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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 7 - Luglio/Agosto 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
Viva Fiorenza!
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Finalmente siamo di nuovo in piazza Santa Croce ad assistere
alle partite del Calcio Storico Fiorentino. Una tradizione popolare
che ha assunto un valore sempre più importante per il
nostro turismo. A differenza del Palio di Siena, dove le contrade
rimangono divise e ostili per tutto l’arco dell’anno, qui, nonostante
questo apparente odio a cui si assiste in campo durante
le partite, l’aggressività non lascia strascichi una volta finita la
disputa. Infatti, salvo rari casi, gli stessi giocatori che lottavano
violentemente per realizzare una preziosa caccia fino ad un
minuto prima, li vedi spesso abbracciarsi a fine partita. Insomma,
uno spettacolo che (nonostante le apparenze) ha una sua
valenza di sportività molto più genuina di quella che si rileva in
tanti sport molto più pacifici. Questo spettacolo ha avuto origine
nel 1530 con la celebre partita giocata per schernire gli assedianti
spagnoli che, convinti della resa della città, si trovarono
invece di fronte i fiorentini a giocare a pallone, per niente intimo-
riti dall’assedio. Ancora oggi questo gioco, ormai diventato tradizione
a Firenze, attrae una miriade di turisti e da quest’anno
ha messo ulteriormente a frutto la sua notorietà grazie all’operato
del sindaco Dario Nardella e del presidente del Calcio Storico
Fiorentino Michele Pierguidi (anche consigliere speciale del
Comune per le Tradizioni Popolari) che sono riusciti a vendere i
diritti ad Indiana Production, la quale, a sua volta, ha ceduto a
Dazn la divulgazione televisiva a livello mondiale della manifestazione,
ottenendo oltretutto garanzie di qualità di ripresa con
tecnologie all’avanguardia e con il drone. Grazie a questa operazione,
oltre a creare un utile per le casse comunali, è stato possibile
per i fiorentini assistere alle partite in chiaro con immagini
qualitativamente migliori. Ma adesso mi fermo qui con lo scritto
perché voglio lasciare maggior spazio ad alcune foto delle due
semifinali. Se volete, potete trovarne molte altre sulla mia pagina
Facebook Marco Gabbuggiani.
marco.gabbuggiani@gmail.com
Da oltre trent'anni una
realtà per l'auto in Toscana
www.faldimotors.it
LUGLIO/AGOSTO 2022
I QUADRI del mese
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Il trittico di Nicolas Froment torna in Mugello con il progetto Terre degli Uffizi
Ancora un attimo per favore: il viaggio nella memoria di Giovanni Bogani
Percorsi d’arte: il convento e la chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani a Empoli
Archeologia: Gerusalemme, la città santa delle tre grandi religioni monoteiste
Mostre in Toscana: 15 fotografe contemporanee omaggiano Francesca Woodman a Prato
Francesca Woodman, fotografa dell’autoritratto come strumento d’introspezione
Riitta Nelimarkka: libertà e anticonformismo di un’artista fuori dagli schemi
Grandi mostre: le origini esoteriche del Surrealismo alla Collezione Peggy Guggenheim
Curiosità storiche fiorentine: la festa di Sant’Anna in Orsanmichele
La commedia toscana: un genere cinematografico dalla lunga storia nel libro di Fabrizio Borghini
Alessandro Grisolini, dalla recitazione all’insegnamento per amore del teatro
H Zero Museum: un nuovo spazio a Firenze dedicato all’immaginario del treno
Viaggi di luce nella pittura di Marcello Ciampolini
Obiettivo scuola: presente e futuro della didattica secondo l’insegnante Laura Scartabelli
Dimensione salute: masticare lentamente per vivere con consapevolezza il momento del pasto
Psicologia oggi: guarire dall’anoressia recuperando il piacere di mangiare
I consigli del nutrizionista: come affrontare l’emergenza sovrappeso e obesità
Giganti dell’arte: Rosso Fiorentino, maestro del manierismo alla prova con un angelo
Benessere psicofisico: estate, oltre ad una stagione, uno stato d’animo
Eccellenze toscane: un e-commerce in Cina per le piccole e medie imprese made in Tuscany
Aristide Bruno, pittore dal naturalismo all’informale attraverso il colore
Lo sguardo lento della fotografia poetica di Nicoletta Cantore
Movimento Life Beyond Tourism: i Luoghi Parlanti diventano una guida con il Touring Club
Tutela dell’ingegno: con lo stop alle copie del David, mille passi indietro dopo Expo 2022
Intervista ad Anna Bini, medaglista, orafa e docente dalla lunga e prestigiosa carriera
Arte nel week-end: Villa Medicea di Poggio a Caiano, la residenza di Lorenzo il Magnifico
Caos e ordine, la poetica degli opposti nella pittura di Preben Frydkjær
Piccole storie da raccontare: una riflessione di Moravio Martini sulla vita e sulla morte
Ombre e luci di una storia femminile nel libro di Maria Antonietta Cencetti Pazzagli
Lorenzo Querci: un forte equilibrio figurale tra atmosfere sognanti e simboli
Personaggi: Donatella Alamprese, il tango, una voce, tante storie
Polvere di stelle: Riccardo Muti, il piacere dell’onestà
Arte e scienza: gli inaspettati effetti della musica sulla qualità del vino
Giuliana Bertieri a Bolgheri con la personale Insolite cose comuni
Il cinema a casa: Her, la spersonalizzazione dell’uomo nella metropoli di Spike Jonze
Lo sguardo inedito di Luca Nossan sulla meraviglia del creato
Nuove proposte dell’arte: Sherry Farsad, la pittrice dell’anima
Itinerari del gusto: Fornace dei Medici, alta cucina sulle colline alle porte di Firenze
Arte del vino: il Viaggio di Landò
A Sesto Fiorentino, l’edizione 2022 del premio Medaglia Leonardiana
Eventi in Italia: i premiati della seconda edizione del Tamara Art Award 2022
Le “donne corsive” della scultrice Alexandra van der Leeuw conquistano Venezia
Riflessioni sulla fede: Carlo Acutis, una storia di santità al tempo di Internet
La ricerca della bellezza universale nei dipinti di Silvia Cerio
Toscana a tavola: spigola al Ronchì Pichi, un piatto per l’estate
“A tavola con” Pamela Villoresi, celebre attrice e regista con la Toscana nel cuore
Nuovi servizi e un’offerta superior per i clienti di B&B Hotels Italia
Cura della persona: proteggere pelle e capelli dopo l’esposizione al sole
Flavio Benvenuti, Ponte a Vicchio, olio su tela
afbenvenuti@gmail.com
Loretta Casalvalli, Rose del nostro giardino,
olio su tavola, cm 50x60
loretta.casalvalli@live.it
In copertina:
Nicolas Froment (1430-1486), Resurrezione di Lazzaro, pannello centrale del trittico con Resurrezione di Lazzaro /
Storie di Marta e Maria (1461), olio su tavola, cm 134x350 (opera intera), Gallerie degli Uffizi (ph. Carlo Midollini)
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Anno 5 - Numero 7 - Luglio/Agosto 2022
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Antonio Desantis
Alberto Desirò
Lorenzo Franchi
Marco Gabbuggiani
Silvia Lelli
Carlo Midollini
Todd Rosenberg
Francesca Woodman
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Pola Cecchi e...
l’incredibile
magia
di un incontro
Può uno splendido
foulard sposarsi alle
linee sinuose dell’alta
sartoria e trasformarsi
in un prezioso
abito da sera?
Può da questo
prendere l’aspetto
brioso di un
abito da cocktail?
E ancora salire a bordo
di incantevoli yacht
esibendo le curve
morbide e intriganti di
un abito da barca?
La frusciante
leggerezza dell’estate
è un miracolo nato
dalla collaborazione tra
l’Associazione Amici
del foulard - disegno
dell’artista Grazia
Tomberli - e la verve
creativa di Pola Cecchi.
Qui, insieme, in piazza
Ognissanti, per la Cena
sotto le Stelle a favore
di ATT, Associazione
Tumori Toscana.
Modella per un giorno
Letizia Dei, soprano.
Atelier
Giuliacarla Cecchi
Showroom:
via J. da Diacceto, 14 - Firenze
Sito:
www.giuliacarlacecchi.com
Facebook:
Atelier Giuliacarla Cecchi
Instagram:
ateliergiuliacarlacecchi
Eventi in
Toscana
Terre degli Uffizi a Scarperia e San Piero a Sieve
Dopo quasi duecento anni il trittico di Nicolas Froment torna nel Convento di Bosco ai Frati
Maria Grazia Dainelli / foto Carlo Midollini e Cristina Andolcetti
Dal 1° giugno al prossimo 6 novembre
il trittico con le Storie di Lazzaro,
Marta e Maria, realizzato dal
pittore francese del Quattrocento Nicolas
Froment, torna dopo duecento anni al Convento
di Bosco ai Frati (San Piero a Sieve)
da dove era stato rimosso, a seguito delle
soppressioni napoleoniche e granducali del
1808/10. Il dipinto venne allora trasferito a
Firenze, presso il monastero di San Niccolò
di Cafaggio, e successivamente nel 1841
nelle Gallerie degli Uffizi, dove, non facendo
parte della collezione esposta, fu conservato
nei depositi. L’iniziativa si inserisce
nell’ambito di Terre degli Uffizi, programma
espositivo promosso da Gallerie degli
Uffizi e Fondazione CR Firenze all’interno
dei rispettivi progetti Uffizi Diffusi e Piccoli
Grandi Musei, ed è organizzata dall’Unione
Montana dei Comuni del Mugello in collaborazione
con il Comune di Scarperia e San
Piero e lo stesso Convento di Bosco ai Frati.
L’opera, dipinta dal pittore avignonese Nicolas Froment
nel 1461, raffigura le storie di Maria e Marta di Betania e la
Il trittico di Nicolas Froment
resurrezione del fratello Lazzaro. Quest’ultimo episodio è
raffigurato nel pannello centrale, con Gesù che pronuncia
le parole che si vedono scritte sulla
sua veste in caratteri d’oro Lazare
veni foras e Lazzaro che si erge
dal sepolcro sotto lo sguardo atto-
via Provinciale 5 e
Scarperia e San Piero (FI)
055 8498108
Le due raffigurazioni sul verso del trittico: sull’anta destra il vescovo Francesco Coppini in preghiera e sull’anta
sinistra la Vergine con il Bambino
TERRE DEGLI UFFIZI
7
Presentazione della mostra: da sinistra il presidente dell’Unione Montana Comuni del Mugello e sindaco di Dicomano Stefano Passiatore, il sindaco di Scarperia
e San Piero e assessore al Turismo dell’Unione Montana Comuni del Mugello Federico Ignesti, fra Mario Panconi, il presidente della Fondazione CR Firenze Luigi
Salvadori e il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt
nito delle sorelle Marta e Maria, entrambe piangenti. Sullo
sportello di sinistra è rappresentata la scena in cui Marta
va incontro a Gesù per avvisarlo della morte del fratello,
mentre sull’anta destra si vede Maria che rende omaggio
a Gesù ungendogli i piedi con un balsamo profumato; sul
verso dell’opera sono rappresentati invece la Vergine con
il Bambino (anta sinistra) e Francesco Coppini in ginocchio
(anta destra). Influenzato dalla pittura fiamminga, Nicolas
Froment delinea le fisionomie dei personaggi con
caratteri somatici molto caricati e manifesta un gusto per
il dettaglio portato all’estremo nella rappresentazione delle
vesti e degli oggetti che richiamano il fasto delle corti;
il paesaggio sullo sfondo evoca invece il mondo fiabesco
nordeuropeo del XV secolo. Sembra che l’opera sia stata
commissionata dal vescovo Francesco Coppini nel corso
delle sue missioni diplomatiche e che alla sua morte il dipinto
sia stato acquistato dalla famiglia Medici e donato
al convento mugellano da Piero il Gottoso, figlio di Cosimo
il Vecchio. Il trittico di Froment è attualmente ospitato
nella stessa sala del convento dove si trova anche il
Crocifisso ligneo attribuito a Donatello. Il direttore delle
Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt ha così commentato l’iniziativa:
«Pochi sanno che alcuni capolavori assoluti della
storia dell’arte francese si trovano in Italia. Tra le opere
del primo rinascimento spicca il trittico di Froment appartenente
agli Uffizi e oggi tornato nel suo luogo di origine
dopo il restauro di alcuni anni fa finanziato dall’associazione
Amici degli Uffizi. Lo avevamo già presentato agli
Uffizi nella Sala del Camino per documentare il recupero
il dipinto e in un prossimo futuro farà parte di una nuova
sezione delle Gallerie dedicata al Rinascimento d’oltralpe.
Come già avvenuto per tutte le altre iniziative di Terre degli
Uffizi, sono certo che anche la mostra di Bosco ai Frati
avrà molti visitatori, i quali potranno ammirare l’opera in
un luogo spirituale che stimola all’osservazione e alla meditazione.
Un evento espositivo unico anche perché consente
di scoprire gli altri tesori del convento, del museo
e della chiesa di recente riapertura dopo il terremoto del
2019». «Questo affascinante progetto Terre degli Uffizi –
ha dichiarato il presidente della Fondazione CR Firenze Luigi
Salvadori – sta riscontrando grande successo perché
permette di riscoprire tesori meno noti del nostro territorio
ma non per questo meno affascinanti. È una grande
soddisfazione per me lavorare in squadra con gli Uffizi
per rilanciare il valore universale dell’arte soffermandosi
www.lalocandasanbarnaba.com
8 TERRE DEGLI UFFIZI
Il Convento di Bosco ai Frati (ph. Cristina Andolcetti) Il refettorio del convento con L’Ultima Cena in terracotta del 1934
sui significati e sulle intense emozioni
che questa riesce a sprigionare.
Il convento di San Piero a Sieve,
immerso tra i cerri e molto caro a
Cosimo il Vecchio, nella sua storia
millenaria ha visto passare ben cinque
papi e, tra queste mura, Donatello
e Beato Angelico hanno creato
alcuni dei loro maggiori capolavori.
Il ritorno della pala d’altare riaccende
i riflettori su questo gioiello nascosto
che, siamo certi, affascinerà
e sorprenderà coloro che visiteranno
quest’oasi di silenzio, preghiera
e stupefacente bellezza». Particolare
soddisfazione per l’iniziativa
è stata espressa anche dal presidente
dell’Unione Montana Comuni
del Mugello e sindaco di Dicomano Stefano Passiatore:
«Il Mugello è un territorio ricco di opere d’arte e di storia
che s’intrecciano con i nomi degli artisti che hanno fatto
grande Firenze e la Toscana. Oltre al Museo di San Bonaventura
a Bosco ai Frati, abbiamo un sistema museale di
altri diciassette piccoli musei che ci auguriamo possano
in futuro ospitare altri tesori delle Gallerie degli Uffizi, per
offrire a cittadini e turisti un’occasione a dir poco unica.
Il trittico di Froment, che torna dove è stato per secoli, in
un luogo vocato alla preghiera e all’introspezione, diventa
un segno di speranza, un’opportunità imperdibile oltre
che un motore di sviluppo territoriale e turistico». Il sindaco
di Scarperia e San Piero nonché assessore al Turismo
A sinistra il Crocifisso ligneo attribuito a Donatello e a destra il trittico di Nicolas Froment
dell’Unione Montana Comuni del Mugello Federico Ignesti
ha aggiunto: «È importante per noi ospitare questa mostra
sul nostro territorio perché ci ricorda che è possibile gustare
il bello solo quando si vive in pace e in democrazia,
cosa che purtroppo da altre parti del mondo non avviene.
La voglia di portare avanti valori di condivisione attraverso
la cultura e l’arte serve a far dialogare i popoli e ad avvicinare
la comunità ai luoghi che fanno parte della nostra
identità. In questo convento, dove San Bonaventura da Bagnoregio
ricevette gli abiti cardinalizi e dove ancora oggi
operano i francescani che hanno riaperto l’attività liturgica,
ci viene offerto un momento di riflessione interculturale
sulla dignità dell’uomo e sulla fratellanza. Questa
importante testimonianza del nostro
passato nobilita ulteriormente le terre
del Mugello e la loro storia, comunicando
i nostri costumi, il modo di vivere,
la democrazia e il bello, aspetti
sui quali si fondono valori e diritti di
una comunità civile».
Viale J.F.Kennefy 25
Scarperia e San Piero (FI)
0552029621
www.boscoaifrati.org
TERRE DEGLI UFFIZI
9
I libri del
mese
Giovanni Bogani
Ancora un attimo, per favore: un viaggio nella memoria che mette a nudo l’anima
di Erika Bresci
Andremo piano, una passeggiata al giorno, di ricordo
in ricordo, e quando non ci sarà più niente da ricordare,
mi canterò una piccola ninna nanna che
«sentirò solo io, e forse sentirai anche tu». Un camminare, lento,
questo di Giovanni Bogani – giornalista, critico cinematografico,
scrittore di saggi e di romanzi – che prende avvio da un evento
doloroso. La morte della madre. Una «straordinaria vita qualunque»,
spezzata in un giorno di marzo altrettanto qualunque.
Vissuto come feroce tradimento (della madre, del destino?), una
ferita nella carne difficile da rimarginare, se al titolo del primo
dei 496 attimi, uno per pagina, ripescati dalla memoria per essere
offerti all’occhio del cuore proprio e del lettore, diamo il giusto
peso: “Idi di marzo”. Chi eri, mamma? Che cosa è andato perduto
nel dialogo assente che non siamo mai riusciti a costruire,
lontani cento metri, due vite trascorse in parallelo, cosa si
nascondeva in quell’«amore arruffato, fuori tempo e fuori modo»?
Domande che pongono sul limite dell’abisso, e costringono
a sporgersi verso il nulla, per tentare la risposta. Ancora un
attimo, per favore è, per questo, prima e oltre tutto un libro coraggioso.
Perché non c’è retorica in alcuna delle parole gridate
e, per la maggior parte, sussurrate, in alcuno dei silenzi seminati,
in alcuna delle immagini riaffioranti dalla polla dei ricordi. Un
libro di disarmante nudità, in cui si è disposti a mostrare il petto
pur di arrivare a ricostruire, per quanto è possibile, la collana di
perle – spesso lacrime ma con pagliuzze iridescenti di ironia –
che corrispondono ai battiti di un tempo passato e sempre presente.
Dal quale emergono non solo la madre ma, tra gli altri,
soprattutto il padre, anima candida crocefissa in un corpo malato,
e la nonna Minnie, con cui evidenti sono le affinità elettive:
«I tuoi quadri erano fatti di memoria. Un po’ come forse, adesso,
accade a me, con questi piccoli quadretti, questi acquerelli
fatti di parole». Storia familiare e storia del Novecento si intrecciano
in percorsi comuni. Così i mille sogni della piccola borghesia
del dopoguerra, la seconda casa, un’automobile dignitosa, la
pelliccia e qualche gioiello da mostrare, sono anche i sogni domestici
di una madre (auto)confinata in una realtà di quartiere –
quello delle Cure prima, di Rifredi poi – che rivive nelle figure e
nelle cose di una Firenze che non c’è più. Dove si respira il ribollire
inquieto di una gioventù in aperto contrasto con le tradizioni
e il vecchio mondo dei padri, gioventù che supera la siepe del
borgo antico per esplorare quella che Europa non è ancora. Anni
di giradischi, chitarre, viaggi all’avventura, biciclette e motorini
Ciao (soppiantati poco più tardi dalla mitica Vespa). Una pagina,
un racconto. In ciascuno dei quali il lettore potrà ritrovare anche
una parte di se stesso, o imparare a conoscere le pieghe umorali
di un’Italia dalle mille speranze e dalle infinite contraddizioni.
Insieme ai tanti nomi dei personaggi incontrati – alcuni solo
di sfuggita, altri rimasti per sempre amici – da Giovanni Bogani
nei suoi anni di professione giornalistica, e qui ricordati. Anche
percorrere il libro sarà una scoperta. Lo si potrà fare saltando
qua e là, o fermandosi su un racconto a sera, o, come consiglio,
leggendolo tutto di seguito, rispettandone la scansione dei fogli
di cui si compone. Perché le «singole pagine concluse, perfette,
valide ciascuna per sé» sono «al tempo stesso inserite in un tutto
in progressione, come i cerchi concentrici nell’acqua di un lago
profondo», come rammenta Simone Casini nella postfazione.
Infatti nell’arco delle oltre cinquecento pagine, episodi riemersi
tornano, rivestendosi ogni volta di nuovi particolari, di scorci inediti,
di visuali prospettiche, di colori, come se in quella profondità
del pozzo ci fosse sempre acqua nuova da trarre alla luce.
Acqua e segreti. Tanti, confessati adesso alla madre che non c’è
più per dare un senso di pace a questo dedicato e appassionato
nostos. Libro di segreti svelati e di Mistero che resta invece irrisolto.
Perché al di là del velo di Maya, oltre le colonne d’Ercole,
Ulisse precipita nel silenzio di un infinito, di un’eternità che non
conforta. Noi ci proviamo, alla Marzullo, allora, cambiando un
solo accento al titolo: àncora un attimo, per favore. E restiamo in
rada, godendoci il tramonto. O forse l’alba.
10
GIOVANNI BOGANI
A cura di
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte
in Toscana
Il convento e la chiesa di Santo Stefano
degli Agostiniani a Empoli
di Ugo Barlozzetti
La chiesa di Santo Stefano si trova nel centro
storico di Empoli e fu eretta dagli agostiniani
nel 1367. Nel XVIII secolo andò incontro
a radicali modifiche e, con la soppressione del
1808, divenne proprietà demaniale. Subì inoltre molti
danni per opera dei tedeschi nel 1944, per poi essere
restituita al culto, mentre parte del complesso
conventuale è rimasto di proprietà comunale ed è
utilizzato per iniziative culturali. La chiesa del convento
aveva anche un elegante campanile alto 46
metri, progettato da Jacopo Landini ed eretto tra il
1618 e il 1686 sul modello del campanile della chiesa
agostiniana di Santo Spirito a Firenze. L’interno
è scandito da massicci pilastri nella parte centrale
che dividono l’ambiente in tre navate, con quattro
cappelle a sinistra, cinque a destra e tre absidali. La
copertura è a capriate in vista. La struttura ha due
grandi oratori dove ebbero sede la Compagnia della
Croce e la Compagnia della Santissima Annunziata,
che avevano anche cappelle all’interno della
Casa della cornice
www.casadellacornice.com
chiesa. Notevole è il patrimonio di scultura e pittura che testimonia
l’importanza del complesso grazie alla presenza di opere
di grandi maestri. La cappella della Santissima Annunziata
a destra dell’altare maggiore fu affrescata da Gherardo Starnina
(notizie tra il 1387 e il 1409), artista che aggiornò l’ambiente
fiorentino delle più recenti esperienze tardogotiche, con
un ciclo di storie della Vergine di cui restano un frammento
con un San Jacopo in loco e altri invece ora al Museo della
Collegiata di Sant’Andrea. Ancora più a destra vi è l’oratorio
della Compagnia della Santissima Annunziata che sull’altare
ha il gruppo dell’Annunciazione di Bernardo Rossellino (1409-
1464), uno dei protagonisti della scultura fiorentina del Quattrocento.
La cappella del Santissimo Sacramento è dal 1505
l’oratorio della Compagnia della Croce e aveva sull’altare una
Deposizione di Ludovico Cardi detto Il Cigoli (1559-1613), figura
di straordinario interesse, amico di Galileo Galilei oltre
che pittore, scultore, architetto, scenografo, interessato alla
musica e accademico della Crusca. La sua opera fu acquisita
dal granduca Ferdinando II e sostituita da una copia di Anton
Domenico Gabbiani (1652-1726), che a sua volta era uno
dei pittori più apprezzati a corte. La
cappella di Sant’Elena fu decorata
da Masolino (1383-tra il 1440 e il
1447) con Storie della Croce in gran
parte distrutte dai rimodernamenti
del 1792. La cappella della Maddalena,
la quarta a destra, conserva
affreschi con storie della vita della
Santa, opere di Stefano d’Antonio
Masolino da Panicale, Vergine col Bambino tra due angeli, affresco, lunetta nella chiesa di
Santo Stefano degli Agostiniani, Empoli
di Vanni (1405-1483), uno degli ultimi continuatori della pittura
di gusto tardogotico, collaboratore di Bicci di Lorenzo (1373-
1452). La cappella di Sant’Antonio di Tolentino, la prima a sinistra,
conserva un dipinto di Bicci di Lorenzo, San Nicola da
Tolentino che protegge Empoli dalla peste (1445), incorniciato
nel 1634 con una tela con la Madonna del Rosario di Francesco
Furini (1603-1646), uno dei più interessanti maestri della
pittura toscana della prima metà del Seicento. La cappella di
Santa Caterina fu affrescata da Ottavio Vannini (1585-1643)
e vi è anche un Martirio di Santa Caterina di Rutilio Manetti
(1571-1639) del 1621. Nella cappella dell’Assunta si trova
una Madonna assunta e Santi, opera del 1659 di Mario Balassi
(1604-1667), pittore che fu anche al seguito del condottiero Ottavio
Piccolomini, uno dei protagonisti militari della Guerra dei
Trent’anni. Nella cappella del presbiterio, a sinistra dell’altare
maggiore, c’è L’adorazione dei pastori di Domenico Cresti detto
Il Passignano (1559-1639), del 1621. Nella cappella della Purificazione
si trovava una pala di Jacopo Chimenti detto l’Empoli
(1551-1640), opera distrutta nel 1944 e sostituita da una
copia antica del San Giovanni Battista di Caravaggio. Di Masolino
vi sono inoltre un Sant’Ivo e i pupilli nel transetto, in una lunetta
con la Vergine col Bambino sopra la porta alla sagrestia.
Adiacente all’edificio ecclesiastico, il chiostro, di gusto rinascimentale,
è impostato su due livelli: la parte inferiore consta di
arcate a tutto sesto su colonne, la parte superiore è una loggia.
Per un’adeguata conoscenza di questo vero e proprio scrigno
vi è l’eccellente monografia di Walfredo Siemoni Santo Stefano
a Empoli / La chiesa e il convento degli agostiniani edito da Polistampa
a Firenze nel 2013.
SANTO STEFANO
11
Quando tutto
ebbe inizio…
A cura di
Francesco Bandini
Gerusalemme, la città santa delle
tre grandi religioni monoteiste
Testo e foto di Francesco Bandini
Bandini con la copia del David del Verrocchio donata dalla città di Firenze alla
città di Gerusalemme per i tremila anni di storia dalla sua fondazione
Una vera e propria storia d’Israele, documentata come
tale, non data da prima dell’XI-X secolo a. C.,
mentre si pensa che la raccolta dei testi scritti che
formano la tradizione biblica non sia anteriore al ritorno
degli Ebrei dalla deportazione di Babilonia del V secolo a.
C. Da quel tempo si fa strada l’idea di un Dio unico grazie a
gruppi di ebrei “discendenti di Giacobbe”, residente in Egitto
in seguito alla dislocazione nella “terra di Gessen” (o dei
Gebusei), i quali sarebbero stati impressionati o comunque
ispirati dal “monoteismo solare” di Akhnaton. È probabile
che il nome che viene indicato “Yerushalaim” sia connesso
alla radice del verbo yarab (“fondare”) e col nome della divinità
semitica Shalim o Shalom, correlato alla parola che
indica la pace. Dai reperti archeologici sappiamo del primo
insediamento del paleolitico anche se la fondazione vera e
propria della città si ha nell’età del bronzo all’alba del II millennio
con la presenza degli Amorrei e la prima recinzione
di mura e torri. Più o meno mezzo millennio dopo, la città
sulla collina di Sion comincia ad essere popolata in modo
misto, con la prevalenza di un’aristocrazia militare e delle
genti hurrite di lingua indoeuropea. Nella seconda metà del
II millennio a. C. dagli Habiru (“nomadi”) dovrebbe derivare
il nome di ebrei, affine agli idiomi consonantici arabi che
invasero quella che la Bibbia chiamerà “la terra di Canaan”.
Appartenevano a questi gruppi di nomadi quelle genti che,
vantando una discendenza abramitica, si spostarono ad
ondate successive spinte dalle ricorrenti carestie in Egitto.
È nel XIII secolo a. C. che verosimilmente si colloca la storia
di Mosè (ma le fonti egizie non ne parlano), dalla sua
adozione nella famiglia reale egizia al suo matrimonio nella
regione di Madian, al fatidico colloquio con Dio nel roveto
ardente (l’attuale monastero di Santa Caterina nel Sinai
definito “dimora di Dio”), dove Mosè avrebbe poi ricevuto le
Tavole dei Comandamenti. Trascorsi quarant’anni nel deserto,
ecco di nuovo gli ebrei nella terra di Canaan dove si
trova, tra l’XI e il X secolo a. C., la città conquistata dal re
David, figlio di Jesse della tribù di Giuda. L’Arca dell’Alleanza
con le tavole e le reliquie dell’esodo venne posta nella
rocca sull’Ofel. Gerusalemme è così la nuova capitale
del regno. La massa del tempio domina ancora oggi l’impianto
urbano della città vecchia, quella tuttora circondata
dalle mura di età crociata. La parte superiore di quel che
resta dell’antica mole del tempio è occupata da un immenso
piazzale, l’Haram-ash-Sharif (“nobile recinto”) intorno al
quale sono disseminati vari edifici di grande importanza
storica. Tra essi si distinguono la Cupola della Roccia detta
anche Moschea di Umar, in onore del califfo che nel 638
conquistò la città togliendola al controllo dell’impero romano
d’Oriente. Il tempio viene edificato sul monte Moriah
dove, secondo la tradizione, Abramo avrebbe predisposto
il sacrifico d’Isacco. I musulmani chiamavano e continuano
a chiamare Gerusalemme “al Quds” la Santa. Secondo
una celebre tradizione, Muhammad fu trasportato in una
notte del 619 dalla Mecca fino alla al-Aqsa (“la lontana”)
in Gerusalemme per intraprendere l’ascesa ai cieli in sella
al cavallo al-Buraq, secondo la più citata opera poetico-religiosa,
il Kitab-al-Miraj (“il libro della Scala”), portato, nella
seconda metà del Duecento, in traduzione latina, dalla
Spagna a Firenze, da Brunetto Latini, che lo avrebbe fatto
conoscere al più illustre dei suoi allievi, Dante Alighieri.
Con detta leggenda, le maestranze islamiche intesero
in qualche modo far concorrenza alla cupola dell’Anastasi
con l’ascesa ai cieli di Gesù. Oggi Gerusalemme è di fatto
la capitale dello Stato ebraico d’Israele, ma sul piano internazionale
tutta la vita religiosa e lo straordinario patrimonio
archeologico della città, con la presenza di santuari
collegati ai vari culti (vedi la cattedrale costantiniana del
Santo Sepolcro), fanno sì che venga considerata “la santa
dimora di Dio in terra”, concetto condiviso da tutti i credenti
sparsi nel mondo. Ancora brevi cenni sulla recente
12
GERUSALEMME
Francesco Bandini, L'interno del Duomo della Roccia (o Moschea di Omar) a
Gerusalemme, penna e acquerello
La Cupola della Roccia
Francesco Bandini, L'ingresso alla basilica costantiniana del Santo Sepolcro,
penna e acquerello
storia. Ai tre secoli di sudditanza dell’impero bizantino di
Costantino seguirono gli Ommayadi, gli Abbasidi e i Fatimidi
che scatenarono una vera e propria persecuzione contro
i cristiani provocando così la prima crociata del 1099. Ancora
i Mamelucchi (1254-1382), i Circassi (1382-1517) e
lo splendido periodo del Califfo Solimano detto il Magnifico
(1542). Nel dicembre 1917, i Turchi, sotto l’incalzare
dell’offensiva alleata (guerra mondiale 1915-1918), abbandonarono
Gerusalemme e la città nel 1920 fu dichiarata
capitale della Palestina sotto mandato inglese, fino a quando
l’ONU nel 1947 rese la città internazionale. Seguiranno
scontri armati fra israeliani e giordani al termine dei quali
(1986), con la guerra detta “dei sei giorni”, la città fu dichiarata
capitale dello Stato d’Israele. Ma questa è storia
dei nostri giorni. Con il breve riferimento alla “guerra dei
sei giorni” mi permetto però di ricordare con orgoglio quello
che io ritengo essere un mio contributo personale. Proprio
in quegli anni avevo presentato al Forte Belvedere un
mio progetto di recupero delle antiche mura medievali di
Firenze. Il progetto pubblicato (Su e giù per le antiche mura,
Ed. Alinari) e l’intero apparato che
ne faceva parte furono esposti in varie
città di tutto il mondo, compresa
Gerusalemme dove combinazione
volle che la vedesse David Cassuto,
un giovane fiorentino andato volontario
a Gerusalemme, poi divenuto
vicesindaco di quella città. Fu in tale
occasione che Cassuto mi chiese
di collaborare al restauro delle mura
della Città Santa, dove in seguito ebbi
modo di collocare presso le stesse
mura (Porta di Giaffa), nella mia
veste di dirigente del settore cultura,
una copia bronzea del David del Verrocchio
quale dono della città di Firenze
alla città di Gerusalemme per
i tremila anni di storia dalla sua fondazione.
GERUSALEMME
13
Mostre in
Toscana
Mirrors
Dal 3 all’11 settembre a Prato quindici fotografe contemporanee omaggiano
Francesca Woodman con una mostra sull’autoritratto
di Maria Grazia Dainelli / foto Alberto Desirò
Dal 3 all’11 settembre 2022, la Sala Campolmi a Prato
ospita la collettiva di fotografia contemporanea intitolata
Mirrors. Promossa ed organizzata da AD Gallery
di Alberto Desirò, in collaborazione con Vittorio D’Onofri, Romina
Sangiovanni ed Erika Lacava, e patrocinata dal Comune
di Prato, la mostra vuole essere un tributo a Francesca Woodman,
una delle più importanti fotografe del secondo Novecento
vissuta fra gli Stati Uniti e l’Italia, in particolare Firenze e Roma.
Tutta la sua produzione fotografica, concentrata nell’arco
di tempo di nove anni, vive nel rapporto tra il corpo della Woodman,
oggetto e soggetto dei suoi scatti, e il suo sguardo. Protagoniste
della mostra quindici artiste – Arianna Marchesani,
Chiara Dondi, Giorgia Bellotti, Gloria Marco Munuera, Ilaria Feoli,
Ingrid Strain, Isabella Quaranta, Maria Chiara Maffi, Rossana
Battisti, Michela Goretti, Montserrat Diaz, Paola Tornambè,
Paola Perrone, Rossana Battisti, Teresa Letizia Bontà, Patrizia
Mori, Paola Rizzi, Giovanna Lacedra, Alita Santanatoglia, Annalisa
Lenzi, Erica Campanella, Greta Di Lorenzo, Federica Gonnelli,
Valeria Lobbia, Camilla Biella – che, ispirandosi al lavoro
della Woodman, si sono cimentate nell’autoritratto fotografico
allo specchio per indagare il proprio sé ed esprimere la propria
identità. L’autoscatto è molto diffuso come strumento di
introspezione e come momento di riflessione sulla percezione
di sé stessi sia come soggetto di narrazione che come oggetto.
Autorappresentarsi con lo strumento fotografico permette
all’artista di evitare mediazioni, funziona come uno specchio
attraverso l’utilizzo di due elementi magici: il corpo e la macchina
fotografica. Durante la serata inaugurale dell’evento le artiste
incontreranno il pubblico per spiegare i loro lavori.
www.adgallery.it/eventi/mirrors
MIRRORS - Evento di fotografia Contemporanea - Sala
Campolmi - Prato
AD Gallery Mirrors - Facebook: Mirrors
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
14
MIRRORS
Alberto Desirò
Fotografo professionista, è fondatore e coordinatore di AD Gallery - Fotografia Contemporanea
di Maria Grazia Dainelli / foto Alberto Desirò
Fotografo professionista, fondatore e coordinatore di
AD Gallery - Fotografia Contemporanea, realtà espositiva
con sede a Firenze aperta soprattutto a fotografi
italiani per mostre personali e collettive, Alberto Desirò
è specializzato nei generi del ritratto, del nudo, della moda,
dello still life, dell’architettura, dell’arredamento e nella ideazione
di immagini pubblicitarie. Si occupa anche di reportage
per eventi e matrimoni e di fotografia pubblicitaria e
commerciale finalizzata alla produzione di cataloghi e pubblicazioni.
Parte integrante del suo lavoro è anche l’ideazione,
l’organizzazione e la curatela di progetti espositivi che
si contraddistinguono per la meticolosa cura dei particolari,
l’attenzione verso gli artisti e le loro opere e la relazione
costruita con il pubblico. Alla base vi
è una profonda conoscenza delle pratiche
curatoriali più innovative nel mondo
della fotografia contemporanea,
intesa come uno strumento capace di
costruire un rapporto unico con la realtà
e di far riflettere le persone sulle dinamiche
dell’odierna società. Nel 1991,
Alberto ha conseguito il Master in Fotografia
Pubblicitaria presso l’Istituto Europeo
di Design di Roma e nel 1999 il
Alberto Desirò
Master in Multimedia all’Istituto Europeo di Design di Milano.
Tra il 1999 e il 2016 si è occupato di formazione e ricerca
in particolare nei
settori di fotografia,
tecnologie software
per video e soluzioni
per il Web. È stato
inoltre docente in corsi
di teoria e tecnica
della fotografia del ritratto,
fotografia per
le aziende e fotografia
creativa per scuole
ed enti.
Hair
Intimo
www.adphotography.it
MIRRORS
15
Cinzia Pistolesi
www.cinziapistolesi.com
cinzpistol@virgilio.it
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Spunti di critica
fotografica
Francesca Woodman
La fotografa dell’autoritratto come strumento d’introspezione
di Nicola Crisci / foto Francesca Woodman
Nata nel 1958 a Denver (USA) da padre pittore e madre
ceramista, Francesca Woodman si cimenta nella
fotografia precocemente all’età di 13 anni. Vissuta
per diverso tempo in Italia, è morta suicida nel 1981 all’età
di 23 anni lanciandosi nel vuoto da un palazzo di New York.
Pur avendo avuto una breve carriera artistica, ha realizzato
molte fotografie e sei quaderni scritti tra il 1977 e il 1978
durante un soggiorno-studio a Roma. Nel gennaio del 1981
ha pubblicato la collezione di fotografie dal titolo Some Disordered
Interior Geometries, nella quale ricorrono alcuni dei
temi caratteristici della sua ricerca, vale a dire corpo e spazio,
presenza e assenza, identità e metamorfosi. Un’artista
dal talento visionario che continua ad affascinare il pubblico
ancora oggi, nonostante siano trascorsi trent’anni dalla
sua scomparsa. Filo conduttore delle sue fotografie è l’indagine
introspettiva attraverso l’autoritratto, mezzo con cui riprendere
se stessa per mettere a fuoco la propria identità.
Nella maggior parte delle fotografie ritrae il suo corpo celandolo
alla vista e nascondendo il volto con i capelli, con il taglio
dell’inquadratura oppure sfocando l’immagine. Il corpo
diventa un potente strumento espressivo messo in relazione
con l’ambiente circostante, in una sorta di mimetizzazione
che lo fa diventare evanescente fino quasi a scomparire.
La scelta di mimetizzarsi corrisponde alla necessità di uniformarsi
con il mondo senza tuttavia riuscirci perché il corpo
reagisce cercando di allontanarsi e di sfuggire in un costante
conflitto. Il nudo è per lei un’esigenza che va al di là delle
implicazioni di natura erotica per coincidere invece con
una ricerca di autenticità. L’autoscatto di Francesca Woodman
unisce il realismo della tradizionale fotografica americana
alla dimensione psicologica del surrealismo, anticipando
in un certo senso l’odierna moda del “selfie”. Rendendo se
stessa protagonista, ha raccontato la storia della sua vita,
l’ha scritta sulla pellicola attraverso l’unico linguaggio che
amava: la fotografia. A Roma, nelle cantine di Palazzo Cenci,
ha realizzato il progetto intitolato Self-deceit (Auto-inganno),
servendosi di uno specchio quadrangolare, o meglio di
un grande frammento di esso, per mettere in scena immagini
surreali che delineano un drammatico conflitto tra se stessa
e la propria immagine. Francesca Woodman ha arricchito
la fotografia tradizionale, soprattutto quella americana, con
la complessità del suo mondo interiore, del suo dialogo interno.
Di sé diceva: «La mia vita a questo punto è paragonabile
ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto
morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché
cancellare confusamente tutte queste cose delicate».
FRANCESCA WOODMAN
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Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Riitta Nelimarkka
Libertà e anticonformismo di un’artista fuori dagli schemi
di Daniela Pronestì
Artista, produttrice, regista, esperta di
musica: quella di Riitta Nelimarkka è
una creatività a tutto tondo che ben
si riflette nella grande varietà di tecniche e di
spunti ispirativi alla base delle sue opere. Si
va dal fotomontaggio all’arte tessile – soprattutto
lana e velluti –, dal disegno alla serigrafia,
passando attraverso tematiche attinte dal
cinema, dalla letteratura, dalla musica e ovviamente
anche dall’esperienza personale. Il
risultato è un linguaggio dalle mille sfaccettature
e per questo difficile da incasellare in
un unico genere soltanto o in una precisa definizione.
Potremmo parlare piuttosto di un’opera
d’arte totale nella quale, ricalcando la
tradizione ottocentesca e romantica dell’intima
fusione tra le arti, si avverte l’aspirazione
al raggiungimento di una sintesi tra pittura,
musica, scultura, parola e danza. Il rilievo
materico dei tessuti, lo sviluppo coreografico del segno,
gli accordi e le dissonanze tra i colori, l’intreccio narrativo
che lega le forme alle figure: aspetti che rendono questi suoi
lavori di Riitta espressione di una totalità ottenuta non sommando
tra di loro linguaggi diversi, ma facendoli convivere
Apollon (1995), velluto, cm 95x135
l’uno con l’altro in maniera armonica, come parti di un tutto
e quindi interdipendenti. L’obiettivo è abbastanza chiaro:
rendere l’opera “viva”, universale, capace di accogliere al suo
interno tutta la complessità del reale, riunendo ciò che solitamente
è separato, creando unità dalla fusione di elementi
My very determined grand mother (2021), lana, cm150x250x4,5
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RIITTA NELIMARKKA
Magique, le pilote jaune (2019), serigrafia, cm 30x45
eterogenei. In questa ibridazione tra generi rientra anche la
combinazione tra registri aulici, con citazioni di grandi classici
della musica, del cinema e dell’arte, e tematiche tratte invece
dalla cultura popolare, includendo in quest’ultima anche
suggestioni tratte dal mondo giovanile e dalla grafica pubblicitaria.
Quelli di Riitta, in effetti, sono racconti il cui significato
cambia a seconda di chi li interpreta: l’osservatore attento
potrà cogliervi riferimenti ai meccanismi psichici dell’arte
surrealista, alla purezza e semplificazione coloristica della
pittura fauve, agli accenti simbolici e favolistici dell’immaginario
chagalliano; l’osservatore “comune” vi leggerà invece
similitudini con il linguaggio dei fumetti, l’illustrazione per
l’infanzia, i film di animazione per bambini. E sempre dallo
sguardo dell’osservatore dipende la capacità di individuare
in quest’arte colorata, energica, gioiosa, a tratti teatrale nella
maniera di rappresentare la varietà del mondo, la presenza
di un dramma nascosto dietro le quinte, di una riflessione
tragicomica sull’esistenza. Si tratta tuttavia di un’ambivalenza
raggiunta senza sforzi, in maniera “naturale”, verrebbe da
dire, come inevitabile conseguenza di un modo libero, anticonformista,
persino “anarchico”, se vogliamo, di intendere
e di vivere l’atto creativo. Perché limitarsi ad una sola tecnica,
ad un solo genere o linguaggio quando è possibile invece
far dialogare la bidimensionalità della pittura con la tridimensionalità
dell’arte tessile, il realismo della fotografia con i voli
pindarici della fantasia, le citazioni del mondo classico con
l’immaginario pop? In fin dei conti l’arte – sembra dire Riitta
Nelimarkka – deve saper fare anche questo: superare confini,
barriere ed etichette per essere libera, autenticamente libera,
doverosamente libera.
www.nelimarkka.com
Babylonia (1989), matite colorate, cm 30x35
Preludes, le faune de la terre rouge (2020), fotomontaggio su plexiglass, cm 80x100
RIITTA NELIMARKKA
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Milvio Sodi
Introspezioni
La personale dell’artista, in corso
dal 14 maggio al 30 giugno 2022
presso il Florence Dance di Marga
Nativo a Firenze, è stata prorogata
al 28 luglio.
Uno dei quattro lavori di Milvio Sodi
che saranno sul palco del Florence
Dance Festival nel chiostro grande
della Basilica di Santa Maria Novella
il prossimo 16 luglio come scenografia
per la coreografia intitolata
Introspezioni.
A cura di
Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli
Grandi mostre in
Italia
Surrealismo e magia
L’esoterismo all’origine dello storico movimento d’avanguardia
nella mostra alla Collezione Peggy Guggenheim
di Miriana Carradorini / foto Miriana Carradorini e Matteo De Fina
Durante la sua attività come collezionista,
Peggy Guggenheim è entrata in contatto
con molti personaggi del mondo dell’arte
come André Breton, teorico del Surrealismo, e si è
imbattuta in numerose opere di artisti surrealisti,
rimanendo affascinata soprattutto da quelle di
Max Ernst, con il quale ha anche intrattenuto una
relazione sentimentale. In seguito a questo incontro
“magico”, Peggy ha iniziato a raccogliere nella
sua collezione diverse opere di questi artisti, molte
delle quali ancora oggi fanno parte della Collezione
Peggy Guggenheim a Venezia. Proprio negli
spazi espositivi del museo veneziano è in corso
attualmente la mostra Surrealismo e magia / La
modernità incantata, che approfondisce il rapporto
tra surrealismo, esoterismo, mitologia ed occulto
grazie anche ad opere concesse in prestito da alcuni
dei più grandi musei di arte contemporanea al mondo come
il Centre Pompidou di Parigi, il Museo Nacional Centro de
Arte Reina Sofia di Madrid e l’Art Institute of Chicago. Aper-
In queste due foto alcuni scorci della mostra
ta dallo scorso 9 aprile e in corso fino al prossimo 26 settembre,
è stata promossa in collaborazione con il Museum
Barberini a Potsdam in Germania, dove sarà spostata dal 22
ottobre 2022 fino al 29 gennaio 2023. La visita ruota attorno
all’enigmatico dipinto di Max Ernst La vestizione della sposa
(1940) e il percorso espositivo illustra le motivazioni e l’approccio
dei surrealisti al mondo dell’occulto. Attraverso le
diverse sezioni della mostra, il visitatore conoscerà in maniera
approfondita la poetica surrealista e l’importanza delle
dottrine esoteriche nel suo sviluppo. Alle opere di artisti
maggiormente conosciuti dal grande pubblico, come Salvador
Dalí, Giorgio de Chirico e René Magritte, si affiancano
quelle di artisti meno rinomati ma altrettanto importanti come
Remedios Varo, Óscar Domínguez e Leonor Fini. Il percorso
espositivo si apre con alcuni lavori e studi sui tarocchi
realizzati da vari artisti, passando poi a sezioni monografiche,
come la stanza dedicata a Ernst e una piccola parte sulle
artiste surrealiste come Leonora Carrington e Dorothea
Tanning, poco note ma molto attive all’interno del movimento
d’avanguardia. Accompagnato non solo da quadri ma anche
da sculture e testi studiati o realizzati dai surrealisti,
l’osservatore alla fine della visita avrà approfondito uno degli
argomenti più coinvolgenti e allo stesso tempo meno noti
del Surrealismo.
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SURREALISMO E MAGIA
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Curiosità storiche
fiorentine
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
La festa di Sant’Anna in Orsanmichele
di Luciano e Ricciardo Artusi
Ogni anno, il 26 luglio, all’esterno della chiesa di Orsanmichele
vengono innalzate le bandiere che rappresentano
le insegne delle antiche corporazioni delle Arti fiorentine.
Questi ventidue vessilli (sette delle Arti Maggiori, quattordici
delle Minori ed uno del Tribunale della Mercatanzia) sono
il ricordo di un avvenimento politico che, nel Trecento, ai tempi
della Repubblica Fiorentina ebbe un importante significato.
Il 26 luglio, infatti, ricorre l’anniversario della cacciata del despota
duca d’Atene, alla quale contribuirono notevolmente gli
artigiani iscritti nelle ventuno Arti cittadine; un solenne avvenimento
per Firenze che oggi, a distanza di oltre sei secoli, è stato
dimenticato. Gualtieri di Brienne, impropriamente noto come
“duca d’Atene”, nel 1342 era fra gli uomini d’arme al soldo della
Repubblica Fiorentina già conosciuto in quanto nel 1326 era
stato vicario del duca di Calabria. La Signoria lo elesse, per la
durata di un anno, prima Capitano della Guardia e poco dopo Capitano
Generale col comando su tutte le milizie della Repubblica.
Con tale autorità il duca iniziò a dare corpo ai suoi propositi
di farsi proclamare Signore di Firenze. Egli cercò pertanto di accattivarsi
la simpatia dei ceti popolari assopendone, soprattutto
con i divertimenti, l’amore per la perduta libertà. Il popolo minuto
lo acclamava quando, con la sua scorta armata, lo incontrava
per le vie della città. Appena ritenne giunto il momento, Gualtieri
di Brienne comunicò ai Priori il suo desiderio di farsi nominare
Signore di Firenze col favore del popolo e, nonostante le loro
proteste, il 7 dicembre 1342 fece bandire per il giorno seguente
tutta la popolazione a parlamento in piazza Santa Croce. Giurando
che avrebbe mantenuto nella più ampia libertà, le leggi e gli
uffici della Repubblica, la mattina dell’8, con i suoi soldati ed un
largo seguito di popolani, il duca da Santa Croce si recò in piazza
della Signoria dove, dall’arengario, i Priori chiesero al popolo
se volesse o meno nominarlo per un anno Signore della città.
La risposta dei masnadieri e dei popolani fu unanime sconfinando
oltre la domanda: «Che sia Signore a vita». E di forza il duca
venne insediato nel palazzo. Non appena Gualtieri si sentì Signore
assoluto, allontanò i Priori e, contro il giuramento dato,
cancellò gli ordinamenti e le leggi repubblicane, governando tirannicamente
col solo scopo di arricchire se stesso e i suoi fidi.
Rimpiangendo la perduta libertà, i fiorentini iniziarono a tramare
congiure finché sfociarono, nella mattina di sabato 26 luglio
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
Andrea Orcagna, Sant’Anna e la cacciata del duca d’Atene, affresco, Palazzo Vecchio
1343, giorno dedicato a Sant’Anna, con una violenta insurrezione
a “correre la città” in armi, a piedi e a cavallo al grido di «muoia
il duca, viva il popolo e la libertà». Barricate e blocchi furono
posti ad ogni sbocco di strada e sui ponti. I soldati del duca vennero
braccati, feriti, uccisi o presi prigionieri. Il duca d’Atene fu
assalito nello stesso Palazzo Vecchio dove si era barricato con
pochi dei suoi fidi, cercando di difendersi, mentre sulla piazza e
nei pressi si trovavano radunati oltre diecimila cittadini armati.
Dopo alcuni giorni di lotta, un consiglio di sette Grandi e sette
Popolani, eletto in Santa Reparata al fine di riformare lo Stato, si
recò a parlamentare dal duca nel Palazzo della Signoria per imporgli
l’abbandono di ogni suo potere. Gualtieri firmò la resa ed il
16 agosto, sotto scorta, uscì dalla Porta San Niccolò diretto nel
Casentino, mentre il popolo festante si recava spontaneamente
con tanta devozione in Orsanmichele all’altare della Madonna
per ringraziarla della grazia ricevuta nel giorno consacrato a sua
madre, alla quale iniziò a dedicare un particolare nuovo culto. Riacquistata
la libertà, la nuova Signoria di Firenze fra le prime decisioni
assunte deliberò che il 26 luglio di ogni anno, in perpetuo,
per ricordare la finita oppressione dello straniero duca d’Atene,
fosse considerato sacro alla libertà dei fiorentini ed onorato con
una solenne festività religiosa e politica nella loro particolare
chiesa-granaio di Orsanmichele. Sono passati quasi sette secoli
da quel lontano 26 luglio, quando sul sacro edificio si cominciò
a far garrire festosamente al vento le “bandiere di libertà” delle
Corporazioni di Arti e Mestieri; tradizione che continua invariabi-
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r
50134 Firenze
le ancor oggi unitamente alla venerazione di
Sant’Anna, pia sposa di Gioacchino che conobbe
solo in avanzata età la grande gioia
di divenire la madre della Madonna ed alla
quale i fiorentini, fino dal 1342, assegnarono
il valore civico oltre che religioso di protettrice
della loro città.
22
LA FESTA DI SANT’ANNA IN ORSANMICHELE
I libri del
mese
Fabrizio Borghini
La commedia toscana: aneddoti e protagonisti di un
genere cinematografico dalla lunga storia
di Erika Bresci
Con La commedia cinematografica toscana Fabrizio
Borghini si rivela ancora una volta tessitore di testi
di stupefacente maestria. Perché in sole novantasei
pagine (filmografia compresa), chiunque si interessi di cinema
– sia questi un cinefilo esperto, o un critico di mestiere
o, come me, un lettore curioso – potrà rintracciare quelle
coordinate (di date, protagonisti e luoghi) indispensabili per
orientarsi all’interno di un genere cinematografico la cui nascita
si fa coincidere con l’uscita di Amici miei (1975) – in
una sorta di passaggio di testimone con la moritura commedia
all’italiana – e la cui fine, nonostante i ripetuti e annunciati
de profundis, non può dirsi ancora annunciata. Nel mezzo
l’onda lunga di più di centocinquanta pellicole, che vede via
via rinnovare la propria cresta, con Benigni prima, i Giancattivi
e Alessandro Benvenuti, Francesco Nuti (una parabola di
successo e dannazione che parte da Madonna che silenzio
c’è stasera fino al tonfo finale di OcchioPinocchio), Leonardo
Pieraccioni (una “scommessa” felice di Rita Rusic e della
Cecchi Gori Group), Giorgio Panariello, Massimo Ceccherini,
Giovanni Veronesi, gli outsider labronici Paolo Virzì e Francesco
Bruni, e tanti altri poi. In una carrellata di nomi e aneddoti
incasellati in una mappa di assoluta perfezione. Il toscano,
guardato con sospetto e fastidio fino alla metà del secolo
scorso, dilaga ormai da più di quarant’anni nelle sale di proiezione
del Bel Paese (e non solo). In realtà, come si scopre
spigolando nelle pagine del libro, le radici della comicità to-
scana affondano in epoca assai
antica e, tutto sommato,
nell’humus proprio del carattere
di un popolo e di una terra
particolari. Così, in rapido
passaggio scorrono davanti
agli occhi il rimando alla poesia
giocosa (e al vetriolo) del
1300, la storia del teatrino della
Baldracca (del Cinquecento),
fino al ricordo di Luigi Del
Buono e il suo Stenterello, ultima
maschera della commedia
dell’arte antica (e siamo a
fine Settecento). «La comicità
nera e il cinismo di Amici miei
rimanda proprio al Decameron
di Boccaccio e alla Mandragola
di Machiavelli che è una
sintesi perfetta di comicità e
realismo. Per chi è toscano è
normale avere una comicità
“La commedia cinematografica toscana nasce
dalla commedia dell’arte; la sua origine
si perde nella notte dei tempi, fa parte del
nostro dna. C’era, fino dagli anni d’oro della
commedia all’italiana, dalla fine degli anni
Cinquanta ai primi anni Settanta, il recupero
di una tradizione antica”.
Mario Monicelli
spietata e corrosiva» ricorda Borghini, prendendo in prestito
le parole di Mario Monicelli. E in tutto il libro, tessute appunto
con passione e amore per la materia, si rincorrono testimonianze
e considerazioni dei protagonisti di questa straordinaria
stagione del cinema italiano. Così la storia di incontri
e collaborazioni, di ruoli in continuo mutar di forma – registi
che diventano attori, attori che si fanno registi, e ancora si
trasformano in autori – si vivifica di sempre nuove esperienze
(con esiti felici o di rottura), raccontate in presa diretta.
Altre tre “voci” impreziosiscono il volume, in apertura: quella
del presidente della Regione Eugenio Giani, che ci ricorda
come «non esiste una sola Toscana… E anche tipi toscani ce
ne sono tanti, si sa…», auspicando che «i toscani che la interpretano
abbiano lunga vita, fervida fantasia e gioiosa voglia
di alimentare ancora questo sogno»; quella di Masolino d’Amico,
che individua quale ingrediente di elisir di lunga vita del
filone il fatto che «I Benigni, i Benvenuti, i Nuti, più tardi i Pieraccioni
e i Ceccherini, e numerosissimi altri erano lì pronti a
scendere in campo, ciascuno con i suoi numeri, diversi ma
condividendo lo stesso linguaggio e lo stesso modo spregiudicato
di commentare il mondo»; quella, infine, di Giovanni
Bogani, che vede in questo racconto «un mondo immenso, di
grandi personaggi o di grandi anime dentro personaggi che rischieremmo
di dimenticare. E che Fabrizio Borghini ci porta
davanti agli occhi e alla mente, con questo suo libro, immenso
album di fotografie».
ISBN 978-88-6039-553-5
E 10,00 (IVA inclusa)
LA COMMEDIA CINEMATO GRAFiCA TOSCANA 1975-2022 FABRIZIO BORGHINI
Masso delle Fate Edizioni
FABRIZIO BORGHINI
LA COMMEDIA
CINEMATOGRAFiCA
TOSCANA
1975-2022
FABRIZIO BORGHINI
23
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Alessandro Grisolini
Dalla recitazione all’insegnamento sempre nel segno di
un amore viscerale per il teatro
di Doretta Boretti / foto courtesy Alessandro Grisolini
Attore, regista, autore e docente,
Alessandro Grisolini, dopo aver conseguito
la laurea in Letteratura inglese,
sta dedicando la sua vita al teatro. A
breve ci “prenderà per mano” e ci condurrà
nel suo straordinario mondo artistico.
Quando è nato in te l’amore per il teatro?
A scuola quando avevo 15 anni. La professoressa
di italiano dedicò tutto il suo tempo
per insegnarci cosa fosse il teatro; ricordo
che ci portò a vedere le prove di attori professionisti
quali Dario Fo e il Gruppo della
Rocca. Da quella esperienza scrissi di getto
il mio primo testo teatrale.
Con il passare del tempo è sempre stata
una scelta confermata? E quali ostacoli
hai incontrato?
La mia famiglia era contraria. Per me volevano il “posto fisso”,
in banca magari. Ma il mio bisogno del mondo del teatro
era ed è ancora più forte di tutto il resto.
Hai recitato i vari generi linguistici anche all’estero. Che
difficoltà comporta per un attore recitare in luoghi con una
cultura diversa dalla nostra?
In questa e nelle altre foto Alessandro Grisolini mentre interpreta alcuni suoi personaggi
Non trovo difficoltà, anzi, piuttosto il piacere di incontrare
altre culture. Dipende dal soggetto dello spettacolo che si
presenta. Ma dato che siamo molto globalizzati, risulta più
facile esprimere dei concetti comprensibili. Incontrare e lavorare
con una equipe di un altro paese ti arricchisce perché
ti viene presentato un altro modo di vedere l’impostazione
del lavoro e come raggiungere il risultato finale della rappresentazione.
Alcuni anni or sono hai presentato anche spettacoli di marionette.
Questa esperienza ha lasciato un segno nella tua
vita professionale?
Sto continuando ancora oggi, e piano piano imparo a gestire
bene i personaggi che manipolo. Fare anche il marionettista
mi ha dato più fiducia in me, perché pensavo di essere
completamente negato e all’inizio manifestavo un forte rifiuto,
dovuto prevalentemente all’insicurezza e alla convinzione
di non essere adeguato. Ma in alcune situazioni ho dovuto
mettermi alla prova e allora mi sono buttato e adesso provo
molto divertimento quando muovo una marionetta.
Quando sei approdato all’insegnamento?
Per la carriera di un insegnante in tarda età. Avevo più o meno
36 anni.
Adesso dove insegni e a quale fascia di età?
Faccio soprattutto progetti teatrali nelle scuole, in lingua italiana
e in lingua inglese. Ultimamente lavoro anche su progetti
di inclusione all’interno di classi di studenti con difficoltà
di vario genere.
24
ALESSANDRO GRISOLINI
Grazie a queste nuove riaperture,
dopo la grande pandemia, la
stagione estiva 2022 si presenta
ricca di eventi. Che cosa hai
da proporre ai nostri lettori?
Sono stato a Sesto Fiorentino
alla Biblioteca Ragionieri l’11
giugno per uno spettacolo di marionette
sulla gestione della rabbia
nei bambini. Il 26 giugno, a
Pian di Mesola, comune di Reggello,
ho presentato un Don Chisciotte
per bambini, e il 13 luglio,
invece, sempre a Sesto Fiorentino,
racconterò la storia di Sedna,
personaggio della cultura Inuit.
Una storia che gli adulti del popolo
Inuit narrano ai loro bambini
dall’inizio dei tempi: una donna
vive nel fondo del mare e cura
tutti gli animali marini. Ma come lei sia arrivata nelle profondità
dell’oceano lo scoprirete venendo a vedere uno
spettacolo con attori, marionette e un video animato prodotto
dalla associazione TeatroLà. Inoltre, per saperne di
più, potete andare sul sito della mia associazione culturale:
www.teatrola.it.
Eventi in
Toscana
H Zero Museum
Apre a Firenze un luogo che celebra l’immaginario del
treno attraverso il più grande plastico d’Europa
di Barbara Santoro / foto courtesy H Zero
Anche all’epoca dell’alta velocità ferroviaria, il treno continua
a toccare corde emotive profondissime perché
alimenta suggestioni e visioni che talvolta rendono
marginale la capacità del mezzo di trasportare persone e merci
da un luogo all’altro. Dalla passione per i treni e per il modellismo
nasce H Zero Museum, nuova realtà espositiva inaugurata
a Firenze lo scorso 29 maggio nella storica sede del Cinema
Ariston, a pochi passi dal Museo del Novecento e da piazza
Santa Maria Novella. Curato da Alberto Salvadori, project manager
con grande esperienza nelle gestioni delle istituzioni
culturali, e sostenuto dalle Ferrovie dello Stato, questo nuovo
progetto museale vede il treno come simbolo di modernità e
fulcro di infinite sensazioni. Il progetto architettonico è di Luigi
Fragola e la collaborazione dello studio milanese Karmachina
e dei musicisti di Tempo Reale ha permesso di creare un
ambiente immersivo attraverso video proiezioni, sonorizzazioni
ambientali e una speciale illuminazione. Fulcro del museo e
anche motivo ispiratore l’enorme plastico – il più grande d’Europa
con quasi 300 m² di superficie – realizzato nel corso della
sua vita dal marchese Giuseppe Paternò Castello di San Giuliano,
che negli anni ha coinvolto amici e conoscenti come Carlo
Brandolini d’Adda e il modellista Marco Baldi nello sviluppo dello
scenario su cui si posano i binari e i relativi treni in scala da 1
a 87. Le rocce sono realizzate in gesso colato in stampi di gomma
siliconata, mentre il mare, i laghi e i fiumi sono in resina; la
grande diga ispirata a quella del Brasimone è una struttura di
compensato. Fino alla sua dipartita il marchese si è dedicato
con grande entusiasmo a questa realizzazione, coltivando il sogno
di realizzare a Firenze qualcosa di simile al Miniature Wunderland
che tanto l’aveva affascinato ad Amburgo. Sono stati
i figli Diego, Giulia e Maria a concretizzare questo suo sogno
con l’apertura di H Zero, un
museo per gli appassionati
di modellismo e non solo,
perché il treno porta con sé
una fascinazione che interessa
tutti, grandi e piccini.
Sono ben trecentocinquantanove
le tratte per quasi 1 km
di binari, mille lampioni stradali,
oltre mille semafori, più
di cinquanta altoparlanti per
la diffusione sonora e la possibilità
di variare l’ambientazione
da giorno a notte. Il marchese Giuseppe Paternò Castello
All’interno dei treni ci sono di San Giuliano, creatore del grande
persino i passeggeri seduti. plastico all’origine del museo
Si tratta insomma di un’esperienza
di visita davvero insolita ed affascinante che attirerà l’interesse
di appassionati e curiosi. A questo proposito, vale la
pena ricordare che molti personaggi famosi hanno subito il fascino
del treno, come il baritono fiorentino Gino Bechi, il quale
negli anni Cinquanta e Sessanta mise insieme una collezione di
trenini davvero eccezionale che portò alla trasmissione Lascia
o raddoppia di Mike Bongiorno, il presidente della Repubblica
Giovanni Gronchi, che in una stanza del Quirinale fece posizionare
un plastico ferroviario, e poi ancora il presidente americano
Ronald Reagan, l’attore Frank Sinatra, il pilota d’automobili
Riccardo Patrese e i cantanti Renato Zero, Peppino di Capri e
Sergio Endrigo.
www.hzero.com
Vista d’insieme del plastico
Un particolare dell’installazione
26
H ZERO MUSEUM
Ritratti
d’artista
Marcello Ciampolini
Viaggi di luce
di Vincenzo Mollica
Ci vuole coraggio per dipingere il tempo breve che attraversiamo,
immersi nelle sintonie urbanistiche che
nascondono lo smarrimento e la solitudine della comunità.
Molti di coloro che praticano questa arte preferiscono
sentieri più leggeri e più evasivi. Marcello Ciampolini,
pittore empolese, con credo viscerale e tecnica maniacale,
avvantaggiato da una veggenza dei fatti che lasciano spiazzati,
naviga la tempesta guidato dall’orizzonte basso delle
stelle. Per chi assiste alla esposizione dei suoi lavori, il suo
può apparire un racconto solitario derivato dall’osservazione
della realtà. Possiamo assicurare, frequentandolo da molti
anni, che i temi della sua tavolozza sono quelli che gli divorano
la mente da più decenni. Maturità pittorica? Anche, ma
principalmente bisogno di raccontare le sue ansie interiori.
Questo scontro manifesto tra le forze del bene e del male, in
una convergenza che sembra assegnare punti di vantaggio a
quest’ultimo, approssima l’uomo, dice lui, a un bivio che non
prevede un vincitore certo, ma che consegnerà a quelli che
lo vivranno un mondo diverso. Il suo itinerario pittorico, coerente
e raffinato nella preziosa trasparenza, parla chiaro: la
scoperta del Grande Libro diventa fonte di nuove verità che
La via angelica, cm 90x90
Mitosi cosmica, cm 50x50
prendono il posto di fedi tradite. Tutto diventa più intimo e
gonfio di domande. Si aprono i cieli e l'universo, e cominciano
i viaggi della luce che conducono
verso quella immaginata come la più
abbagliante. Ma lui sa di essere ancora
sulla Terra e di dover condividere il suo
destino sanguinante. Allora in attesa di
confrontarsi con il giudizio del Padre,
bisogna chiedere al Figlio, che si affaccia
da dentro la corona di spine a tendere
una mano ed offrirci le speranze
di potercela ancora fare. Marcello vive
da asceta e da esule e, quale portatore
di un messaggio, svolge questo ruolo
attraverso un linguaggio semplice e
complesso allo stesso tempo. Si comprende
che questo modo di operare è
lontano non poco dai recinti dei mercati
pittorici, e che mai Ciampolini potrebbe
trasformarsi in autore di serie. I
tempi dei suoi lavori sono lenti e meditati,
con ritorni sull'opera fin quando
egli non ritiene di avere ottenuto dal colore
quello che gli aveva chiesto. Marcello
sta dicendo cose importanti, in un
tempo distratto dalla superbia e pieno
della sua fretta. Noi che abbiamo il piacere
di averlo vicino, ci riteniamo fortunati
di poter attraversare questa follia
cavalcando i suoi binari.
MARCELLO CIAMPOLINI
27
Obiettivo
Scuola
Laura Scartabelli
Il punto di vista di un’insegnante su didattica a distanza e nuovi
modelli di apprendimento
di Doretta Boretti
In questi ultimi tre anni, in Italia, si sono svolte molte indagini
per rilevare quali e quante conseguenze negative
avrebbe potuto portare agli studenti la Dad cioè l’insegnamento
a distanza. Ci troviamo in compagnia della professoressa
Laura Scartabelli, docente di Lettere in una scuola
secondaria di primo grado, in provincia di Pistoia, e parleremo
con lei della sua vita professionale e anche della sua
esperienza, e di quella dei suoi allievi, in tempi di pandemia.
Che cosa secondo lei è cambiato dal punto di vista generazionale
tra l’insegnamento dei suoi inizi di carriera e quelli
più recenti?
scono superficialmente un
po’ tutto ciò che le circonda;
quindi, il compito dell’insegnante
non è più quello di
mettere i ragazzi in contatto
con nuovi saperi, ma cercare
di dare ordine, di sistematizzare,
di approfondire quelle
conoscenze che già hanno
nelle varie discipline. Un lavoro
molto faticoso: disfare
per rifare.
La professoressa Laura Scartabelli
In quarant’anni ho assistito a molti cambiamenti nella scuola
italiana; non è stata esente da mode metodologiche
passeggere e poi attraversata da una lenta, radicale trasformazione
nel modo di pensare l’insegnamento, le discipline,
gli insegnanti e l’utenza stessa. Attualmente nella scuola le
competenze, il saper fare, sono l’obiettivo primario; le conoscenze,
dalle quali, a mio avviso, le competenze sono imprescindibili,
un fardello del quale sbarazzarsi, almeno in parte.
Proliferano interventi di esterni, ciascuno con un pacchetto
di informazioni da dispensare, senza una evidente ricaduta
sull’apprendimento dell’alunno, senza nemmeno quelle caratteristiche
specifiche che fanno, di uno o più interventi, un
progetto. Il tutto a scapito delle ore curricolari. Insegnare è
uno slalom tra i progetti altrui. Le attuali generazioni, quando
arrivano a scuola, sanno già usare le tecnologie, cono-
Non credo che in questi anni le fosse mai capitata una cosa
come la pandemia da Covid-19...
Non mi ero mai trovata ad affrontare un situazione così
drammatica. La scuola, nelle emergenze, è sempre stata un
punto di riferimento. In questo caso non ha potuto svolgere,
se non a distanza, la sua azione di supporto.
Che disagi ha comportato per lei l’insegnamento a distanza?
Per me il disagio maggiore è stato quello di vincere la mia resistenza
a gestire e utilizzare le nuove tecnologie. Ma i miei
colleghi si sono gentilmente resi disponibili ad aiutarmi e il
loro aiuto ha dato i suoi frutti. Nella didattica a distanza sono
emerse in modo più netto le differenze tra gli alunni: quelli
realmente interessati e motivati hanno trovato
nella indiretta richiesta di un loro maggiore
impegno (in Dad gli alunni non hanno
un controllo così continuo come in presenza)
il modo di crescere. Direi che i più hanno
migliorato la capacità di organizzarsi e si sono
sentiti più direttamente responsabili del
loro successo scolastico; per altri ragazzi è
stata un’occasione da utilizzare per un’inaspettata
vacanza dallo studio.
Pensa che per gli studenti sia stato un periodo
psicologicamente difficile?
Sì, penso che per i ragazzi sia stato un periodo
difficile da gestire a livello emotivo. I miei
studenti vivono in campagna e questo li ha
notevolmente favoriti perché hanno continuato
a vedersi all’esterno, a condividere qualche
interesse, non ultimo quello sportivo.
28
LAURA SCARTABELLI
Questo semestre 2022 è stato svolto tutto in presenza. Siete
riusciti a recuperare quello che era stato impossibile gestire
da casa?
Forse abbiamo recuperato la serenità dei ragazzi. Per quanto
riguarda la preparazione, se inadeguata, non darei la colpa
alla Dad ma al fatto che niente dei vecchi insegnamenti
sembra più importante: dall’ortografia alla sintassi, dalle
conoscenze specifiche della letteratura a quelle della storia
o delle scienze. Oggi la parola d’ordine non è sapere,
è saper fare. Ma fare cosa, se poi, una volta finito il ciclo
di studi, se ad esempio vuoi insegnare, ai concorsi non ti
chiedono se sai costruire un depliant o utilizzare una mappa,
ma se hai delle conoscenze specifiche, e quindi: le vecchie
nozioni.
Che legame si crea tra docente e allievo? E con alcuni allievi,
che adesso saranno grandi, ha continuato a seguire
le loro orme?
Con una classe di alunni del 1993 ci siamo dati appuntamento
al compimento dei loro 20 anni. Una bella emozione! Di
altri ho notizie da colleghi o dal personale scolastico, mentre
altri li incontro ancora in paese. Ho insegnato a centinaia
di ragazzi, i legami che si creano sono alquanto diversi: di
alcuni non ricordi nemmeno il nome, altri sono parte di una
classe ed è quella con la quale hai stabilito un legame bello
anche se passeggero; e poi ci sono degli incontri particolari,
delle facce che non dimentichi perché la loro storia ti è
entrata dentro, si è fusa con il tuo percorso di vita, c’è stato
un arricchimento reciproco, stima, fiducia. A volte basta poco
per risollevare un ragazzo con scarsa autostima, a rimetterlo
in carreggiata; e questo, l’adulto che diventerà, non lo
dimentica.
Quasi al termine di un’onorata carriera, quali gioie e quali
disagi le ha portato il suo lavoro?
La gioia deriva dalla consapevolezza di aver svolto un lavoro
molto importante e di averlo fatto seriamente. Poi la gioia
anche di aver lavorato in un ottimo ambiente in cui ho trovato
bravi insegnanti, simpatici compagni di viaggio e alcuni
amici. Il dispiacere è vedere il cambiamento, in peggio, della
scuola. I ragazzi, come dicevo, sapranno anche “risolvere
problemi” in team, ma sono molto ignoranti, proprio nel senso
letterale del termine.
LAURA SCARTABELLI
29
Dimensione
salute
A cura di
Stefano Grifoni
Masticare lentamente per vivere con consapevolezza
il momento del pasto
di Stefano Grifoni
Chi mastica più lentamente e chi dedica più tempo
ai pasti restando seduto per più di 20 minuti, aiuta
il metabolismo a tenere sotto controllo l’introito
calorico e quindi il peso corporeo e ad equilibrare i livelli
di colesterolo nel sangue. Questo grasso è necessario per
il nostro organismo ma un suo eccesso è pericoloso per il
cuore e il cervello perché la formazione di placche aterosclerotiche
all’interno dei vasi arteriosi riduce la quantità
di sangue che arriva agli organi aumentando il rischio di
ictus e infarto. Il ruolo più importante per controllare i livelli
di colesterolo spetta alla dieta: piatti leggeri e pochi
grassi, dieta mediterranea ricca di frutta e verdura sono
la migliore prevenzione, senza dimenticare l’importanza di
un corretto stile di vita e di una regolare attività fisica.
Masticare lentamente quindi non è una cura ma ci ricorda
che dobbiamo riappropriarci del tempo per vivere consapevolmente
il momento del pasto. Mangiare bene vuol dire
stare bene.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
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MASTICARE LENTAMENTE
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Anoressia: guarire recuperando il piacere di mangiare
di Emanuela Muriana
L’anoressia fa paura. Spaventa non solo i genitori ma anche
i medici e gli psicoterapeuti. Paiono invece non temerla
coloro che ne soffrono poiché ne sono sedotti. «È
paradossalmente amata dalle sue vittime che quasi quasi le riservano
un culto» dicono Giorgio Nardone ed Elisa Valteroni autori
del libro L’anoressia giovanile (Tea 2021). È una malattia in
linea con i nostri tempi che affiancano abbondanza di cibo e modelli
di magrezza eccessivi. L’anoressia fa paura anche perché le
terapie si sono dimostrate spesso inadeguate quando non controproducenti.
Le terapie per l’anoressia sono state le meno efficaci
nell’ambito della psicopatologia con un’efficacia al di sotto
del 40%, casi migliorati ma non guariti e questo non è sufficiente
perché spesso prepara il terreno a severe recidive che tendono
poi a cronicizzarsi. Secondo gli ultimi dati, c’è stato un aumento
nella popolazione giovanile dal 2% di dieci anni fa all’attuale
10%, e un ulteriore aumento è dovuto anche al periodo Covid.
Il tasso di mortalità è intorno al 25%. Il dato preoccupante e inquietante
è l’abbassamento dell’età media in cui questa psicopatologia
si sviluppa, arrivando fino agli 11-12 anni. Rimane una
psicopatologia declinata al femminile nonostante recentemente
si noti un incremento anche nella popolazione maschile. Gli
interventi messi a punto al centro di Terapia Breve Strategica –
tarati su un campione altamente significativo – mostrano attualmente
un tasso di guarigione molto più elevato rispetto alla
media di tutti gli interventi terapeutici. L’anoressia è caratterizzata
da un processo di progressiva astinenza dal cibo fino ad
arrivare ad un vero e proprio rifiuto di esso. La tendenza all’astinenza
non è solo per il cibo ma anche nei confronti di ogni altra
sensazione piacevole vissuta come pericolosa. Il risultato è
un’armatura mentale che non protegge ma imprigiona. I familiari
hanno un ruolo fondamentale perché mettono in atto dei tentativi
di intervento ragionevoli ma che non calzano all’irragionevolezza
del problema. L’intervento clinico dell’anoressia con la
Terapia Breve Strategica prevede un approccio pragmatico che
punta ad utilizzare manovre terapeutiche sul come si forma e
Per approfondire la conoscenza dell’anoressia in tutte le
varianti cliniche:
G. Nardone, E. Valteroni,
L’anoressia giovanile (Ponte alle Grazie ed. 2017- Tea 2021)
G. Nardone,
Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo (Bur ed. 2003)
come si mantiene il problema nel presente anziché cercare cause
ipotetiche nel passato. La terapia che funziona di più per l’anoressia
giovanile è quella applicata al contesto familiare, con
conseguente responsabilizzazione dei genitori a mettere in atto
le necessarie prescrizioni terapeutiche. Una terapia che preveda
un’esperienza clinica per una patologia che richiede un intervento
immediato e precoce senza esitazioni. Gli psicofarmaci non
sembrano aver mostrato una sufficiente efficacia, anzi talvolta
sono deleteri perché rendono i pazienti ancora più oppositivi. Il
ricovero in ospedale è necessario solo quando le condizioni fisiche
sono critiche. Il lavoro psicoterapeutico con le pazienti si
basa sull’innescare il meccanismo del piacere: dall’anoressia si
guarisce solo se si recupera il piacere di mangiare, ecco perché
l’alimentazione meccanica è inefficace.
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
ANORESSIA
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Lucia Menchini
La signora dei “cocci”
La signora dei cocci, mosaico con ceramiche di recupero, cm 42x52
luciamosaici@alice.it
A cura di
Silvia Ciani
I consigli del
nutrizionista
Emergenza sovrappeso e obesità in adulti e bambini:
come affrontarla con un supporto nutrizionale ed emotivo
di Silvia Ciani
Nel mese di maggio di quest’anno l’OMS ha presentato e
pubblicato il Rapporto 2022 sull’obesità. Dal documento
emerge che il 59% degli adulti europei e quasi 1 bambino
su 3 (29% dei maschi e 27% delle femmine) è in sovrappeso
o è affetto dall’obesità. L’Italia purtroppo primeggia con una distribuzione
non omogenea e prevalenza nelle regioni del sud. In
Toscana, dagli ultimi dati esaminati (fonte: Okkio alla Salute dati
2019), è emerso che il 7% dei nostri bambini è obeso e il 21%
in sovrappeso. Dal Rapporto dell’OMS sovrappeso e obesità sono
tra le principali cause di morte e disabilità in Europa e stime
recenti suggeriscono che causano più di 1,2 milioni di decessi
all’anno, corrispondenti ad oltre il 13% della mortalità totale.
Purtroppo la situazione non sembra migliorare nel tempo e notiamo
un aumento dei casi in quasi tutti i paesi; dai dati sembrerebbe
che nessuno dei 53 stati membri della regione europea
sia sulla buona strada per perseguire l’obiettivo dell’OMS sulle
malattie non trasmissibili e fermare l’aumento dell’obesità en-
tro il 2025. Inoltre, la pandemia di Covid-19 sembra aver peggiorato
la situazione. I dati preliminari suggeriscono infatti che in
questo periodo le persone hanno avuto una maggiore esposizione
ai fattori di rischio dell’obesità a causa dell’aumento dello stile
di vita sedentario e del consumo di cibi non sani. Le evidenze
scientifiche più recenti dimostrano come un peso corporeo inadeguato
nei primi anni di vita possa influenzare la tendenza futura
a sviluppare l’obesità. È fondamentale quindi agire ancor più
tempestivamente e in maniera determinata sulla prevenzione e
attuare interventi mirati di educazione alimentare incoraggiando
comportamenti e stili di vita corretti nei bambini per far sì che
questa tendenza si inverta. Presso lo studio artEnutrizione di Firenze
accogliamo anche piccoli pazienti in età scolare a rischio
di sovrappeso e obesità e le loro famiglie, cercando di offrire un
supporto non solo dal punto di vista nutrizionale ma anche emotivo,
relazionale e psicologico, in un ambiente non medicalizzato,
tranquillo e sereno.
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas
14 d - Firenze / + 39 339 7183595
Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -
Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678
Istituto Medico Toscano - Via Eugenio
Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911
www.nutrizionistafirenze.com
silvia_ciani@hotmail.com
SOVRAPPESO E OBESITÀ
33
I giganti
dell’arte
A cura di
Matteo Pierozzi
Rosso Fiorentino
Il maestro del Manierismo alla prova con un angelo
di Matteo Pierozzi
Rosso Fiorentino, Angelo musicante (1521), olio su tavola, cm 39x47, Gallerie degli Uffizi, Firenze
Un giovane angelo china il volto sullo strumento a
corde che si prende la quasi totalità della scena;
le ali e il volto, in forte scorcio prospettico, quasi
si nascondono al di sopra della tastiera del liuto su cui la
mano sta disegnando un accordo. Colpiscono l’occhio dello
spettatore il colore rosso delle ali e l’ocra intenso dello strumento
che lo sfondo scuro contribuisce a risaltare. Stiamo
parlando dell’Angelo musicante, piccola opera pittorica attribuita
con certezza a Giovan Battista di Jacopo di Gasparre
detto il Rosso Fiorentino solo nei primi dell’Ottocento. L’opera
fu dipinta dal maestro all’età di trent’anni, nel 1521. Il
Rosso Fiorentino viaggiò molto, fermandosi a lungo soprattutto
a Venezia, per inseguire sempre nuove commissioni.
Ebbe un carattere controverso che gli procurò anche nume-
rosi contrasti ed inimicizie durante la sua vita. Cresciuto a
bottega da Andrea del Sarto, scelse come riferimenti per la
sua arte, caratterizzata da figure molto realistiche e talvolta
grottesche, maestri quali Donatello, Michelangelo e Raffaello,
diventando un
grande esponente del
Manierismo. Terminò
la sua vita in Francia
a Fontainebleau nel
1540, in circostanze
mai chiarite, presso
la corte di Francesco
I, dove s’impose come
artista di rilievo.
34
ROSSO FIORENTINO
A cura di
Maria Concetta Guaglianone
PsicHeArt
Estate
Oltre ad una stagione, uno stato d’animo
di Maria Concetta Guaglianone
Estate: le prime immagini che tale parola mi evoca sono
distese di papaveri e di grano, sole, mare, montagna, il
colore azzurro che dipinge il cielo di giorno e distese di
stelle nelle notti in cui a volte fa capolino la luna, e il suono delle
cicale che accompagnano i sogni. Benjamin Alire Sáenz, scrittore
e poeta statunitense, scrive: «L’estate doveva essere libertà e
giovinezza e nessuna scuola e la possibilità, l’avventura e l’esplorazione.
L’estate era un libro pieno di speranza. Ecco perché ho
amato e odiato le estati. Perché mi hanno fatto venire voglia di
crederci». Estate: solo una stagione o qualcosa di più, un vero e
proprio stato dell’animo? Per molti è il periodo dell’anno più bello,
con le sue giornate calde e lunghe, le luci, i colori, gli odori e i
sapori che influenzano positivamente lo stato psico-fisico, ma è
anche il momento più atteso perché coincide spesso con le ferie
e permette di recuperare le energie utili per affrontare un nuovo
anno lavorativo e un nuovo inverno. Al suono dell’estate danzano
il piacere e la voglia di godere a pieno la meritata pausa e di dedicarsi
ad attività a contatto con la natura, tra passeggiate in montagna,
al mare o anche in città, e con il sole, che ci consente di
sintetizzare meglio la vitamina D e di attivare una maggiore produzione
di serotonina, importanti fattori protettivi per la salute, il
sistema immunitario e il tono dell’umore. L’aspetto fondamentale
è mettersi “offline” dal lavoro, da telefoni, computer e pratiche
da gestire, per concedersi lo spazio e il tempo necessari a rigenerare
corpo e mente. Il periodo estivo può essere una grande
opportunità per ricaricarsi e prendersi cura di sé, e può servire,
come per osmosi, ad inondare di sensazioni positive la ripresa
delle attività lavorative e ad affrontare al meglio la quotidianità
nei periodi a seguire. Non per tutti, però, questo periodo dell’anno
coincide con la parola benessere. Sono numerose le persone
che vivono, invece, un peggioramento delle proprie condizioni fisiologiche,
percepiscono malessere di natura psicologica, fisica
e comportamentale. Tale condizione stagionale, definita anche
“mal d’estate”, è caratterizzata da uno stato di sofferenza, disagio
e fastidio, da sintomi depressivi – ansia, irritabilità, tristezza,
insonnia –, difficoltà legate alle alte temperature o a gestire
i cambiamenti nello stile di vita e nel ritmo circadiano e di sonno-veglia,
senza dimenticare lo “stress da vacanza” legato alla
difficoltà di programmare nuovi impegni e ritmi differenti o all’ansia
che viene attivata al solo pensiero del rientro lavorativo. Nel-
la fase storica che stiamo attraversando lo stato di malessere
può essere anche legato alla presenza del Covid-19 e alla preoccupazione
di poter contrarre il virus. Bisogna inoltre considerare
tutte le persone che invece un lavoro non ce l’hanno e l’andare
in vacanza non è di certo il loro primo pensiero, quelle che vivono
in solitudine o che per motivi economici o condizioni di malattia
non hanno modo di vivere l’estate in leggerezza e serenità.
Se per taluni fermarsi e “staccare la spina” apporta benefici psico-fisici,
per altri l’estate diventa un vero e proprio elemento “trigger”
di un malessere tenuto sotto soglia durante l’anno. L’arrivo
della pausa estiva, quindi, può essere una grande opportunità di
ricarica energetica ma anche un periodo estremamente faticoso,
problematico e delicato da gestire. Non c’è un unico modo di vivere
e percepire l’estate, c’è il proprio modo, risultante della propria
storia, da tratti di personalità, situazioni e condizioni di vita.
L’estate addosso, estate come un vento che anima o come sabbie
mobili bollenti che tirano giù; estate da vivere che accende o
estate che spegne, oppure semplicemente estate per la stagione
che è. Ma la cosa più importante è questa: dovunque tu sia, qualunque
cosa tu faccia, fa sì che il tuo sguardo sia sempre rivolto
a te stesso, entra in ascolto con ciò che senti nel corpo, entra in
contatto con le tue emozioni e i tuoi pensieri. Fai caso all’energia
che uno stato di benessere attiva, ma fai anche caso quando
avverti uno stato di down e, se il malore incombe e aumenta, non
esitare a chiedere aiuto. Nel bene e nel male, sei tu lo scrittore del
libro della tua esistenza, in cui si alternano fasi e stagioni del capitolo
“Estate” che porta la tua firma.
Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta
Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia
di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di
Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e
Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali
di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).
+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com
ESTATE
35
Eccellenze toscane
in Cina
A cura di
Michele Taccetti
Un e-commerce in Cina per le piccole e
medie imprese toscane
di Michele Taccetti
Nasce in Cina nel 2022 il nuovo
negozio online dedicato
alle piccole e medie imprese
italiane e China 2000 cura in via
esclusiva le piccole e medie imprese
della Toscana. Fra i prodotti
maggiormente richiesti dal mercato
figurano: prodotti per l’infanzia,
complementi di arredo, oggetti artistici,
vasi per fiori, oggetti artistici
e decorativi per la casa, accessori
per cucina e per la tavola, pelletteria,
moda, accessori moda e bigiotteria.
L’e-commerce è ben sviluppato
in Cina e dà lavoro a molta gente soprattutto
perché con i soli negozi fisici
è impossibile coprire un territorio
di circa 9 milioni e mezzo di km quadrati
e servire oltre 1 miliardo di persone.
Inoltre, è più comodo e più
economico acquistare online senza
doversi muovere, ricevendo la merce
consegnata direttamente a domicilio. Col nostro e-commerce
le aziende spediscono in Cina solo merce già venduta e
pagata anticipatamente: non esistono resi né conto vendita.
Le aziende non devono neppure fare magazzino, bensì devono
solo incassare i pagamenti ed evadere l’ordine, trasporto
e sdoganamento sono interamente a carico della nostra società.
Nell’ultimo periodo organizzare missioni commerciali
in presenza da e verso la Cina così come la partecipazione
alle fiere è diventato complicato. Queste attività promozionali
sono comunque costose e non sempre raggiungono
gli obiettivi sperati. Ad oggi i movimenti delle persone sono
limitati, ma i movimenti delle merci no; anche per questo
motivo l’e-commerce è lo strumento ideale per vendere in
Cina. Attraverso l’e-commerce, inoltre, si ottiene un riscontro
diretto dal mercato con un feedback reale sui gusti del
consumatore cinese. Tutte informazioni utili per sviluppare
una strategia di vendita a medio e lungo termine. Questa
piattaforma e-commerce è radicata in Cina ma è 100% italiana
sia nell’offerta che nel management, e questo garantisce
un corretto posizionamento sul mercato cinese. Il valore
aggiunto sta proprio nella qualità dei prodotti proposti, che
vengono promossi in modo mirato ad una clientela di fascia
medio-alta. Potremmo definire questo e-commerce come
una “boutique” online di prodotti selezionati, artigianali, originali,
di nicchia, di eccellenze italiane per un’élite di clienti
cinesi che amano il “vero ed originale made in Italy”. I principali
vantaggi della piattaforma e-commerce China2000 per
le piccole e medie imprese toscane possono essere riassunti
come segue: non occorre avere personale in azienda che
parli cinese né una perfetta conoscenza del mercato locale
né un export manager dedicato; inoltre, non è necessario
creare un magazzino o recarsi fisicamente in Cina. Le traduzioni
in cinese, le attività di promozione e vendita, la gestione
degli ordini, lo sdoganamento, le spedizioni dall’Italia
e in tutta la Cina sono interamente a nostra cura e carico,
senza rischi, commissioni o ulteriori costi per le aziende oltre
all’esiguo costo di affiliazione che garantisce questi nostri
servizi.
Per informazioni scrivere a: china2000@china2000.it
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
Michele Taccetti
Michele Taccetti
36
E-COMMERCE IN CINA
Ritratti
d’artista
Aristide Bruno
Un percorso dal naturalismo all’informale attraverso il colore
di Jacopo Chiostri
Nel fluire, inarrestabile, della creatività dei nostri artisti
s’incontrano continuamente nuove frontiere
espressive delle quali occorre tener conto per meglio
comprendere i tempi che viviamo e di cui, queste, sono
esplicazione sia artistica che sociale. È il caso di Aristide
Bruno, solido pittore barese di nascita e fiorentino d’adozione
(vive a Sesto Fiorentino), il quale, dopo un passato
pittorico nella figurazione, è approdato a quello che lui
stesso riconosce come “figurativo informale”, il linguaggio
pittorico che rappresenta al meglio le sue emozioni e il suo
sguardo sul mondo. Il termine non è inedito ma non è bastante
per spiegare la complessità della sua poetica. Bruno
si è avvicinato alla pittura a Lecce, dove ha trascorso
i primi anni e dove ha frequentato corsi di disegno dal vivo
dimostrando una precoce predisposizione per il ritratto.
La sua pittura degli esordi, e poi nei tempi immediatamente
successivi, era rivolta ai temi classici della figurazione:
nature morte – ricche di pathos –, ritratti, scorci paesaggistici.
Una rappresentazione intimistica, con contrasti decisi
tra luci e ombre, nella quale la personalità dell’artista
traspare potente; nella paesaggistica si riconoscono, piuttosto
evidenti, le influenze della “macchia”. È pittura autorevole
che non lascia nulla alla spettacolarizzazione, che
non cerca l’applauso, che va oltre. Con i soggetti ritratti si
avverte una comunione di sensi, si affidano all’artista consci
che non verrà loro rubata l’anima, ma solo rappresentata
la propria interiorità. Questo vale per la raffigurazione di
una madre con figlio, di un’anziana
col volto segnato dal
tempo come per il ritratto di
un alto prelato nel quale convivono
ufficialità, sacralità e
umanizzazione del soggetto.
È poi attorno al 2004 che
avviene una svolta decisa e
decisiva nell’arte di Bruno.
Quell’anno a Parma, a dieci
anni dalla sua morte, si tiene
una grande retrospettiva di
Carlo Mattioli, la cui pittura,
assieme ad alcuni riferimenti
a Sergio Scatizzi, avrà una
sostanziale influenza sulla
nuova produzione di Bruno.
Si tratta di quel “realismo informale”
che non diverrà una
vera e propria corrente istituzionale,
ma che, forse più di
ogni altra forma espressiva
Campo uno, olio su tela, cm 100x150
recente, è stata capace di farsi “terrazza sul mondo”. Il linguaggio
ora muta, la figurazione non scompare, ma è poco
più che abbozzata; Bruno continua a usare la pittura a
olio, ma la pennellata si fa nervosa, veloce, il colore diviene
spesso, sulla tele fluiscono le sue emozioni davanti allo
spettacolo della natura. La natura che è riprodotta nella
sua eleganza ma anche nel suo continuo cangiare, sembra
voler ricordarci che da un momento all’altro può cambiare
la nostra esistenza e quindi dovremmo fermarci a riflettere
sulla caducità del nostro passaggio. In queste opere la
coloristica, frutto di tanta avvertibile sperimentazione, si
avventura su inediti accostamenti cromatici, ne deriva un
equilibrio compositivo e tonale di ottima fattura. L’osservatore
è guidato a confrontarsi con lo sgorgare, apparentemente
(solo apparentemente) spontaneo di una poetica
nella quale si fondono stupore di fronte al creato e preoccupazione
per l’uso che ne viene fatto. Tra i primi lavori di
Bruno si ricorda un ritratto del presidente Spadolini, commissionatogli
dal Partito Repubblicano di Lecce e il ritratto
dell’arcivescovo di Taranto. A Sesto Fiorentino, dove si è
trasferito nel 1992, lavora ed espone a Sesto Arte; è inoltre
socio del Circolo degli Artisti Casa di Dante dove nel 1998
ha tenuto un’importante personale. Tra i premi assegnatigli
si ricorda con l’opera Le mele verdi la vittoria al premio
Gastone Razzaguta.
aristidebruno@ymail.com
ARISTIDE BRUNO
37
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Nicoletta Cantore
Lo sguardo lento di una fotografia poetica
di Daniela Pronestì / foto Nicoletta Cantore
Il segreto di una “buona” fotografia non risiede nella qualità
dello strumento utilizzato e ancor meno nel soggetto immortalato.
Può sembrare un paradosso ma tutto ciò che
di buono c’è in uno scatto va cercato all’esterno dell’immagine,
nell’occhio del fotografo, nel modo in cui ha saputo filtrare la realtà
facendosi guidare dalla propria sensibilità. In quest’ottica,
la fotografia non è affatto un freddo documento della realtà ma
un’interpretazione che, pur non potendo intervenire sulla verità
del dato oggettivo – ad eccezione ovviamente di modifiche apportate
con tecniche di fotoritocco –, riesce però ad attribuire
alle cose un nuovo significato. Questa premessa serve ad introdurre
il lavoro di Nicoletta Cantore, pittrice per necessità, fotografa
per scelta. Infatti, mentre alla pittura si è avvicinata quando era
ancora adolescente, spinta dal bisogno di assecondare una naturale
quanto precoce inclinazione, alla fotografia è arrivata più
avanti, con la maturità di un’artista che, volendo condurre la propria
ricerca verso nuove mete, ha scelto di trasferire in fotografia
l’esperienza maturata dipingendo. Non è stato quindi soltanto un
passaggio da un linguaggio ad un altro, ma un ben più complesso
travaso di valori estetici e criteri compositivi dalla tela dipinta
all’immagine fotografica. Questo non significa che la Cantore
non abbia fin da subito riconosciuto e valorizzato le specificità
espressive della fotografia, a partire ad esempio dalla possibilità
di servirsene per cimentarsi in nuovi soggetti. È altrettanto vero
però che l’essere anche pittrice ha influito non poco sia sul suo
modo di osservare la realtà che di raccontarla attraverso le im-
magini, tanto da porre in atto una vera e propria sintesi tra questi
due diversi sistemi di rappresentazione. Un esempio in tal senso
è dato dalle foto scattate lungo le strade cittadine, nelle quali
si ha l’impressione che lo sguardo dell’autrice si muova con lentezza
rispetto al procedere frenetico del contesto urbano. Mentre
tutto il resto intorno si sposta con velocità, il suo sguardo si
concede il tempo di osservare le cose con attenzione: si posa su
palazzi, monumenti e persone, si allunga nelle prospettive strette
dei vicoli, s’interroga su cosa far rientrare nel campo visivo e
cosa invece escludere. Solo dopo aver considerato tutti questi
aspetti – in un processo tutt’altro che lento ma condensato nei
tempi brevi di un occhio sensibile e ormai esperto –, può finalmente
scattare la foto, consapevole del fatto che, malgrado tanta
attenzione, andrà incontro quasi certamente a degli imprevisti:
un dettaglio in più o uno in meno, una luce sfocata o uno sfondo
poco nitido, tanto per fare degli esempi. Del resto, si sa: la realtà
è sempre in vantaggio sul fotografo che tenta di catturarla. Ma
né la forza comunicativa di una fotografia né il suo valore poetico
dipendono dalla precisione di tutti questi particolari. Quello che
conta, negli scatti di Nicoletta Cantore, è che alla fine l’immagine
parli a chi l’osserva con voce piena di emozione; la stessa emozione
che sovrintende e guida il suo sguardo attraverso l’obiettivo,
attribuendo alla tecnica un ruolo mai predominante, se non
addirittura secondario. Quanto basta a definire queste fotografie
“riuscite” nella misura in cui rifuggono dall’esattezza dello scatto
tecnicamente perfetto per concentrarsi invece sulla capacità
Atene
Attesa
Salisburgo
narrativa dell’immagine. Capacità che per la Cantore si nasconde
spesso in frammenti di realtà all’apparenza secondari: un effetto
di luce riflesso sulla strada; un volto di donna intenta a bere
in un bar; la magia di un luogo scoperto per caso nel bailamme
cittadino; il contrasto tra le architetture di ieri e gli innesti urbani
dell’oggi. E se da un lato individua con devota attenzione questi
protagonisti, dall’altro lato, nella fase di post-produzione, interviene
a conferire all’immagine un effetto grafico-pittorico, accentuando
i contorni, saturando le luci, avvalendosi del bianco e nero
per ottenere contrasti chiaroscurali simili a quelli di un disegno.
Vista con gli occhi di una pittrice, la fotografia è qualcosa di diverso:
un connubio di due linguaggi che insieme raccontano la vita
e la complessità del mondo, scovando scampoli di bellezza e
di poesia dove nessuno se li aspetta.
Rouen
People
NICOLETTA CANTORE
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
I Luoghi Parlanti diventano una guida sfogliabile
in collaborazione con Touring Club Italiano
Dai Luoghi Parlanti a The World in Florence 2022 attraverso i racconti dei locals
di Stefania Macrì
Èstata pubblicata la prima guida dei Luoghi Parlanti®,
il progetto di “turismo sostenibile” del Movimento Life
Beyond Tourism – Travel to Dialogue che propone un
nuovo modo di esplorare il territorio, a metà strada tra innovazione
e passaparola. La pubblicazione, che raccoglie i primi territori
in Italia e all’estero, dal titolo Luoghi Parlanti – Viaggiare per conoscere
il mondo, realizzata in collaborazione con Touring Club
italiano, è stata presentata mercoledì 15 giugno presso la prestigiosa
Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Al centro
del volume c’è la genesi del modello di Luogo Parlante, un sistema
di targhe interattive, dotate di tecnologia NFC/QR code, che,
apposte nei luoghi strategici e di interesse, danno la possibilità
di accedere a informazioni, cenni storici, suggerimenti per completare
il proprio percorso di visita dei territori interagendo con
i locals attraverso l’unico accessorio veramente indispensabile
al viaggiatore contemporaneo: lo smartphone. Modernità e tecnologia
digitale si fanno quindi veicolo di conoscenza e esplorazione
dei tesori del passato e di un patrimonio storico-culturale
da riscoprire nella sua interezza. Con la possibilità di interagire
e condividere foto, suggerimenti, esperienze, il proprio posto del
cuore, e di caricarli sulla apposita piattaforma digitale, visibile
su www.luoghiparlanti.com. L’evento di presentazione del volume
presso l’Accademia delle Arti del Disegno ha visto la presenza
e l’intervento di Cristina Acidini, presidente dell’Accademia,
Paolo Del Bianco, presidente emerito della Fondazione Romualdo
Del Bianco, Mounir Bouchenaki, consigliere speciale del direttore
generale UNESCO e presidente onorario della Fondazione
Romualdo Del Bianco, Carlotta Del Bianco, presidente Movimento
Life Beyond Tourism e Fondazione Romualdo Del Bianco, Aurora
Savelli, docente presso l’Università di Napoli L’Orientale e
membro del Comitato Consultivo Life Beyond Tourism. Dichiara
Carlotta del Bianco: «Siamo emozionati di essere qui oggi a presentare
questo volume, in cui trovano rilievo le realtà che hanno
già scelto di raccontare il proprio territorio attraverso la voce di
chi lo abita. Intendiamo così dare inizio a un percorso che porterà
alla realizzazione della prima guida vera e propria dei Luoghi
Parlanti, dove ogni destinazione verrà narrata proprio in un’ottica
glocal, ribaltando culturalmente la figura del viaggiatore che
così diventa un vero e proprio residente temporaneo del luogo
che lo ospita. Il Movimento Life Beyond Tourism nasce per mettere
in pratica i princìpi della filosofia teorizzati dalla Fondazione
Romualdo Del Bianco nella sua ultratrentennale esperienza
di dialogo tra culture per il rispetto reciproco, la valorizzazione
dei territori e dei loro saperi e saper fare. Luoghi Parlanti nasce
e si inserisce in questo contesto e si pone come un’esperienza
itinerante che invita alla scoperta e interviene sul territorio
per creare un legame più profondo, una conoscenza autentica
e una connessione diretta con la comunità locale. La situazione
internazionale degli ultimi anni ha segnato un solco tra il mondo
di ieri e quello che si va a profilare per il futuro, restituendoci
un presente ricco di punti di domanda. Le vicissitudini mondiali
hanno confermato l’importanza della visione di Life Beyond
Tourism: superare il turismo di massa, quello mordi e fuggi che
ha finito per depauperare i territori, e affermare un nuovo modo
di viaggiare nel rispetto di luoghi, persone, culture e tradizioni. Il
racconto parte da istituzioni, soggetti privati e stakeholder vari,
ma sarà implementato dai residenti di tutto il mondo grazie alla
possibilità di inserire foto e commenti direttamente sulla piattaforma
interattiva con l’obiettivo anche di aprirsi a collaborazioni
nazionali e internazionali per favorire una sinergia anche con
progetti già esistenti ma che hanno una scala più locale. Questo
volume sancisce anche l’avvio della collaborazione con Touring
Club Italiano per prendersi cura assieme del nostro bene comune».
Nella guida trovano anche posto una raccolta di esperienze
ed espressioni culturali raccontate attraverso gli occhi e la creatività
dei giovani della rete internazionale di università e istituzioni
della Fondazione Romualdo Del Bianco, raccolte a novembre
scorso durante il festival The World in Florence, Festival della Diversità
delle Espressioni Culturali, la cui nuova edizione si terrà
dal 16 al 18 novembre presso il Cenacolo di Santa Croce a Firenze.
Una serie di contenuti dettagliati provenienti dalle più sva-
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Un momento della presentazione nella sede a
Firenze dell’Accademia delle Arti del Disegno
Paolo Del Bianco, presidente emerito
della Fondazione Paolo Del Bianco
Cristina Acidini, presidente
dell’Accademia delle Arti del Disegno
riate parti del mondo, dai territori di Asia, Africa ed Europa, che
costituiscono il punto di partenza per la creazione di una nuova
dimensione del viaggio, basato sulle relazioni e la scoperta profonda
delle culture e delle comunità ad esse legate. Un percorso
che coinvolge Azerbaijan, Camerun, India, Cina, Georgia, Giappone,
Russia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Kosovo, Lituania, Polonia
e Italia (da Milano a Firenze, da Fiumicino a Napoli, ai nove
comuni del Mugello e alle Terre Canavesane). Mounir Bouchenaki,
archeologo, alto dirigente dell’Unesco e dell’Iccrom, da poco
nel board di Fondazione Romualdo Del Bianco, ha dichiarato
durante la presentazione: «Avere conoscenza del luogo che si
sta visitando, grazie al coinvolgimento delle comunità locali, per
vivere come un glocal è un vero passo avanti nel modo di promuovere
un territorio. Da qui si evince lo spirito del Movimento
Life Beyond Tourism e della Fondazione Romualdo Del Bianco,
un approccio positivo alle nuove tendenze del mondo contemporaneo.
Non è un caso l’utilizzo di tecnologia NFC, che rende
l’esperienza condivisibile e implementabile da tutti, secondo
una vera e propria logica di rete. A questo è connesso il festival
che celebra la diversità culturale The World in Florence, che
avrà un focus sulla convenzione Unesco per la tutela del patrimonio
culturale immateriale. Il patrimonio culturale fornisce a
tutti noi Il senso di identità e di appartenenza, e dovrà giocare
sempre di più un ruolo principale nello sviluppo economico
sociale e umano, per consentire la sopravvivenza delle persone
e dell’ambiente naturale, per le prossime generazioni. Non ci
può essere sviluppo senza partecipazione e inclusione, di questo
siamo profondamente convinti».
Dai Luoghi Parlanti a The World in Florence 2022
I Luoghi Parlanti che si stanno attivando nel corso del 2022 saranno
presenti durante la seconda edizione del Festival Internazionale
della Diversità delle Espressioni Culturali The World in Florence che
si terrà dal 16 al 18 novembre 2022 presso il Cenacolo di Santa
Croce, a Firenze. Durante la seconda edizione della manifestazione,
il mondo sarà riunito a Firenze per raccontarsi grazie agli storytelling
che pubbliche amministrazioni, enti di promozione territoriale,
università e istituzioni formative stanno realizzando. I luoghi del
mondo saranno accessibili e fruibili da viaggiatori responsabili che
potranno divenire così residenti temporanei dei territori. C’è ancora
tempo fino al 31 luglio per presentare il racconto del proprio territorio
e partecipare alla seconda edizione del festival a Firenze. Per
maggiori informazioni www.theworldinflorence.com.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism
® , ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme
alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che
custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle
identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e
i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
41
La tutela
dell’ingegno
Stop alle copie del David
I mille passi indietro dopo l’Expo 2022
di Aldo Fittante
Lo scorso maggio un provvedimento del tribunale di
Firenze ha vietato agli studi d’arte Cave Michelangelo
di Carrara di riprodurre una qualsiasi immagine
del David, opera simbolo della città di Firenze. Nel 1501
Michelangelo Buonarroti inizia a lavorare alla creazione
del David. La statua, terminata nel 1504, venne poi esposta
in piazza della Signoria, diventando in poco tempo un’icona
nel mondo dell’arte e nella scultura. Adesso, dopo
anni in cui il David è stato modello in tutte le scuole d’arte,
il ministero della Cultura ha chiesto di cancellare ogni
riproduzione riferibile al Buonarroti dalle pagine Internet
del celebre atelier di Carrara perché «sviliscono l’immagine
del bene culturale facendolo scadere ad elemento distintivo
della qualità dell’impresa». Decisione, seppur non
ancora definitiva essendo il processo a Roma ancora in
corso, che lascia perplessi in molti, a partire dal diretto-
re dell’Accademia di Carrara, Luciano Massari, che sostiene
fermamente quanto i modelli delle opere d’arte servano
per fare scuola e approfondimento, e quanto riuscire a copiarli
sia «sinonimo dell’alta professionalità dell’artigiano
che ci lavora, professionalità che ha appreso con anni
di perfezionamento che ora si vorrebbero andare a svilire,
distruggendo persino tutti gli strumenti utilizzati per
la riproduzione». Opinione più che condivisibile, specialmente
se si considera che, attualmente, il David presente
in piazza della Signoria non è l’originale, bensì una fedelissima
copia; nel 1873, infatti, venne deciso di trasportare il
David dall’arengario di Palazzo Vecchio fino alla Galleria
dell’Accademia poiché i troppi secoli di esposizione agli
agenti atmosferici stavano mettendo a dura prova la resistenza
del gigante di marmo. Fu quindi necessario metterlo
al riparo da ulteriori danni, sistemandolo nel nuovo
La scultura originale custodita alla Galleria dell'Accademia di Firenze
42
STOP ALLE COPIE DEL DAVID
spazio all’interno della Galleria, che in quel periodo ancora
era in costruzione. Agli inizi del Novecento venne indetto
un concorso pubblico: Luigi Arrighetti, scultore di Sesto
Fiorentino, si aggiudicò il bando e nel 1910 finalmente
quel posto vacante da decenni venne di nuovo occupato
da una riproduzione così fedele all’originale da indurre
tutt’oggi in errore alcuni turisti. Altro esempio di quanto
la riproduzione – di qualità – non sia necessariamente
da considerare con accezione negativa, è il progetto promosso
dal commissariato per la partecipazione dell’Italia
a Expo Dubai con il ministero della Cultura e la Galleria
dell’Accademia di Firenze. Al centro del padiglione dell’Italia,
infatti, fino a marzo 2022 è stato possibile ammirare
una copia sorprendente del David di Michelangelo ottenuta
tramite una lunga e accurata digitalizzazione della
scultura che ne ha permesso la riproduzione grazie a una
stampante 3D di ultima generazione. L’opera, che pesa 450
chili, è stata realizzata grazie al coordinamento della professoressa
Grazia Tucci, direttrice del laboratorio di geomatica
per l’ambiente e la conservazione dei beni culturali
dell’Università di Firenze, in collaborazione con i tecnici di
Hexagon Italia, azienda specializzata nel settore dei sensori,
dei software e delle soluzioni autonome. Il processo
di riproduzione della statua ha portato alla creazione di
quattordici pezzi, assemblati da esperti restauratori che
ne hanno curato il rivestimento marmoreo, riproducendo
fedelmente l’originale in tutte le sue parti. Sul piano nazionale,
l’Expo di Dubai ha rappresentato un appuntamento
importante per l’Italia che ha avuto l’opportunità di promuovere
la bellezza delle sue città d’arte per garantire la
ripartenza del turismo e attrarre nuovi investimenti utili
per tutti i settori produttivi del paese. Dopo questo enorme
passo in avanti, in un periodo storico in cui la tecnologia
Particolare della copia del David in Piazza della Signoria a Firenze
scandisce sempre più il mondo dell’arte e di tutti i settori
produttivi, il rischio è quello di farne altri mille indietro,
con possibili conseguenze dannose per tutto l’artigianato
artistico e non solo, considerando che gli artisti, anche i
più moderni, per creare tante opere prima devono imparare
la tecnica e che per farlo, da sempre, si copia l’antico.
La copia realizzata per il padiglione Italia all’Expo di Dubai
STOP ALLE COPIE DEL DAVID
43
Emo Formichi
L’arte di far rivivere le cose quotidiane
Atelier e studio:
via Secondo Risorgimento 1
53026 Pienza (SI)
Angelo del giudizio (1998), collettore, tromba e falci, h cm 135
Cavaliere elettrico (1996), supporti metallici di tralicci
delle linee elettriche, h cm 145
Ritratti
d’artista
Anna Bini
Figlia d’arte, vanta una lunga e prestigiosa carriera come medaglista,
orafa e docente di storia e tecnica dello smalto in Italia e all’estero
di Fabrizio Borghini
Tu sei figlia d’arte, tuo padre Bino Bini è stato orafo,
scultore, medaglista fra i più importanti a livello
anche internazionale. Quanto ha influito nelle tue
successive scelte di vita e professionali?
Questo confronto con un padre famoso, l’ho vissuto molto bene.
Ho avuto con lui, per più di trent’anni, un rapporto splendido;
avevamo una scuola di oreficeria, che si chiamava Arte dei
Metalli, dove venivano allievi ma anche docenti a specializzarsi
da tutto il mondo, soprattutto dal Giappone. Io insegnavo
la mia materia, lo smalto a fuoco, ma anche oreficeria, mentre
mio padre teneva i corsi di oreficeria, sbalzo e cesello. Con
noi avevamo anche una docente giapponese che impartiva le
lezioni nella sua lingua. Grazie a questi artisti che venivano a
perfezionare la loro tecnica da noi, abbiamo continuato a mantenere
i rapporti col Giappone. Nel 2007 ho fatto una mostra,
con i miei smaltati, insieme all’orafa Yumiko Saganuma, con i
suoi gioielli, alla galleria Bungeisyunjyu di Ginza, il cuore commerciale
di Tokyo. Loro hanno un’antica tradizione nello smalto
per cui lo apprezzano in maniera particolare. Sia nel 2020
che ora nel 2022 sono stata invitata alla Biennale Internazionale
del Gioiello d’Arte che si tiene a Tokyo.
Bracciale in argento e smalto, tecnica plique à jour su plexiglass
Hai imparato le tecniche guardando lavorare tuo padre o
lui aveva una naturale predisposizione per trasmettere agli
altri i segreti delle sue tecniche?
Mio padre è sempre stato molto generoso con i suoi allievi e
naturalmente anche con me sia quando insegnava all’Istituto
d’Arte di Firenze sia quando era docente all’Istituto Margaritone
di Arezzo che è una scuola professionale. Svelava
anche quegli accorgimenti che spesso gli artigiani non sono
soliti insegnare per paura di essere soppiantati.
Avete realizzato qualche opera insieme?
In collaborazione con mio padre ho realizzato alcuni lavori fra
cui un ciborio in argento e smalti per la chiesa di San Francesco
ad Arezzo, un ciborio e due candelieri per la cattedrale di Fiesole,
un calice in argento e smalti donato dalla diocesi di Fiesole
alla città di Cafarnao in Terra Santa. Altre mie opere si trovano al
Cathedral Museum di Malta, nel medagliere della Biblioteca Vaticana
a Roma e nel medagliere del Museo del Bargello a Firenze.
Essere nata a Firenze, nella città di Benvenuto Cellini e di
tanti maestri orafi, quanto ha influito nella scelta di dedicarti
all’arte?
Croce in argento, oro, smalti e perle realizzata per l’incontro con Papa Benedetto XVI
Vivere a Firenze è un vantaggio perché fin da bambino assi-
46
ANNA BINI
Bracciale in argento e smalto, tecnica champlevè
mili un gusto del bello; quanto può incidere, in seguito, dipende
da quello che uno fa nella vita.
Una volta terminati gli studi?
Dal 1981 al 2018 ho insegnato Storia e Tecnica dello Smalto
a Fuoco presso la Scuola dell’Arte della Medaglia dell’Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato a Roma. In questa
veste, nel 2004, su incarico dell’Istituto Italo Latino Americano
e del Ministero degli Esteri, ho tenuto un corso di
smalto in Perù e successivamente, nel 2011 e 2012, ho
realizzato dei corsi di smalto su incarico della Regione
Toscana. Nel 2018 e 2019 mi è stato affidato un corso
speciale di smalto nella scuola Lao (Le Arti Orafe) a Firenze,
la città dove sono nata e dove, nello studio di via Bolognese,
continuo a tenere lezioni di smalto e oreficeria per
i miei allievi.
Hai sempre svolto l’attività di docente parallelamente a
quella di artista; infatti, dal 1970 ad oggi sono state numerosissime
le mostre che ti hanno vista protagonista sia
in Italia che all’estero e altrettanto numerose sono state
le partecipazioni alle più significative kermesse di medaglistica:
a Roma, Rieti, Udine, Vicenza, Ravenna, Milano e,
Ali, bracciale, oro, smalto e perle
ANNA BINI
47
L’albero della vita di 120 centimetri con pannelli smaltati per il
seminario missionario Pontificio Istituto Missioni Estere – PI-
ME di Firenze mentre per la cattedrale di Fiesole ho realizzato
un grande candeliere in argento e smalti di 110 centimetri.
Oggi, oltre ad essere membro del Soroptimist International
di Firenze e accademica d’onore dell’Accademia delle Arti
del Disegno, sei anche presidente della quasi coeva Antica
Compagnia del Paiolo che ha avuto in te la prima donna
presidente dopo 500 anni di storia…
Preistoria, pendente, oro, smalto e perle
all’estero, a Cincinnati, Varsavia, Malta, Budapest, Cracovia,
Seixal in Portogallo, Limoges. Quali sono stati i momenti
più importanti di questa lunga e prestigiosa carriera?
Nel 2011, in occasione di un’esposizione per celebrare i sessant’anni
di sacerdozio di Papa Benedetto XVI, su invito del
Pontificio Istituto di Cultura, ho realizzato una croce in oro, argento,
smalti e perle, tuttora custodita in Vaticano. Per la Zecca
Italiana ho modellato, nel 1983, la medaglia ufficiale per il
centenario della morte di Richard Wagner. Ho realizzato anche
Fin da piccola ho vissuto la vita del Paiolo perché mio padre
entrò a farne parte subito dopo la rifondazione nei primi anni
Cinquanta. Per questo l’ho sempre considerata come una
seconda famiglia. La domenica gli artisti si trovavano a pranzo
alla trattoria da Fortunato in piazza Santa Maria Novella
dove si bisticciavano e si prendevano in giro pur mantenendo
sempre grande rispetto tra di loro e stima reciproca. Ho ancora
alle pareti di casa molti dei quadri di quegli artisti che,
a dimostrazione del forte legame che li univa, me ne fecero
dono in occasione del matrimonio. Però non avrei mai potuto
immaginare che un giorno ne sarei diventata la presidente; è
stata una vera sorpresa e mi sto impegnando con il consiglio
per mantenere in vita questo antico sodalizio anche se i tempi
non sono più quelli effervescenti di quando fu rifondato.
E fra un impegno e l’altro, cosa fai?
Faccio corsi di smalto e cerco di mandare avanti quest’arte
particolare, poco conosciuta ma affascinante...
Meteore, collana, oro, smalto e perle
48 ANNA BINI
Arte nel
week-end
Villa Medicea di Poggio a Caiano
Affreschi rinascimentali, scorci ameni e un teatro per la
residenza voluta da Lorenzo il Magnifico
di Doretta Boretti
Per trascorrere una giornata tra
“beltate e canoscenza” e respirare
aria pura tra piante ornamentali
e alberi secolari dovremmo
recarci alle propaggini del monte Albano
e visitare la splendida Villa Medicea
di Poggio a Caiano (PO). Forse qualche
lettore ancora non sa che quella dimora
è una delle ville medicee più famose.
Lorenzo il Magnifico, verso il 1480, acquistò
il castello, già esistente su quel
terreno, dal proprietario Pala di Noferi
Strozzi, e commissionò a Giuliano da
San Gallo di modificare l’edificio precedente
e costruire una villa che Lorenzo
chiamò “Villa Ambra”. Non è una villa
fortezza, come quella di Careggi, ma
un nuovo esempio architettonico rinascimentale
nato come dimora signorile
di campagna. Scoprire tutto quello che
custodisce al suo interno è come iniziare
un viaggio all’insegna del bello, tra
gli stupendi affreschi di Pontormo, Filippino Lippi, Andrea
del Sarto e poi raggiungere una mirabile opera di grandi dimensioni
di Giorgio Vasari (Cristo deposto con la Vergine, i
Santi Cosma e Damiano e un angelo con i simboli della Passione).
Tra le numerose stanze, tutte di un interesse unico,
ce n’è una, al piano terra, dove, in un’ampia sala variopinta,
Il teatro all'interno della storica residenza
Facciata della Villa Medicea di Poggio a Caiano
si erge un palcoscenico che conserva ancora oggi un sipario
dipinto nel 1806 da Luigi Catani: una meraviglia! Il teatro
fu fatto costruire nel 1666 circa da Margherita Luisa d’Orlean,
cugina di Luigi XIV e sposa, poco amata, di Cosimo III;
Margherita lo fece realizzare prima di tornare definitivamente
in Francia. Il teatro ancora oggi ospita rappresentazioni
teatrali, liriche e musicali; vi si è addirittura esibito
anche il grande Paganini. La dimora è stata
sempre residenza estiva dei Medici e ha ospitato
le promesse spose della famiglia provenienti
da luoghi lontani prima del loro arrivo a Firenze.
Nel 1536 vi fu anche celebrato il matrimonio tra
Alessandro de’ Medici e Margherita d’Austria.
Alcune curiosità: nel 1919 la Real Casa donò
la villa allo Stato italiano che ancora la detiene;
durante la terza guerra mondiale fu usata come
rifugio, nei suoi sotterranei, di grandi opere
d’arte, e anche molti civili vi trovarono riparo
dalle bombe. Nel 1965, nella villa e nei suoi ampi
giardini, fu girato il film di John Schlesinger
Darling. La villa è visitabile martedì, mercoledì,
venerdì, sabato, la seconda e terza domenica
del mese, dalle 8:30 alle 15:30. Adesso non
resta che visitarla davvero, e quale migliore occasione
di questa estate per farlo.
VILLA MEDICEA
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Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Preben Frydkjær
Caos e ordine, la poetica degli opposti
di Daniela Pronestì
Un senso di profonda e pacifica liberazione e al tempo
stesso una gestualità pervasa da un furore creativo che
spinge e lotta per esprimersi. Le opere dell’artista danese
Preben Frydkjær si fondono sulla polarità di concetti e fattori
espressivi opposti tra loro: caos e armonia, staticità e movimento,
colori caldi e tinte fredde, controllo della struttura compositiva
e spontaneità del segno. La naturale tensione tra questi elementi,
il loro inevitabile confliggere e contrapporsi, si risolve tuttavia in
una sintesi che vede ciascuna parte dialogare con l’altra in un insieme
unitario e coerente. Alla base risiede la consapevolezza che
se non può esserci vita senza dialettica tra gli opposti, è possibile
però sublimare questa lotta in un superiore equilibrio, ed è possibile
farlo attraverso l’arte. Più che di un’ambizione si tratta di un
bisogno che spinge Preben Frydkjær a far confluire sulla tela forze
contrastanti eppure necessarie l’una all’altra, espressione tutte
insieme di una totalità che serve a dare ordine alle cose, attribuire
loro un posto ed un significato. Se da un lato quindi queste
forze emergono dal profondo in maniera apparentemente casuale
e caotica, dall’altro lato, una volta traslate sul supporto, trasformano
la loro spinta “primitiva” e irrazionale in un’energia sempre
vigorosa ma più “ragionata” e meno effimera. Un processo che impegna
l’artista tanto sul piano astratto con l’elaborazione raziona-
le di queste spinte emotive, quanto sul piano pratico adottando
una tecnica che procede per successive addizioni di segni, forme
e colori, in un progressivo dipanarsi sulla tela di memorie, sensazioni
e stati interiori. Compenetrandosi strato dopo strato, le
forze “oscure” dell’istinto diventano più leggibili, si staccano dal
magma informe da cui hanno avuto origine per conquistare ciascuna
una propria voce all’interno del dipinto. Non più una massa
indefinita quindi ma un accordo di suoni interiori che insieme portano
alla luce una profondità nascosta. L’idea che la tela sia una
porta socchiusa sul mistero – sia quello che abita dentro l’individuo
sia quello all’origine dell’esistente – si evince dalla presenza
in questi dipinti di forme simili ad aperture oltre le quali lanciare
lo sguardo per esplorare nuove dimensioni, scoprire aspetti celati
nel cuore dell’opera. In altri casi, invece, il segno si fa scrittura,
tracciato nervoso di un’emozione improvvisa e non controllata;
altre volte, il tempo entra nell’opera con una precisa indicazione
numerica, sovrapponendosi in questo modo al tempo non misurabile
dell’interiorità. Quello che viene configurandosi in questi dipinti
è un orizzonte astratto sul quale però rifulgono anche le luci del
mondo naturale, nella gamma di azzurri, rossi e verdi che lasciano
intuire parvenze di cieli al tramonto, movimenti d’acqua, scampoli
di paesaggio. Lo spazio dell’opera diventa allora un diaframma
che mette in comunicazione il mondo dentro e il mondo fuori, in
uno scambio osmotico di suggestioni trasferite sulla tela per mezzo
del gesto e del colore. Il “qui ed ora” dell’esecuzione artistica
s’incontra dunque con il “sempre” di emozioni universali che la pittura
di Preben Frydkjær cattura e fissa indelebilmente sul supporto,
sottraendole così alla transitorietà dell’esperienza.
PREBEN FRYDKJÆR
51
Piccole storie da
raccontare
Moravio Martini
Una riflessione poetica sulla vita e sulla morte
Sono ancora vivo
Bussano alla porta.
Chi è? Chiedo io.
Sono la Morte.
Chi?
La Morte.
Che cosa vuole da me?
Se mi fa entrare glielo dico.
Neanche per sogno. Chi l’ha mandata?
Ci sono tanti che mi hanno mandata.
Tanti chi?
La gente, gli amici, i conoscenti, i dottori per esempio… e poi il COVID.
Guardi che Lei si sbaglia perché tutti mi vogliono bene. Molto bene.
Non lo metto in dubbio ma dicono, purtroppo, che lei è un’eccezione alla sua età ancora vivo.
Io sto molto bene, non ho bisogno di niente anche se ho il Covid 19.
Non è vero. Lei mente a se stesso perché, come tutti alla sua età, è pieno di acciacchi.
Questi fatti sono miei e non la riguardano.
Non è vero, potrei fare un elenco di tutto ciò che la affligge. Mi faccia entrare.
Guardo dallo spioncino della porta ma al di là non c’è nessuno. Le domando ma che Morte è Lei se non ha un corpo?
Io sono la Morte e basta, la Morte è come il tempo c’è ma non si vede, si sente. Mi apra!
Scusi ma io le sembro un tipo che apre la porta al primo venuto?
Io non sono il primo venuto: sono la fine della vita.
D’accordo, si nasce per morire ma io non ne ho ancora voglia.
Lei non può cambiare le leggi della natura. Mi apra e facciamola finita.
Non faccia la prepotente, ho detto no. NOOO!
Guardi che butto giù la porta.
Si provi che chiamo le guardie.
Ma quali guardie. Qui non si gioca a guardie e ladri, si gioca la vita!
Mi scusi tanto ma, per curiosità, non le sono bastati i morti palestinesi, vietnamiti, serbi, ucraini, russi, curdi, iracheni?
Io, in confronto, cosa vuole che sia… uno più o uno meno. Mi faccia il piacere: si levi dalle palle! Scusi, dimenticavo, dica
a quelli che mi vogliono morto che SONO ANCORA VIVO! VIVOOO! Però, siccome Proust disse che IL TEMPO È UNA
CORSA VERSO LA MORTE, Le dispiace se ne riparliamo un’altra volta.
52
MORAVIO MARTINI
I libri del
mese
Maria Antonietta Cencetti Pazzagli
Storia di Marianna, ombre e luci di una vita fuori dal comune
di Erika Bresci
In Storia di Marianna Maria Antonietta Cencetti Pazzagli
traccia con limpida semplicità le linee ortogonali
che delimitano lo spazio di vita di una donna solo apparentemente
come tante, racchiusa tra una «nascita particolare»,
come recita il sottotitolo, e il «sonno oblio» cui
essa deliberatamente si abbandona sul viale del tramonto.
E se in copertina la bella scultura di Enzo Pazzagli, Mani,
sembra suggerire l’auspicio benevolo a un’accoglienza,
a un abbraccio e a un supporto materno che la protagonista
di questa toccante storia non ha mai avuto e che l’ha
condizionata per sempre, in tutto il libro è l’occhio, insieme
organo di senso e tramite psicologico, che guida il lettore
alla scoperta delle vicende che segnano un percorso
esistenziale irto di inciampi. Marianna, «figlia della
menopausa», e per questo “unica” seppure con
due fratelli ormai adulti e con prole, è costretta a
confrontarsi assai presto con lo sguardo assente
della madre, colpita da Alzheimer, che le fa vivere
la sensazione dolorosa di essere una «figlia
mai stata» «per una mamma mai avuta». Una volta
cresciuta, è l’occhio di donna innamorata che
non le fa scorgere i segnali di una tempesta apocalittica
che la travolge nel giorno del suo venticinquesimo
anniversario di matrimonio. Ma è
ancora e sempre l’occhio, desideroso di conoscere
luoghi e persone distanti dalla quotidianità vissuta,
che la spinge a viaggiare in terre lontane e
non, fino a farle incontrare un nuovo amore e una
nuova vita. E infine vi è l’occhio interiore. Quello
che la guida, giovanissima, a inventare e condurre
un programma radiofonico rivolto a persone
sole, quello che la fa discutere con il secondo marito,
uomo di cultura e riflessivo, su questioni etiche
– il rapporto uomo donna, soprattutto, nelle
sue anche più drammatiche risoluzioni –, condividendone
l’urgenza di un intervento tempestivo
su entrambi i fronti (è possibile anticipare il cortocircuito
che spinge alla violenza?), quello che
la fa accendere invece in disaccordo se il filo dei
pensieri conduce sul terreno scivoloso della fede.
E infine, quando un glaucoma spegne la luce sul
mondo esterno, la decisione drammatica di cercare
un nuovo sguardo, quello del sogno, perché
solo «attraverso il sogno trovo la luce, in un mondo
dove vedo bene le persone, le immagini, i paesaggi,
posso guidare la macchina, vedere le cose
strane che succedono e che sembrano tali perché
hanno tempi e spazi diversi da quelli della vita reale.
Ma è solo la fantasia della realtà». Marianna,
un giorno, si distende in un letto e non vi esce più. Se non
per espletare le funzioni vitali essenziali. E la realtà diventa
sogno. Unico ponte con il mondo che resta fuori, le lettere
accorate dell’amica Ginevra, che le racconta di uno strano
virus che tiene reclusi in casa tutti quanti. In un incubo diverso
ma ugualmente straniante. In pagine distillate come
a volerne tirare fuori il succo essenziale, Maria Antonietta
Cencetti Pazzagli si fa portavoce dei disagi più evidenti
della società contemporanea, apre prospettive nuove di
interpretazione, coinvolge con l’intensità partecipata degli
eventi che incalzano, lasciando però sempre al lettore la
possibilità di far propri, di meditare in silenzio e altrove i
semi seminati di questa storia “comune”.
MARIA ANTONIETTA CENCETTI PAZZAGLI
53
Ritratti
d’artista
Lorenzo Querci
Un forte equilibrio figurale tra atmosfere sognanti e simboli
di Lodovico Gierut
Pur seguendo da qualche tempo l’attività creativa di Lorenzo
Querci, ci siamo incontrati di persona soltanto
tempo fa, nel corso di una mostra di gruppo alla quale
partecipava, presso la Galleria del San Leone, a Pietrasanta,
la cittadina versiliese definita molti anni fa dal grande storico
dell’arte Antonio Paolucci “la piccola Atene”. Pur se non parrebbe,
data la qualità delle sue opere che spaziano tematicamente
dalle figure femminili ai cavalli, e ad atmosfere sognanti dove
riaffiorano, alla stregua di pagine di diario cucite all’infanzia lune,
giocattoli lignei, orsacchiotti e altro ancora, Querci dipinge
in maniera continuativa e ben motivata solo da un quinquennio,
pur le sue capacità grafiche sono assai datate. Nel tutto sosta,
anzi, pulsa un forte equilibrio figurale che nei temi antecedentemente
citati sono spesso caratterizzati da simbologie connesse
alla natura e allo spazio (foglie, nubi colorate...) pur se in alcuni
oli su tela ama collocare carte con cuori e fiori, e scacchi. Mi
sembra opportuno, a questo punto, proporre quanto ha affermato
Querci nel corso del colloquio avuto con me e con la storica
e saggista toscana Marilena Cheli Tomei: «La pittura per me
Lorenzo Querci
Cavallo di Cuori, olio su tela, cm 50x70
Apollo, olio su tela, cm 50x70
54
LORENZO QUERCI
Caronte, olio su tela, cm 70x50
Musa, olio su tela, cm 50x70
non è un gioco, bensì un momento di riflessione sulla vita e sulla
tutela della natura». Dicevo di Cheli Tomei la quale, a proposito
dei dipinti di Querci dedicati ai cavalli – evidentemente le
sono particolarmente piaciuti –, ha testualmente scritto sul libro
delle firme: «Agili, possenti, veloci come il vento, emergenti
da brume sono gli splendidi cavalli di Querci, simbolo del concetto
di libertà, di una potenza non ancora ingabbiata. Da sempre
protagonisti del mondo dell’arte per la loro plastica bellezza,
rappresentano un vero e proprio banco di prova per ogni artista,
brillantemente superato dall’artista». Osservandone i lavori,
quali siano i temi, penso che il nostro li abbia ben collegati, cosicché
non è arduo capire che i vari capitoli sono inseriti in una
interessante intelaiatura, sì da garantirne una logica, autentica e
autonoma narrazione. In poche parole il mondo di Lorenzo Querci
è garanzia di validità, proprio perché ha preso quota in forme
aventi un proprio linguaggio che ha il merito di comunicarne le
emozioni e i pensieri. La precisazione dell’idea si concretizza,
dunque, sia nelle figure mai statiche dei suoi cavalli, anatomicamente
precisi, sia nelle “donne pensose e pensanti”, così mi
piace definirle, che danno il senso della continuità in un insieme
perfettamente coerente con la sua indole riflessiva. Un giudizio
finale? Credo che spetti al pubblico che ne sta seguendo
l’attività, e al tempo, ma in ogni modo noto che sa linearmente
navigare nelle acque della forma e che, come ho scritto in passato
per un altro artista con similari caratteristiche contenutistiche
– il concetto è ampio, da portare in essere in altra sede –, ha
sì “guardato ad altri naviganti” ma, operando con schiettezza e
passione nelle acque dell’espressività, vi ha inserito una logica
degna di lode e di particolare attenzione.
LORENZO QUERCI
55
Personaggi
Donatella Alamprese
Il tango, una voce, tante storie
di Rosanna Bari / foto Antonio Desantis e Lorenzo Franchi
Isuoi spettacoli sono un viaggio attraverso i più suggestivi
luoghi dell’anima, per dare voce alle donne e alle
loro storie». Questo il pensiero del giornalista e scrit-
«tore Marcello Lazzerini su Donatella Alamprese, cantante lucana
dalla formazione classica, che vanta molteplici esperienze in
diversi ambiti musicali: dalla lirica al jazz, dal pop al rock e alla
sperimentazione. Inoltre, attratta dalla conoscenza di nuove
culture, si laurea in Lingue e Letterature Straniere, studio che le
permette di cantare in più di otto lingue. Le sue canzoni, da lei
interpretate con travolgente energia, descrivono tante realtà e
affrontano tematiche in cui, principalmente, le donne sono protagoniste,
quelle donne che, durante la loro vita, hanno lasciato
un segno indelebile nella società. Mentre la sua arte indaga
il profondo dell’anima per tradurre i suoi pensieri e le sue emozioni
in infinite e vibranti storie da raccontare. I suoi concerti
spettacolo sono quindi il prodotto di un viaggio emozionale tra
passato e presente dove, in una fusione di lingue e culture diverse,
affiora un appassionante intreccio di musica e poesia.
Pur avendo esordito in Rai con Renzo Arbore in DOC e Indietro
tutta, ti sei poi allontanata dal mondo della televisione,
come mai questa scelta?
Perché, assecondando la mia natura, ho preferito dedicarmi
alla ricerca e ad un altro genere di musica e di spettacolo.
Attualmente ti sei consacrata al tango di cui, tra l’altro, sei
una delle figure più rappresentative nel panorama internazionale;
quand’è cominciata questa avventura?
Nel 2003, quando ho conosciuto il chitarrista Marco Giacomini.
Con lui ho debuttato in teatro con uno spettacolo dedicato al
Tango Canciòn. Da allora, riemerse le mie sopite origini argentine,
mi sono dedicata con passione a questo genere, spaziando
In questa e nell’altra foto Donatella Alamprese durante alcuni suoi spettacoli
dal tango classico di Gardel alle composizioni di Borges, Piazzolla,
Blazquez, Cosentino e altri autori contemporanei.
Hai ricevuto tanti premi, qual è quello che più ti fa sentire
cittadina del mondo?
Nel 2021, nell’ambito dell’evento Calici di Stelle, ho ricevuto il
premio Note d’Italia nel mondo. Un riconoscimento, quindi, che
racchiude in sé un grande significato di universalità.
Ed è proprio nella ricerca di universalità che il suo ultimo spettacolo,
Bandiera sconosciuta, la vede impegnata a scoprire un’unica
bandiera che appartenga ad ognuno ma che nel contempo
accomuni tutti i popoli. Grazie al suo impegno, unito alla sua bravura
e all’affascinante presenza, la straordinaria artista è così riuscita
a conquistare il suo pubblico ovunque nel mondo.
www.donatellaalamprese.it
Donatella Alamprese
@donatellaalamprese
56
DONATELLA ALAMPRESE
A cura di
Giuseppe Fricelli
Polvere di
stelle
Riccardo Muti, il piacere dell’onestà
di Giuseppe Fricelli
Ho avuto la gioia di essere amico e frequentare in
giovane età Riccardo Muti. Tutto questo nei primi
anni della sua carriera quando venne a Firenze
come direttore stabile del Maggio Musicale Fiorentino.
Poi, impegni artistici mondiali portarono il maestro napoletano
sempre più lontano ed irraggiungibile per me. Muti
e la sua deliziosa moglie Cristina erano legati da profonda
amicizia a mio padre e mia madre. Spesso ospiti in casa
da noi, abbiamo trascorso insieme indimenticabili serate
anche con altri amici quali Eduardo De Filippo, Pupella
Maggio, Paolo Emilio Poesio, Piero Bargellini, Rio Nardi,
Vito Frazzi e tanti altri. Ho sempre ammirato in Riccardo
la sua profonda professionalità non solo di musicista ma
anche di didatta sia per cantanti che strumentisti. Difensore
accanito della Scuola Musicale Italiana, la sua formazione
era stata tutta concepita nei conservatori di Bari,
Napoli e Milano con docenti come Nino Rota, Vincenzo Vitale
ed Antonino Votto. Divulgatore del repertorio operistico
e sinfonico di compositori italiani, Muti non si è mai
abbassato a compromessi artistici e tutti noi dobbiamo riconoscergli,
oltre alle innate capacità di grande direttore
e concertatore d’orchestra, una profonda onestà di musicista
e di uomo. Sicuramente il maestro è stato l’esecuto-
Riccardo Muti (© Todd Rosenberg Photography - courtesy of riccardomutimusic.com)
re più vicino all’arte di Arturo Toscanini. Grazie Riccardo
per tutto quello che ci hai donato con il tuo meraviglioso
talento e per ciò che hai costruito in tanti anni di devoto
amore per la musica.
© Silvia Lelli - courtesy of riccardomutimusic.com
www.florenceartgallery.com
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
RICCARDO MUTI
57
Arte e
scienza
Gli inaspettati effetti della musica
sulla qualità del vino
di Serena Gelli
La musica può migliorare il vino? A questa curiosa domanda
Thomas Koeberl e Markus Bachmann rispondono
di sì. I due gastronomi viennesi sono convinti infatti
che far risuonare in cantina la Sinfonia n. 41 di Mozart durante
la fermentazione migliori la qualità del vino. Pensare che la
musica abbia il potere di intervenire durante questo processo
sembra strano. Eppure potrebbe esserci una spiegazione scientifica:
le onde sonore propagate dalle casse acustiche all’interno
della cantina potrebbero infatti interagire con l’azione dei
lieviti, migliorando così il processo di fermentazione. Esiste un
progetto analogo realizzato già qualche anno fa in Val d’Orcia
dall’imprenditore Carlo Cagnozzi, che nei vigneti della sua tenuta
ha distribuito alcune casse acustiche attraverso le quali
diffonde opere di musica classica, in particolare di Vivaldi e
Mozart. Le viti, influenzate da questa tipologia di musica, sono
cresciute il doppio rispetto alla norma. Un’altra testimonianza
del legame tra vino e musica proviene dall’artista Ezio Bosso
che, nel 2016, ha creato, per l’azienda Rocche dei Manzoni
dell’imprenditore Rodolfo Migliorini, la composizione musicale
Sinfonia per il vino capace di agire durante il processo di affinamento
del vino e di esercitare un effetto sulla rifermentazione
in bottiglia. Così nel 2016 l’azienda Rocche dei Manzoni ha presentato
sul mercato lo spumante Valentino Brut Cuvée Speciale
Door 185 th, affinato con la musica composta da Bosso. Un’ulteriore
riprova di quanto la musica faccia bene non solo all’anima
ma anche, e inaspettatamente, al vino…
58 EFFETTI DELLA MUSICA SUL VINO
Mostre in
Toscana
Giuliana Bertieri
Protagonista a Bolgheri della personale Insolite cose comuni
di Jacopo Chiostri
Autodidatta come Alberto Burri – e l’accostamento ovviamente
non è casuale – Giuliana Bertieri rappresenta
oggi un bell’esempio di artista “militante”. La
pittrice mugellana impegna, infatti, la sua arte per sostenere
con forza l’attenzione e l’urgenza dovute alle problematiche
della sostenibilità ambientale, e questo, in un’ottica a un
tempo sociale e culturale, diviene l’elemento-fulcro dei suoi lavori.
In una commistione di realismo, arte povera, arte ecologica
e informale materico, la Bertieri riesce a coniugare nelle
sue opere concettualità ed estetica. Il punto di partenza della
sua poetica che nasce da un pensiero forte – una sorta di
mantra, come lei stessa dice – è che in un ciclo vitale che non
finisce mai, tutto si rigenera: morire per rinascere (die to reborn),
questo è. Ed ecco allora l’inserimento di materiali riciclati,
carta, gusci di uova, polvere di marmo con cui nascono
opere di pittura materica arricchite e completate con l’utilizzo
di materiale di recupero più complesso, introducendo cioè al
loro interno scarto plastico industriale. Portare ad una nuova
ed inaspettata vita questi materiali, dare loro un senso ed una
nuova identità tramite un uso finalizzato ad una rappresentazione
prettamente estetica, si traduce in un messaggio forte,
profondamente emozionale. Del resto è la Bertieri stessa
a dirci che sua intenzione è: «Dar voce alla parte più intima di
noi, far vibrare corde poste in profondità e quindi liberamente
immaginare, vedere, in attesa del colpo sferrato dal colore».
Giusto, il colore. Sono stati il fascino che emanano il colore
e la materia, tangibile, non uniforme, i motori che hanno acceso
nella Bertieri la passione per la pittura e in particolare
per la sperimentazione cromatica e sui materiali. Ne ha fatto
gli strumenti di un lungo, interessante discorso che non è
Senza titolo, acrilico e stucco su legno, cm 115x150
la prima volta, lo sappiamo, che viene pronunciato, ma questa
volta ci investe con quella energia e assieme quell’eleganza
che, dopotutto, differiscono sempre a seconda delle parole
che scegliamo. Così quell’ossimoro che la Bertieri chiama indirettamente
in causa a proposito della nostra propensione
a consumare (e forse esaurire le risorse) di cui disponiamo
e la possibilità che ha il pianeta di rigenerarle, assume nuova
forza. A differenza di certa street art, punk art, cleaning
art, e di art in art discorrendo, come Burri
– artista di riferimento – nelle opere della
Bertieri la materia prende il sopravvento
sul quadro stesso, semmai nei suoi lavori
è assente del tutto la forma che, al contrario,
sia pure elementare, fu una delle peculiarità
del gruppo “Origine” di cui Burri fu tra
i fondatori. Altro artista che la Bertieri sente
profondamente vicino per il suo impegno
sociale sull’emarginazione e l’esclusione è
Anselm Kiefer, discusso artista tedesco ora
in esposizione a Palazzo Ducale a Venezia,
in concomitanza con la Biennale 2022. Tra
le prossime personali della Bertieri, la mostra
Insolite cose comuni che si terrà dal 7
al 13 luglio a Bolgheri (Largo Nonna Lucia)
con apertura 10:00/13:00 e 16:00/ 24:00.
Senza titolo, acrilico su legno, cm 45x50
Particolare materico di un’opera
giulianabertieri@live.it
GIULIANA BERTIERI
59
Il cinema
a casa
A cura di
Lorenzo Borghini
Her: la spersonalizzazione dell’uomo
nella metropoli firmata Spike Jonze
di Lorenzo Borghini
Siamo in un futuro prossimo concettualmente non troppo
distante dal nostro presente. Theodore Twombly
(uno straordinario Joaquin Phoenix) vive in una metropoli
imprecisata, che si differenzia molto dalle altre viste su
grande schermo; i colori sono caldi, così caldi che volti e contorni
di ciò che circonda Theodore, di ciò che sta all’esterno,
sembrano liquefarsi, sfumare piano piano in qualcosa di ectoplasmatico.
È il risultato della spersonalizzazione dell’uomo
nella grande città, ma più che di spazi qui si parla di consistenza:
l’uomo è solo non perché piccolo puntino in mezzo a
distese chilometriche di palazzi di cui non si vede la fine, ma
perché si è creato un carcere di solitudine, un’ampolla in cui si
culla senza rendersi conto che il punto di non ritorno è più vicino
di quanto egli creda. Theodore è diverso dalla massa, ha
un animo sensibile, scrive lettere di corrispondenza per conto
di terzi con una gentilezza e attenzione ormai rara, si traveste
di volta in volta da amante, amico, marito, quasi
come se li conoscesse davvero, analizzando le foto
che gli vengono inviate nei minimi dettagli, per recuperare
più indizi possibili sui destinatari, mostrandoci
che i dettagli sono ancora importanti in un mondo invaso
dall’avvento tecnologico. È un momento duro per
Theodore, la vita gli ha voltato le spalle quasi un anno
prima, e lui ha scoperto il fianco, vulnerabile per come
è finito il suo matrimonio si lascia cadere in una spirale
di depressione che gli farà perdere di vista tutto,
perfino il suo lavoro che ha tanto di autentico, di dolce,
ma lui dirà al collega che sono solo lettere, sminuendo
il suo magnifico operato, sbriciolando tutto
ciò che lo rende un animo nobile. Nel mondo di Theodore
sembra esserci una soluzione per tutto, per strada
volti copia e incolla si aggirano con cellulari tenuti
come figli, auricolari pigiati negli orecchi come ovatta,
quasi a non voler sentire il lamento di un’era, quasi a
non voler sentire il proprio prossimo, come se bastasse
una voce elettronica per sostituire tutto ciò che ci
sta intorno, tutto ciò che è carne e sangue. Per questo
anche Theodore trova il modo di uscire da quell’ampolla
che è diventata la sua vita, la soluzione è a portata
di mano, ed è il sistema operativo Samantha (la
bellissima voce di Scarlett Johansson). Samantha è la
compagna perfetta, non invade gli spazi di Theodore,
è sempre lui che decide quando e come parlarci. Lei
ascolta e asseconda tutto ciò che le viene detto con
spirito di osservazione, e a poco a poco inizierà ad interrogarsi
su tutto, proprio come un essere in carne ed
ossa, e Theodore rimarrà abbagliato da questa voce
calma e docile, dalla sua voglia di scoprire il mondo,
di emozionarsi per le piccole cose così tanto da innamorarsene.
Spike Jonze dopo molti film buoni ma mai eccelsi arriva
a compiere il tanto atteso passo di maturità con Her, che ci
mostra un mondo dalle emozioni fredde, rarefatte, sfuggite di
mano alla maggior parte della popolazione, ma ce lo mostra
con amore, con sentimenti caldi, con primi piani di Theodore
che piange sdraiato sul letto, che vive stritolato dai suoi ricordi,
di un matrimonio ormai finito, di un passato che non
ritorna, ma da cui è difficile distaccarsi, un po’ come dal cordone
ombelicale; anche qui per voltare pagina c’è bisogno di
un taglio netto, c’è bisogno di continuare a credere nell’essere
umano. A volte basta una semplice voce per far ricominciare
tutto, per far girare di nuovo gli ingranaggi della vita, e la lettera
di Theodore alla ex moglie Catherine è il simbolo del superamento
del dolore, la presa di coscienza che la vita va avanti
con noi e senza di noi, quindi perché non farne parte?
60
HER
Ritratti
d’artista
Luca Nossan
Un punto di osservazione inedito sulla meraviglia del creato
di Jacopo Chiostri
Giovane, dotato di pacato ma sano furore, una capacità
passionale e ben articolata di sostenere con l’interlocutore
le ragioni intime e costruttive della sua
poetica, un invito la primavera scorsa ad esporre alla Pro
Biennale: Luca Nossan, natali in Sudafrica, studio a Milano,
ha di recente esposto a Castiglione della Pescaia. La mostra,
“coperta” da Toscana Cultura con un servizio su Italia
7, era intitolata Alchimie di colore e si è tenuta nella centrale
Lucerna Art Gallery dell’omonimo hotel che, con una
scelta coraggiosa, ha dedicato alle mostre d’arte uno spazio
apposito ed esclusivo. Nossan ha esposto sedici opere
tutte abbastanza recenti. Hymn to life, Sailing on fire, Dreaming
Tokyp, The key of everything: questi alcuni dei titoli, in
lingua inglese «perché», ci diceva, «oggi che la comunicazione
viaggia sui social, l’uso della lingua più diffusa è un obbligo».
Questo giovane artista, del resto, ha idee chiare; nella
brochure, dove presenta un compendio della sua pittura, ha
scritto: «Se metti qualcosa su un muro per molto tempo, potrebbe
essere una buona idea scegliere qualcosa che ti faccia
sentire bene». La frase è preceduta dalle foto di ambienti
dove campeggiano alcune sue opere oggi di proprietà di collezioni
private, ma il concetto cardine è quel “ti faccia star
bene”, sì perché lo scopo della sua arte è, anche, quello di
trasmettere emozioni positive e risvegliare gioiosi processi
introspettivi, possibilmente pescando nella natura. Le tele di
Nossan, sovente di dimensioni generose, ricordano qualcosa
che non esiste, e il controsenso è soltanto apparente. Perché
nel magma, potente, delle opere lo spettatore sembra ravvisare
suoni e parole a lui noti, mentre quello che ha davanti
è una partitura inedita che gli offre un nuovo punto di osservazione
sulla meraviglia del creato. È un mondo che prende
forma davanti ai nostri occhi: prima non esisteva ma appare
immediatamente familiare. Ed ha un’armonia tutta musicale,
a volte consolatoria, altre aspra, talvolta misteriosa. Sulla
tela si avverte l’urgenza del gesto, l’istinto dell’azione, ma
anche il controllo, indispensabile per l’armonia compositiva
complessiva, che è equilibrio di segni e di toni. Il colore si
distende, si muove, si espande; si riconoscono i passi della
creazione, l’utilizzo del pennello, della spatola, finanche delle
dita, talora la tinta viene fatta gocciolare sulla tela posta sulla
terra. In genere l’osservazione richiede di allontanarsi, ma
è solo da distanza ravvicinata che si percepisce la minuziosità
del lavoro, l’attenzione rivolta agli accostamenti cromatici,
il loro confliggere o esaltarsi reciprocamente, e si gode
a pieno il segno quando si fa materico, pregno di colore. Dal
punto di vista istituzionale, le opere di Nossan sfuggono a
ogni qualsivoglia catalogazione; certo non è pittura informale,
la forma è presente, eccome, semplicemente lo è in termini
diversi da quelli che conosciamo; così come non mancano
le simbologie. Nossan ama gli impressionisti, poi Chagall, le
sue rappresentazioni così simili ad un insieme di suoni armoniosamente
diffusi e l’uso, libero, di pesi e contrappesi
farebbero anche pensare a certe opere di Kandinsky. Come
dicevamo all’inizio, Nossan ha le idee ben organizzate sulla
sua arte, non corre dunque il rischio di girare in tondo. Nella
sua storia ci sono già importanti riconoscimenti, come la citata
presenza alla Pro Biennale. La strada è tracciata, ne sentiremo
parlare ancora.
Hymn to life
Nightlife
LUCA NOSSAN
61
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Sherry Farsad
La pittrice dell’anima
di Margherita Blonska Ciardi
Niente è fisso, tutto quello che pensiamo e che nutriamo
con la nostra energia diventa poi realtà e
si materializza: questo è il messaggio che l’artista
persiana cresciuta in Australia Sherry Farsad vuole trasmettere
con le proprie opere. Le sue tele sono avvolte
dal mistero e pervase da un misticismo dal quale dipende
la grande spiritualità dei soggetti rappresentati. Le figure
femminili ritratte in meditazione e con gli occhi socchiusi
alludono alla necessità di ognuno di noi di trovare un
proprio equilibrio energetico in connessione con il mondo.
62
SHERRY FARSAD
Dopo una carriera nel ramo informatico-contabile
(è laureata in Scienze Informatiche),
Sherry ha deciso di dedicarsi
totalmente alla vera passione della sua
vita: la pittura. Secondo lei, l’arte è un
mezzo per trasmettere alcune sue riflessioni
sul mondo nel quale viviamo e sulla
società contemporanea che ha avuto
modo di conoscere da vicino lavorando
nel campo del marketing. Da due anni risiede
a Roma, dove l’integrazione fra diverse
civiltà e culture è palpabile grazie
alle stratificazioni delle antiche costruzioni.
La scelta della capitale italiana
come luogo dove dedicarsi alla pittura e
alla realizzazione dei propri sogni non è
stata casuale, ma determinata dall’aver
percepito l’unione energetica tra questa
città e il resto dell’universo e dal sentimento
di appartenenza dell’artista che si
è formata grazie all’incontro con diverse
culture. Nelle sue composizioni traspare
una grande attenzione per la bellezza e
per l’equilibrio che trasmettono una sensazione
di pace. L’armonia dei colori e le
morbide pennellate aiutano a scorgere
l’energia che scorre intorno a noi. Le figure
rappresentate sono cariche di sensualità
e di amore, immerse in uno spazio trascendentale
fatto di stelle e di flussi celesti che ci connettono con l’universo.
Attraverso la sua pittura Sherry cerca di far capire
che siamo fatti della stessa sostanza dell’universo al quale
apparteniamo e che tutto intorno a noi è
in perpetuo cambiamento. Secondo lei
siamo tutti esseri spirituali che vivono
per un breve periodo l’esperienza umana.
Possiamo scoprirlo fermandoci un
attimo a contemplare le sue opere in silenzio,
lontano dai rumori e dallo stress
della vita quotidiana. In questo modo,
lasciandoci trasportare dall’osservazione
attenta delle sue tele, possiamo potenziare
la nostra connessione con il
mondo e con la natura per scoprire chi
siamo davvero. Nelle sue opere l’equilibrio
compositivo dipende dal ritmo delle
pennellate che spesso ricalcano le note
della musica che l’artista ascolta mentre
dipinge. All’accostamento di ombre
e luci si aggiunge la scelta di alternare
tonalità fredde con colori caldi. Spesso
le donne rappresentate sembrano
fermarsi nel tempo, che a sua volta si
protrae all’infinito, proiettandoci verso
la totalità del cosmo. Secondo l’artista,
contemplando le sue opere possiamo
scoprire il nostro amore e l’appartenenza
al creato, diventando persone più
complete e forti.
SHERRY FARSAD
63
Itinerari del
gusto
A cura di
Filippo Cianfanelli
La Fornace dei Medici
L’alta cucina incontra la storia sulle colline alle porte di Firenze
Testo e foto di Filippo Cianfanelli
Strano destino quello della villa medicea di Pratolino fatta
costruire alla metà del Cinquecento da Francesco I
de’ Medici, primo Granduca di Toscana. La sua imponente
struttura ebbe vita breve e, progressivamente abbandonata,
andò in rovina nei secoli successivi venendo infine completamente
demolita nell’Ottocento. La sola Paggeria fu risparmiata
e venne acquistata dalla famiglia Demidoff e trasformata in
una villa principesca oggi nota appunto come Villa Demidoff.
Poco lontano da Pratolino, in località Viliani, presso Bivigliano,
in un terreno argilloso e ricco di acqua, è ancora esistente l’antica
fornace dove vennero cotti tutti i manufatti in terracotta che
permisero la costruzione dell’acquedotto che portava l’acqua alla
villa medicea e ai suoi splendidi giardini, oltre a tutti i materiali
fittili necessari alla realizzazione della villa stessa. L’antica
fornace è stata recentemente restaurata dalla famiglia Ciatti e
dal 2020 è diventata sede dell’agriresort Le Colline del Paradiso,
una splendida struttura che si è guadagnata “cinque girasoli”
corrispondenti alle stelle per gli agriturismi. Purtroppo, poco
dopo l’inaugurazione, la pandemia ha portato ad alcuni mesi di
chiusura forzata ma fortunatamente, soprattutto grazie ai turisti
nordeuropei che in estate hanno raggiunto le colline toscane in
auto, la struttura ha riaperto rapidamente e le ottime recensioni
hanno fatto il resto. Oggi, accanto all’agriturismo, è aperto il ristorante
La Fornace dei Medici, con eleganti tavoli posti all’ombra
di un grande dehor riscaldato e un ampio giardino all’ombra
di un gattice secolare. Per chi desidera stare al coperto, all’interno
è disponibile un’ampia sala e alcune salette più piccole anche
per eventi per poche persone. La struttura ospita inoltre una
spa con sala massaggi, sauna finlandese e due Jacuzzi con vista
sulle colline toscane. In cucina l’abilità dello chef Vittorio
Celentano è facilitata dalle materie prime di alta qualità, dalla
cacciagione proveniente dalla riserva di caccia della struttura,
dai formaggi di Pienza, gli insaccati di Norcia, fino alle verdure e
alla frutta biologica coltivate in loco. La selezione delle etichette
è il fiore all’occhiello del locale e nasce da una lunga ricerca
L’esterno del ristorante la Fornace dei Medici
del proprietario Guido Ciatti, sommelier, portata avanti con l’obiettivo
di far scoprire eccellenze vinicole prodotte da aziende
emergenti. Sui tavoli un elegante menù cartaceo: ogni piatto è
accompagnato una degustazione dei vini più adatti ad ogni pietanza.
Si comincia con una selezione di antipasti, a partire da
asparagi grigliati serviti sulla loro crema con frittelle di salvia,
passando ad una selezione di affettati e formaggi, per giungere
ad un carpaccio di Chianina su letto di misticanza con maionese
alla salvia. Molto interessante una coloratissima crema di
tuberi e verdure locali servita come piatto di passaggio insieme
a crostini e biglie di pecorino senese. Il grano Verna, un grano
antico prodotto nella tenuta, è alla base dei primi piatti. Si parte
dalle pappardelle al ragù di cinghiale, cacciato nella loro riserva,
per giungere ad un piatto di tagliatelle servite con un’ottima salsa
al tartufo e interamente coperte da fettine di scorzone (tuber
aestivum); come alternativa, dei ravioli ripieni ai quattro formaggi
con una salsa ai pomodori del loro orto. Passando ai secondi,
da segnalare la presenza di un piatto adatto anche ai vegetariani,
un ottimo uovo cotto al vapore in acqua di timo e successivamente
fritto e servito su radicchio spadellato in agrodolce. Non
abbiamo assaggiato il classico peposo o la bistecca di Chianina
preferendo provare piatti più originali. Molto interessante il
filetto di cinta senese lardellato servito con il proprio fondo di
cottura accompagnato da una variazione di verdure. Lo stesso
dicasi del coniglio ripieno servito con indivia alla griglia. La lunga
esperienza dello chef in ristoranti francesi si rivela soprattutto
al momento del dessert: accanto ai classici cantucci fatti in
casa serviti con il vinsanto e al tiramisù, degni di nota un millefoglie
caldo alla crema pasticcera e una cheesecake ai frutti di
bosco guarnito con una foglia d’oro zecchino. Un tocco di classe
per chiudere in bellezza una splendida serata durante la quale
tutti i cinque sensi sono stati appagati.
Tagliatelle di grano antico Verna con crema di tartufo e tartufo scorzone grattugiato
www.fornacedeimedici.com
64 LA FORNACE DEI MEDICI
A cura di
Paolo Bini
Arte del
vino
Il Viaggio di Landò
di Paolo Bini / foto Paolo Bini e courtesy Il Viaggio di Landò
Uniamo la competenza di
un professionista della
vigna, l’intuizione di una
brava giornalista, l’indiscutibile genio
di un maestro disegnatore e il
gioco è… quasi fatto! Il vino non è
aritmetica, è calcolo sì, ma senza
risultato certo perché la sentenza
arriva solo passando dal calice
e dai sensi. Il Viaggio di Landò
è però una sfida che pare vincente
sin dalle sue “prime fermate”. David
Landini è un talentuoso agronomo
ed enologo già noto per i
risultati ottenuti nelle Terre di Pisa
con Villa Saletta. Il suo nuovo
“viaggio” è qualcosa che però tocca
l’anima e sorta di commistione
La vigna di Landò
fra sogno, cultura, filosofia e sperimentazione. Un’idea nata
dalla dedizione per il lavoro e per la vigna, concepita per
recuperare l’antico patrimonio ampelografico regionale e diventata
realtà grazie al recente acquisto di un piccolo terreno
agricolo a Palaia con viti quasi secolari. Un piccolo cuore
di vigna toscana a 180 metri che l’agronomo gestisce in maniera
naturale, con estrema cura, con passo lento e animo
sperimentatore. Da qui è partito il nuovo Viaggio di Landò,
un progetto così chiamato grazie alla brillante fantasia della
giornalista Roberta Perna e che ha già regalato agli appassionati
una serie da tremila bottiglie numerate di canaiolo.
Prima fermata 2020 è un vino convincente che riassume nel
calice l’essenza di questa tradizionale uva toscana: fragranti
essenze di piccoli frutti rossi su petali di rosa e violetta che
in bocca si tramutano in succosa bevibilità dal gusto di ciliegia
e arancia rossa; di buon corpo ma per niente pesan-
te, scivola sulle papille con grande piacevolezza, lievissima
astringenza e invito a nuovo sorso. Siamo davanti a uno di
quei vini particolarmente versatili che riescono ad accompagnare
un primo di carne, una zuppa di pesce o momenti
gioviali di aperitivo anche giocando sull’abbassamento della
temperatura di servizio. Piacevole in degustazione e davvero
bello anche alla vista. È stato infatti il maestro Sergio Staino,
amante del buon vino, a disegnarne l’etichetta. Bobo e
Bibi, i personaggi a lui più cari, qui rappresentano la gioia del
bere bene, della natura, dell'amore universale e sono insieme
su di un'antica carrozza ottocentesca, il “Landò”, senza
briglie né freni, sospesa fra cielo e terra e trainata dalla potenza
della passione. Disegno poetico e accattivante riproposto
con minima variazione anche sul neonato vino bianco:
il Seconda fermata 2021 de Il Viaggio di Landò. Ancora un
vino da suggerire per l’estate, ancora viti antiche e vitigni
storici: trebbiano e malvasia
che Landini ha voluto come
protagonisti non del classico
vinsanto ma bensì di un
prodotto secco vinificato in
modo da valorizzare le peculiarità
di entrambe le varietà.
Pesca bianca, cedro, ginestra
e vaniglia sono gli aromi
che principalmente escono
in assaggio da un nettare luminoso
che in bocca sprizza
vitalità e invita al brindisi
conviviale o all’abbinamento
con salumi, formaggi freschi
e primi in bianco. Aspetteremo
anche alle prossime fermate,
fa buon viaggio Landò!
IL VIAGGIO DI LANDÒ
65
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale
Medaglia Leonardiana all’idea e al merito
L’edizione 2022 si è svolta a Sesto Fiorentino lo scorso 18 giugno
Premiati giornalisti, editori, registi e attori
di Fabrizio Finetti / foto Tiziano Buti
Sabato 18 giugno, nella sala del chiostro della
pieve di San Martino di Sesto Fiorentino, si è
svolta la seconda edizione della premiazione
- spettacolo Medaglia Leonardiana 2022 all’idea
e al merito. Il premio è promosso dal Centro
Espositivo Culturale San Sebastiano di Sesto Fiorentino,
la cui sede è adiacente alla pieve; sponsor
dell’evento, Orazio Guerra delle Rubinetterie Fiorentine.
La premiazione è stata condotta dall’attore
e regista Alessandro Calonaci, alla presenza
dell’assessore alla Cultura del Comune di Sesto
Fiorentino Jacopo Madau. Numerosi gli ospiti che
hanno fatto da cornice alla manifestazione: la direttrice
della Casa Museo di Dante, Cristina Manetti,
il designer Luciano Manara, il parroco don
Daniele Bani, l’archeologo Enrico Ciabatti e il dottore
in Medicina Giuseppe Paladino. Hanno ricevuto
il riconoscimento, Stefano Rolle della casa
editrice Apice Libri per la pubblicazione, a titolo
gratuito, per la San Sebastiano del libro di racconti
brevi La grande stazione, il cui ricavato è stato
devoluto totalmente al banco alimentare Caritas
della parrocchia San Giuseppe Artigiano di Sesto
Fiorentino; Stefano Cecchi, giornalista e scrittore,
per la trasmissione televisiva La Bibbia della
fede viola; Alessandro Sarti per la regia del film
Fabrizio Finetti premia Alessandro Sarti
Stefano Cecchi premiato da Jacopo Madau
Il parroco don Daniele Bani Patrizia Ferretti Stefano Rolle
66 CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Luciano Manara premia Sergio Forconi
Orazio Guerra e Alessandro Calonaci
Quel genio del mio amico e Sergio Forconi, attore,
per l’interpretazione del ruolo di Leonardo da Vinci
nel medesimo film; Patrizia Ferretti, attrice, per
l’interpretazione della commedia teatrale Otto
giallo lungo il crinale. Gli ospiti sono stati intervistati
dal giornalista Fabrizio Borghini per la rubrica
Arte Incontri di Italia 7 e il servizio fotografico è
stato realizzato da Tiziano Buti.
Foto di gruppo dei premiati e di alcuni rappresentanti del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano
CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
67
Eventi in
Italia
Alma Sheik, Jules Vissers e He Si’en
I tre vincitori della seconda edizione di Tamara Art Award 2022 a Venezia
di Margherita Blonska Ciardi
Si è conclusa da poco
a Venezia la seconda
edizione della rassegna
internazionale Tamara Art
Award, mostra-concorso d’arte
dedicata alla figura della
donna contemporanea. L’evento
vuole essere un omaggio
alla vita e all’attività artistica
della regina dell’Art Déco Tamara
de Lempicka, la quale,
con il suo stile inconfondibile
ed unico e la sua vita straordinaria,
è stata d’esempio per
tante donne su come affrontare
la carriera e raggiungere la
propria indipendenza. La sua
storia è attuale anche oggi, a
tal punto che molti personaggi del mondo dello spettacolo,
come Jack Nicholson, Lady Gaga, Madonna, Barbra Streisand
e tanti altri, sono tra i più grandi collezionisti delle sue opere
che spesso usano come immagine per promuovere la loro attività.
Non solo i suoi quadri offrono lo spunto per creare il look
accattivante e vincente di tante pop stars, ma l’intera sua
vita ha un valore esemplare per far capire agli artisti come
creare il proprio stile e insistere nel perseguimento dei propri
obiettivi. Quest’anno tra i finalisti del concorso, che ha visto
partecipare artisti provenienti da diversi paesi del mondo,
sono stati scelti i lavori della pittrice norvegese Heidi Fosli,
degli artisti e docenti polacchi Kinga Lapot Dzierwa ed Ernest
Zawada, del designer taiwanese Te-Sian Shih, della pittrice
israeliana Michal Ashkenasi, dell’astrattista americana
He Si’en
Alma Sheik
Jules Vissers
Stephanie Holznecht, del professore cinese He Si’en, della pittrice
belga Christine Hilarius, dell’artista digitale del Lussemburgo
Karin Monschauer e del film-maker filippino Amable
Tikoy Aguiluz. Dopo un’attenta valutazione da parte dello Studio
Artemisia, in collaborazione con de Lempicka Estate, sono
stati selezionati i vincitori dell’edizione 2022 del concorso,
a partire dal terzo posto assegnato ad He Si’en per i suoi interessanti
lavori che uniscono fotografia, installazione, grafica
e digitale per rendere omaggio alla bellezza e alla fragilità della
donna. Si tratta di un artista già conosciuto in Italia per aver
partecipato a diverse rassegne internazionali tra cui Florence
Biennale, Art&Integration, Vinart e al Premio Firenze dove nel
2017 è stato insignito del Fiorino d’oro per la sezione Grafica.
Seconda classificata del Tamara Art Award, l’artista tessile
olandese Jules Vissers per i suoi arazzi
contemporanei che interpretano in
maniera originale il busto femminile. Il
primo premio è stato attribuito invece
all’artista olandese originaria del Suriname
Alma Sheik per la sua singolare
ricerca che coniuga l’antica tradizione
del mosaico all’arte astratta, integrando
la cultura orientale con quella occidentale
per rappresentare la sensualità
e la fascinazione che la donna esercita
da sempre attraverso la danza. In occasione
della premiazione, che si è tenuta
presso la Scuola Grande di San
Teodoro a Venezia, è stato possibile visitare
una mostra delle serigrafie originali
di Tamara de Lempicka.
68
ALMA SHEIK, JULES VISSERS E HE SI’EN
A cura di
Margherita Blonska Ciardi
Nuove proposte dell’arte
contemporanea
Alexandra van der Leeuw
Le “donne corsive” della scultrice olandese conquistano Venezia
nell’ambito del Tamara Art Award
di Margherita Blonska Ciardi
Nell’ambito della seconda edizione della rassegna Tamara
Art Award, da poco conclusasi a Venezia, grande
successo hanno riscosso le sculture di Alexandra
van der Leeuw, che in questa occasione ha ricevuto il Premio
al merito per la sua attività artistica, mentre lo scorso anno,
durante Florence Biennale, è stata insignita del primo premio
come scultrice. Parlando di questa artista bisogna ricordare
che per anni è stata collaboratrice del famoso artista e architetto
veneto Gianni Aricò, con il quale ha avuto un rapporto di
amicizia e di rispetto professionale. Il maestro Aricò, essendo
“all’antica” e ritenendo la donna poco adatta a cimentarsi nella
scultura in pietra, quando vide per la prima volta Alexandra
all’opera rimase talmente sorpreso da attribuirle il soprannome
di “leonessa”, prendendo anche spunto dal significato del
suo cognome. Per ironia della sorte, proprio il felino è uno dei
soggetti più ricorrenti nella scultura della Van der Leeuw, parola
quest’ultima che vuol dire appunto “leone”. Laureata in
Moda all’Accademia di Amsterdam, Alexandra van der Leeuw
ha aperto il suo primo atelier nel 1986, nel cuore storico della
capitale olandese. Dopo anni di lavoro come stilista, nel 2002
è passata alla scultura, studiando nudo e anatomia all’Accademia
di Belle Arti di Laren e sviluppando successivamente il
proprio stile. La sfida tra perfezione e imperfezione regola la
composizione figurativa delle sue sculture femminili, spesso
lasciate grezze per aumentarne l’espressività, ricordando così
il contrasto tra finito e non finito degli schiavi di Michelangelo.
Essendo cresciuta a stretto contatto con la cultura italiana
grazie ai frequenti viaggi fatti con i genitori, ha subito il
fascino dell’arte antica, che si traduce nell’inconscia ricerca
di un estetismo assoluto. I corpi delle sue donne sono volutamente
allungati e stilizzati e ricordano sia le figure del mondo
della moda che l’arte etrusca. Lo notiamo soprattutto nelle
Donne corsive con tessuto, che sembrano muoversi a passi di
danza, sfoggiando con grazia ed eleganza un telo ed alludendo
alle divinità etrusche. Il bronzo, volutamente lasciato grezzo,
a volte viene trattato con pigmenti fissati con il fuoco che
donano all’opera una patina coloristica contemporanea ed innovativa.
In questo modo i suoi bronzi assumono tonalità che
vanno dalle sfumature del blu all’azzurro, dal verde al bordeaux,
distinguendosi per unicità e raffinatezza da altre sculture
eseguite nello stesso materiale. Si tratta infatti di una nuova
tecnica che si chiama “patiner”. Lavora su vari temi, cercando
di rappresentare l'esperienza del momento, senza concentrarsi
su un concetto fisso. Spesso le sue sculture sembrano
metafisiche per gli inserti di figure come androgeni, sfingi e
chimere dalle sembianze feline, soggetti che raccontano il lato
oscuro della donna, le sue movenze e gli istinti. Alexandra
si serve di vari materiali come pietra, bronzo, terracotta e cera,
ma anche di materiali sintetici e il vetro mescolato con diversi
pigmenti. Nel 2016 si è trasferita a Venezia dove ha aperto
il suo atelier e dove ha incontrato il maestro Gianni Aricò,
con il quale ha da subito instaurato un'amicizia contraddistinta
da reciproca stima, lavorando poi insieme a lui a vari importanti
progetti.
Alexandra van der Leeuw, Donne corsive con tessuto, bronzo
ALEXANDRA VAN DER LEEUW
69
Riflessioni
sulla fede
A cura di
Stefano Marucci
Carlo Acutis
Una storia di santità al tempo di Internet
di Stefano Marucci
Con questo articolo cerchiamo di raccontare quello che
al mondo di oggi appare una cosa molto strana, ma
che esiste da tempi lontani: la via della santità. Lo
facciamo attraverso un ragazzo di oggi che, come tutti i suoi
coetanei ma anche come tanti adulti, è appassionato di informatica.
Ma, a differenza di molti altri, questo ragazzo ha visto
in Internet un “veicolo di evangelizzazione e di catechesi”.
Stiamo parlando di Carlo Acutis, 15 anni, una grande voglia
di vivere, una prorompente allegria, ma soprattutto una profonda
fede in Dio. Sul Web si trova ancora la mostra virtuale
(www.miracolieucaristici.org), da lui progettata e realizzata
a 14 anni, che testimonia come davvero per Carlo l’eucaristia
sia stata “un’autostrada per il cielo”. Nato il 3 maggio del 1991
a Londra, dove i suoi genitori si trovano per lavoro, cresce a
Milano in maniera non dissimile da altri bambini, con la sola
differenza di avere una particolare inclinazione per le pratiche
religiose che a 12 anni lo porta alla messa e alla comunione
quotidiana. Ma non è tutto: con l’adolescenza arriva anche il
rosario quotidiano e l’adorazione eucaristica, convinto com’è
che «quando ci si mette di fronte al sole ci si abbronza, ma
quando ci si mette dinnanzi a Gesù con l’eucaristia si diventa
santi». Già, la santità: è il suo chiodo fisso, il suo obiettivo,
la molla che lo fa stare in modo “diverso” sui banchi di scuola,
in pizzeria con gli amici o in piazzetta per la partita di pallone.
Non è geloso del suo “kit per diventare santi”, che regala generosamente
a tutti e che, molto semplicemente, contiene un
desiderio grande di santità, messa, comunione e rosario quotidiano,
una razione giornaliera di Bibbia, un po’ di adorazione
eucaristica, la confessione settimanale, la disponibilità a
rinunciare a qualcosa per gli altri. Per lui, che così tanto desidera
la santità, è normale cercare amici in cielo; così nel suo
sito Internet c’è la sezione “scopri quanti amici ho in cielo”, dove
compaiono i santi “giovani”, quelli che hanno raggiunto la
santità in fretta. Anche lui è convinto di non invecchiare. «Morirò
giovane» ripete, ma intanto riempie la sua giornata di vorticosa
attività: con i ragazzi del catechismo, con i poveri alla
mensa Caritas, con i bambini dell’oratorio. Tra un impegno e
l’altro trova ancora il tempo per suonare il sassofono, giocare
a pallone, progettare programmi al computer, divertirsi con i
videogiochi, guardare gli adorati film polizieschi, girare filmini
con i suoi cani e gatti. Oltre a studiare, naturalmente, perché
frequenta con profitto (pur senza essere il primo della classe)
il Liceo Leone XIII a Milano. Dagli amici è amato per la ventata
di allegria che sa portare nella compagnia, anche se lui non
cerca lo sballo come gli altri, sempre misurato e padrone dei
Carlo Acutis
suoi sentimenti e dei suoi slanci. Così, anche chi lo avversa e
lo deride, finisce per subirne il fascino e per lasciarsi attrarre
da lui. Poi, improvvisa come un fulmine a ciel sereno, arriva
la leucemia, quella acuta che non lascia scampo, e che lui
accoglie con un sorriso, offrendo la sua vita per il Papa e per
la Chiesa. Cerca la guarigione perché ama la vita, ma sorride
alla morte come all’incontro con l’Amato e perché sa che oltre
ad essa non c’è il nulla. Muore il 12 ottobre 2006 e lo seppelliscono
nella nuda terra ad Assisi, la città di San Francesco,
che più di altre ha amato e nella quale tornava così volentieri
per ritemprare lo spirito. Proprio nel cimitero cittadino di Assisi
viene sepolto, ma nel gennaio 2019 i suoi resti mortali sono
stati riesumati, per essere traslati, il 6 aprile dello stesso
anno, nella chiesa di Santa Maria Maggiore nella stessa città.
Appena trascorsi i cinque anni previsti dalle norme canoniche,
la diocesi di Milano, nel cui territorio si trova Monza, ha dato
inizio alle fasi preliminari della sua causa di beatificazione e
canonizzazione. Il 15 febbraio 2013 la Conferenza Episcopale
Lombarda ha dato il proprio assenso all’inizio della sua causa,
seguito, il 13 maggio 2013, dal nulla osta da parte della Santa
Sede. La prima sessione si svolge il 12 ottobre 2013, l’ultima
il 24 novembre 2016. Il 5 luglio 2018 Papa Francesco autorizza
la promulgazione del decreto con cui Carlo viene dichiarato
“Venerabile”. Intanto, in Italia e all’estero sono cresciute sempre
più la fama e la stima per questo ragazzo che ha cercato
la santità in modo straordinario, pur nell’ordinarietà della sua
vita. Il 14 novembre 2019 la Consulta Medica della Congregazione
delle Cause dei Santi esprime parere positivo circa un
presunto miracolo avvenuto nel 2013, ovvero la guarigione di
un bambino brasiliano affetto da importanti disturbi all’apparato
digerente. La beatificazione di Carlo si svolge il 10 ottobre
2020, nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi,
e la memoria liturgica è fissata al 12 ottobre, giorno esatto
della sua nascita al cielo.
70
CARLO ACUTIS
Ritratti
d’artista
Silvia Cerio
Una pittrice alla ricerca della
bellezza universale
di Jacopo Chiostri
La storia della pittrice Silvia Cerio racconta di un grande
amore rimasto sopito per lungo tempo e che, mai dimenticato,
è riesploso quando, sistemate le incombenze della
vita, è stato possibile rituffarcisi. La sua passione per la pittura
risale agli anni della scuola media, quando l’insegnante di educazione
artistica, notato nell’allieva una evidente predisposizione
per il disegno e per le arti figurative, consigliò l’iscrizione al liceo
artistico; poi, si sa, la vita richiede spesso delle rinunce, e la giovane
artista in erba finì invece a studiare ad un istituto commerciale.
«Soffrivo a non avere più in mano una matita, comprai materiali
da disegno e un cavalletto» racconta la Cerio. Poi gli impegni di lavoro,
la famiglia. È stato in prossimità della pensione che, visitando
la mostra di un amico, la passione per la pittura si è riaffacciata
fino a concretizzarsi, oggi, in un impegno stabile, fatto di costanza,
dedizione e soprattutto passione. «La strada per raggiungere
i risultati che voglio non è semplice» spiega l’artista, impegnata
in una ricerca continua e appagante. Le risorse di cui dispone la
Cerio sono anzitutto la capacità di essere una critica severa nei
confronti di se stessa, una certa ironia, e poi una grande carica
emozionale-creativa, assieme, come detto, alla perseveranza nel
desiderio di migliorarsi. È nel 2018 che la decisione è presa con
l’iscrizione ad un corso di pittura. Nascono opere che spaziano
tra soggetti vari, ma sempre con una rivisitazione personalissima
nell’universo figurativo, ed è poco dopo che, partecipando quasi
per gioco, a un evento artistico, la Cerio si aggiudica il primo premio
con il quadro La pandemia che ha ottenuto ampi consensi di
pubblico e critica. Non ama le soluzioni accademico-classiche,
rifugge l’iperrealismo per la sua freddezza formale e non le appartiene,
all’opposto, l’informale. Invece è consapevole che qualsiasi
soggetto, se colto nella giusta illuminazione, con ombre e
luci convincenti, può farsi interessante: a questo si accompagna
la personale capacità nel disegno. Ed è il disegno la qualità più
manifesta di questa artista, un segno deciso, quantunque armonico,
esaltato dai chiaroscuri e dalla ricerca espressiva dei soggetti,
Nudità dell’anima, olio su tela, cm 50x70
Donna guerriera con bimbo, olio su tela, cm 50x60
ovviamente di particolare evidenza nei ritratti che rimane il campo
espressivo prediletto. I soggetti per lo più sono femminili, donne
dagli occhi grandi, nelle quali cogliere quel mix magico che è fatto
di forza e di dignità; dal punto di vista formale soggetti come le
donne africane con la loro pelle scura e i copricapi coloratissimi
sono adattissimi ad esprimere il postulato costituente della sua
poetica: vitalità, ricerca della bellezza universale, armonia. Tecnicamente
parlando, dipinge a olio ma adopera anche la penna, la
sanguigna, le matite colorate, l’acquerello e la fusaggine
(carboncino). Dopo aver letto le biografie di tanti
pittori – «Mi ha commosso la storia di Van Gogh, il
suo crescere come grandissimo artista, inconsapevole
di esserlo, e il suo bisogno di affidare alla tela le proprie
emozioni» –, la Cerio sta scrivendo la sua di storie,
quella di «un puledro imbizzarrito in attesa di essere
domato» che vuole arrivare – come faceva da bambina,
quando, innamorata della danza classica, non poté
frequentare una scuola di danza – infine a volteggiare
sulle punte dei piedi per sentirsi libera e in accordo con
il creato. Come una farfalla.
cresilv@libero.it
SILVIA CERIO
71
Mauro Mari Maris
La natura come dimensione dell'anima
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
A cura di
Franco Tozzi
Toscana
a tavola
Spigola al Ronchì Pichi, un piatto per l’estate
di Franco Tozzi
Visto l’approssimarsi delle vacanze estive, avendo tempo
per cercare il pesce giusto, proponiamo questa ricetta
originale e gustosa. La spigola, che in Liguria e
zone limitrofe chiamano branzino, è un pesce saporito e con la
carne soda quanto basta per poterlo cucinare sia in teglia/casseruola
che in forno. La nostra ricetta, considerando che siete
al mare, si prepara nella teglia e non in forno viste le temperature
bollenti, a meno che non vi troviate in montagna…
La ricetta: spigola al Ronchì Pichi
Ingredienti:
- 1 spigola di almeno 1kg
- 1 limone
Per la marinata (fredda):
- 1 cucchiaio di aceto balsamico
- ½ bicchiere di Ronchì Pichi
- sale
- pepe bianco
- un pizzico di zenzero
- 1 cucchiaino di farina bianca
Per la salsa:
- ½ bicchiere di Ronchi Pichi
- sale
- un pizzicotto di zucchero
- ½ bicchiere di brodo (anche di dado)
- 1 bicchiere di olio di oliva
- 1 porro
- zenzero (due pizzicotti)
- 150 gr. di funghi champignon (anche
in scatola, se freschi vanno sbollentati
bene)
Squamare e pulire bene il pesce,
lavarlo, asciugarlo e metterlo su
di un piatto strofinandolo da tutte
le parti con limone a spicchi.
In una ciotola unire tutti gli ingredienti
per la marinata e miscelarla
bene; prendere la spigola,
inciderne in profondità il dorso
ed anche l’interno, metterla in un
contenitore stretto in modo che
la marinata la copra tutta. La salsa
si presenta più complicata:
versare nella casseruola tutto
l’olio, aggiungere e far rosolare
il porro ben affettato; quando comincia
a colorire, mettere lo zenzero
e levare dal fuoco. La salsa
va preparata mescolando il Ronchì
Pichi con il sale, lo zucchero
e il brodo; nella casseruola sistemare il pesce e farlo
cuocere 3/4 minuti per parte; rimettere la salsa aggiungendovi
i funghi, coprire la casseruola e fare cuocere
lentamente per una mezz’ora con attenzione, rigirando il
pesce a metà cottura e avendo cura di far entrare la salsa
anche all’interno.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
SPIGOLA AL RONCHÌ PICHI
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A tavola
con...
A cura di
Elena Maria Petrini
Pamela Villoresi
Dopo gli esordi a Prato i successi di una carriera internazionale come
attrice e regista sempre con la Toscana nel cuore
di Elena Maria Petrini / foto courtesy Pamela Villoresi
Questo nuovo appuntamento della rubrica dedicata al
“cibo della memoria” ospita Pamela Villoresi, attrice
di teatro e di cinema e regista, attualmente direttrice
del Teatro Stabile Biondo di Palermo. Inizia giovanissima
lo studio della recitazione al Teatro Metastasio di Prato
e debutta, all’età di 14 anni, con il ruolo della principessa
Henriette nella fiaba di Evgenij Schwarz Il Re Nudo. Ma la notorietà
al grande pubblico arriva nel 1975 quando interpreta il
ruolo di Bice nel melodramma tragico Marco Visconti, uno dei
primissimi sceneggiati televisivi realizzati a colori dalla Rai
per la regia di Anton Giulio Majano; l’anno successivo recita al
Piccolo Teatro di Milano sotto la direzione di Giorgio Strehler.
Ha perfezionato l’interpretazione della poesia ed è stata voce
narrante in diversi melologhi; ha diretto molti spettacoli mettendo
in scena anche nuovi testi drammaturgici e teatrali da
lei commissionati. Nel cinema ha recitato in oltre trenta pellicole
dirette da grandi registi come i fratelli Taviani, Marco Bellocchio,
Giuliano Montaldo e Paolo Sorrentino che, assieme
a Toni Servillo, Sabrina Ferilli e Carlo Verdone, l’ha diretta nel
ruolo di Viola nel film La grande bellezza, premio Oscar 2013
come miglior film straniero. Nella sua prestigiosa carriera ha
vinto numerosi premi tra i quali due Maschere d’oro, due Grolle
d’oro, due premi Ubu e le è stata assegnata anche la Medaglia
d’oro del Vaticano, compresa tra i cento artisti del mondo
che favoriscono il dialogo con la spiritualità.
Com’è nata la sua passione per la recitazione?
Ho avuto la fortuna di nascere con una determinazione precisa,
con le idee chiare su ciò che volevo fare: infatti sin da
Con Verdone, Sorrentino e Jaja Forte alla consegna dell’Oscar
per il film La grande bellezza
Pamela Villoresi
bambina ho sempre voluto recitare e già alle elementari, quando
c’erano i saggi dalle suore, io ero la protagonista. Fortunatamente
vivevo in una città culturalmente molto attiva che si
dava da fare per i giovani e dove al Teatro Metastasio potevo
assistere a spettacoli e concerti. Non ho potuto frequentare
l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica perché avevo solo
13 anni e mezzo e ce ne volevano 16, ma per fortuna il Metastasio
di Prato era aperto nel pomeriggio per i ragazzi e la sera
per i dilettanti e quindi ho potuto cominciare subito a studiare
recitazione, facendo anche incontri importanti sul palco, come
quello con Roberto Benigni. All’età di15 anni, per il saggio
di fine corso, ho avuto il ruolo di protagonista ottenendo anche
il mio primo libretto di lavoro. Da allora ad oggi sono trascorsi
ben cinquant’anni di carriera. Agli inizi ho fatto un po’ da tutore
di me stessa: mettevo da parte i soldi, prendevo lezioni di canto,
imparavo le lingue come autodidatta, e questo mi ha permesso
di recitare anche in cinque lingue.
74
PAMELA VILLORESI
mi piace definirlo. Poche settimane fa ho rifatto a nuoto la
traversata dello stretto di Messina nella quale mi ero già cimentata
quattro anni fa. Scrivo delle belle lettere e dei bei
messaggi ma non sono una scrittrice, credo di essere brava
ad interpretare le parole degli altri.
Qual è il suo rapporto personale col cibo? Le piace cucinare?
Sul set de La grande bellezza
Dove ha girato il suo primo film?
Tra i primi film c’era Il gabbiano di Marco Bellocchio. Lo abbiamo
girato a Treviso in un’ansa del fiume che sembrava un
lago. In Vizi privati e pubbliche virtù di Miklós Jancsó eravamo
invece nell’ex Jugoslavia; siamo stati tre mesi a nord di
Zagabria e Maribor, ricordo le campagne meravigliose e intonse,
con grandi distese di girasoli ed antiche ville che ricordavano
l’impero austro-ungarico.
Può raccontarci qualche ricordo legato ad uno spettacolo
teatrale o alle riprese di un film?
Tra i ricordi più belli c’è quello di aver sempre portato con me
nei viaggi di lavoro i miei tre figli fino a quando è stato possibile
ovviamente, facendo le “capriole” per poter gestire tutto. Mi
ha aiutata mio marito, Cristiano Pogany, che, essendo direttore
della fotografia e quindi anche lui libero professionista, ha
potuto alternarsi con me in modo che uno dei due fosse sempre
a casa oppure disponibile a raggiungere l’altro con i bambini.
Un ricordo molto bello è quello di quando eravamo al Teatro
d’Europa fondato con Strehler e Jack Lang, perché andavo con
i bambini a Parigi e stavo lì anche per un mese prendendo in
affitto case ammobiliate per stranieri. I miei figli
giocavano al Jardin du Luxembourg con le antiche
giostre dell’Ottocento. Un altro ricordo piacevole
è quando recitavo l’Otello ed avevo mio figlio
Tommaso con la tata in camerino; mentre ero in
scena capivo quando era il momento di allattarlo
dal fatto che cominciavo a gocciolare latte dal vestito.
Un bel ricordo di questa Desdemona strangolata
col vestito intriso di latte...
Mi piace molto cucinare per la mia famiglia quando posso e
quando siamo tutti insieme, cosa che non avviene spesso. Per
le feste però siamo sempre assieme e mi piace stare in cucina
anche in quelle giornate dove ci riuniamo per divertirci con i
giochi da tavolo. Per quanto mi riguarda, mangio una sola volta
al giorno, alla sera, mi scelgo il vino da bere ed il cibo da cucinare
perché mi piace gustarmi questo momento anche se sono
da sola. Adoro le verdure, carne ne mangio pochissima: non
sono vegetariana ma le verdure sono il mio paradiso alimentare
assieme alla pasta di cui sono molto ghiotta. Non mi piacciono
i dolci però mangio il tradizionale “pan con l’uva” ma senza
lo zucchero sopra, fatto un po’ alla contadina, oppure il castagnaccio.
Faccio una pappa al pomodoro tra le migliori del pianeta,
ci metto due giorni a prepararla, mi riesce molto bene. Un
piatto che adoro è la pasta con i tenerumi, una specialità siciliana,
che sono le foglie della zucchina lunga da fare con pomodorini
freschi, un piatto di grande gusto. Mi piace molto anche la
panzanella, mentre non mi viene molto bene la ribollita.
Il suo “cibo della memoria”?
Ricordo con affetto i cibi tedeschi che preparava mia madre
per la vigilia di Natale: zuppa di funghi, piccoli knödel al formaggio,
punch natalizio e strudel. I cibi toscani che porto nel
cuore sono i fritti della nonna paterna Rina, carciofi, zucchine
e cervella, che anche io preparo qualche volta. Ricordo poi la
sua pommarola che era buonissima, la preparava a settembre
e la conservava in cantina, dove io, allora bambina, ne bevevo
una bottiglia. Sono ghiottissima di salsa di pomodoro
ed amo i cibi poveri, quelli del riuso.
Ha altre passioni?
A parte leggere, sono molto sportiva e gareggio
nella categoria Master di canottaggio con
i colori del Circolo Lauria-Mondello. Agli ultimi
campionati nazionali over 60 femminili abbiamo
vinto la medaglia d’oro. E poi amo il nuoto e soprattutto
il mare, il mio “amante azzurro” come
A teatro con Un angelo sopra Bagdad (2012)
PAMELA VILLORESI
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B&B Hotels
Italia
Nuovi servizi e un’offerta superior per i clienti di B&B Hotels
di Chiara Mariani
Entro la fine del 2022 il piano di sviluppo B&B Hotels in
Italia prevede il raggiungimento di oltre 60 hotel con l’obiettivo
di aprire nuove destinazioni e rafforzare la presenza
in quelle già presidiate. Non solo sviluppo sul territorio,
ma anche implementazione di un’offerta più ampia che vede
B&B Hotels in campo per garantire una proposta di ospitalità –
differenziata e con servizi superior – volta ad andare incontro
al viaggiatore contemporaneo sempre più esigente e alla ricerca
di un’offerta smart, flessibile e tecnologicamente avanzata.
Il focus diventano così i servizi e il comfort, sempre più di qualità
e necessari per migliorare il soggiorno di ogni cliente. L’esperienza
del viaggiatore parte sicuramente dalle camere in cui
alloggia e proprio per questo motivo B&B Hotels ha introdotto
la possibilità di scegliere di pernottare in camere superior,
sottolineando così la volontà dell’azienda di garantire un’offerta
di ospitalità differenziata capace di rispondere alle necessità
di tutti i target. Le camere superior offrono un kit di accoglienza
più ricco, doppio cuscino per un relax migliorato, acqua e un
servizio biancheria più confortevole. Tutte le camere superior
si trovano, inoltre, ai piani più alti con vista di maggior impatto
sulle città e molte dotate di terrazze panoramiche. A proporle,
ad esempio, il B&B Hotel Firenze Pitti Palace al Ponte Vecchio,
una meravigliosa struttura a meno di 100 metri da Palazzo Pitti
con una vista a 360° sul centro della città di Firenze. Sempre
nel capoluogo toscano, anche il B&B Hotel Firenze Laurus
al Duomo offre camere eleganti e spaziose, decorate con colori
chiari e parquet, che dispongono di aria condizionata, connessione
Wi-Fi gratuita, minibar e TV a schermo piatto. Flessibile,
smart e accessibile, l’esperienza di viaggio contemporanea non
può non tener conto delle nuove esigenze dei lavoratori. Strutture
come il B&B Hotel Affi Lago di Garda, vincitore del primo
posto nella categoria “Miglio spazio per meeting” all’Italian Mission
Awards 2022, sono infatti la scelta perfetta per organizzare
meeting grazie a 3 sale modulabili, tutte dotate di equipaggiamento
audio/video di ultima generazione e una connessione superveloce
con fibra fino a 300Mb/s, e al termine della giornata
lavorativa, vivere comodamente le bellezze del territorio. Anche
il B&B Hotel Cherasco Langhe propone 84 camere moderne, eleganti
e di categoria superior, in una struttura che si pone come
punto di riferimento per il turismo congressuale piemontese
con la sua sala meeting modulabile che permette di ospitare fino
a 50 persone e il ristorante adiacente all’hotel con specialità
enogastronomiche tipiche della tradizione locale. Il nuovo
concept di ospitalità lanciato dal gruppo è rappresentato perfettamente
anche dal B&B Hotel Chioggia Airone, una struttura
“Sun&Beach” situata nella “Venezia in Miniatura”, città considerata
dal New York Times come una delle tre località italiane da
visitare nel 2022. L’hotel, con 97 camere in tipologia standard
e superior, è ideale per viaggi di piacere ma anche per eventi
speciali, cerimonie, matrimoni e meeting aziendali grazie ai
ristoranti interni alla struttura per assaporare i gusti del territorio.
L’hotel offre inoltre una vasta gamma di servizi per sod-
La piscina del B&B Hotel Chioggia Airone
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B&B HOTELS ROMA
Una camera del B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina
disfare tutte le esigenze: accesso diretto alla spiaggia privata
con ombrelloni e lettini, piscina per grandi e piccini con giochi
d’acqua, animazione durante tutta l’estate con spettacoli serali,
noleggio di biciclette per percorrere le piste ciclabili della città,
Wi-Fi superveloce fino a 300 Mb/s gratuito in tutto l’albergo,
servizio lavanderia e E-station per la ricarica delle auto elettriche.
Nell’ottica di un servizio più completo, B&B Hotels propone
in due destinazioni di eccellenza, come il B&B Hotel Passo Tre
Croci Cortina e il B&B Hotel Palermo Quattro Canti, esperienze
enogastronomiche da provare per vivere il piacere di una cena
o un aperitivo in un ottimo ristorante. All’ultimo piano dell’albergo
di Palermo si trova infatti un ristorante che offre piatti tipici
della cucina siciliana, aperto tutte le sere per cenare, prendere
un aperitivo o organizzare eventi sull’esclusiva terrazza godendo
di un’incredibile vista su tutta la città. Punti di forza della meravigliosa
struttura di Cortina sono, invece, l‘ampio ristorante e
il bar bistrot, nuovo concept della catena dove poter sorseggiare
cocktail o cenare con piatti tipici della tradizione, circondati
da un’atmosfera tipica e accogliente. E se la “buona tavola” è
uno dei tratti distintivi dell’ospitalità italiana, la colazione resta
sicuramente uno dei momenti più amati dalla maggior parte dei
viaggiatori. Nelle strutture del gruppo è possibile godere di un
buffet ricco, vario e delizioso con prodotti di alta qualità e regionali.
La colazione comprende numerose opzioni per gli amanti
del dolce e del salato come brioche, pane, marmellate e fette biscottate,
ciambelle, torte, muffin, cereali, yogurt, uova strapazzate,
wurstel, formaggio, bibite, caffè e molto altro. Un occhio di
riguardo viene prestato anche ai prodotti bio e gluten free: il buffet
si completa infatti con plum-cake e tortine senza lattosio e
senza glutine, frutta e altri prodotti “veg” per chi preferisce scegliere
un’alimentazione vegana. Un’accoglienza che garantisca
comfort e servizi di fascia superiore, dove attenzione ai dettagli
e alta qualità sono valori imprescindibili. Per questo B&B Hotel
propone all’interno delle proprie strutture il B&B Shop con gustose
soluzioni food & beverage, prodotti per la cura della persona,
articoli tech e Welcome Dog, per gli amici a 4 zampe.
La terrazza panoramica del B&B Hotel Palermo Quattro Canti
Benessere e cura
della persona
A cura di
Antonio Pieri
Proteggere pelle e capelli dopo l’esposizione al sole
di Antonio Pieri
Finalmente è arrivata la stagione del mare e delle tintarelle.
Ma come sempre dobbiamo fare molta attenzione a
proteggere la pelle dai raggi UV e alla successiva idratazione.
Dopo aver preparato la pelle in modo adeguato per essere
esposta al sole, dobbiamo anche prendercene cura dopo l’avvenuta
esposizione. In che modo? Idratandola e nutrendola con
prodotti naturali e non aggressivi.
Nutrire la pelle
Dopo una giornata al mare, la pelle ha bisogno di rigenerarsi con
una crema doposole nutriente e idratante. Applicarla dopo l’esposizione
prolungata al sole è assolutamente essenziale in
modo da ristabilire la giusta idratazione della pelle. Nonostante
la continuativa e ripetitiva applicazione della giusta protezione
solare, i raggi UVA e UVB abbassano il livello di idratazione
del film idrolipidico causando diversi problemi alla cute stessa
come, ad esempio, le scottature, ed è qui che arriva in soccorso
il doposole, in grado di idratare, rinfrescare la pelle scottata e riparare
gli eventuali danni dovuti a una prolungata esposizione al
sole. Inoltre, serve a mantenere più a lungo una pelle abbronzata
e un colorito sano. È consigliato utilizzare doposole con formulazioni
naturali in quanto non aggrediscono la pelle, ma la
nutrono e la idratano in profondità. Nella linea Prima Spremitura
di Idea Toscana la crema corpo fluida idratante, grazie alla sua
formulazione con olio extravergine di oliva toscano IGP biologico,
è perfetta da utilizzare dopo l’esposizione al sole. Contiene
olio extravergine di oliva toscano IGP biologico, burro di karitè e
oli essenziali naturali nutrienti ed emollienti. È pensata e studiata
per lenire la pelle dopo una giornata al mare e, soprattutto, ha
il potere di ristabilire la giusta dose d’acqua del film idrolipidico.
Prevenire irritazioni intime
L’acqua salata, la sabbia e il materiale del costume possono provocare
fastidiose irritazioni intime. Si può prevenire il problema
utilizzando un sapone intimo naturale che non aggredisca la
pelle. Il sapone intimo della linea Prima Spremitura è un detergente
dolce e universale, adatto a donne e uomini che amano
la tipica sensazione di pulizia profonda e tonificante che solo un
sapone ispirato alla tradizione marsigliese in versione liquida riesce
a dare. In base alle valutazioni cliniche effettuate, rispetta
l’equilibrio fisiologico cutaneo della zona intima femminile non
creando alcuna sensazione di bruciore, prurito, irritazione o allergia.
In aggiunta dona una piacevole sensazione di sollievo,
freschezza e comfort in uso.
Attenzione anche ai capelli
Molto spesso non ci pensiamo, ma la prolungata esposizione al
sole può causare danni anche ai nostri capelli. Infatti possono
risultare secchi, sfibrati e poco luminosi. La prima cosa da fare
per porre rimedio a questa situazione è detergere i capelli con
prodotti naturali e biologici come lo shampoo naturale normalizzare
della linea Prima Spremitura di Idea Toscana che ha come
principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano
IGP biologico. Oltre allo shampoo è importantissimo utilizzare
anche un balsamo naturale ristrutturante che migliori le doppie
punte, restituisca luminosità ai capelli e li renda più facili da
pettinare. Il balsamo ristrutturante della linea Prima Spremitura
grazie alla ricchezza del formulato, con olio extravergine di
oliva toscano IGP biologico, donerà lucentezza alla capigliatura
rendendola facile da pettinare. Fissandosi maggiormente sulle
parti del capello più bisognose di cure, il prodotto svolge un’efficace
azione sostantivante e ricondizionante, aiutando così a
prevenire le antiestetiche doppie punte e conferendo al capello
corpo e pettinabilità.
Nell’augurarti buona estate, ti invitiamo a venire a trovarci nel
nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze per scoprire
tutti i nostri prodotti naturali e biologici.
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
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PROTEGGERE PELLE E CAPELLI
PROFUMO AMBIENTE IDEA TOSCANA
fragranze naturali per la casa
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Dimentica irritazioni e fastidi dovuti all’esposizione solare
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Forget irritation and discomfort from sun exposure
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