare l’incoming
turistico, culturale e commerciale cinese. In settembre
il gruppo ha partecipato a due importanti eventi in Cina
entrambi patrocinati dalle istituzioni italiane in partnership
con le municipalità cinesi sedi delle manifestazioni. Dall’1 al
5 settembre, grazie anche al supporto della sede China 2000
a Pechino, il gruppo Italy Lifestyle and Culture era presente
all’importante Fiera CIFTIS nella capitale cinese, manifestazione
leader nel campo del commercio dei servizi e uno degli
eventi di settore fra i più importanti al mondo. Mentre dal 23
al 25 settembre, grazie al supporto dell’ufficio China 2000 di
Shanghai, ha partecipato alla 4^ edizione del Suzhou Grand
Canal Culture and Tourism Expo, una delle vetrine più importanti
in Cina per il dialogo fra i territori per la promozione
del turismo locale, dello sport e dei prodotti tipici. Entrambi
gli eventi sono serviti per aumentare la visibilità delle aziende
presenti in Cina, promuovere il progetto Italy Lifestyle and
Culture e stringere importanti relazioni con investitori locali e
soprattutto istituzioni locali interessate a sostenere lo scambio
culturale e commerciale fra le città. Nei prossimi mesi sono
in programma partecipazioni ad altri importanti eventi in
Cina, ed entro l’anno partirà una collaborazione con i media
nazionali cinesi.
Lo stand del progetto Italy Lifestyle and Culture alla Fiera CIFTIS di Pechino
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
Michele Taccetti
Michele Taccetti
56 ITALY LIFESTYLE AND CULTURE
Firenze mostre
Antonio Signorini
Guerrieri e danzatrici “invadono” Firenze per la mostra dello scultore
internazionale alla Oblong Contemporary Art Gallery
Dopo aver fatto tappa, dal 16 luglio al 30 settembre,
nella sede di Oblong Contemporary Art Gallery a
Forte dei Marmi, la mostra Attraverso di Antonio Signorini
si sposta a Firenze, dall’8 ottobre 2022 al 31 gennaio
2023, per l’inaugurazione della nuova sede della galleria
nel capoluogo toscano. Una mostra a cielo aperto con opere
monumentali inedite di oltre 5 metri che vedranno Guerrieri
e Danzatrici correre e ballare nelle piazze della città gigliata.
Due Cavalli Volanti di 10 metri accompagnati da altre opere
completeranno un itinerario artistico e culturale dedicato a
Firenze. Le sculture esposte rappresentano il periodo di piena
maturazione di Signorini dal punto di vista formale, come
ben esemplificato dal critico e curatore della mostra Luca
Beatrice: «Antonio Signorini, che di mestiere fa lo scultore,
si pone fin da subito la questione: come riuscire a restituire
corpo e sostanza a una forma senza appesantirla, la leggerezza
di quel tratto sul foglio di carta, la rapidità del guerriero
o se preferite la sintesi del passo di danza che trovi nelle ballerine
di Dégas o ancora la sequenza del movimento prima
del cinema, quando ancora non c’era la possibilità di riprendere
un’immagine dinamica e Muybridge tentava di riprodurla
con scatti fotografici ravvicinati. Per trovare finalmente il
superamento della staticità nella scultura bisogna arrivare
ai Mobiles di Calder, dove il minimo spostamento determina
una reazione a catena, armonica e musicale, tra le singole
parti». Attraverso le sue opere, Signorini racconta gli stilemi
di antiche civiltà che si proiettano nell’oggi da un tempo pas-
sato dirigendosi verso l’avvenire:
danzatrici, guardiani,
cavalli, prendono forma nello
spazio, ma senza occuparlo
in una leggerezza incorporea.
I suoi studi sull’arte primitiva
iniziati nel 2003, lo portano a
visitare i siti archeologici europei
e mediorientali, in particolare
le regioni libiche, il
Saudi Arabia e le grotte irachene
che stimolano in lui un
profondo interesse per i ritrovamenti
archeologici più antichi.
L’artista si interroga su
quel passato artistico. Mentre
la sua ricerca si dipana fra
Europa e Mesopotamia, inizia
a sviluppare le prime opere
scultoree note come The War-
di Gherardo Dardanelli / foto courtesy Oblong Contemporary Art Gallery
riors. Scaturiti come miraggi dalle grotte della Libia sahariana,
dal Regno dell’Arabia Saudita e da alcune regioni interne
dell’Algeria, i Guerrieri si susseguono uno dopo l’altro come
un antico racconto la cui narrazione usa il linguaggio figurativo,
il segno tridimensionale e prende la sua forma attraverso
l’arte, diventando simbolo dell’umanità tutta. I guerrieri
sono guardiani del nostro patrimonio culturale; essi si schierano
a difesa dei valori dell’umanità tutta. Segue e completa
The Warriors, un’altra serie scultorea, The Dancers: le danzatrici
per Signorini sono forza assoluta. La loro lotta per l’esistenza
non necessita di armi; è una danza che attraversa lo
spazio, una musica antica che ne ripercorre la storia. L’interesse
dell’artista intorno agli archetipi non è però il solo protagonista
della sua ricerca espressiva. Il suo studio, infatti,
ruota sempre intorno al movimento, una perenne sfida alla
forza di gravità. È proprio questa ricerca di leggerezza ad essere
il cuore della collezione The Flying Horses. Ogni cavallo
rimane in piedi in un equilibrio impossibile, sorretto solo
da punti di appoggio quasi inesistenti. I problemi di ingegneria,
usando il bronzo in tale maniera, sono stati abbinati alla
complessità di produrre una patina degradata, un effetto
ottenuto attraverso un lungo processo con fiamme libere e
acidi. Oggi Signorini si divide tra Firenze e Dubai, dove molte
sue opere sono esposte in aree pubbliche e dove lo studio
tra la coesistenza di antiche civilizzazioni e le strutture
architettoniche ultramoderne è divenuto fonte di ispirazione
e di confronto.
Le opere di Antonio Signorini in mostra alla Oblong Contemporary Art Gallery a Forte dei Marmi
ANTONIO SIGNORINI
57
Occhio critico
A cura di Daniela Pronestì
Sabrina Seck
Ritratti iconici di un femminile
senza tempo
di Daniela Pronestì
Un femminile gioioso, dirompente, traboccante di
energia, immagine simbolo di un’identità che ha
bisogno di affermare se stessa con forza per abbattere
gli stereotipi che la ingabbiano. Le opere di Sabrina
Seck, artista tedesca, propongono una visione della
donna che se da un lato intercetta i modelli estetici veicolati
dal linguaggio massmediatico, dall’altro lato trasforma
questi stereotipi nell’espressione di una protesta
contro chi strumentalizza il femminile svuotandolo così
di significato. Abbiamo già visto questi volti sulle pagine
delle riviste patinate o negli spot pubblicitari diffusi
dalla televisione e dai social network: la differenza è che
in queste rappresentazioni la bellezza non ha più nulla di
1
strumentale, non serve più a raggiungere uno scopo, ma
è un valore che basta a se stesso, senza bisogno di altro
a completarlo. Con i loro volti iconici, queste donne
incarnano l’essenza femminile in tutta la sua carica simbolica,
esaltandone, insieme ad alcuni aspetti caratteristici
come grazia, delicatezza e mistero, il collegamento
con madre natura e con i suoi significati. Da qui la presenza
di fiori ed animali perfettamente integrati con le fisionomie
femminili, ad indicare una simbiosi che riconosce
nella donna l’emblema del principio vitale e dell’origine di
ogni cosa. Quelli raffigurati, in effetti, non sono ritratti di
donne reali ma rappresentazioni di alcuni dei significati
da sempre associati al femminile, fin dalle veneri paleolitiche,
passando attraverso un numero sconfinato di
interpretazioni artistiche nel corso dei secoli. Ieri come
oggi, la figura femminile continua ad essere la più adatta
a celebrare tutto ciò che in natura è trasformazione, ciclicità,
nutrimento, forza generativa; come tale viene proposta
anche in questi dipinti, nei quali tuttavia il riferimento
– sia pure solo concettuale – all’iconografia del passato
non entra in contrasto con l’obiettivo, del tutto evidente
nelle intenzioni dell’artista, di offrire una riflessione sul-
2
1 • Wild nature
2 • Close to nature
58
SABRINA SECK
le necessità ed aspirazioni delle donne nel
nostro tempo. Ecco perché pur rendendo
onore ad una visione idealizzata della
bellezza, spesso rileggendo in chiave moderna
i canoni femminili del passato, questi
volti non si fermano alla “superficie”, ad
una concezione puramente estetizzante
del bello, ma scavano nel profondo per cercare,
sotto la patina del tempo, quel che da
sempre accomuna le donne, le loro lotte, il
bisogno di ribellarsi, il cammino spesso faticoso
per affermarsi in una società ostile.
Tutto questo viene reso attraverso una pittura
sempre “raggiante”, energetica, piena
di ottimismo, come suggerisce l’incredibile
varietà di colori che si legano alla figura
proiettandola in una dimensione fuori
dal tempo. Un modo per far convivere realtà
e astrazione nello spazio del dipinto, ma
anche per rimarcare l’ideale continuità tra
l’oggi e il sempre dei valori più radicati ed
autentici nel mondo femminile.
www.sabrina-seck.de
3 • Rebell
4 • Danielle
5 • Longer time
3
4 5
SABRINA SECK
59
Eventi in Toscana
Panathlon Firenze Medicea 488
Il nuovo club dell’associazione ispirata ai valori etici e culturali dello sport
Porta la data del 26 marzo 2022
l’ultimo nato nel contesto internazionale
del Panathlon distretto
Italia, Area 6 Toscana: nella sala
“Firenze capitale” in Palazzo Vecchio
è stato presentato il nuovo Club Panathlon
Firenze Medicea 488. Alla cerimonia
erano presenti le autorità cittadine,
metropolitane e regionali sia istituzionali
che sportive. Gli onori di casa sono
stati fatti dalla vicepresidente del Consiglio
Comunale di Firenze, Maria Federica
Giuliani; sono inoltre intervenuti
Nicola Armentano, consigliere delegato
allo Sport della Città Metropolitana,
Damiano Sforzi, consigliere Coni e responsabile
Anci Sport Toscana, Fausto
Merlotti, consigliere della Regione Toscana,
Paolo Crescioli, consigliere Coni
e referente Toscana Associazioni Centenarie,
Gabriele Fredianelli, consigliere
Coni Point Firenze, il governatore dell’Area
6 Toscana Andrea da Roit, il vicego-
vernatore Filippo Mastroviti, la vicepresidente del Panathlon
International Orietta Maggi, il vicepresidente del Distretto
Italia Leno Chisci ed i club Panathlon di Firenze, Pistoia/
Montecatini, Pontremoli/Lunigiana, Lucca, Valdarno e Versilia/Viareggio.
Il Panathlon, associazione culturale in campo
sportivo fondata a Venezia nel 1951 e benemerita riconosciuta
del Coni, ha come scopo l’affermazione dell’ideale sportivo
e dei suoi valori morali e culturali quale strumento di
formazione ed elevazione della persona e di solidarietà tra gli
uomini e i popoli. L’associazione è apolitica ed aconfessionale,
senza distinzioni di sesso o razze e senza finalità di lucro.
La sede è stata collocata a Lastra a Signa presso l’Acli (via
Filippo Turati, 4) ma opera a Firenze città e in tutti i comuni
della cintura fiorentina. Fini statutari sono l’etica nello sport
di Fabrizio Borghini / foto courtesy Panathlon Firenze Medicea 488
panathlon.firenzemedicea@gmail.com
presidente.firenzemedicea@gmail.com
Panathlon Club Firenze Medicea
Il direttivo del nuovo Club Panathlon Firenze Medicea 488
e nel sociale, la cultura e l’arte sportiva, il collegamento con
altre benemerite del Coni, il rapporto con istituzioni locali, enti
e società sportive del territorio, con particolare attenzione
alla scuola. Il fiorentino Ugo Ercoli è stato eletto presidente
del nuovo Club Firenze Medicea, il segretario è il lastrigiano
Gianni Taccetti, vicepresidenti Fabio Cannone e Marika Pollicina,
Francesco Lonero è cerimoniere e tesoriere, mentre i
consiglieri sono Roberto Bellocci, Fabrizio Boni, Marco Ceccantini,
Laura Morini e Fabio Niccolai. Altri soci costituenti:
Leonardo Cappellini, Giovanna Ciampi, Lapo Ercoli, Stefano
Marino Fransoni, Alessandro Lonero, Luca Lonero, Gian Luca
Migliorini, Mara Miniati, Maria Angela Muccignato, Stefano
Nistri, Giuseppe Pandolfini, Serena Raggi, Maria Grazia Scichilone,
Paolo Sommazzi, Andrea Tenani. «Siamo di diversi
comuni della città metropolitana e opereremo sul territorio
fiorentino – affermano gli organizzatori –, siamo un pezzo
importante della nostra grande Firenze, orgogliosi di esserlo
e sempre pronti a buttare il cuore oltre gli ostacoli per i valori
universali della solidarietà. In momenti così difficili lanciamo
insieme ad altri amici un nuovo club con lo sguardo a tutto
questo territorio, splendore di un’epoca irripetibile ma da
cui tanto possiamo ancora imparare». L’attività del club consisterà
in momenti formativi, iniziative di solidarietà, premi
speciali, mostre di arte e sport, presentazioni di libri sportivi
e cultura in generale. Durante le conviviali ci saranno momenti
di incontro e presentazione di personaggi pubblici sia dello
sport che della cultura.
60
PANATHLON FIRENZE MEDICEA 488
Firenze mostre
Odara
Una personale a Firenze per
celebrare la magia della luna
di Jacopo Chiostri
Dal prossimo 7 novembre la Taverna degli Artisti,
nell’omonima via fiorentina, ospiterà la mostra di
Claudia Macchiaroli, conosciuta con lo pseudonimo
di Odara; la mostra s’inaugurerà nel corso di una delle tradizionali
cene degli artisti e avrà durata per tutto il mese. La
data non è stata scelta a caso, perché precede di un giorno
quell’otto novembre nel quale è prevista un’eclissi di luna
totale; l’esposizione s’intitola, infatti, Aspettando l’eclissi
ed è centrata su quello che l’artista definisce: «Il mistero e
la magia di quest’astro privo di luce propria ma che con solo
il sette per cento di luce solare esercita però una forte influenza
sui liquidi, sulla fertilità (maree e agricoltura) nonché
in psicologia coordina il ritmo e la stabilizzazione delle funzioni
inconsce dell’anima». Odara esporrà gli ultimi lavori, e
c’è quindi attesa per conoscere le nuove frontiere di un’artista
tra le più complesse ed ermetiche del panorama a noi
noto. Lei racconta che, dopo la pandemia, ha deciso che il
suo fare artistico – una sintesi tra lo spazio-tempo della metafisica
di de Chirico, l’ermetismo enigmatico di Magritte e
lo studio di libri a carattere religioso ed esoterico – non sarebbe
stato più ribelle e in contraddizione con il grande pensiero
comune. Questi lavori sono infatti il connubio di una
nuova modalità di ascolto di se stessa e di un percorso dove
ancora non domina, ma si avverte, una nuova luce e, in
ogni caso, c’è un allontanamento dall’ombra verso, come dice
Odara stessa, “un sentiero più celestiale”. Le sue creature
spirituali hanno ora un volto, vestono colori e sono identificabili,
non più esseri ombrosi, quindi, ma vestali intente a rituali
sui quali l’influenza benefica del nostro satellite si traduce
in un’inedita consapevolezza, e gioca un ruolo decisivo risvegliando
quel bisogno di conoscenza che solo può produrre
armonia. Gli elementi che vi si ritrovano sono quelli tipici della
sua poetica: gli alberi, serbatoi di acqua, uno dei principi
del cosmo perché la conoscenza delle acque è il primo passo
per “l’alta magia” e di acqua necessitiamo per purificarsi
e crescere il nostro albero; le lune, rappresentazione ideale
dell’inconscio, della sensibilità, dell’intuizione, della fantasia
e dei nostri istinti. Quando questi elementi si trovano a terra
significa che siamo poco coscienti della vita e siamo collegati
solo allo strato superficiale della nostra esistenza. I dipinti
di Odara, metafisici, surreali e con una forte componente
onirica, attraggono chi li osserva, non si riesce a distogliere
lo sguardo e, anche senza possedere l’enorme bagaglio di
conoscenza derivato dalle letture (dalla Torah al Libro della
Scala, versione del viaggio notturno di Maometto nell’aldilà,
e perfino la Blavatsky e il suo Libro dello Dzyan, dalla cui lettura
difficilmente si esce incolumi) e dagli studi dell’artista,
il nostro inconscio ne esce emozionato. Tornando alla mostra
alla Taverna degli Artisti ricordiamo che parte del ricavato
della vendita dei quadri è destinato all’Operazione Mato
Grosso, un progetto al quale Odara
è particolarmente affezionata, anche
perché sua figlia vi ha partecipato
la scorsa estate: «Così come
la luna – spiega – anch’io voglio riflettere
un po’ di luce».
odaraghimell@gmail.com
odara ghimell
Casa della cornice
www.casadellacornice.com
ODARA
61
Kristi Po
Una sua opera nella collezione del celebre
critico e storico dell’arte Vittorio Sgarbi
Kristi Po insieme a Vittorio Sgarbi con la sua opera Blobs che il noto critico e
storico dell’arte ha definito “un nuovo Giotto”
kristina.poplitskaya@gmail.com
Ritratti d’artista
Rita Susini
Scultrice e raffinata interprete dell’antica arte della medaglistica
Scultrice, medaglista considerata una delle più importanti
sul territorio nazionale e non solo, Rita Susini
vanta una lunga storia nell’arte del modellare che l’ha
accompagnata nella carriera artistica, e non solo, giacché già
all’età di ventiquattro anni era titolare della cattedra di Discipline
plastiche all’Istituto d’Arte di Firenze. Giovanissima, diplomatasi
all’Accademia di Belle Arti, ha avuto illustri maestri
come Marcello Tommasi, Sergio Benvenuti, lo scultore Oscar
Gallo e il maestro Mario Moschi, col quale ha collaborato alla
realizzazione delle porte bronzee della chiesa del Sacro Cuore
a Sassari. Erede di quella cultura che discende dalle botteghe
rinascimentali, la Susini ha al suo attivo un significativo
curriculum di opere eseguite, busti, ritratti, medaglioni, targhe
e, come modellista, di realizzazioni come design per ditte di
argenteria e ceramica. Tanti i materiali di cui si è servita per
scolpire: il bronzo, la creta, il legno, il cemento. Come accennato,
la medaglistica è stata, e continua a essere, la punta di
diamante della sua attività artistica. È una delle poche che riesce
ad applicare i principi dello “stiacciato”, tecnica di cui
rimase folgorata agli inizi, tecnica che, lo ricordiamo, fu prodi
Jacopo Chiostri
Passione (2020), terracotta patinata, h cm 26x21x14
pria di grandi scultori come
Donatello e Benedetto
da Maiano e che, detta in
parole povere, consiste
nel realizzare un rilievo
con variazioni minime e, in
genere, con spessori che
diminuiscono dal primo
piano verso lo sfondo così
da conferire profondità
all’opera (Donatello applicò
una sorta di “prospetti-
ritratto del Pontormo (1994), argento, mm 40
Medaglia con Cosimo I de’ Medici da un
va lineare centrica” prima
dello stesso Brunelleschi). I lavori della Susini sono eseguiti
con la tecnica classica del pennino intinto nell’inchiostro; il
tratto è essenziale, veloce, espressivo e, in quei piccoli spazi
che sono la superficie di una medaglia, sono condensate simbologie,
atmosfere, memorie, associazioni di pensiero, il tutto
accompagnato da un’indubbia nobiltà, non solo d’intenti,
ma soprattutto di quella bellezza che solo l’essenzialità e l’espressività
conosciute per lunga consuetudine sanno offrire.
Della tecnica della coniazione parla Benvenuto Cellini nella
sua opera intitolata Trattati di oreficeria, ma i primi medaglisti
sono rimasti sconosciuti, tra questi coloro che realizzarono
le medaglie per la corte dei Medici (tra cui quella del botticelliano
ritratto di Cosimo il Vecchio conservato agli Uffizi).
A Rita Susini è dunque affidata una memoria storica, quella
di una grande tradizione che risale quanto meno al Quattrocento
e che in anni a noi più vicini ha visto impegnati artisti
come Antonio Berti, Bino Bini, il già citato Mario Moschi e
Pietro Annigoni. La Susini ha un lungo chorus line di esposizioni
in Italia e all’estero; ha tenuto per anni un corso di modellato
all’Università dell’età libera del Comune di Firenze. Di
lei hanno scritto Enzo Carli, Sergio Benvenuti, Antonio di Lorenzo,
Mario Moschi, Franca Nesi, Severino Ragazzini, Stelio
Tavanti ed è stata intervistata per canali TV da Marcello Catania,
Vincenzo Mollica, Ascanio Torrini. Nel 1982 ha realizzato
(coniata in 100 esemplari) una medaglia per il Centro Dantesco
di Ravenna dei frati minori conventuali per l’ottavo centenario
della nascita di San Francesco. Sue opere si trovano al
Museo Dantesco di Ravenna, al Museo della Medaglia di Malta,
al Bargello, al Museo della Medaglia in Vaticano, allo Smithsonian
Institution di Chicago, nella pinacoteca comunale di
Rocca San Giovanni e in collezioni pubbliche e private in tutto
il mondo. Ricordiamo anche la medaglia per l’Anno Santo del
1975, per il venticinquennale della FAO, in ricordo di Silvestro
Lega, del Ghirlandaio, del Pontormo, di Stradivari, per l’elezione
dei pontefici Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto
XVI, e per il Giubileo del 2000.
RITA SUSINI
63
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale
Rinasce l’estro creativo di Gualtiero Risito con i
ritratti delle “quattro moschettiere dell’estetica”
di Alessandra Bruscagli
Gualtiero Risito, artista molto amato e conosciuto,
è uscito dal tunnel del Covid mantenendo
intatta la passione per il disegno e la
pittura e per le arti in generale. «Creare dona libertà
– afferma Risito – e io ho iniziato faticosamente a
mettere sulla tela quello che la fantasia mi suggeriva.
Lo stimolo maggiore per proseguire me lo ha
dato la richiesta di un quadro su Pinocchio per una
grande mostra collettiva e itinerante che, prendendo
l’avvio da Collodi, girerà tutta l’Italia e forse toccherà
anche l’Europa. Tanti amici hanno partecipato
con me e si sa che lavorare insieme regala gioia e
soddisfazione. Il ritratto intriga e affascina ma non
potevo cimentarmi in questo settore perché il disegno
porta a rispettare certe regole per cui non mi
sentivo ancora pronto». Sostenuto dalla moglie Stefania,
la vita è sembrata di nuovo bella e rivestita di
speranza. Ma questa storia non è fatta solo di arte,
ma anche di persone, casualità, amore, riconoscenza,
amicizia, lati importanti che meritano di essere
sottolineati con la matita rossa. Ma continuiamo a
narrare questa rinascita: vicino alla casa di Gualtiero
Gualtiero Risito
si trova un’attività commerciale dove lavorano quattro
ragazze, tutte estetiste: Agata, Ylenia, Titti e Sara,
quest’ultima titolare di By Sara Salon. Capita spesso,
come con i parrucchieri, che tra estetista e cliente si
inizi a raccontarsi reciprocamente; così è accaduto
tra Gualtiero e Agata che, incuriosita, dopo aver visto
alcuni dei suoi tanti lavori artistici, gli ha timidamente
chiesto se poteva esaudire il suo desiderio di
di LUCHINI LUDOVICO & NUTI SIMONE s.n.c.
Via del Colle, 92 - 50041 Calenzano (FI)
Tel. 055 8827411 - Fax 055 8839035
www.carrozzeriailcolle.it info@carrozzeriailcolle.it
Le quattro ragazze del salone estetico ritratte da Risito
64 CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Agata
Titti
Ylenia
avere un ritratto a matita. In principio questo ha un
po’ imbarazzato l’artista, ma, non volendo deludere
la ragazza, si è sentito nuovamente spinto e sollecitato
e, messosi all’opera, ha realizzato e donato il
disegno ad Agata, che con orgoglio lo ha mostrato
alle colleghe, le quali, trascinate dall’entusiasmo, si
sono anche loro fatte avanti... Ma si sa che gli artisti
possiedono una sensibilità esagerata, acuita in questo
caso dalle giornate tremende, dai mesi trascorsi
in ospedale. E così Gualtiero Risito, anche su suggerimento
dell’attenta e generosa moglie Stefania, ha
eseguito un ritratto per ognuna di loro e sono nati i
disegni qui pubblicati. «Moschettiere dell’estetica»
le ha definite l’artista, che ha continuato dicendo:
«Grazie alla loro fiducia ne ho acquistata tanta anch’io
in me stesso, adesso sono davvero soddisfatto
e pieno di gratitudine verso di loro». Questo lungo e
nero periodo gli ha permesso di vedere i sentimenti
e le sensazioni sotto una luce completamente diversa,
dando loro una valenza e un’importanza che
forse prima non avevano, una luce più radiosa e
sfolgorante ma anche più modesta e più vera, a misura
d’uomo oltre che d’artista.
Sara (titolare del salone di estetica)
CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
65
Ritratti d’artista
Rosella Giorgetti
La potenza di una pittura in cui “esplodono” le emozioni
Anche se di primo acchito
viene naturale ricondurre
l’arte di Rosella
Giorgetti – pittrice di origini
marchigiane, cresciuta a Pomezia
e quotata negli ambienti
artistici nazionali – nell’alveo
dell’arte fluida, poi, a un’analisi
più approfondita, si capisce
che non è solo questo e che la
poetica di quest’artista, in realtà,
è molte cose assieme. Occorre
muovere dalla tecnica
che la Giorgetti adotta: questa
consiste nel calare il colore
sulla tela, e quindi trarre ispirazione
dalle forme che, con
un certo nesso di casualità, si
sono formate libere e coglierne
la potenza evocativa; il lavoro
di “costruzione” dell’opera
inizia allora. Con pennelli molto
sottili, con le dita, con col-
pi di spatola, perfino con una cannuccia che convoglia il
fiato, la Giorgetti dà vita alle forme fantastiche, ricche di
simbologie e di rimandi al suo io interiore e al proprio vissuto,
che sono le sue creazioni. In alcuni casi, queste forme,
che effettivamente appaiono fluide, piene di colore e
di forma (pur nel loro essere in definita stilizzate), ricordano
figure che riconosciamo, ma il più delle volte è come
se fosse avvenuta una nuova creazione. Questo è. La
Giorgetti crea immagini che non abbiamo ancora visto, e
in questo senso è come un’esploratrice che scenda negli
abissi alla ricerca di nuove forme di vita, oppure, più evidente,
che sia capace di rappresentare visivamente stati
d’animo, concetti, brevi racconti ed emozioni. Questo vale
per l’intera sua produzione, anche per i fiori policromi, sì
riconoscibili, ma funzionali prima di tutto ad assecondare
le “decisioni” dell’artista, la quale occupa lo spazio e lo riempie
con un’estetica meditata, forse sofferta, che affonda
in maniera viscerale nel suo background esperienziale.
Sono forme rigogliose che sembrano prossime a richiudersi
per poi aprirsi ancora. È pittura che si muove, che dà
l’impressione di muoversi, di parlarci come facciamo noi
umani, aprendo cioè le labbra. Le composizioni risultano
– ed è, a nostro parere, uno dei maggiori pregi – dinamiche
nel loro essere al massimo equilibrate, pesi e contrappesi
si trovano dove ci aspettiamo di trovarli, segno che al
momento creativo si accompagna uno studio accurato di
di Jacopo Chiostri
quella che dovrà essere l’armonia complessiva del dipinto.
Ci sono poi delle sorprese. Come nel quadro Esplosione di
emozioni, dove nei petali, sia sulla destra che sulla sinistra,
si nascondono un volto di donna, una specie di putto
e dei corpi umani: ulteriore conferma che lo scopo dell’artista
non è la riproduzione meccanica, o peggio accademica,
dei soggetti, ma una loro rappresentazione visionaria e
semmai allegorica. Su tutto domina la sensibilità, artistica
non vi è dubbio, con cui modula il colore, lo assembla,
lo separa, lo sparge e lo guida, in genere per linee diagonali:
al colore è affidato il compito di darci indicazioni sul
processo introspettivo compiuto dalla pittrice. La Giorgetti
si guarda attorno, immagazzina, nella retina e nella mente,
immagini che non devono essere solo forma o estetica,
ma devono conservare un impatto emozionale che possa
essere vantaggiosamente rappresentato con la forza della
pittura, e che abbiano in sé anche il nutrimento indispensabile
per uno spirito libero. È in questa direzione che
si volge la sua necessità personale di sperimentare, lo fa
con esiti certo metafisici, ma al di là di ogni possibile interpretazione
e considerazione, tutto il complesso ed accattivante
lavoro di Rosella Giorgetti ha come referente
primario l’amore per l’arte. Non è lecito (né d’altra parte
possibile) dimenticarsene.
arte.rosellagiorgetti@gmail.com
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ROSELLA GIORGETTI
Polvere di stelle
A cura di Giuseppe Fricelli
Ave Ninchi
Indimenticabile caratterista del cinema e del teatro italiano
di Giuseppe Fricelli
Ho composto musiche di scena per
la Clizia di Machiavelli, famosa
commedia, interpretata da Ave Ninchi,
storica ed apprezzata attrice del cinema
e del teatro italiano. Alfredo Bianchini
era regista e attore del lavoro teatrale. Fu
uno spettacolo riuscito che ebbe più di centocinquanta
repliche in tutta Italia. Un vero
successo di pubblico e critica. La prima rappresentazione
avvenne al Teatro Metastasio
di Prato. Raggiungevo ogni tanto la compagnia
in giro per la tournée. La signora Ninchi,
in quel periodo, recitava in una famosa
pubblicità televisiva che le era molto redditizia.
Ogni volta a cena o a pranzo con Ave
non riuscivo ad offrirle un pasto. Mi avrebbe
fatto tanto piacere ma non c’era verso.
Mi diceva sempre: «Giuseppe, tu fai la pubblicità
al pollo? Credimi ti sono grata della
tua gentilezza. Non sono io che ti offro il
pasto ma è lui... il pollo». Questa attrice di
puro ed innato talento ha scritto una pagina
importante nella storia del cinema e del
teatro non solo nelle vesti di caratterista.
Era apprezzata anche da registi stranieri di
fama internazionale come Clément, Carné,
Zinnemann e tanti altri. È stata diretta da
Monicelli, Steno, Zampa, Zeffirelli e tanti altri
ed ha recitato spesso con Fabrizi e Totò,
creando con loro un affiatamento artistico
straordinario. Indimenticabili le sue presenze
in spettacoli televisivi. Era un’attrice poliedrica
che sapeva realizzarsi in qualsiasi
personaggio da lei proposto. Non dimentichiamoci
delle Sorelle Materassi con Sarah
Ferrati e Rina Morelli, registrate per la televisione,
un vero capolavoro nel quale le tre
interpreti danno prova di una mirabile padronanza
scenica e teatrale. Una straordinaria
interprete che ricordo con sincera ammirazione,
stima ed affetto profondo.
Ave Ninchi con Aldo Fabrizi nel film Parigi è sempre Parigi (1951) di Luciano Emmer
Con Anna Magnani nel film Lʼonorevole Angelina (1947) di Luigi Zampa
www.florenceartgallery.com
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
AVE NINCHI
67
STEPHANIE HOLZNECHT
Fan Fare (2018), cm 91,4x91,4
acrilico e lacche su tela
www.aqvart.com
AQVART 2022 Venezia
Si è conclusa la quarta edizione di Aqvart
a Venezia, che riscuote sempre più successo
di pubblico e stampa tanto da meritarsi
di essere inserito ormai come appuntamento
fisso nel palinsesto degli eventi promossi
dalla Regione Veneto. La mostra, inaugurata
lo scorso 3 settembre, ha previsto un omaggio
alla memoria di Gianni Aricò, architetto
ed artista, e di Uri de Beer, architetto israeliano,
e si è aperta con lo spettacolo di danza
eseguito dalla scuola della professoressa
Marina Prando. Hanno esposto i loro ultimi
lavori artisti internazionali venuti numerosi
da diverse parti del mondo, tra questi: la scultrice
polacca Mira DeMartino, che vive e lavora
negli Stati Uniti; l’astrattista americana
Stephanie Holnecht; la giovane artista italiana
Valeria Disabato, che sperimenta l’uso di
nuovi materiali; l’artista polacco esponente
della nuova corrente chiamata Orapismo Krzysztof
Konopka; la lussemburghese Karin
Monschauer vincitrice di diversi premi internazionali
per la digital art; l’architetto, artista
ed esperta d’arte Margherita Blonska; la pittrice
olandese di origine surinamese Alma
Sheik, che per le sue tele informali prende
spunto dalle pavimentazioni a mosaico delle
chiese venete; la pittrice persiana cresciuta
in Australia Sherry Farsad con lavori carichi
di spiritualità; la pittrice e professoressa Kinga
Lapot Dzierwa proveniente da Cracovia;
l’artista e decano universitario Ernest Zawada
da Bialystok; l’artista belga Christine Hilarius;
la pittrice e designer di gioielli spagnola Ana
Andras attiva tra Barcellona e Miami; l’artista emergente
proveniente da Danzica Konrad Poniewaz; il ve-
Scultura di Mira DeMartino, quadro di Krzysztof Konopka
nezuelano Jorge Goncalves Romero, che vive e lavora
a Vienna. In esclusiva sono state esposte anche alcune
serigrafie originali di Tamara de Lempicka, la quale
è stata sempre molto legata alla città di Venezia
(oltre che a Firenze), traendo ispirazione, nella ricerca
del proprio stile, dai lavori dei maestri del manierismo
italiano e dai colori della laguna. La rassegna è stata
ripresa dalla rete televisiva Televenezia che ha trasmesso
durante il proprio telegiornale per ben cinque
giorni un programma dedicato alla mostra e agli artisti.
Quest’anno è stata importante la partecipazione
di Caralli Big Mat come principale sponsor della manifestazione,
azienda che, essendo all’avanguardia, capisce
la sinergia che intercorre tra architettura ed arte
e crede che ogni opera edilizia possa diventare un’opera
d’arte e viceversa. Stanno nascendo grandi progetti
per il futuro di Aqvart, fatto che è stato notato
anche dalla televisione veneta. Sono iniziati inoltre i
preparativi per la quinta edizione della rassegna, che
sorprenderà tutti visitatori con i concetti nati dalla collaborazione
con gli artisti e con gli sponsor.
KINGA LAPOT DZIERWA
Ballerina (2021), olio su tela, cm 65x80
www.aqvart.com
Itinerari del gusto
A cura di Filippo Cianfanelli
Trattoria Baldini
Il gusto della migliore tradizione toscana a Firenze
Testo e foto di Filippo Cianfanelli
Alla fine dell’Ottocento, la zona di Porta al Prato a Firenze
non era più un’area erbosa come nei secoli precedenti,
bensì un grande spazio acciottolato fra l’omonima
porta, rimasta isolata dopo l’abbattimento delle mura trecentesche,
e la loggia, oggi chiusa, all’inizio di Borgo Ognissanti dove
in passato il granduca assisteva alla tradizionale corsa dei barberi,
i cavalli scossi partiti dal Ponte alle Mosse che, dopo aver
attraversato le vie del centro, avevano il traguardo nell’attuale
piazza Beccaria. La strada è ancora oggi caratterizzata dalla
grande mole del palazzo dei Principi Corsini, nelle cui adiacenze
è possibile vedere l’immenso portone ligneo della rimessa
del “Brindellone” protagonista dello scoppio del carro che allora
avveniva il sabato santo. Proprio in quegli anni, al numero
96 rosso, vicino alla Porta, nasceva una piccola trattoria a conduzione
familiare. All’inizio si chiamò Trattoria con giardino, nome
dovuto ad un piccolo spazio ricavato nella corte dove con
un po’ di ghiaia e qualche pianta veniva simulato un giardinetto.
Negli anni successivi il nome cambiò in Leone di Caprera in
Pappa al pomodoro
onore di Garibaldi a cui era stata dedicata non lontano da lì una
piazza e una statua. Per decenni il locale è stato gestito dalla
famiglia Baldini, che, dai primi del Novecento fino al 1985, l'ha
tramandato di padre in figlio dandogli il nome che ancora oggi
conserva. Attualmente sono tre i soci che lo gestiscono: Antonio
Balducci, Alfiero Meini e Stefano Pieri, sempre affabili e
pronti alla battuta sia con i numerosi turisti ma soprattutto con
i numerosi fiorentini che ogni sera affollano il locale per gustare
una cucina tradizionale e respirare aria di Toscana. All’interno
lo stile è quello delle vecchie trattorie fiorentine, con le belle
tovaglie a scacchi, le stoviglie bianche di porcellana e il classico
fiasco di vino “a calo”, cioè fatto pagare secondo quanto se
n’è bevuto. Per i più esigenti la carta di vini offre una discreta
scelta di etichette divisa per produttori e per zone geografiche
della Toscana. Il menù rispecchia in pieno la tradizione della regione,
partendo dagli antipasti, passando alle minestre, i primi,
gli arrosti, i fritti, le carni grigliate o cotte in padella, fino ai contorni
e ai classici dolci. Ho avuto la possibilità assaggiare molti
piatti, dai più tradizionali ai più originali e, fra gli antipasti, devo
riconoscere che il crostone di cavolo nero mi ha piacevolmente
sorpreso perché il cavolo, servito sulla classica fetta di pane
arrostito, era stato prima cotto con un tradizionale battuto. Anche
il carpaccio di cervo era ottimo, benché il gusto della carne
fosse un po’ troppo coperto dal succo di limone. Niente da
dire sulle minestre, in particolare la ribollita, la pappa al pomodoro
e l’antica stracciatella che mi hanno riportato alla mente
i sapori di una volta. Vale lo stesso per gli altri primi fra i quali
ho ritrovato le ormai rarissime lasagne fatte in casa, rigorosamente
in parte verdi e in parte bianche, con il classico ragù di
carne e abbondante besciamella. Da segnalare anche gli spaghetti
alla carrettiera, le penne strascicate, i tortelli alla maremmana
e soprattutto le ottime pappardelle al cinghiale. Per un
pasto più leggero, consiglio gli spaghetti alla “crudaiola”, conditi
solo con olio extravergine di oliva e verdure crude. Ampia la
scelta di arrosti, fra agnello, arista di maiale e carré di vitella. Lo
stesso vale per i fritti: oltre al pollo e al coniglio vengono serviti
il classico cervello di vitella e le costine di agnello. La bistecca
alla fiorentina è il piatto forte del locale, soprattutto per gli
stranieri, ma anche i vegetariani non rimarranno delusi dall’ottima
scamorza con verdure grigliate. È d’obbligo ricordare inoltre
la trippa alla fiorentina, le salsicce con i fagioli e il cinghiale
alla maremmana, piatti tradizionali ma sempre apprezzati, senza
inutili elaborazioni nella presentazione. Per chiudere la serata
con il dolce non potevano mancare i cantucci col vin santo
e una coppa di ottimo gelato alla vaniglia ricoperto di cioccolato
fuso.
www.trattoriabaldini.com
TRATTORIA BALDINI
71
A tavola con...
A cura di Elena Maria Petrini
Daniela Morozzi
“A tavola con” l’attrice fiorentina volto noto di alcune fiction televisive molto
amate dal pubblico e maestra nell’arte dell’improvvisazione
di Elena Maria Petrini / foto Gianni Ugolini
Questo mese incontriamo l’attrice cinematografica
e televisiva Daniela Morozzi, fiorentina doc conosciuta
dal grande pubblico per la serie televisiva
di Canale 5 Distretto di Polizia dove ha interpretato
il ruolo della poliziotta Vittoria Guerra. Talentuosa caratterista,
dalla recitazione fresca e spontanea, inizia la sua
carriera di attrice negli anni Ottanta, specializzandosi nel
difficile ed impegnativo genere dell’improvvisazione teatrale
e successivamente entrando a far parte della Lega Italiana
Improvvisazione Teatrale, prima come insegnante e poi
come direttrice artistica. Al cinema la troviamo nel cast di
Ritorno a casa Gori di Alessandro Benvenuti del 1996; l’anno
successivo è presente nel film Ovosodo e nel 1999 anche
in Baci e abbracci, entrambi per la regia di Paolo Virzì.
Nello stesso anno è diretta da Enrico Montesano nella serie
televisiva di RAI 1 Pazza famiglia. Nel 2002 è Gianluca Greco
a dirigerla nella commedia Nemmeno in un sogno e nel
2011 interpreta il personaggio di Niki, diretta dalla regista
tedesca Margarethe von Trotta, nel film drammatico La fuga
di Teresa. Ne I primi della lista di Roan Johnson ha il ruolo
della mamma di Lulli, uno dei protagonisti; nel 2013 recita
in Uscio e bottega diretta da Marco Daffra con un cast eccezionale,
dove troviamo tra gli altri Giorgio Panariello, Antonio
Petrocelli, Carlo Monni, Novello Novelli, Sergio Forconi,
Cristiano Militello, Giancarlo Antognoni e Carlo Conti come
voce narrante. Partecipa anche ad altre fiction come Il mio
amico Babbo Natale per la regia di Franco Amurri e alla serie
televisiva di RAI 1 Il commissario Manara. Il teatro la vede
protagonista di ruoli brillanti in commedie come Terapia,
terapia, Se non ci fossi io e Mangiare bere dormire - Storie di
badanti e badati, tutte per la regia di Augusto Fornari.
Com’è nata la sua passione per la recitazione?
Ho iniziato molto giovane, in realtà ho sempre avuto questa
passione, fin da quando ero bambina. Vengo da una famiglia
che non faceva questo lavoro, perché mio padre era operaio
e mia mamma infermiera caposala, originari di Monghidoro e
Firenzuola. Una famiglia contadina molto numerosa che col
teatro c’entrava poco…
Quando ha iniziato?
Da subito, già dalle scuole superiori, organizzando corsi di teatro,
cinema e fotografia. La prima esperienza è stata con la
scuola d’arte drammatica Teatro Laboratorio Nove, poi ho frequentato
un corso di improvvisazione teatrale che mi ha fol-
gorata a tal punto da
spingermi ad entrare
nella Lega Italiana
di Improvvisazione
Teatrale. Mettevamo
su un particolare tipo
spettacolo che si
chiamava “match”, un
format nato in Canada,
con il quale per
molti anni ho potuto
girare il mondo. Tornando
a Milano, visto
che avevamo aperto
tante scuole, abbiamo
organizzato un
corso d’improvvisazione
e di teatro comico
che si chiamava
Zelig, ma non quello
famoso che oggi
vediamo in TV. Allora
Zelig era un cen-
Daniela Morozzi (ph. Gianni Ugolini)
tro culturale dedicato alla comicità e al cabaret. È qui che
ho conosciuto Dario Ballantini, l’imitatore di Striscia la Notizia,
il quale mi disse che la sua agente cercava un’attrice come
me per il film del regista livornese Paolo Virzì, allora agli
inizi della carriera. Ho fatto un ruolo prima in Ovosodo, poi in
Baci e abbracci e dopo mi hanno chiamato a fare Distretto di
Polizia e da lì è partito tutto. Oggi faccio molto teatro con la
compagnia Lo stanzone delle apparizioni e col teatro di Castelnuovo
Berardenga. Mi dedico anche all’organizzazione di
eventi, l’ultimo in ordine di tempo è stato Make news - nel cuore
dell’informazione, tre giornate di dialogo e confronto a Firenze,
lo scorso agosto, sul tema del giornalismo, altra mia
grande passione. Per un periodo ho collaborato al giornale
fiorentino La Città, dove ho conosciuto il giornalista Francesco
Tei, oggi caporedattore di RAI 3, e mi occupavo di una rubrica
teatrale dedicata ai giovani.
Ha qualche ricordo o aneddoto legato ad un film o ad uno
spettacolo teatrale?
La cosa che ricordo con particolare piacere è quando con
la Lega Italiana di Improvvisazione Teatrale abbiamo vinto
una competizione mondiale a Lille, nel nord della Francia,
battendo la squadra dei canadesi, proprio loro che hanno
72
DANIELA MOROZZI
inventato questo tipo di spettacolo. La competizione consisteva
nel confronto tra due squadre entrambe impegnate
ad improvvisare su temi a sorpresa, lasciando poi al pubblico
il compito di decretare la squadra migliore. Ogni sera
avevamo circa tremila persone a guardarci, un’esperienza
emozionante e bellissima. Ovviamente per poter fare improvvisazione
occorre tutto un lavoro di preparazione prima
di andare in scena. Questo, oggi, lo insegno in tante
scuole, come ad esempio all’Accademia Golden di Roma,
ma anche in altri corsi in tutta Italia. È un percorso propedeutico
all’improvvisazione che lavora sulla fantasia e sul
lavoro di gruppo.
A chi o che cosa s’ispira per scrivere i suoi testi?
Adoro la letteratura, ma non mi ritengo una scrittrice, scrivo
le cose per me, insieme ad un gruppo di colleghi. I miei
due monologhi, ad esempio, sono nati sull’onda di quello
che mi andava in quel momento di raccontare; ho scritto
una traccia e poi l’ho rielaborata e sviluppata, inserendo
la parte comica, insieme agli autori Stefano Santomauro e
Matteo Marsan. Un monologo s’intitola Da consumarsi preferibilmente
in equilibrio; racconta la storia di una donna di
mezza età che rivaluta il proprio rapporto con i figli e con il
cibo per cercare una nuova normalità. C’è una parte divertente
in cui l’effetto comico nasce dal racconto dei tortellini
che preparava mia nonna. Nell’altro monologo, invece, prendo
spunto dalle montagne di Firenzuola, dove era nato mio
padre. Entrambi gli spettacoli sono stati realizzati con Stefano
“Cocco” Cantini, sassofonista e pianista anche lui toscano
fra i migliori jazzisti al mondo dal quale ho imparato
tanto a proposito, per esempio, del valore che le pause hanno
nella musica e devono avere anche nella recitazione. Attualmente
sono a Sinalunga con lo spettacolo Le ragazze
di San Frediano insieme ad Anna Meacci e Chiara Riondino.
Il prossimo spettacolo intitolato Eretici andrà in scena il 2
dicembre prossimo al Teatro Puccini. Nasce dalla collaborazione
con Tomaso Montanari, celebre storico dell’arte e
magnifico rettore dell’Università per Stranieri di Siena autore
dell’omonimo libro in cui racconta grandi personaggi come
Caravaggio, Piero Calamandrei e Tina Anselmi.
Che rapporto ha con il cibo? Le piace cucinare?
No, non mi riesce cucinare, ma adoro il cibo e sono grata
a chi cucina per me. In famiglia sono sempre stata contornata
da donne che sapevano cucinare benissimo, mia nonna
era una specialista dei tortellini. Mi ricordo che ogni
Natale a casa mia venivano dieci donne a preparare i tortellini;
li facevano con un “arriccio” perfetto, dei piccoli capolavori
che venivano stesi sui cartoni ad asciugare. Oltre
ai tortellini, mi piacciono gli gnocchi di patate, i “topini”,
soprattutto se riscaldati il giorno dopo, e la pappa al pomodoro.
Un “cibo della memoria” legato agli affetti o ad un ricordo?
La pasta fatta in casa, come tagliatelle e gnocchi, e condita
con il classico ragù. In casa mia le dosi erano sempre
una “quintalata”, del resto eravamo ben ventisette cugini.
La mia era una famiglia di fungaioli, altro piatto che mi piace
moltissimo. Apprezzo molto la marmellata di more, anche
questa legata ai miei affetti.
Un ricordo divertente che riguarda il cibo?
Per noi attori la tavola è un po’ il “post” lavoro perché si
va a mangiare tutti insieme a mezzanotte. In queste occasioni
mi è capitato spesso di essere a dieta mentre gli
altri attori insieme a me potevano mangiare di tutto. Difficile
resistere! Anche nella famiglia mi sono dovuta sempre
trattenere perché il cibo abbondava ed era ottimo. Ho
anche realizzato uno spettacolo ambientato in cucina dove
io cucinavo. S’intitolava La cena perfetta al Teatro Bobbio
di Trieste, con Nicola Pistoia, Nini Salerno, Blas Roca
Ray, Ariele Vincenti e Monica Rogledi.
Ha mai bevuto un Negroni, lo storico cocktail nato a Firenze
circa un secolo fa?
Sì, l’ho bevuto una sera a Castelnuovo Berardenga ed ho
preso una “ciucca” pazzesca perché sono praticamente
astemia, ma ricordo ancora che il sapore era buonissimo.
Nella mia immaginazione, i cocktail sono legati al piacere
più sfrenato, alle notti dove si rimane in pochi a bere e a
chiacchierare.
DANIELA MOROZZI
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Mauro Mari Maris
La vita oltre l’orizzonte
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
Toscana a tavola
A cura di Franco Tozzi
Arista, un nome toscano per un piatto
adatto a tutti i palati
di Franco Tozzi
L’arista è un taglio di carne di maiale, la lombata con
le costole, e con questo nome è conosciuta solo in
Toscana; si prepara per tradizione al forno o arrosto
in tegame ed è usanza servirla fredda. È un piatto facile che
si conserva anche per giorni dopo la cottura, mentre messa
sottolio può durare per mesi. Per l’origine del nome bisogna
tornare un bel po’ indietro nel tempo e smentire quanti sostengono
che questo nome sia stato dato dai vescovi greci
ospiti della Signoria che, entusiasti del piatto, esclamarono
nella loro lingua “aristos” ossia “il migliore”. Con questo nome,
l’arista appare già nel 1287 nel registro degli acquisti per
la mensa dell’abate di Santa Trinita di Firenze in alternativa
alla “lonza di porcho”; inoltre, è anche protagonista di una novella
del Sacchetti, della fine del Trecento, così come appare
nel Quaresimale Fiorentino del 1305. Quindi, niente origini
greche bensì toscane per il nome artista…
La ricetta: artista al forno
Ingredienti:
- 1 arista di maiale con l’osso (del peso
minimo di circa un chilo e duecento
grammi e “intaccata” dal macellaio)
- 1 bicchiere di olio extravergine di oliva
- 3 spicchi di aglio sbucciati
- 3 rametti di ramerino fresco
- sale e pepe abbondanti
- 1 bicchiere abbondante di acqua
Preparare un battuto con aglio, ramerino, pepe
e sale; fate dei fori profondi nella carne e
steccarli con il battuto, con l’avanzo massaggiare
il filetto. Intanto scaldare il forno fino a
160°, mettere l’arista in una teglia con l’olio e
l’acqua e infornare per almeno un’ora e mezzo.
L’acqua, evaporando, dà umidità alla carne
rendendola morbida; c’è chi usa il brodo, ma
cambia il sapore del maiale. Come norma generale,
bisogna tenere presente che, qualsiasi
sia il peso, dovrà cuocere un’ora a chilo. Essendo
buona anche fredda (non di frigo), è opportuno
togliere l’arista, disossarla, affettarla
e sistemarla su un vassoio di portata. Si cuociono
poi le patate a tocchetti nell’unto dell’arista;
se quest’ultimo è scarso, aggiungere
olio di oliva e quindi servire in tavola a temperatura
ambiente con patate e sugo ben caldi.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
ARISTA
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B&B Hotels Italia
Vacanze in bicicletta godendo dell’ospitalità
di B&B Hotels
di Francesca Vivaldi
Terrazza panoramica del B&B Hotel Budapest City
L’estate è finita ma con lei non finisce la voglia di viaggiare.
Con B&B Hotels, catena internazionale con più
di 650 hotel in Europa e nel mondo, è possibile godersi
tantissime destinazioni, dal mare alla montagna, oppure
scoprire alcune delle città più affascinanti sfruttando l’inizio
di questo autunno, che ricorda ancora il sapore dell’estate.
Con la complicità delle giornate ancora lunghe e un docile
sole settembrino perché non scoprire i migliori posti proprio
in sella ad una bici? Alternativa di mobilità sostenibile, il cicloturismo
è uno dei trend del momento. In sella ad un bici
possiamo godere di spazi aperti ed ammirare la natura più incontaminata,
esplorando territori ricchi di bellezze e ancora
poco scoperti. Ecco tre itinerari perfetti per questo periodo.
Ciclovia delle isole veneziane: in bici da Chioggia a Venezia
New York Times, tra i cinquantadue luoghi da visitare nel
mondo. Dopo una giornata all’insegna della scoperta del
paesaggio, il ristorante Oltremare offre una pausa relax
all’insegna del gusto, con un’offerta menù sia a buffet che
a la carte. Design raffinato e ricerca del comfort sono le
caratteristiche di tutte le novantasei camere dell’hotel, disponibili
nelle tipologie singola, economy, deluxe e family.
Ogni stanza è dotata di aria condizionata regolabile, mini-frigo
e di un bagno privato con bidet, doccia e asciugacapelli.
Per un soggiorno più smart la struttura mette a
disposizione una connessione Wi-Fi illimitata e gratuita e
Smart TV 32" con Chromecast integrata. L’hotel dispone
anche di un appartamento di lusso di 140 mq all’ultimo piano
con due camere da letto, cucina attrezzata, jacuzzi, sauna
e una splendida vista sul mare.
Un percorso che parte da Chioggia, attraversa l’isola
di Pellestrina, il Lido, per terminare poi in un
tramonto mozzafiato sull’eterna Venezia. Una delle
più strepitose ciclabili del mondo, da percorrere rigorosamente
piano, pedalata dopo pedalata, assaporandone
suoni, profumi e colori. È questo il primo
consiglio di B&B Hotels Italia che proprio nel cuore
della “piccola Venezia” ha da poco inaugurato il
B&B Hotel Chioggia Airone, ideale per chi cerca il
relax senza dover rinunciare alla tipica aria vacanziera
delle località di mare e alle numerose attività
che offre il territorio. Per chi non fosse già provvisto
di proprie bici, la struttura propone un servizio
di noleggio, permettendo di scoprire questa meravigliosa
destinazione, al primo posto nella lista del
B&B Hotel Budapest City
76 B&B HOTELS
Itinerari ciclabili a Cortina
Dai percorsi per mountain bike tra storia e natura
su tracciati segnalati alla bici da strada per scoprire
le vie più tipiche dei borghi, fino al freeride per i più
esperti. E perché no, alle escursioni in e-bike per una
vacanza più rilassante, per tutta la famiglia. Cortina
è sicuramente una tappa imperdibile per gli amanti
delle vacanze “a due ruote”. Punto di partenza perfetto
per muoversi alla scoperta del territorio patrimonio
dell’Unesco è sicuramente il B&B Hotel Passo
Tre Croci Cortina, una splendida struttura che sorge
nel territorio di Cortina D’Ampezzo, a 1.858 metri di
quota, incastonata fra le pendici del monte Cristallo
a nord e dei monti Sorapiss e Faloria a sud. L’hotel
dispone di centoventiquattro camere nella tipologia
singola, doppia, matrimoniale, tripla, quadrupla, ognuna dotata
dei comfort necessari per godersi il viaggio in pieno relax,
rispettando la qualità da sempre garantita da B&B Hotels. Disponibili
i migliori servizi: noleggio di e-bike, climatizzazione
autoregolabile, mini frigo, cassaforte elettronica, connessione
Wi-Fi a 300 Mb/s illimitata e gratuita in tutti gli spazi della struttura
e Smart TV 43" con Chromecast integrata, un parcheggio
gratuito, un ristorante a buffet ed un bistrot (Bar&Bistrot) dove
gustare i piatti tipici della tradizione locale.
Budapest in bicicletta
Budapest è una città davvero interessante da girare in bicicletta:
la capitale ungherese offre oltre 300 km di piste ciclabili dislocate
in tutta la città e nei dintorni. Il B&B Hotel Budapest
City si trova a meno di 1,5 km dal centro di Budapest, nelle immediate
vicinanze del ponte Petőfi, e a solo 1 km dal Great Market
Hall, il più antico e grande mercato coperto della capitale,
dove è possibile gustare il miglior street food ungherese della
Una stanza del B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina
città e godersi, in sella alla propria bici, gli angoli nascosti della
città. La struttura, dallo stile ricercato e originale, e animata da
pezzi di design e dispone di duecentoquattordici camere nella
tipologia singola, doppia e familiare dal design moderno ispirato
alla cultura del territorio. Il B&B Hotel Budapest City garantisce
agli ospiti tutti i servizi smart che contraddistinguono la
catena tra cui: WI-FI veloce e gratuito nelle camere e nelle aree
comuni, Smart TV con Chromecast integrato, aria condizionata
e una ricca colazione a buffet con una vasta scelta di prodotti
dolci e salati. In aggiunta, una fitness room attrezzata, un
locale lavanderia e un comodo garage sotterraneo a pagamento
con quattro stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Nella hall
dell’hotel, a disposizione di tutti gli ospiti, il B&Bar, dove si possono
degustare le specialità del giorno, in un ambiente moderno
e di design. Infine, dopo un tour della città o gli impegni di
lavoro, ci si può rilassare sulla terrazza all'ultimo piano ed ammirare
un panorama davvero mozzafiato della città.
www.hotelbb.com
Benessere e cura della persona
A cura di Antonio Pieri
Olio extravergine di oliva toscano IGP biologico:
alleato numero uno per il benessere della pelle
di Antonio Pieri
Con il freddo alle porte, è importante preparare
la pelle al cambiamento di temperatura per
evitare spiacevoli inconvenienti come screpolature,
arrossamenti o i cosiddetti “geloni”. Per fare
questo è essenziale l’utilizzo di prodotti per nutrire e
idratare la pelle in profondità, ovviamente naturali e
senza la presenza di parabeni, SLS e SLES.
Olio extravergine di oliva non solo in cucina
Un ottimo alleato per queste esigenze è l’olio extravergine
di oliva toscano IGP biologico. Infatti, questo
fantastico prodotto non è solo un ingrediente
immancabile nella tradizione culinaria italiana, ma è
anche un toccasana per la pelle. Grazie alla sua azione
antiossidante, l’olio extravergine di oliva toscano
IGP biologico previene l’invecchiamento cellulare e
cutaneo, contrasta i dannosi effetti dei radicali liberi
e la rarefazione dell’elastina e del collagene, responsabili
del progressivo stato di atonicità e secchezza
della pelle. Inoltre, nutre in profondità e aiuta a
ricostruire il naturale film idrolipidico superficiale,
fondamentale per la difesa dalle aggressioni esterne
(sole, luce, smog, fumo, etc.). L’olio extravergine
di oliva toscano IGP biologico non è un olio qualunque,
ma è unico nel suo genere. Si tratta infatti di una vera e
propria spremuta di olive, ricca di sali minerali e dalle forti
proprietà emollienti, lenitive e antinfiammatorie. Grazie
alla ricchezza delle sue sostanze benefiche, negli ultimi
anni la comunità scientifica internazionale e studi dermatologici
di comprovata serietà l’hanno accreditato come
l’alleato numero uno della pelle umana. Proprio per tutte
queste proprietà lo abbiamo scelto come principio attivo
basilare nella linea Prima Spremitura.
Una nuova veste grafica
In occasione della frangitura delle olive abbiamo deciso
di presentare la nuova veste grafica della linea Prima
Spremitura e i nuovi formati. I classici tubi in plastica da
200 ml di bagnoschiuma, shampoo, crema corpo e bal-
samo sono stati sostituiti con i più pratici tubi in plastica
riciclata da 100 ml. La scelta è stata dettata dal
nostro impegno quotidiano verso l’ambiente e dalla volontà
di renderli ancora più comodi da portare ovunque.
Infatti il formato da 100 ml può essere inserito senza problemi
anche nel bagaglio a mano dell’aereo. Abbiamo anche
aggiornato l’esclusivo formato “a cubo” da 500 ml di
bagnoschiuma, shampoo, crema corpo e sapone liquido.
Un formato pratico e comodissimo per le famiglie che
adesso presenta un erogatore verde che richiama ancora
di più le nostre amate olive e il principio attivo principale
dei prodotti Prima Spremitura: l’olio extravergine di oliva
toscano IGP biologico.
Vieni a scoprire i nuovi formati della linea Prima Spremitura
nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze.
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
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OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA
Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere
La qualità naturale
si fa ancora più green
Natural quality
becomes even greener
nuovi tubi
in plastica
riciclata
Una banca coi piedi
per terra, la tua.
www.bancofiorentino.it