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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 6 - Giugno 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
Viva l’estate!
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Ci siamo! Finalmente siamo alle porte della stagione che dovrebbe
trasportarci fantasiosamente o materialmente in una dimensione
diversa da quella usuale che ci vede arrovellarci nel
quotidiano pieno di preoccupazioni e di stress. L’estate è quel
periodo dell’anno che ci fa sorridere e che ci regala un senso di
libertà che rasenta quasi l’incoscienza. Sì, perché tutto si può
dire fuori che il momento storico che stiamo attraversando ci
predisponga alla voglia di ridere e divertirsi. È anche vero però
l’uomo ha bisogno di staccare la spina e di proiettarsi nella bellezza
del senso di libertà evocato dalle temperature più calde
e dal sole più presente. E allora: bomba libera tutti! Togliamoci
la mascherina e proviamo ad affrancarci dai brutti pensieri
spegnendo la TV e accantonando i giornali almeno per un breve
periodo dell’anno, per scaricare la mente dai troppi pensieri negativi
che ci stanno accompagnando. Non so perché ma il papavero
è per me da sempre il simbolo dell’estate, come lo sono
le rondini per la primavera, le foglie gialle per l’autunno e la neve
per l’inverno. L’estate per me è il papavero! Il papavero insieme
al privilegio che concediamo al nostro corpo di sentirsi libero di
godere del sole che batte sulla nostra pelle e del calore che immagazziniamo
prima di coprirci di nuovo durante l’inverno. Se il
Botticelli ha dipinto la sua famosa Primavera rappresentando la
pudica Venere, io ho voluto fare la stessa cosa con questa foto
che ho scattato proprio pochi giorni fa quando mi sono trovato a
realizzare con l’amico Walter Savelli la copertina del suo nuovo
bellissimo disco, perfetto per accompagnaci in questa stagione.
Scoprire questo prato, che mi ha riportato indietro nel tempo
quando i prati rossi di papaveri erano più frequenti, mi ha spinto
a telefonare all’amica Miriam e insieme ci siamo fiondati in
quel luogo per realizzare quella che a me piace ironicamente definire
L’estate del Gabbuggiani. Grazie a Miriam Bellucci per aver
sposato l’idea prontamente, prima che sfiorissero i papaveri, e
grazie soprattutto all’estate. Quell’estate che considero la stagione
più bella pur essendo il periodo più bugiardo dell’anno in
cui vengono promessi amori eterni che non trovano riscontro in
inverno. Ma si sa, l’estate ci fa fantasticare e ci permette di ritrovare
quella puerile incoscienza grazie alla quale possiamo essere
felici anche in un periodo drammatico come quello attuale. E
allora godiamocela questa estate fatta di papaveri rossi, di corpi
che si liberano degli abiti, di pelle che diventa più scura, di
quell’acqua che si scalda, delle notti che si allungano, delle bibite
che diventano più fredde e della musica più forte che non ti
lascia dormire. Godiamocela appieno perché serve a ricaricarci
per quando torneremo alla realtà…
marco.gabbuggiani@gmail.com
Da oltre trent'anni una
realtà per l'auto in Toscana
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GIUGNO 2022
I QUADRI del mese
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Percorsi d’arte in Toscana: la villa medicea di Cerreto Guidi
L’orrore della guerra nell’intervista al giornalista e fotoreporter Fausto Biloslavo
Ferdinando Scianna, maestro della fotografia come prosa visiva
Grandi mostre: i fasti del “SuperBarocco” alle Scuderie del Quirinale
Autoritratto con maschera: la riflessione artistica di Antonio Ciccone sulla pandemia
L’amore per Firenze e la Toscana nei progetti e nei libri di Scramasax ideazioni
Firenze mostre: l’installazione Fons Vitae al Museo Marino Marini
Libri del mese: la storia di una vita nel romanzo di Gianluigi Ciaramellari
Artigianato in Toscana: Ivan Farsetti, artista dell’intarsio a Subbiano
Elena D’Anna, attrice e insegnante di teatro come valore per le nuove generazioni
L’opera d’arte totale di Carlo Pizzichini, maestro del gesto e del colore
Curiosità fiorentine: l’acqua di San Giovanni, unguento “miracoloso”
La figura di Herbert Percy Horne nella conferenza di Diego Crociani a Firenze
Dimensione salute: i postumi della sbronza, una questione di chimica
Psicologia oggi: attacchi di panico, l’estremo volto della paura
Salute e società: medici di famiglia, gli eroi silenziosi della pandemia
Consigli del nutrizionista: il gelato, come gustarlo senza sensi di colpa
Arte e psicologia: sotto un cielo di stelle, simboli dei desideri
La trama e l’ordito del viaggio interiore di Emanuela Simoncini
Archeologia: Il Canto dell’Esiliato in ricordo della caduta di Gerusalemme
La danza del segno tra gesto e colore nelle opere di Petra Dippold-Götz
Movimento Life Beyond Tourism: i Luoghi Parlanti dall’Italia alla Repubblica Ceca
Fare impresa oggi: Gamont, l’azienda leader in Toscana nell’accessorio moda
L’avvocato risponde: la modifica delle condizioni di separazione e di divorzio
Nuove realtà espositive: l’atelier di KristiPo a Roma, nel cuore di via Margutta
Giganti dell’arte: la Notte stellata di Van Gogh, capolavoro avvolto dal mistero
Occhio critico: Anne Irene Holthe, l’artista del “tempo che ritorna”
Firenze mostre: al Gruppo Donatello la collettiva dei Medici Artisti
Ritratti d’artista: Renata Massai, l’armonia dell’esistere
Lelia Secci nel ricordo del Gruppo Donatello a tre anni dalla scomparsa
Brevi storie da raccontare: Il sorriso degli Etruschi
Giuseppe Bezzuoli, protagonista della pittura romantica nella mostra a Palazzo Pitti
Il cinema a casa: Snowpiercer, il treno-mondo di Bong Joon-ho
L’energia del colore e la forza del femminile nella pittura di Marco Campostrini
Artisti ed autori del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano
La vita dell’artista Sebastiano Conca nel libro del carabiniere e scrittore Aldo Lisetti
Polvere di stelle: Bruno Rigacci, uno tra i musicisti italiani più preparati
Il cammino della goccia: la raccolta poetica di Susy Gillo sul senso dell’esistere
Toscana a tavola: la cecina, il piatto principe dello “street food”
Riflessioni sulla fede: la storia di Agar, donna e madre salvata da Dio
“A tavola con…” il giornalista e divulgatore scientifico Alessandro Cecchi Paone
B&B Hotels: l’inaugurazione di una struttura “green” nel Parco Leonardo a Roma
Benessere della persona: preparare la pelle per l’esposizione al sole
In copertina:
Il GiraFirenze a cura di Luca Giannelli
(Scramasax ideazioni)
Margherita Biondi, Grano al sole, acrilico su tela, cm 60x60
biondimargherita@gmail.com
Rosella Giorgetti, Passione (2021), acrilico su tela, cm 60x80x3,6
+ 39 3476502930
arte.rosellagiorgetti@gmail.com
www.rosellagiorgetti.com
rosella.giorgetti.art
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
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Anno 5 - Numero 6 - Giugno 2022
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Foto:
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Maria Grazia Dainelli
Marco Gabbuggiani
Ferdinando Scianna
Carlo Midollini
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Il sogno più bello
by
Pola Cecchi
Atelier Giuliacarla Cecchi
Showroom: via J. da Diacceto, 14 - Firenze
Sito: www.giuliacarlacecchi.com
Facebook: Atelier Giuliacarla Cecchi
Instagram: ateliergiuliacarlacecchi
Grazia Bonini
L’energia del colore
Esplosione (2021), olio su tela, cm 100x100
graziabonini55@gmail.com
A cura di
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte
in Toscana
Villa medicea di Cerreto Guidi
Un gioiello storico-artistico dichiarato Patrimonio dell’Umanità
dall’Unesco nel 2013
di Ugo Barlozzetti
Al centro di Cerreto Guidi sorge l’imponente
villa medicea edificata su disposizione
di Cosimo I de’ Medici quale residenza di
caccia per la vicinanza con la bandita del cosiddetto
“Barco Reale”. La costruzione della villa, eretta
usando i materiali della distrutta Rocca dei Conti
Guidi e della seconda cerchia di mura, fu condotta
tra il 1564 e il 1566. È documentata nel 1566
la direzione dei lavori da parte di Dario Fortini, già
aiutante del Tribolo, al quale subentrò Alfonso Parigi
il Vecchio. A Bernardo Buontalenti è riferita l’idea
delle rampe d’accesso “a scalera” denominate
“ponti medicei”. La villa, dichiarata dall’Unesco Patrimonio
dell’Umanità nel 2013, ha parte della propria
fama legata alla tragica vicenda di Isabella de’
Medici, morta a Cerreto nella notte tra il 15 e il 16
luglio 1576. Isabella, figlia prediletta di Cosimo I e
di Eleonora di Toledo, sposò nel 1558 il duca Paolo
Giordano Orsini e, secondo una leggenda per lungo tempo
accreditata in funzione antimedicea, sarebbe stata strangolata
da sicari per volere del geloso marito. Studi recenti hanno
sfatato la leggenda: le cause della
morte si devono ad una gravissima
forma di idropisia e una grave occlusione
renale. La villa, appartenuta
a don Giovanni de’ Medici, don
Pietro e don Lorenzo, ebbe una sistemazione
di carattere residenziale
verso il 1671, quando passò al
Casa della cornice
www.casadellacornice.com
cardinale Leopoldo de’ Medici. Nel
Uno scorcio degli interni della villa
Vista dall’alto della villa medicea di Cerreto Guidi
1780 Pietro Leopoldo vendette la villa e dopo vari passaggi di
proprietà pervenne ai marchesi Geddes da Filicaia che incaricarono
il pittore Ruggero Focardi per decorazioni ad affresco.
Galliano Boldrini l’acquistò nel 1966 per farne un museo e la
donò poi, nel 1969, allo Stato italiano. L’arredo della villa è stato
ricostruito in riferimento agli inventari storici (1667, 1705,
1728) per riproporre il gusto sofisticato e multiforme delle raccolte
medicee. La villa ha al proprio interno collezioni di varia
provenienza, da un lapidario romano, uno romanico-gotico, dipinti
dal Medioevo al Settecento tra cui opere di Guercino, Lavinia
Fontana ed altri, oltre ad arredi ed oggetti d’arte italiani
e islamici. Una parte degli arredi antichi (risalenti al Sei, Sette
e Ottocento) proviene dai depositi della Soprintendenza
fiorentina, mentre un’altra parte proviene
da un lascito dell’antiquario Antonio Conti nel
1844. Accanto a un numeroso e significativo nucleo
di ritratti medicei provenienti dalle gallerie
fiorentine, è importante il ritratto, a figura intera,
di Cosimo I nell’abito dell’incoronazione a Granduca
e il ritratto di Isabella de’ Medici. Sono presenti
inoltre arazzi provenienti dalla Manifattura
Medicea integrati con un’attenta selezione delle
opere della eredità di Stefano Bardini comprendente
dipinti su tavola e su tela, cassoni intarsiati
e dipinti, stipi, sculture in marmo e terracotta, maioliche,
manufatti e pietre preziose. Dal 2002 nella
villa è ospitato il Museo Storico della Caccia e
del Territorio, con testimonianze iconografiche e
una raccolta d’armi da caccia e da tiro.
VILLA MEDICEA
7
Personaggi
Fausto Biloslavo
L’incomprensibile orrore della guerra raccontato dal famoso giornalista e
reporter attualmente corrispondente dal fronte ucraino
di Doretta Boretti / foto courtesy Fausto Biloslavo
La guerra si è avvicinata all’improvviso e ha
sconvolto questa vecchia Europa che fa fatica
a rimanere unita. I media ci hanno inondati
di immagini sempre più terrificanti, si sono aperti
accesi dibattiti in diretta video che, a volte, hanno generato
ansia e inquietudine in chi li ha visti e ascoltati.
Nessuno più di un giornalista inviato di guerra che
si trova proprio sul luogo dove bombe di ogni genere
esplodono in continuazione e distruggono intere città
e un numero indefinibile di esseri umani perdono la
vita, può raccontarla davvero la guerra, rischiando la
propria vita, a sua volta, in ogni momento. Purtroppo
non sempre c’è, in chi narra certi eventi, quella nobiltà
intellettuale che consente di stare fuori dal gregge
ma sempre e comunque dalla parte dei più deboli.
Raccontare i fatti con l’onestà deontologica di chi deve
anche riportare verità assai scomode non è facile.
Ne parliamo con il famoso giornalista e reporter di guerra
Fausto Biloslavo.
Sei stato testimone di guerre terribili e finanche prigioniero
per ben sette mesi durante il conflitto in Afghanistan.
Che cosa prova un giornalista quando si trova davanti
all’orrore tanto da viverlo sulla propria pelle?
Fausto Biloslavo in Iraq
la stazione di Kramatorsk. L’orrore spesso non sono soltanto
i cadaveri spappolati o i civili colpiti che muoiono come mosche
negli ospedali, ma è anche un peluche intriso di sangue
di un bambino o di una bambina che non c’è più perché è stata
spazzata via e per terra è rimasto solo quell’oggetto intriso
del suo sangue. Questo è l’orrore e purtroppo bisogna farselo
amico, digerirlo, per filmarlo e raccontarlo.
Purtroppo, bisogna “farsi amico dell’orrore”, come dice il colonnello
Kurtz in Apocalypse Now, ma quello è un film. Mi sono
trovato davanti alla linea rossa, in Uganda, al cospetto di
un massacro inenarrabile, quando ho capito che quella sarebbe
stata la mia vita di giornalista di guerra e che l’orrore bisogna
farselo amico per sopportare di poterlo raccontare. La
stessa cosa mi è capitata adesso in Ucraina con la strage al-
Dal punto di vista deontologico quant’è difficile raccontare?
È sempre difficile, soprattutto quando c’è di mezzo tanta propaganda,
tanta guerra dell’informazione e tanta disinformazione.
Quindi bisogna sempre stare attenti e soprattutto
raccontare quello che vedi, senza paraocchi, raccontare la realtà
sul campo, quella che ti capita davanti. La realtà viene
Con il celebre fotoreporter di guerra James Natchwey
In Yemen con i rapitori dei turisti italiani
8
FAUSTO BILOSLAVO
In Afghanistan
è diventato InsideOver, per coinvolgere i lettori e chi ci sosteneva,
perché purtroppo i reportage sono costosissimi e
l’editoria è in crisi. Oggi, con la guerra in Ucraina, anche le assicurazioni
sono esplose dopo la morte di diversi giornalisti.
Andare in giro a raccontare la guerra è molto costoso. Così,
sempre con lo strumento del crowdfunding, cioè della raccolta
fondi online, che è arrivata a 17.000 euro, abbiamo lanciato
questo nuovo progetto per raccontare la guerra in Ucraina.
È una bellissima iniziativa perché i sostenitori hanno prima
degli altri le esclusive ed è un ottimo sistema anche perché
si crea un rapporto di collaborazione con i propri lettori e sostenitori
che diventano i tuoi editori.
In Uganda
dal cercare. Non puoi stare in albergo, devi essere in prima linea
per raccontare la guerra.
Che cosa ha di diverso la guerra in Ucraina dalle altre guerre
alle quali hai assistito?
Prima di tutto, è una guerra nel cuore dell’Europa, a 1200 chilometri
da noi. Una guerra convenzionale che contrappone gli
eserciti, fra cui uno, in questo caso, di una super potenza, la
Federazione Russa. Una guerra fatta di bombardamenti, carri
armati e dopo la fanteria, quindi devastante per tutti, soprattutto
per i civili.
Ci puoi parlare del progetto Gli occhi della guerra?
Era un progetto creato con il sito de Il Giornale nel 2014, poi
Sei un giornalista di grande esperienza, hai scritto articoli
per numerose testate come fai in questo momento per
Il Giornale, collabori con Panorama, il TG5, Studio Aperto,
e hai pubblicato anche molti libri. Ce n’è uno che vorresti
scrivere adesso o che stai già scrivendo?
Sto cercando di farlo. Sempre con il mio collega Carnieletto,
con il quale, nel 2021, ho scritto Verità infoibate, dedicato ai
massacri delle foibe, adesso sto cercando di produrre un volume
sull’Ucraina. Speriamo di riuscire a portarlo avanti perché
il lavoro è tanto anche per un libro del genere e il tempo
è tiranno.
Che cosa suggeriresti ad un giovane giornalista alle prime
armi?
Di farlo se ha passione. Al di là dei soldi, della fama. Ci vuole
tanta passione perché è solo la passione che ti fa superare
tutti gli ostacoli del giornalismo di guerra.
FAUSTO BILOSLAVO
9
I grandi della
fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Ferdinando Scianna
La passione per l’immagine, l’ossessione per la scrittura,
la Sicilia sempre in fondo all’anima
Il maestro della fotografia come prosa visiva si racconta, ripercorrendo luoghi,
incontri ed esperienze di una vita trascorsa dietro l’obbiettivo
di Maria Grazia Dainelli / foto Ferdinando Scianna
È
stato difficile iniziare a fotografare negli anni Sessanta
a Bagheria?
Sono nato e vissuto fino a 24 anni in questo paese, in una realtà
contadina del dopoguerra molto difficile. Ho iniziato a fotografare
all’età di 17 anni. Mio padre mi regalò una macchina
fotografica e capii immediatamente che con questo strumento
avrei potuto mettermi in relazione con gli altri. È stato proprio
grazie a questi scatti, rimasti in una cassetta di legno per circa
trent’anni, che è nata la mia vocazione di fotografo. Mio padre
voleva che diventassi ingegnere o medico, ero per lui uno
strumento di riscatto sociale e non ha mai accettato la mia
professione di fotografo. Mi trasferii a Milano e iniziai a fare il
giornalista per il settimanale L’Europeo diventando in seguito
inviato speciale e corrispondente da Parigi. Ero fuggito per interrogare
ed esplorare il mondo, scoprendo poi che mi portavo
dentro il mio sguardo siciliano. Penso infatti di aver fotografato
la Sicilia ovunque io sia andato nella mia vita.
Kami (1986)
Quant’è stato determinante l’incontro con Henri Cartier-Bresson?
Sono andato a trovarlo a Parigi e tra di noi è nata un’amicizia
durata vent’anni e caratterizzata da un’affinità intellettuale ed
umana molto speciale. Cartier-Bresson è stato un riferimento
fondamentale per la mia carriera: non parlavamo di fotografia
ma di musica, letteratura e molto altro. Secondo la sua visione,
il fotografo deve ambire ad essere testimone invisibile e non intervenire
per modificare gli istanti della realtà che invece deve
saper leggere ed interpretare. Con la morte di mio padre nel
1982, dentro di me si ruppe qualcosa di profondo e capii che
dovevo licenziarmi da L’Europeo per fare il fotografo indipendente.
Cartier-Bresson mi invitò a presentare un mio portfolio
all’agenzia fotografica Magnum, che fu accettato consentendomi
così di entrare a far parte di questa prestigiosa organizzazione
internazionale: fu l’inizio di un nuovo periodo della mia vita.
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
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Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
Leonardo Sciascia (Racalmuto, 1964)
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FERDINANDO SCIANNA
religiose in Sicilia, nel quale le immagini descrivevano la celebrazione
del sentimento religioso della comunità accompagnate
da testi del grande Leonardo Sciascia. Successivamente con
il libro Quelli di Bagheria ho cercato una forma espressiva diversa,
scrivendo testi che non fossero didascalie delle foto e con
foto che non fossero illustrazioni dei testi. Sono un fotografo
che scrive e non uno scrittore che fa fotografia.
Avere un interlocutore come Leonardo Sciascia quanto e
come ha influenzato il suo stile fotografico?
Parigi (1989)
È stata l’amicizia più importante della mia vita durata ventisei
anni e caratterizzata da un sentimento di esclusività irripetibile.
Sciascia è stato per me un grande maestro che ha influenzato
il mio modo di pensare. Mi ha fatto capire che attraverso il linguaggio
della fotografia raccontavo la vicenda umana condizionando
il mio pensiero, le mie letture, il modo di vedere le cose
e di pormi nei confronti del mondo. Mi ha aiutato a comprendere
che i miei scatti avrebbero avuto un senso particolare e non
casuale solo se inseriti in un libro. Questa è tuttora l’ossessione
alla base del mio lavoro. Ho pubblicato oltre settanta libri, molti
dei quali realizzati per vivere e pochi per campare. Guardandomi
indietro ho capito che queste pubblicazioni rappresentano
l’album di famiglia della mia vita e della mia professione.
La foto più significativa scattata a Leonardo Sciascia?
Nel corso della nostra lunga amicizia gli ho scattato centinaia di
foto ma ce n’è una in particolare che lo rappresenta come uomo
e come scrittore; è quella dove l’ho immortalato davanti all’urna
del Cristo morto. Andai a trovarlo a Racalmuto perché mi chiese
di fotografare l’atto di nascita di fra Diego La Mattina, l’eretico
racalmutese che aveva ucciso il proprio inquisitore con le sue
stesse catene e sulla cui terribile storia stava scrivendo un libro.
Mentre salutava il parroco, lo precedetti in chiesa, vidi due bambine
davanti all’urna con il Cristo morto e Leonardo Sciascia che
arrivava, capii che si sarebbe inserito nella scena entrando in relazione
con gli elementi formali, si girò a guardarmi e scattai.
Nel mondo della moda ha spostato l’attenzione dalle passerelle
alle strade siciliane. Com’è stato fotografare la modella
Marpessa Hennink?
Enna (1963)
Nei suoi scatti la narrazione fotografica s’intreccia con la
parola scritta, perché?
Mi considero un reporter e ho sempre avuto il desiderio di raccontare.
Spesso la mia ricerca sottintende un progetto, una storia,
ma soprattutto un libro. La mia ossessione per la scrittura
nasce dall’amore per la letteratura di carattere narrativo, ho
sempre ammirato scrittori come Omero o Hemingway che attraverso
una straordinaria sensibilità linguistica hanno prodotto
miti e personaggi che fanno parte ancora oggi della nostra
cultura. Avevo 21 anni quando pubblicai il mio primo libro Feste
È stato Frank Horvat il primo a portare le modelle fuori dalle
passerelle, facendo un percorso
simile al mio. Le mie foto di moda
sono nate casualmente quando
venni contattato dagli stilisti
Dolce e Gabbana. Mi fu chiesto di
immortalare la splendida modella
Marpessa avendo la Sicilia come
ambientazione. Erano foto costruite
che necessitavano di una
regia per raccontare una storia legata
anche al contesto socio-culturale
dei luoghi. Ero sorpreso da
me stesso perché per la prima
FERDINANDO SCIANNA
11
Marpessa Hennink (Caltagirone, 1987)
volta mi cimentavo nella fotografia di moda con la stessa passione
di sempre. Ho vissuto questa esperienza come un’occasione
per ripensare alla mia infanzia in Sicilia, al sentimento
per le donne provato quando ero ancora adolescente.
La sua fotografia è un racconto oggettivo della realtà o
un’interpretazione personale?
Ho sempre scattato in maniera compulsiva, cercando di vedere
il senso, la forma, le emozioni che offre il mondo come uno
specchio dalle mille sfaccettature. In oltre cinquant’anni, ho
raccolto più di un milione di fotografie di uomini, donne, bambini,
momenti di gioia o di dolore, oggetti che mi hanno suscitato
pensieri e luoghi che ho incontrato e non cercato. Ho sempre
pensato di scattare fotografie perché il mondo è la, e non che il
mondo sia là perché io lo fotografo. È la luce la cosa più importante
per un fotografo, ciò che gli consente di vedere, leggere
e interpretare il mondo in base alla propria cultura, sensibilità,
al contesto in cui si è formata la sua coscienza visiva ed esistenziale.
I fotografi del nord, ad esempio, scattano immagini
molto luminose e quasi abbaglianti; le mie invece sono fotografie
drammatiche, molto contrastate, perché il sole mi interessa
soltanto per esaltare il nero delle ombre.
Qual è la differenza tra una foto “bella” e una foto ben riuscita?
Le foto belle non servono a niente, sono pura estetica. Una foto
ben riuscita, invece, è quella che racconta momenti, gesti, azioni,
emozioni, una foto che mostra e non dimostra. Bisogna essere
estremamente curiosi della realtà per cimentarsi nella fotografia.
Alcune immagini nascono per pura folgorazione e nel tempo
si trasformano in progetti oppure rimangono isolate, puro frutto
di meraviglia. Paolo Monti diceva che le fotografie si fanno con
i piedi. Io l’ho capito benissimo fin da subito e lo capisco soprattutto
adesso che i miei piedi non sono più tanto disponibili. Ma
questo non mi impedisce di continuare a progettare e raccontare
lo spettacolo inesauribile del mondo attraverso i libri che considero
la mia forma prediletta di comunicazione.
www.ferdinandoscianna.it
12 FERDINANDO SCIANNA
A cura di
Miriana Carradorini
Grandi mostre in
Italia
SuperBarocco
Alle Scuderie del Quirinale i fasti
dell’arte genovese del Seicento da
Rubens a Magnasco
di Miriana Carradorini
Dallo scorso 26 marzo e fino al prossimo 3 luglio, alle
Scuderie del Quirinale a Roma è in corso la mostra SuperBarocco
– Arte a Genova, da Rubens a Magnasco.
Nel cuore di una città come Roma caratterizzata dal Barocco,
difficilmente ci si aspetterebbe una mostra dedicata al Barocco
genovese, ma non tutti sanno che la città ligure è stata fulcro
principale in Italia di questo stile artistico. La mostra si pone infatti
l’obiettivo di illustrare l’importanza che Genova ha avuto nel
Seicento, presentandone gli aspetti, anche quelli meno conosciuti,
attraverso l’esposizione di oggetti e manufatti che testimonia-
Antoon van Dyck, Paola Adorno Brignole-Sale (1627), olio su tela, cm 286x198,
Palazzo Rosso, Genova
Pieter Paul Rubens, Giovan Carlo Doria (1606), olio su tela, cm 265x188,
Galleria Nazionale della Liguria, Palazzo Spinola, Genova
Dr. Matteo Berna
Consulente finanziario
338 5647067
matteoberna@mediolanum.it
no la ricchezza della città ligure in quel periodo. Attraverso più di
centoventi opere di artisti che hanno abitato la Liguria seicentesca,
viene illustrato come il Barocco sia arrivato a Genova attraverso
Rubens e come nel capoluogo ligure siano state assorbite
le sue novità, poi riproposte con un linguaggio pittorico tutto italiano.
Il percorso espositivo presenta sia capolavori di artisti come
Rubens e Van Dyck ma anche opere di grandi pittori barocchi
italiani poco conosciuti come Bernardo Strozzi, Giovanni Benedetto
Castiglione e molti altri, fino ad arrivare a Magnasco, uno
dei più importanti esponenti del Barocco ligure. Le sezioni della
mostra ripercorrono in maniera cronologica l’evoluzione che
la pittura italiana ha avuto con l’arrivo di Rubens, partendo dalle
prime sale, dove insieme ad opere del maestro fiammingo si
trovano anche dipinti di Van Dyck, e passando poi ai principali
pittori attivi in Liguria in quegli stessi anni, fino ad arrivare alla
grande stagione barocca che caratterizza l’arte ligure per tutta
la seconda metà del Seicento e fino al Settecento. L’esposizione
comprende anche diversi oggetti che richiamano quelli raffigurati
all’interno dei quadri, ricostruzioni di alcuni ambienti e suppellettili
liturgiche che permetto un’immersione nella vita ligure del
periodo. Grazie ad una serie di pannelli che spiegano aspetti della
cultura genovese del XVII secolo, è possibile inoltre scoprire le
abitudini, i personaggi e gli eventi più importanti della Genova barocca.
Alla fine della mostra il visitatore avrà compiuto un viaggio
all’interno delle chiese, dei palazzi e dei luoghi abitati da nobili
e artisti del Barocco genovese e, attraverso la cultura di uno dei
principali fulcri della cultura artistica italiana, potrà comprendere
l’evoluzione dello stile Barocco in Italia.
SUPERBAROCCO
13
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Antonio Ciccone
Autoritratto con maschera: un’originale
ed acuta riflessione sulla pandemia
di Daniela Pronestì
Occorrerà del tempo per comprendere a fondo il lascito
dell’esperienza pandemica. Capire cosa di nuovo
abbiamo imparato nei lunghi mesi di clausura forzata
e cosa invece dobbiamo ancora imparare affinché una
situazione del genere non debba più ripetersi. Di sicuro c’è
che le mascherine, anziché strumenti di protezione per sé
e per gli altri, si sono spesso rivelate delle maschere dietro
cui nascondere paure, egoismi e debolezze. La pandemia ha
messo dura prova l’individuo, ne ha mostrato i limiti e in molti
casi anche il coraggio; ha fatto vacillare non solo la fiducia
in sé stessi e negli altri ma anche la fede in Dio. A queste
riflessioni guidano le opere di Antonio Ciccone presentate
nella mostra conclusasi lo scorso 26 maggio al Circolo degli
Artisti Casa di Dante a Firenze. Fin dal titolo Self-portrait
with Mask / Broken Planet (Autoritratto con maschera / Pianeta
rotto) s’intuiscono le intenzioni di un progetto che, iniziato
nel 2020, durante il periodo più duro dell’emergenza
pandemica, e portato avanti fino agli inizi del 2022, restituisce
un’interpretazione del tutto insolita e personale di ciò
che abbiamo vissuto negli ultimi due anni, a partire dalla
scelta dell’artista di autoritrarre se stesso in pose diverse
e quasi sempre “mascherato”. Un modo per dire che la pandemia
ha chiamato ciascuno di noi, nessuno escluso, ad essere
protagonista, impegnandosi in prima persona a dare il
proprio contributo. Senza dimenticare che l’isolamento dovuto
alle restrizioni sociali ci ha costretto a confrontarci con
noi stessi, a chiudere il mondo fuori per guardare dentro di
noi. E proprio da questo “guardarsi dentro”, in interiore homine,
nascono le dieci opere di Ciccone, un dialogo dell’artista
con se stesso e con la realtà che lo circonda. Dialogo in
cui sono soprattutto gli occhi a comunicare – l’unica parte
sottratta al “mascheramento” – con un crescendo di espressioni
che procedono dallo sgomento alla perplessità, dallo
stupore alla speranza, in un continuo rimbalzare dalle cose
del mondo alle sfere luminose del cielo. Ciccone sembra
chiedersi che cosa stia succedendo intorno a lui, in questo
pianeta “rotto” dalle brutture umane, quale sia il suo compito
come artista, quale contributo offrire, quale risposta.
E ancora: che significato dare a quella “maschera” imposta
dalle circostanze e come continuare a celebrare la bellezza
del creato in un mondo che ha ormai dimenticato Dio. Ecco
allora che l’atto del guardare al proprio interno per comprendere
meglio ciò che accade fuori, diventa emblematico della
capacità dell’artista di scrutare dentro ed oltre le cose, di
osservare la realtà usando i propri occhi – da qui il gesto in
alcune opere di levarsi gli occhiali –, rimanendo sempre fedele
a se stesso, ai propri valori ed ideali, e indossando anche
una maschera, se necessario, ma stando attento a non
Self-portrait with Mask/Broken Planet IV (2021), tecnica mista, cm 140x100
Self-portrait with Mask/Broken Planet III (2021), carboncino, cm 70x100
confonderla mai con il volto. Come a dire: l’artista che non
sa “vedere” con i propri occhi, non può nemmeno costruire
visioni. In questo nuovo progetto, quindi, Ciccone incontra
anzitutto se stesso, osservandosi riflesso in uno specchio
che gli rimanda un’immagine nitida e veritiera, quella di un
artista che anche, e forse soprattutto, in una situazione così
drammatica non smette di cercare indizi dell’assoluto, di intercettare
la luce che dall’alto continua ad illuminare il mondo
nonostante la catastrofe. Incontra poi, in questo suo
viaggio interiore, altre figure sempre appartenenti al mondo
dell’arte: Vittorio Sgarbi e John T. Spike, autorevoli critici qui
ritratti come uomini a loro volta perplessi, almeno quanto lo
è l’artista, di fronte a ciò che sta accadendo. E chiude il cerchio
incontrando la propria famiglia, gli affetti più cari, quelli
dai quali la pandemia ci ha spesso tenuti lontani: un’opera
in quattro parti in cui ciascuno dei volti raffigurati – i suoi
sei figli e la moglie Linda – esprime una diversa individuali-
14
ANTONIO CICCONE
Self-portrait with Mask/Broken Planet VI: Mirror (2021), tecnica mista, cm 70x100
tà e allo stesso tempo si lega all’altro per vincolo d’amore.
A loro Ciccone rivolge lo sguardo più appassionato e tenero,
accompagnandolo con un gesto della mano che lascia
facilmente intuire lo slancio amorevole dell’uomo e dell’artista
verso il suo più grande capolavoro. Se c’è una speranza
per questo pianeta ferito non può che venire da qui, dai sentimenti
più profondi e puri, dall’amore all’origine del tutto,
l’impronta di Dio in ogni creatura vivente. All’artista il compito
di saper “vedere” questo amore, riconoscerlo nelle cose
del mondo, contemplandole, come fa Ciccone, con gli occhi
dello spirito, gli unici occhi che non possono ingannare.
www.antoniociccone.com
avventuranellarte@gmail.com
Self-portrait with Mask/Broken Planet VIII: John T. Spike (2021), carboncino, cm 100x140
Cultura in
Toscana
Scramasax ideazioni
Progetti e libri nati dall’amore per Firenze e la Toscana
di Fabrizio Borghini
Raccontare Scramasax ideazioni in poche righe è un’impresa
ardua. Nata come società di progettazione e ideazione
culturale, ha avuto il suo esordio nel 1989 con il
grande progetto espositivo dedicato al VII centenario della battaglia
di Campaldino, Il sabato di San Barnaba (11 giugno 1289
- 11 giugno 1989), con mostre realizzate in Casentino. Da allora
è stato un susseguirsi di mostre sul territorio: il Casentino, la
Valtiberina, la Valdichiana, il Valdarno, Empoli, Fiesole, Fucecchio,
Altopascio, Monsummano Terme, Castrocaro, il Mugello;
ovviamente importanti allestimenti a Firenze, compresi i vecchi
prestigiosi allestimenti museali della Casa di Dante e del Museo
del Calcio a Coverciano, e anche a Roma. Nel giungo 2022 Luca
Giannelli con Scramasax ideazioni ha progettato e realizzato
il nuovo allestimento museale al Castello di Poppi L’inferno
a Campaldino dedicato all’epica battaglia. Temi conduttori della
Scramasax sono quelli della storia, dell’arte, delle tradizioni,
della memoria e dello sport; un fiore all’occhiello è rappresentato
dalla realizzazione di plastici in scala sia architettonici sia legati
alla ricostruzione di battaglie e assedi che si distinguono
per la grande professionalità nell’esecuzione modellistica e di
pitturazione delle miniature (i soldatini). In questo mondo variopinto,
Scramasax è anche una bottega d’arte in cui si realizzano
icone sacre, miniature, pergamene personalizzate, palietti e ban-
Luca Giannelli, nella Sala Lorenzo il Magnifico in Palazzo Vecchio, viene premiato
dall’assessore del Comune di Firenze Cecilia Del Re per i trent’anni di attività di
Scramasax ideazioni (2019)
diere dipinti a mano con un’accurata ricerca araldica. In questo
continuo impegno narrativo verso la Toscana e Firenze, i libri, oltre
cento, che si dipanano tra storia, tradizioni, arte, sport e memorie
di questa nostra irripetibile città, sono divenuti un punto
di riferimento culturale del territorio riscuotendo riconoscimenti
e successi. Anima e motore della Scramasax ideazioni è Luca
Presentazione in Consiglio Regionale del volume L’Arno dà di fòri alla presenza
dell’allora presidente del Consiglio Regionale della Toscana Eugenio Giani
Con il costume da capitano delle Milizie del Quartiere di San Giovanni in piazza della
Signoria durante la commemorazione della morte dell’architetto Filippo Brunelleschi
16 SCRAMASAX IDEAZIONI
Coperchio e piano del gioco da tavolo Il GiraFirenze a cura di Luca Giannelli (Scramasax ideazioni)
Copertina del volume I lungarni fiorentini si raccontano a cura di Luca Giannelli in
collaborazione con Riccardo Semplici
Giannelli, nato nel cuore di Firenze, in via de’ Bardi, all’ombra del
Ponte Vecchio, il 30 ottobre 1960, e diplomato al liceo artistico
di Firenze. Con questa attività ha realizzato un sogno: vivere raccontando
le sue passioni ed i suoi amori. I suoi libri sono entrati
in migliaia di case di appassionati di storia fiorentina e il suo
lavoro è stato apprezzato da enti pubblici – in testa il Comune
di Firenze – e associazioni con cui ha realizzato numerose presentazioni
in luoghi prestigiosi della città. Come pittore Luca ha
creato la sua bottega d’arte facendone una scelta di vita. Dipingere
la Toscana è sempre stato il suo obiettivo, accompagnato
dalla fedele presenza del “suo” cipresso. Ha realizzato importanti
mostre fin da giovane: a Firenze, nel Mugello, in Casentino,
a Milano, partecipando inoltre a numerose collettive. Di prestigio
le mostre al Palagio di Parte Guelfa, all’Accademia dei Georgofili,
a Villa Caruso di Lastra a Signa, al Castello di Poppi, al
Palazzo Panciatichi, sede della Regione Toscana, al convento di
Bosco ai Frati, alla Galleria di Via Larga della provincia di Firenze
e, ultima, al Palazzo Bastogi, sede del Consiglio Regionale della
Toscana. Oltre a questo ha realizzato opere legate alle tradizioni
popolari: il palio remierio in occasione della festa di San Giovanni
Battista nel 1999, il palio per il Torneo di San Giovanni del
Calcio Storico Fiorentino nel 2002 e quello per la Giostra della
Stella di Bagno a Ripoli nel 2005. Fa parte con orgoglio dell’Antica
Compagnia del Paiolo. È anche capitano delle Milizie del
Quartiere di San Giovanni all’interno del prestigioso Corteo della
Repubblica Fiorentina, altro elemento che va ad arricchire il suo
amore per la città gigliata. Tra i numerosi premi e riconoscimenti
ricevuti si segnalano il Premio Ponte Vecchio per l’attività e il
Premio Giubbe Rosse per il libro L’Arno dà di fòri; nel 2019 è stato
premiato dal Comune di Firenze nella figura dell’assessore Cecilia
Del Re nella Sala Lorenzo il Magnifico in Palazzo Vecchio
per i suoi trent’anni di attività; nel 2021 ha ricevuto la Segnalazione
d’Onore alla XXXVIII edizione del Premio Firenze per il libro
I lungarni fiorentini si raccontano. Allestimenti, pittura, libri e
non solo: Luca Giannelli ha avuto anche l’ingegno di progettare
e realizzare un gioco da tavolo a quiz, Il GiraFirenze, che, giunto
alla terza ristampa, ha appassionato la città: 1300 domande
dedicate all’architettura e al territorio, alla cultura, ai personaggi,
alla storia, alle tradizioni e allo sport di Firenze. In un mix tra
il gioco dell’oca e il trivial, partendo dalla Fiesole etrusca, si percorre
il tabellone, che rappresenta la pianta della città, per concludere
il percorso alla reggia di Palazzo Pitti, riappropriandosi
di personaggi, vicende e capolavori cittadini. Un’opportunità, per
fiorentini e non, di conoscere la città del giglio in modo ludico e
intrigante. Collaboratrice fondamentale ed insostituibile di Luca
è Angelica Cortini con la sua spiccata dolcezza: raffinata pittrice,
cantante di musica barocca e tenace lavoratrice anche lei
guidata dalla passione. Abbiamo raccontato una storia finita?
No. Scramasax è un rullo compressore, e Luca, ogni anno, quasi
come fosse un bambino, deve decidere cosa fare da grande, anzi
cosa progettare per il prossimo Natale, e noi tutti rimaniamo
in trepida attesa, sicuri che non ci deluderà e sicuri che altri tasselli
di questa avventura saranno realizzati.
SCRAMASAX IDEAZIONI
17
Firenze
mostre
Fons Vitae
Al Museo Marino Marini di Firenze un’installazione per far dialogare
l’umanesimo di Leon Battista Alberti con la contemporaneità
di Timothy Verdon
Nell’occasione del convegno Rinascenza come Resurrezione:
il Santo Sepolcro di Leon Battista Alberti
nella Firenze del Quattrocento, quattro artisti di
fama internazionale – Peter Brandes, Maja Lisa Engelhardt,
Susan Kanaga e Filippo Rossi – hanno riflettuto sul mistero
di cui parla il capolavoro albertiano: la risurrezione
di Gesù e la prospettiva di una vita nuova. Il titolo della loro
installazione Fons Vitae – presentata al Museo Marino
Marini di Firenze dal 22 aprile al 6 giugno 2022 – echeggiava
San Paolo, che per primo collegò le acque del Battesimo
con la Pasqua, insegnando che i «battezzati in Cristo
Gesù» – cioè quelli che scendono nel fonte – «sono sepolti
insieme a lui (…) affinché, come Cristo fu risuscitato dai
morti (…) così anche noi possiamo camminare in una vita
nuova» (Lettera ai Romani 6, 3-4). Il sepolcro dell’Alberti
rimanda infatti al battistero fiorentino, citandone le tarsie
marmoree bianco-verdi, e questa allusione ha definito l’impianto
della mostra. La base del sepolcro quattrocentesco
tracciata sul pavimento è stata trasformata in luce da Peter
Brandes, mentre a destra e sinistra sculture di Maja Lisa Engelhardt
ne hanno evocato il miracolo. Sopra le scale, poi,
tra i fiori dipinti da Susan Kanaga, Filippo Rossi ha raffigurato
il mondo nuovo di cui si parla nell’Apocalisse, in mezzo
al quale scorre «un fiume d’acqua viva, limpida come cristallo»
e cresce «un albero di vita». Le pietre realizzate dalla
Kanaga lungo il fiume, aprendosi ed emanando luce, hanno
ricordato che quell’albero «dà frutti dodici volte all’anno,
portando frutto ogni mese» e che le sue foglie «servono a
guarire le nazioni» (Apocalisse 22, 1-2). L’impressione complessiva,
nel buio della cripta di San Pancrazio, è stata di
un sogno nato dalla Pasqua: un sogno di luce, di bellezza,
di vita. Visto dall’area corrispondente al transetto della sovrastante
chiesa, questo sogno contemporaneo ha riproposto
la visionarietà immaginata dall’Alberti, il cui sepolcro
occupava uno spazio del tutto diverso da quello della navata
di San Pancrazio, da cui era originalmente visto. Nel sogno
contemporaneo, poi, come in quello quattrocentesco,
tale alterità comunica speranza, che Alberti esprimeva con
l’architettura classica rediviva, e Brandes, Engelhardt, Kanaga
e Rossi con la luce e il movimento di un cosmo rinnovato.
In ambo i casi – oggi come nel Quattrocento – il sogno
è narrato con simboli. Ma là dove Alberti, chierico, usava
la storia, evocando “rinascenza” col ripristino del passato,
i laici Brandes, Engelhardt, Kanaga e Rossi hanno recuperato
la Bibbia, parlando di “risurrezione” mediante luce, acqua
e la natura rifiorita. Nello spirito dei profeti e dei salmi,
hanno cercato i simboli nel cosmo, facendosi interpreti del
moderno umanesimo ecologico, più universale dell’umanesimo
archeologico del Rinascimento, che pure includeva la
componente “natura”. Nella Risurrezione di Cristo di Piero
della Francesca, ad esempio – praticamente coevo al sepolcro
albertiano –, oltre al corpo statuario del Risorto e
al sarcofago classico, sullo sfondo vediamo alberi disposti
con evidente intenzione simbolica: a sinistra, dove comincia
la lettura dell’immagine, sono nudi e invernali; poi, a
destra, dove lo sguardo arriva passando per la figura del Risorto,
sono folti e primaverili. O ancora, nel Battesimo di Cristo
di Piero, accanto al corpo statuario del Salvatore cresce
un albero a ricordo della similitudine biblica dell’uomo beato
che, evitando il male, «è come albero pianto lungo corsi
d’acqua, che dà frutto a suo tempo: le sue foglie non appassiscono
e tutto quello che fa riesce bene» (Salmo 1, 1-3). La
In questa e nelle altre foto alcuni scorci dell’installazione
18
FONS VITAE
posizione centrale che nei dipinti quattrocenteschi fu assegnata
al Cristo, è stata data, nell’installazione di Brandes,
Engelhardt, Kanaga e Rossi, allo spettatore, che si trovava
a salire in persona dal sepolcro verso un cosmo redento e
l’albero di vita. Lo spettatore non solo poteva contemplare
i simboli cosmici, ma in essi poteva anche dimorare, scoprendosi
protagonista nel dramma neotestamentario in cui
l’uomo è chiamato a liberare la natura. «L’ardente aspettativa
della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione
dei figli di Dio», afferma Paolo, spiegando che «la creazione
è stata sottoposta alla caducità (…) nella speranza che
anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della
corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli
di Dio» (Romani 8, 19-21). In questo processo, il rapporto
tra la creazione e l’essere umano è intimamente fraterno,
perché se da una parte «tutta insieme la creazione geme e
soffre le doglie del parto fino a oggi», dall’altra «anche noi
che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente
aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro
corpo» in cui verrà liberata anche alla natura (Romani
8, 22-23). Brandes, Engelhardt, Kanaga e Rossi ci hanno restituito
quindi il nostro ruolo nel sistema simbolico che la
Bibbia legge nel cosmo. L’installazione dei quattro artisti ha
“accostato” il sepolcro trasfigurato all’acqua del fiume e alla
vitalità del giardino in cui cresce l’albero, invitando a “riconoscere”
nella tomba vuota di Pasqua il segno dell’amicizia
di Dio per l’umanità. Dal sepolcro di Brandes all’albero di
Rossi, la morte si trasmuta in sorgente di vita, e i pochi passi
in riva al fiume che lega i due simboli misurano il passaggio
dal mistero creduto al miracolo vissuto: il pellegrinaggio
che tutti siamo chiamati a fare, come in antiquo s’andava a
Gerusalemme, al Sepolcro, per poi tornarvi rinforzati.
FONS VITAE
19
La ninfa delle acque, figura mitologica, olio su tela, cm 80x100
Angela Puccini
Surrealist painter
www.angelapuccini.it
I libri del
mese
Gianluigi Ciaramellari
La storia di una vita nascosta in un diario
di Erika Bresci
Quanto può essere lunga una notte? Quella tra il 15 e
il 16 luglio 1950, polo gravitazionale di questa storia
intessuta di intrecci del destino, pare non finire mai.
O meglio, sembra rispondere alle leggi di un tempo
emotivo che calcola le ore e i minuti necessari affinché ciascun
protagonista trovi – o meglio, ritrovi – il suo posto all’interno
di un misterioso e sofferto affresco familiare comunque
traboccante d’amore. Intorno al letto di Silvano, ormai a un
passo dal Creatore, la moglie Adele, la figlia Anna, «afflitta dal
rimorso di aver compreso troppo tardi il grande amore di suo
padre», don Paolo, amico di lungo corso, e Mario, il nipote diletto.
Nell’aria, una sensazione di irrisolto, che svanirà alle
luci dell’alba al termine della lettura del diario segreto di Silvano,
fatto trovare volutamente a Mario, custodito in soffitta in
mezzo alle centinaia di pellicole – «quelle girate da lui e quelle
che alcuni suoi fidatissimi amici cineoperatori gli avevano
passato di nascosto» – sfuggite alla censura fascista, durante
il suo lavoro all’Istituto Luce, presenze vive di una storia da
non dimenticare. In quelle pagine vergate ora con fretta, ora
con disperazione, ora con infinito amore, si ripercorre un arco
temporale lunghissimo – dal 1917 al 1949 – e denso di Storia.
Anni di guerra, di trincee e di bombardamenti, di sangue e di
perdite, di propaganda e di adunate, di leggi razziali e di precipitose
fughe, ma anche anni nei quali la passione per il cinema
si trasforma in lavoro e cementifica amicizie fraterne. Anni
di bugie e di segreti da proteggere, che in una fotografia trovata
nella scatola insieme al diario assumono
le aggraziate forme di due donne, Elvira – una
prostituta – e sua figlia Irene, detta Nenè. Apparentemente
estranee alla famiglia, pedine
invece fondamentali di quel copione già scritto
che è la vita, perché «il nostro destino non
è qualcosa che dobbiamo raggiungere, ma è
piuttosto lui, a venirci incontro». Ma non è solo
il diario appassionato di Silvano a ricomporre i
frammenti della Storia. Nella notte di temporale
che fa da quarta simbolica alle ultime ore di
vita dell’uomo, flashback sapientemente ricamati
dalla mano dell’autore recuperano dalla
nebbia del tempo, in ordine sparso e apparentemente
casuale, le schegge di vetro che brilleranno
poi ricomposte nel prisma di luce del
nuovo giorno. Nuovo anche perché rinnovato,
consapevole, pacificato. E allora l’“aspettami”
che nella giostra delle pagine tocca ad uno ad
uno, in modo e con significato diverso, i singoli
protagonisti, diviene midollo, linfa che scorre
nelle vene, identità risolta, e indica al lettore
il sentiero semantico sul quale incamminarsi.
La vita è un “guardar bene”, reiterato, un voltarsi
anche indietro per recuperare i sassi scansati,
uno scegliere bivi e compagni di strada,
un fissare l’orizzonte senza dimenticare la terra
su cui poggia il piede, un fermarsi, per poi ricominciare
a muovere il passo, rinfrancati, più
forti. Orientati. «Rare volte (…) il valore di certi
eventi già accaduti lo apprezziamo a distanza
di tanto tempo. Sono come nuvole cariche di
acqua benedetta, che ti seguono, ti superano
e pioveranno su di te, proprio quando stai morendo
di sete. Forse sono i nostri angeli custodi
che spingono quelle nuvole».
GIANLUIGI CIARAMELLARI
21
Artigianato artistico
in Toscana
Ivan Farsetti
Artista dell’intarsio a Subbiano
di Michele Loffredo
Arrivo a Subbiano, paese attraversato dall’Arno sulla
strada per il Casentino, accompagnato da un amico
che mi aveva sollecitato la visita a Ivan Farsetti,
suo coetaneo, classe 1934, del quale mi elogia la straordinaria
abilità di intarsiatore. Farsetti ci accoglie con sorriso
schietto e cordiale, introducendoci nell’ampio laboratorio dove,
tra materiali vari, legni di ogni genere, macchine e attrezzi
da falegnameria, spicca un originale cabinet, elegante e
quasi ultimato, che ci mostra con celato orgoglio. Non occorre
l’occhio di un esperto per restare ammirati da un lavoro
di intarsio che mostra non avere eguali: un trionfo di
motivi e disegni geometrici di assoluta precisione ne ricopre
la superficie, i cassettini, i ripiani, le ante e le colonnine,
dalle gambe fin su alla cimasa, con un eclettismo stilistico
che testimonia un virtuosismo esemplare. Com’è noto l’arte
della tarsia si sviluppa a partire dal secondo Trecento per
conoscere il massimo sviluppo tra Quattro e Cinquecento
applicata soprattutto negli studioli – un esempio classico è
quello nel Palazzo ducale di Urbino – o nei cori lignei di chie-
Tavolino e stecca da biliardo
se e soprattutto di monasteri, le cui raffigurazioni seguivano
l’ambito della pittura, così che i disegni preparatori venivano
spesso eseguiti da pittori. Consideratane la complessità,
oltre ai motivi degli intarsi anche della progettazione di
mobili originali, alla mia domanda se utilizzi nelle sue creazioni
disegni preliminari, il maestro Ivan Farsetti risponde
candidamente che non esegue nessun disegno. Questa sua
peculiarità certo deriva non solo dall’esperienza di una vita
trascorsa in quest’arte ma soprattutto da una maestria natu-
Cofanetto con cassettini
22
IVAN FARSETTI
Cabinet (particolare)
rale, istintiva, che lo ha accompagnato fin dalle prime esecuzioni.
A questo proposito mi racconta di quando adolescente
aveva ingaggiato una gara con il padre, suo insegnante, che
allora lavorava presso Bruschi, grande artigiano/artista che
aveva realizzato la Sala del Consiglio del duce, e padre del
Vaso e coperchio
Cabinet (particolare)
noto antiquario aretino Ivan (di cui ad Arezzo vi è il magnifico
museo con una raccolta d’arte strepitosa). La sfida consisteva
nella realizzazione di un cofanetto intarsiato. Ivan tenne
nascosto il suo, e quando lo mostrò al genitore, questi rimase
mezz’ora in silenzio, senza un commento, e non terminò
più il suo. Continuiamo poi la visita, Ivan
ci porta in casa e ci mostra altri suoi lavori:
trumeau e consolle, tavolini da gioco,
vasi, bastoni da passeggio e stecche
da biliardo, leggii, cassoni, fino a macinini
da caffè, ogni oggetto dove aveva potuto
applicare il suo talento. Purtroppo,
afferma, l’intarsio è una tecnica sempre
meno utilizzata, sostituita dall’impiallacciatura,
spesso realizzata industrialmente.
Ivan Farsetti lavora con pazienza
certosina realizzando e accostando piccole
tessere poligonali almeno dello
spessore di mezzo centimetro dei legni
più pregiati, dal palissandro al bubinga,
al bois de rose, dall’ebano al mogano, al
bosso e così via. Gli dico che ammiro il
suo lavoro e che le sue realizzazioni mi
appaiono alla ricerca della perfezione,
mi risponde che per lui ogni composizione
è una sfida a superarsi, a risolvere
le difficoltà che gli si prospettano di volta
in volta, così da realizzare solo pezzi
unici. Opere d’arte, aggiungo io.
IVAN FARSETTI
23
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Elena D’Anna
Attrice ed insegnante di teatro, trasmette alle nuove
generazioni i valori umani e culturali della recitazione
di Doretta Boretti
Abbiamo iniziato questo 2022 con l’obiettivo di invogliare
molte persone a fare almeno una volta nella vita
un’esperienza teatrale. Ci troviamo in compagnia
dell’attrice Elena D’Anna, che ci parlerà della sua esperienza
di insegnante di teatro.
Attrice cinematografica ma innamorata del teatro?
In realtà, non sono un’attrice cinematografica. La mia esperienza
lavorativa è stata prevalentemente e quasi esclusivamente
di tipo teatrale.
Com’è nato in te il desiderio di insegnare?
Dodici anni fa, quando è nata mia figlia Emma, ho capito subito
che non sarebbe stato facile conciliare la nuova esperienza
di mamma con il lavoro che avevo fatto con assiduità e passione
fino a quel momento: l’attrice teatrale. Non solo perché
questo tipo di lavoro mi teneva spesso lontano da Firenze ma
anche perché non riuscivo a mettere dei paletti e mi portavo
quindi a casa troppi pensieri e preoccupazioni. Nel frattempo
avevo già iniziato a lavorare come insegnante e così ho provato
a buttarmi interamente in questa nuova esperienza. Non
ho mai aperto una scuola mia, ho sempre lavorato in strutture
che, con fiducia, hanno ospitato i miei laboratori. Al momento
le realtà con cui collaboro maggiormente sono a Firenze Il
lavoratorio in via Giovanni Lanza 64/a, il Centro Giovani Gavinuppia
in via Gran Bretagna 48, Intercity a Sesto Fiorentino e
la scuola elementare di Settignano.
Come sono organizzati i laboratori?
Al Lavoratorio seguo quattro gruppi, due sono formati da
ragazzi dai 14 ai 16 anni e si differenziano tra loro in base
all’esperienza maturata sul campo. Poi seguo un gruppo
composto da bambini e ragazzi dai 10 ai 14 anni e un altro di
ragazzi dai 15 ai 19 anni. Al Gavinuppia, invece, i gruppi sono
tre e i bambini partecipanti spaziano dai 6 agli 11 anni. A
Intercity seguo il secondo anno della scuola adulti e a Settignano
collaboro con tutte le classi in orario curricolare. Solitamente
i gruppi si incontrano una volta alla settimana per
circa due ore.
In questa e nelle altre foto alcuni dei laboratori teatrali condotti da Elena D'Anna
24
ELENA D’ANNA
Occorre molto studio per insegnare?
Direi che occorre anche lo studio. Ma soprattutto
penso che sia essenziale aver fatto
esperienza, in maniera professionale, di
quello che si va ad insegnare agli altri.
Alla luce della tua esperienza confermi
che il teatro è utile a grandi e piccini?
Beh, se mi baso sulla mia esperienza
personale, direi proprio di sì. A me, per
esempio, ha cambiato completamente la
vita. A prescindere da me, penso comunque
di poter affermare che sia per tutti
un’esperienza utile ad apprendere tante
cose all’interno di un appassionante percorso
ludico e creativo.
Cosa hai in programma nei prossimi
mesi?
Questo è un periodo molto particolare dei laboratori. A breve
infatti inizierò ad allestire i saggi di fine anno che per un mese
e mezzo circa si susseguiranno senza interruzione. È il periodo
più faticoso, ma solitamente anche il più ricco di grandi
soddisfazioni ed emozioni. In estate poi mi dedicherò, sempre
come insegnante di teatro, ai ragazzi che frequenteranno
un master di musica e teatro presso la parrocchia di Santa
Maria a Coverciano, e a settembre ripartiremo con l’organizzazione
dei nuovi corsi.
ELENA D’ANNA
25
Arte
incontri
A cura di
Viktoria Charkina
Carlo Pizzichini
L’opera d’arte totale di un maestro del gesto e del colore
di Viktoria Charkina
Com’è nata la tua passione per l’arte?
Sono figlio di un decoratore murale che purtroppo non
ha potuto proseguire e dimostrare il suo grande talento, se non
negli anni dei suoi studi all’Istituto d’Arte di Porta Romana a
Firenze dove ebbe come compagni Salvatore Cipolla e Mauro
Bini sotto la guida del professor Renzo Grazzini. Mio padre
ha visto in me quello che lui non ha potuto realizzare. Purtroppo,
la sua prematura scomparsa non gli ha fatto godere i frutti
dei sacrifici fatti per farmi studiare arte a partire dalle scuole
medie fino all’Istituto d’Arte di Siena, per poi completare il percorso
a Firenze all’Accademia di Belle Arti. È anche vero che la
sensibilità e il modo di guardare il mondo con occhi diversi non
s’imparano. Ricordo ancora che per la prima comunione il regalo
più gradito fu un cavalletto da campagna, insieme ad una
scatola di tempere e a qualche pennello. I cartoni da dolce li
usavo come supporto recuperandoli dal fornaio.
Quant’è stato importante per te il corso di studi all’Accademia
di Belle Arti a Firenze?
Direi che è stato fondamentale, anche se sono stati anni amari
e duri, proprio per la scomparsa improvvisa di mio padre. Nonostante
le numerose difficoltà, anche ambientali, venivo da un piccolo
paese, Monticiano, da quel territorio che divide Siena dalla
Carlo Pizzichini al lavoro presso la bottega Il Tondo di Celle Ligure
Maremma, mi sono affidato alla forza del trascendente per avere
le energie e la volontà di finire gli studi, per lavorare con umiltà,
cominciare ad esporre le mie opere, ottenere commissioni e
incarichi. Fin da giovanissimo, infatti, ho iniziato la libera professione,
con lavori esposti ed eseguiti in Italia e nel mondo, ripagando
così con concrete soddisfazioni i tanti sacrifici miei e
della mia famiglia. Ho avuto poi la fortuna di incontrare un maestro
come il professore Roberto Giovannelli che, nella sua scuola
di pittura, insegnava con fare antico l’esempio del moderno, la
trasmissione della sensibilità artistica, la curiosità del fine intellettuale,
il far pratica del disegno e del colore. È stato davvero un
insegnamento di cui fare tesoro per sempre.
Ci sono artisti, scrittori o altri esponenti del mondo culturale
che hanno influenzato il tuo percorso?
Alaria (2019), installazione di vasi: argilla bianca, colore ceramico, cristallina
Oltre all’esempio di Giovannelli, dopo aver attraversato, come
studente, tutti i linguaggi e le tecniche pittoriche, passando da
esperienze più espressive all’iperrealismo, per reazione mi sono
indirizzato ad una sorta di descolasticizzazione del segno,
nella ricerca proprio di uno stile il più possibile personale o almeno
aderente alla mia sensibilità, l’originale espressione di
un sentire che sta in equilibrio tra istinto e ragione, facendo
di questa simmetria il tema di tutto il mio lavoro. Una sorta di
scrittura o calligrafia capace di trasmette un invisibile che, tra
gesto e colore, può diventare visibile, traccia, memoria, e per
questo capace addirittura, tra segni e simboli, di raccontare
una storia. Per cui gli artisti che fanno parte del mio bagaglio
visivo sono tutti quelli legati al gesto ed al segno raccontante.
Tra Cy Twombly e Gastone Novelli, credo ci sia ancora spazio
per una ricerca e una seria sperimentazione. Inoltre, aderendo
all’idea della scrittura, la poesia antica e contemporanea, le
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CARLO PIZZICHINI
Installazione di sculture in bronzo (2007), giardino della Fondazione Vacchi, Castello di
Grotti, Siena
Uno scorcio della mostra personale di Pizzichini al Castello del Priamar di Savona nel 2019
La Parola (2013), vetrata, Basilica di San Domenico, Siena
biografie dei pittori, gli articoli sulle mostre, le vite romanzate
degli artisti, quelli che sono partiti per terre lontane alla ricerca
di nuove visioni estetiche, la memoria delle nostre terre, le storie,
i viaggi, la conoscenza, sono elementi fondamentali che si
possono ritrovare nel mio lavoro.
A cosa stai lavorando in questo momento e come vedi la
tua produzione in futuro?
Con il tempo ho avuto modo di incrociare oltre alla pittura su tela
anche incarichi prestigiosi che prevedevano la realizzazioni di
grandi dipinti murali, installazioni, ritratti dipinti, ritratti in bronzo,
interventi decorativi in ambienti, opere religiose per chiese
e cappelle, sculture in marmo e sculture in bronzo per giardini,
scenografie e costumi per il teatro, sculture in legno dipinto, opere
in cristallo, vetrate per basiliche, ceramiche, imponenti decorazioni
di maiolica, grandi terrecotte e addirittura la decorazione
in acciaio delle bascule di un fucile per la Beretta. Queste esperienze
mi fanno sentire un prosecutore, anche se forse poco
degno, dell’idea dell’artista interessato a tutti i campi della creatività,
concetto che in Toscana è stato incarnato dai grandi maestri
del Rinascimento, capaci di misurarsi dal gioiello al progetto
di una cattedrale, affrontando il problema con la stessa serenità
e competenza inventiva, nella certezza di poter contare sulle
capacità e sull’esperienza di abili artigiani, fondamentali soprattutto
quando si ha l’intenzione di trasportare il proprio lavoro su
materiali più complessi da lavorare. In questo momento sono
impegnato in diversi progetti: sto dipingendo una chiesa nel Casentino,
sto realizzando la commissione di una serie di ceramiche
come oggettistica celebrativa, dipingo per preparare alcune
mostre in programma e per la presenza di miei lavori in gallerie,
da San Gimignano a Siena, dalla Svizzera a Francoforte sul Meno.
Ma la cosa della quale vado più fiero, oramai da circa dieci
anni a questa parte, è quella di dedicarmi, oltre al mio lavoro, soprattutto
alla promozione e all’organizzazione del lavoro di altri
artisti, di giovani talenti che meritano visibilità, e quando mi capita
di essere chiamato come curatore di idee espositive faccio
di tutto affinché i meriti degli artisti siano considerati, spingendoli
fino al punto di essere così importanti per la nostra società
contemporanea in modo da identificarsi come veri protagonisti
della storia del nostro tempo. A tutto ciò si affiancano, insieme
all’insegnamento della Pittura all’Accademia di Brera, gli impegni
come membro dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze,
dell’Accademia Internazionale della Ceramica di Ginevra
e di responsabile del comitato scientifico di arti visive dell’Istituto
Italiano del Design di Perugia.
CARLO PIZZICHINI
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Curiosità storiche
fiorentine
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
L’acqua di San Giovanni
Un unguento “miracoloso” per
ingraziarsi la buona sorte
di Luciano e Ricciardo Artusi
Fra i riti della festa fiorentina per eccellenza, quella di San
Giovanni Battista patrono della città, fare abluzioni con
l’acqua di San Giovanni, cioè con la rugiada, era un’usanza
antica e molto radicata, pervenuta a noi da origini cristiane
innestate su precedenti pagane. Protagonista la “guazza” notturna
della notte tra il 23 ed il 24 giugno che, infatti, era considerata
magica: un farmaco miracoloso a difesa dell’integrità della
persona perché in possesso di virtù curative, di fortuna e d’amore.
Tale incantesimo si realizzava grazie all’incredibile energia
positiva legata al solstizio d’estate – l’inizio di questa bellissima
stagione – ottenuta anche attraverso le erbe e i fiori che raccoglievano
la vitalità dalla rugiada, ricevendone una particolare
forza, attraverso la quale venivano effettuati i riti propiziatori
e purificatori. L’usanza consisteva nel raccogliere la brina passando
dei pezzi di tela di candido lino sull’erba bagnata, per poi
spremerli in un contenitore e, con quel liquido, detto anche la “rugiada
degli dei”, lavarsi il viso al mattino, bagnare le parti doloranti
del corpo per ottenerne la guarigione, far crescere i capelli,
ringiovanire la pelle e preservarla dalle malattie. Si aveva anche
l’accortezza, dopo tale rito, di conservarne una parte in contenitori
di vetro per usarla come acqua benedetta, fino all’anno
successivo. Il momento magico per ottenere il “talismano” per
propiziare la buona sorte era, come accennato, la notte fra il 23
e il 24 giugno quando la rugiada acquistava virtù straordinarie
grazie all’inizio della nuova bella stagione: il solstizio d’estate,
il giorno più lungo dell’anno, con la natura che giunge al massimo
splendore e coincide con la natività cristiana di San Giovanni
Battista. In questa notte, detta di San Giovanni o di Mezza
Estate, nelle campagne si aveva particolare cura di raccogliere
l’Hypericum – il cui profumo somiglia a quello dell’incenso
– che, pestato in un mortaio e unito all’olio d’oliva, diveniva un
unguento efficacissimo per la cura delle ustioni. I rabdomanti
tagliavano rametti di nocciolo a forma di “Y” per farne quelle
magiche verghette con le quali riuscivano a scoprire le sorgenti
d’acqua. Le contadinelle strisciavano sull’erba bagnata dei prati
infiorati le loro parti intime nella certezza di ottenere fecondità
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
e bellezza. In quella notte, nel territorio collinare fiorentino veniva
raccolta una varietà molto ampia di erbe officinali per preparare
medicine come, ad esempio, la camomilla da usarsi quale
blando sedativo, il tarassaco per beneficio biliare e antireumatico,
l’ortica diuretica e, per uso esterno, ottenere frizioni contro
la caduta dei capelli, la rosa canina quale antinfiammatorio e
astringente intestinale, la menta piperita e quella selvatica ottimali
per la digestione, il timo come antisettico intestinale, la melissa
quale sedativo, la malva come diuretico, la nepitella contro
i crampi di stomaco e l’erba della Madonna per risanare ogni tipo
di piaghe. L’usanza collettiva (fortunatamente da qualcuno
ancora praticata) era ed è quella di mettere prima della mezzanotte
del 23 giugno dell’acqua in una bacinella o in un qualsiasi
contenitore di vetro, ceramica o anche in una semplice scodella,
petali di fiori spontanei ed erbe aromatiche che si hanno a disposizione,
lasciandole per tutta la notte sul davanzale delle finestre,
in giardino o nelle terrazze, al fine di associarle alla rugiada
che vi si posi sopra per donare loro le proprietà magiche. Generalmente
i petali più usati quelli della malva, dei papaveri, dei
fiordalisi, delle rose, ginestre, margherite e lavanda, unitamente
con foglie di menta, basilico, salvia e ramerino. Molti fiorentini
continuano ancora questa antica usanza rituale mettendo corolle
di fiori ed erbe aromatiche, con sfoggio di profumi e di colori,
a galleggiare nell’acqua, in quella notte magica, confidando
di propiziare così la buona sorte e ottenere salute, gioia, felicità
e, perché no, fortuna e successo. Dall’anno 2021 l’Arciconfraternita
della Parte Guelfa ha riportato alla luce in modo ufficiale
questa bella tradizione recandosi in corteo, con ampia partecipazione
di consorelle e confratelli mantellati nel classico verde
antico, in piazza della Signoria dove, alla mezzanotte del 23 giugno,
il bacile di rame colmato d’acqua della fontana del Nettuno,
di petali di fiori, erbe aromatiche e salutato al grido di “Marzocco,
Marzocco, Marzocco”, viene lasciato per tutta la notte nell’attesa
che la rugiada vi si depositi sopra donandole quella mistica
forza che unisce cielo e terra tramite la potenza solare. Il bacile
resta lì per tutta la giornata seguente a disposizione di fiorentini
e turisti che vogliono ripetere il magico e tradizionale rito dell’acqua
di San Giovanni.
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L’ACQUA DI SAN GIOVANNI
A cura di
Rosanna Bari
Note dʼarte
Herbert Percy Horne
La figura dell’intellettuale e collezionista inglese a Firenze nella
conferenza di Diego Crociani alla Biblioteca del British Institute
di Rosanna Bari / foto Rosanna Bari e courtesy Edizioni Polistampa
Herbert Percy Horne, un grande intellettuale
e collezionista inglese nella Firenze
dei primi del ʼ900 è il titolo della
conferenza, a cura di Diego Crociani, che si è tenuta
lo scorso 9 maggio nella storica cornice rinascimentale
di Palazzo Lanfredini, nella sala
della Biblioteca Harold Acton del British Institute
of Florence. L’evento ha voluto ricordare i
cento anni, 1921-2021, dall’apertura al pubblico
del Museo Horne nel trecentesco palazzo di
via de’ Benci, nel 1489 passato di proprietà ai
fratelli Corsi che lo ristrutturarono in stile rinascimentale.
Il palazzo era stato acquistato da
Horne nel 1911 e, poco prima della sua morte,
avvenuta a Firenze nel 1916, donato allo Stato
italiano assieme alla preziosa collezione d’arte.
La “casa museo”, oltre ad importanti capolavori
come la tavola con Santo Stefano di Giotto,
ha al suo interno più di seimila opere tra dipinti,
sculture, mobili, ceramiche, disegni e monete.
Herbert Percy Horne nacque a Londra nel 1864, dove si formò
e lavorò come architetto. L’emozione provata nel 1889
durante il suo primo viaggio in Italia lo portò, nel 1905, a
stabilirsi a Firenze dove, nel cosmopolita ambiente culturale,
conobbe i più importanti intellettuali stranieri in città. Il
fervente scenario artistico poi, lo vide tradursi da architetto
in attento studioso del Rinascimento fiorentino e pubblicare
L’esterno del Museo Horne a Palazzo Corsi in via de' Benci a Firenze
Lo storico dell’arte Diego Crociani durante la conferenza alla Biblioteca Harold Acton
saggi su importanti artisti, tra i quali spicca quello su Botticelli
del 1908. Dal 1899, durante lo sventramento del centro
storico di Firenze, Horne fu tra coloro che svolsero un importante
ruolo all’interno dell’Associazione per la difesa di
Firenze antica. La relazione di Diego Crociani ha così voluto
mettere in risalto la figura del raffinato collezionista inglese
che, con il suo amore per l’arte e per Firenze contribuì, tra
Ottocento e Novecento, ad
arricchire il panorama culturale
della città quando,
grazie al restauro, all’artigianato
e all’antiquariato di
alto livello, Firenze era divenuta
la capitale del turismo
culturale d’élite. Studioso
di simbolismo nell’arte rinascimentale,
lo storico
dell’arte Diego Crociani è
autore, assieme a Caterina
Marrone, del saggio Il segreto
della scrittura nell'Annunciazione
di Leonardo da
Vinci (Leonardo Libri 2020)
e, con Lorella Migliorati, del
saggio Giuliano da Sangallo
a palazzo Gondi (Firenze
2011).
Henry H. Brown, Ritratto di Herbert P. Horne (1908), Museo Horne
HERBERT PERCY HORNE
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Dimensione
salute
A cura di
Stefano Grifoni
I postumi della sbronza: una questione di chimica
di Stefano Grifoni
Ipostumi della sbronza specialmente nausea e mal di
testa sono provocati da una sostanza chiamata acetaldeide
che si accumula nel sangue dopo un’importante
assunzione di alcool. Questa sostanza, velenosa per
l’organismo, si forma quando l’etanolo che arriva al fegato
viene metabolizzato da un enzima, l’alcol deidrogenasi. Un
secondo enzima poi trasforma l’acetaldeide in acido acetico
che viene eliminato con le urine. Che sia l’acetaldeide
a dare mal di testa e nausea violenti è dimostrato da un
farmaco: l’antabuse. L’antabuse infatti blocca l’enzima aldeide
deidrogenasi provocando così un accumulo di acetaldeide.
Assumendo antabuse dopo aver bevuto appena
un bicchiere di vino si ha mal di testa, vomito e nausea
così terribili da spingere alla sobrietà anche il più sfegatato
dei bevitori. In Giappone metà della popolazione porta
un gene difettoso per l’aldeide-deidrogenasi. Queste persone
non hanno bisogno dell’antabuse per allontanarsi da
troppa birra o sakè.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
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I POSTUMI DELLA SBRONZA
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Attacchi di panico, l’estremo volto della paura
di Emanuela Muriana
Giulia ha 26 anni e una vita praticamente normale: genitori,
un lavoro, un fidanzato, un cane. Un giorno era
al supermercato, quando a un certo punto si è sentita
un po’ “strana”. Si è accorta di avere il battito cardiaco molto
accelerato, ha iniziato a sentire che le mancava l’aria, ha cominciato
a sudare, la testa confusa, paura di svenire. Di colpo
si è sentita inerme e senza forze e si è aggrappata con forza
alla sua amica: «Aiutami! Sto per avere un infarto!». Spaventata,
l’amica la fa sedere e chiede aiuto. Dopo circa mezz’ora,
arriva un’ambulanza e il medico procede con i suoi accertamenti.
Fortunatamente, Giulia non ha nulla o meglio ha avuto
un attacco di panico che funziona proprio così: dopo un’improvvisa
accelerazione delle reazioni fisiche incomprensibili
e incontrollabili, tutto finisce, lasciando la stessa sensazione
di devastazione prodotta da un terremoto, in questo caso psicologico.
Fino alla prossima volta. Due o tre minuti di terrore
inspiegabile e poi l’immensa paura, il panico, è finita lasciando
spossatezza e disorientamento. Il panico viene da più parti
definito come la forma più estrema della paura che, se al di
sotto di una certa soglia, rappresenta una risorsa che consente
di allertare l’organismo di fronte a situazioni pericolose, al
di sopra di questo limite diviene patologica. Durante un attacco
di panico, la persona è terrorizzata dalle sue stesse sensazioni
di paura nei confronti delle reazioni fisiche minacciose
che tenta di combattere con la volontà, inefficacemente. Ciò
che spaventa di più comincia a non essere più la paura in se
stessa, ma la reazione di perdita di controllo organica. Così
l’eccesso di allarme attiva le reazioni fisiche temute, aumentandole;
l’effetto dunque si trasforma in causa. Si crea para-
dossalmente un tilt psicofisiologico. Questa è la persistenza
del problema che può trasformare la paura in sintomo e un
sintomo in un vero e proprio disturbo strutturato: il solo pensiero
del panico, può creare l’attacco di panico. L’ansia avrebbe
la funzione di controllare la paura che diventa panico. Nel
2000, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha definito
il disturbo da panico come la più importante patologia
esistente, colpendo il 20% della popolazione. Analizzando le
reazioni più usuali a una percezione d’intensa paura, si osservano,
infatti, alcune costanti ridondanze nelle diverse persone
e situazioni: evitare o sfuggire ciò che spaventa, la ricerca
dell’aiuto e protezione e il tentativo di tenere sotto controllo
le reazioni psicofisiologiche. Il protocollo di intervento per gli
attacchi di panico studiato da Giorgio Nardone e collaboratori
- esito di uno studio valutativo condotto al Centro di Terapia
Strategica nel 2000 su 3482 casi trattati, di cui oltre il 70% soffriva
di attacchi di panico - ha evidenziato un’efficacia terapeutica
del 95% e con una durata dei trattamenti ridotta a sette
sedute. Da allora sono stati trattati migliaia di casi con successo
dai ricercatori del CTS, con tasso medio di esiti positivi
nelle statistiche internazionali che supera l’85%.
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
ATTACCHI DI PANICO
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Salute e
società
Medici di famiglia, gli eroi silenziosi
della pandemia
Ne parliamo con il dottor Fabrizio Pedulli, medico di medicina
generale nel comune di Poggio a Caiano
di Doretta Boretti
Non sempre si è considerato quanto la pandemia da
Covid-19 abbia messo a dura prova i medici di famiglia
di una comunità, e quanto, nella maggior parte
dei casi, tali medici, abbiano donato tutta la loro professionalità
al servizio della comunità, rischiando a loro volta la vita.
Ne parliamo con il dottor Fabrizio Pedulli.
Lei è medico di una numerosa comunità in provincia di Prato...
Sì, sono medico di medicina generale nel comune di Poggio a
Caiano, un mutualista al massimale degli assistiti.
Quella del Covid-19 è stata un’esperienza molto faticosa da
gestire?
Più che faticosa direi drammatica. Siamo stati investiti da
tutta una serie di problematiche, in primis da quelle sanitarie,
ma non ultime anche quelle burocratiche. Quindi, proprio
drammatica.
All’inizio sono mancati ausili di protezione per voi medici oppure
siete stati supportati dal servizio sanitario nazionale?
Nella prima ondata siamo
stati completamente lasciati
allo sbaraglio. Quindi
i dispositivi di protezione
individuale erano completamente
assenti. Però ciascuno
di noi ha provveduto
personalmente all’acquisto.
Probabilmente è stato
dovuto all’inesperienza sia
nostra sia di chi gestiva gli
acquisti. Dopodiché le cose
sono cambiate.
Fabrizio Pedulli
Ci troviamo adesso alla
quarta/quinta ondata pandemica. Secondo lei che cosa è
cambiato in questo ultimo periodo?
Dal punto di vista sanitario adesso la patologia si è estremamente
attenuata. Vediamo dei casi che si risolvono prevalentemente
come sintomi di tipo parainfluenzale, una
forma da raffreddamento laringofaringitica e niente più.
Questo, probabilmente, proprio
grazie alle vaccinazioni
di massa.
Nonostante i vaccini, si assiste
ancora ad un serrato
contagio. Che suggerimenti
può dare ai nostri lettori?
Fare molta attenzione e cercare
di mantenere i comportamenti
che venivano tenuti
nelle ondate precedenti.
Quindi, il distanziamento,
lavarsi le mani frequentemente
e, personalmente, la
mascherina non l’abbandonerei
in nessuna maniera.
Perché?
Perché la pandemia non è
ancora finita.
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MEDICI DI FAMIGLIA
A cura di
Silvia Ciani
I consigli del
nutrizionista
Il gelato: come gustarlo senza sensi di colpa
di Silvia Ciani
Arriva il caldo, mangiamo volentieri più verdura e frutta,
beviamo di più, ma aumenta anche la voglia di qualcosa
di fresco, di leggero e di piacevole al gusto, come
il gelato. Il gelato, soprattutto quello artigianale, se fatto
bene, senza additivi e conservanti, è un prodotto sano poiché
fatto con alimenti semplici, freschi e di stagione: latte, panna,
yogurt, zucchero, uova, frutta fresca, frutta secca e altri ingredienti
come caffè, vaniglia, cacao, etc. … Esistono tre tipologie
di composizione di gelato che ne determinano il valore nutrizionale
oltre che il gusto: il gelato alla crema, quello al latte e
quello alla frutta. Il gelato alla crema, che è composto sostanzialmente
di tuorli d’uovo, latte e zucchero, è un’ottima fonte di
energia, proteine e vitamine. Il gelato al latte invece garantisce
un buon apporto di calcio, mentre il gelato alla frutta è generalmente
composto da acqua (fino al 70%), zucchero e polpa
di frutta: quest’ultimo, rispetto al gelato a base di latte e crema,
è privo di proteine e di grassi e di conseguenza ha anche
un minor valore energetico (normalmente un sorbetto o un ge-
lato alla frutta apportano circa 150 kcal/100gr., mentre gli altri
possono superare anche le 300 kcal/100 gr. a causa dei grassi
contenuti). Le caratteristiche nutrizionali del gelato fanno sì
che possa essere considerato un ottimo integratore nutrizionale
per completare (ma non sostituire!) un pasto leggero delle
persone sane, o per arricchire la dieta dell’anziano, spesso
anche inappetente, di proteine ad alto valore biologico e molto
digeribile, e di acqua (per contrastare la disidratazione estiva)
o essere infine una buona merenda soprattutto per bambini
e adolescenti dopo l’attività ludica e sportiva. Il gelato quindi
non è un alimento che “fa ingrassare” ma, come tutti gli alimenti,
dobbiamo imparare a conoscerlo e a gestirlo nel modo
giusto per non abusarne sia per la frequenza che per la quantità.
Per appagare il nostro palato senza aver paura di esagerare
troppo con le calorie, dovremmo accontentarci di una piccola
coppetta con 2 gusti e abbinare per esempio una crema ad
una frutta, come cioccolato e fragola, yogurt e kiwi, pistacchio
e melone, stracciatella e albicocca.
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
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14 d - Firenze / + 39 339 7183595
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Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911
www.nutrizionistafirenze.com
silvia_ciani@hotmail.com
IL GELATO
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Farmacia Mijno e
Farmacia Guandalini
Strategie skincare anche sotto il sole
Per preparare la pelle al sole e raggiungere velocemente
un’abbronzatura dorata evitando spiacevoli macchie, scottature
o eritemi solari, invecchiamento precoce della pelle
e cheratosi ma soprattutto per mantenere a lungo un incarnato colorito,
è importante prepararsi all’esposizione solare. Ma come? Le
tre parole d’ordine per iniziare sono: esfoliare, detergere e idratare.
Durante l’inverno la tua pelle, a lungo coperta, è stata “stressata”
da freddo e inquinamento. Cosa fare allora? Rimuovi le impurità
con una buona esfoliazione: per il viso, che è la parte più delicata ed
esposta, utilizza uno scrub specifico e leggero; per il corpo invece
usa un esfoliante con particelle più grosse, procedendo con movimenti
circolari sulla pelle asciutta, per un’azione più intensa e sulla
pelle bagnata per un effetto più dolce. Dopo lo scrub, procedi con
la detersione, meglio se delicata e fai seguire una buona idratazione,
per nutrire la pelle ed evitare screpolature. In questa fase, l’alimentazione
gioca un ruolo importantissimo: alcuni alimenti sono
in grado di favorire la sintesi della melanina, il pigmento protettivo
della pelle, necessario per preparare la pelle all’esposizione solare.
Si tratta di alimenti ricchi principalmente di beta carotene,
come carote, pomodori, albicocche, melone, verdure a foglia verde.
Non sempre però la sola alimentazione permette di assimilare
quei nutrienti capaci di dare sostegno a questo processo. In questo
caso ti vengono in aiuto gli integratori alimentari mirati, da assumere
qualche settimana prima e durante l’esposizione solare,
per garantirti un’abbronzatura più intensa e duratura e soprattutto
una corretta protezione dell'epidermide. Questi prodotti contengono
sostanze nutritive, quali vitamine, minerali e antiossidanti che
contrastano la formazione dei radicali liberi e prevengono l’invecchiamento
cutaneo precoce causato dall’azione dei raggi del sole. Il
manganese, la vitamina E e la vitamina C, contribuiscono alla protezione
delle cellule dallo stress ossidativo; la niacina, contribuisce
alla salute della pelle. Ma ricorda: l’esposizione al sole deve essere
graduale, soprattutto se hai una carnagione chiara e un fototipo di
tipo 1 o 2. Porta sempre con te una protezione solare, adatta al tuo
tipo di pelle e naturalmente un doposole. La scelta della protezione
solare è molto importante. Controlla sempre il fattore di protezione
solare (SPF), che dovrebbe essere preferibilmente compreso tra 30
e 50+, indici di una protezione alta e molto alta. L’SPF va scelto secondo
il proprio fototipo di pelle. Controlla sempre il tipo di filtro (per
UVA, per UVB e IR) e presta sempre attenzione alla data di apertura
del solare, perché i filtri si deteriorano. A fine giornata non dimenticare
di nutrire la tua pelle con un buon doposole. Noi consigliamo
emulsioni lenitive e idratanti che donino sollievo e attenuino i
rossori causati dal sole. Scegli formulazioni fresche ‘efficace azione
lenitiva alla pelle arrossata dal sole, l’acido ialuronico la idrata a lungo
assicurandoti, insieme alla vitamina E, un’azione antietà. Ci sono
inoltre prodotti da applicare sulla pelle, studiati appositamente per
prepararti all’esposizione solare e intensificare l’abbronzatura, grazie
ad ingredienti che favoriscono la produzione della melanina: dei
veri acceleratori d’abbronzatura.
Presso le nostre farmacie troverai sempre personale altamente formato e in grado di fornirti un consiglio personalizzato, per trascorrere un’estate sicura!
I professionisti della Farmacia Mijno,
via Gramsci 5, Signa (FI), + 39 055 875639
Il team della Farmacia Guandalini,
via 24 Maggio 3/5, Lastra a Signa (FI), + 39 055 8720090
A cura di
Maria Concetta Guaglianone
PsicHeArt
Sotto un cielo di stelle,
simboli dei desideri
di Maria Concetta Guaglianone
Van Gogh, il pittore delle stelle, affida alla notte stellata
il suo caos psichico per ritrovare serenità. Dante nella
Divina Commedia chiude ogni cantica con il termine
stelle per indicare il collegamento del destino umano con il divino.
Giotto dipinge nell’Adorazione dei Magi la cometa di Halley;
Tintoretto narra l’origine della Via Lattea; Miró dialoga con
le costellazioni in cui si rifugiava dalla guerra. Poeti, filosofi, pittori
hanno trovato ispirazione nel cielo stellato. L’arte, la letteratura,
i miti e le leggende hanno sempre raccontato delle stelle
e del loro significato simbolico come segni di fortuna, guida ed
energia. Nell’immaginario collettivo la stella è da sempre un simbolo
positivo: essa esprime il desiderio di luce e di speranza. L’etimologia
dal latino “de”, particella di negazione, e “sidus”, astro,
rimanda letteralmente alla mancanza di stelle. Da questa mancanza
nasce nell’animo umano una continua ricerca. Il desiderio
è intrinseco alla natura dell’uomo, è una forza motrice che genera
azioni ed emozioni. In ambito psicologico, Freud ha utilizzato tre
termini per descrivere il desiderio: “wunsch”, inteso come augurio;
“lust”, piacere e gioia, e “begierde”, brama, appetito. Il desiderio
per Freud è la percezione di un pieno soddisfacimento. Lacan
parla del desiderio come una spinta vitale che anima ciascun uomo,
la parte più intima e sconosciuta, una condizione assoluta
che non si estingue con la soddisfazione dello stesso. Jung definisce
il desiderio la via della vita e mette in evidenza come non
sia sempre facile confessare a sé stessi il proprio desiderio, seguirlo
e non farsi trasportare su strade estranee tracciate da altri.
Il desiderio ha una dimensione corporea, mentale, sensoriale,
emotiva. Muove e smuove, crea equilibrio, scompenso, trasformazione
e cambiamento in risposta ad uno spazio o ad un vuoto
psicologico o fisico da colmare. Nasce una relazione profonda
in continuo movimento con l’oggetto desiderato, intendendo per
oggetto sia qualcosa di materiale e fisico sia una persona, una situazione
o uno stato personale. I desideri narrano le passioni, le
aspirazioni e la ricerca del piacere; parlano del senso di responsabilità,
di attenzione e cura rivolte all’oggetto desiderato. Cosa
succede quando nasce in noi un desiderio? Innanzitutto è fondamentale
entrare in contatto con esso, ascoltarlo, focalizzarlo, riconoscerne
il valore e il significato, esprimerlo e non soffocarlo.
È importante accogliere i pensieri, le sensazioni ed emozioni ad
esso collegati. È opportuno valutare se sia realistico, accettabi-
Joan Miró, Figure di notte guidate da tracce fosforescenti di lumache (serie
Costellazioni, 1940), acquerello e gouache su carta
le e fattibile, definire quali siano le modalità di azione e le risorse
da impiegare per soddisfarlo, se il suo appagamento dipende
dal nostro potere d’azione o da agenti esterni. Nel caso in cui si
presentino difficoltà e blocchi che ne impediscono il soddisfacimento,
occorre riconoscere e gestire la frustrazione e il senso
di sconfitta, o nel caso in cui non ci sia stato alcun tentativo per
realizzarlo, accogliere e lavorare sul rimorso e sul senso di colpa,
sul rammarico di un’occasione perduta. A volte può insorgere
un conflitto interiore per la compresenza di desideri contrapposti
ma entrambi importanti e ricercati che generano una situazione
di stallo e difficoltà a scegliere. I desideri appagati attivano esperienze
emozionali gratificanti che restano impresse come un’orma
nella memoria del corpo e nei ricordi, e a cascata possono
attivare una nuova spinta motivazionale verso nuovi desideri; allo
stesso modo restano impressi i vissuti derivati da desideri infranti.
In tal caso è fondamentale lavorare sul processo di accettazione
e sulla consapevolezza che le situazioni della vita possono
evolvere diversamente rispetto alle proprie attese. Importante è
saper stare anche con ciò che si ha, stare nel presente, essere riconoscenti
sempre, e come diceva Epicuro «non rovinare quello
che hai, desiderando ciò che non hai; ricorda che ciò che ora
hai, un tempo era tra le cose che speravi di avere». Siamo tutti a
desiderar le stelle, con il naso all’insù per scorgere quei meravigliosi
punti luce che illuminano il buio della notte. A queste luci
rivolgiamo il nostro sguardo e le nostre speranze. A queste luci
affidiamo i nostri sogni e i nostri passi. E se presti attenzione al
momento presente, nel qui ed ora, qual è il desiderio che luccica
nel tuo cielo stellato?
Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta
Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia
di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di
Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e
Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali
di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).
+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com
SIMBOLI DEI DESIDERI
35
Ritratti
d’artista
Emanuela Simoncini
La trama e l’ordito di un viaggio interiore
di Jacopo Chiostri
È
probabile – forse inevitabile – di fronte ai lavori “tessili”
di Emanuela Simoncini fermare l’attenzione all’epifenomeno,
farsi cioè dominare, nell’incontro con la loro poetica,
dalla straordinaria capacità tecnico-manuale dell’artista.
Il ricamo, che è il medium della Simoncini, tra le altre cose, non
ci è familiare e l’esplosione di grazia e di bellezza caleidoscopica
che si sprigiona dalla tela impatta nella retina come se aprissimo
improvvisamente gli occhi su di un panorama inaspettato,
un iperuranio che si manifesta con la forza primordiale di un disordine
che si fa ordine per contenere razionalmente la propria
forza. Un’esplosione di energia vitale, di segni, di significati: questa
è l’idioma della Simoncini, la quale però, si badi bene, non intende
in alcun modo fare esclusivo sfoggio della sua, peraltro
indubbia, bravura, ma chiama all’ascolto di un racconto intimo,
scritto sì in bella calligrafia, ma scritto prima di tutto con l’intensità
propulsiva di un “io” interiore che ha bisogno di raccontarsi
e di ricucire i traumi di una sensibilità ferita da questo nostro
universo nel quale armonia e benevolenza sembrano diventate
residuali. Come dicevamo, quella della Simoncini è, in definitiva,
una personalissima sintassi (un’inedita sintassi!) con la quale
ciascuna delle figure femminili racconta la propria storia. I se-
Dama celeste, libellula marmorea (2022), arte tessile, ricamo a mano su stampa
di grafica digitale su tela, cm 50x70
Dama rosa, elegante femminilità (2022), arte tessile, ricamo a mano su stampa
di grafica digitale su tela, cm 50x70
gni (la parola ricamo, dopo tutto, deriva dal lemma arabo “raqm”
che significa “segno”), ora simili a zampilli di acqua sorgiva, ora
a spirali che avviluppano lo spazio, sono parole talvolta accentate,
altre no, che compongono i paragrafi di una narrazione che
riesce a coniugare contemporaneità e tradizione, complessità e
chiarezza espressiva delle forme. Le raffinate raffigurazioni appaiono
come una carezza consolatoria, con questa l’artista avvolge
e protegge se stessa e il mondo circostante; filo dopo filo,
tessitura dopo tessitura, viene stesa una rete tutelare che cinge
le figure femminili, intrecciandole con l’universo cui appartengono,
un po’ insondabili, un po’ emblematiche quantunque portatrici
di una simbologia dai molti significati che, in ultimo, si
risolvono nel ribadire l’eterno conflitto tra l’umano, disorientato,
e il suo bisogno-desiderio di abbracciare il divino. Sono bambole
trasportate in nuovi ambienti spaziali nei quali rintracciare un
nuovo senso della propria esistenza in sospensione tra l’essere
e il suo contrario; la loro immobilità vibra, per contrasto, con la
vitalità del ricamo a mano che le avvolge e definisce il senso della
loro presenza all’interno della narrazione. Diplomata in Pittura
all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e a Siena all’Istituto d’Arte
Duccio da Boninsegna, la Simoncini ha al suo attivo la partecipazione
a decine di collettive e premi – da Roma a Matera, da
Bologna a Genova, a Palermo, Perugia, San Remo, Livorno, Brindisi,
Bruxelles, Venezia, Pisa – e ad alcune personali tra cui a Palazzo
Apollo a Pistoia e alla Biblioteca di Pontassieve. Di recente
ha esposto a Firenze allo Spazio Espositivo San Marco di Toscana
Cultura e al Caffè Letterario Le Murate.
emanuelasimoncini@hotmail.it
36
EMANUELA SIMONCINI
A cura di
Francesco Bandini
Quando tutto
ebbe inizio…
Il Canto dell’Esiliato
di Francesco Bandini
Chi non ha mai avuto l’occasione di vedere tavolette
cuneiformi, avrà certamente notevoli difficoltà a capire
come, da piccoli frammenti di argilla seccata sui
quali sono stati incisi con uno stilo di canna segni spesso anche
sovrapposti fra loro, sia possibile leggere quelle “serie”
i cui contenuti ci hanno permesso di conoscere il racconto
del Diluvio Universale trasmessoci da George Smith. Non vi è
però dubbio che le composizioni letterarie di accademia assiro-babilonese
risalenti al 1850-1600 a. C., cioè al regno di
Hammurabi, contengano tutta una serie di informazioni che
vanno dal nome dello scriba, alla data di stesura del testo e
al suo contenuto. Si tratta di quei riferimenti che, con parola
di origine greca chiamiamo “colofone”, cioè informazioni poste
alla fine del testo. Infatti, nei vari regni (gli Hittiti in Anatolia,
gli Hurriti tra la Mesopotamia e la Siria) che avevano
creato il regno detto dei Mitanni e infine Babilonia dove si era
stabilita una dinastia del popolo Cassita, l’influenza culturale
era rimasta quella babilonese come pure l’uso della lingua.
Sarà l’ultimo re della dinastia caldea, per la sua devozione
verso il dio Luna (Sin), a scontrarsi con l’opposizione del clero
babilonese devoto al dio Marduk, così che nel 539 il persiano
Ciro entrerà in Babilonia da trionfatore e la città perderà
definitivamente la sua indipendenza. Ancora due secoli e la
dominazione persiana dovrà lasciare a sua volta il posto al
giovane conquistatore macedone Aléxandros. Alla sua morte,
avvenuta nel 323 proprio a Babilonia, questa è assegnata
a Seleuco I Nicatore e ai suoi discendenti fino a quando si imporranno
i Parti e infine i Romani ma è ormai l’agonia di una
civiltà tre volte millenaria. Nel 597 a. C. il giovane re di Gerusalemme
si arrende a Nabucodonosor e ciò comporta una
prima deportazione (II Re, 24). La famiglia reale, la corte, i notabili
ma anche gli artigiani, i fabbri sono esiliati a Babilonia.
È la prima delle tre deportazioni che avranno luogo in quindici
anni. Comunque siano andate le cose è proprio da Babilonia
La tomba di Ciro, incisione (Hachett Paris, 1887)
Francesco Bandini, La via dolorosa di Gerusalemme, matita su carta
che furono emanati i grandi documenti della Torah giudaica
che certamente da quelle lontane sponde, influenzarono profondamente
gli asceti abitanti del deserto, i fondatori Esseni
di Qumran. Il Salmo 137 detto Il Canto dell’Esiliato evoca
dunque il ricordo della caduta di Gerusalemme avvenuta nel
587 a. C. ad opera di Nabucodonosor II e l’esilio di Babilonia:
1) Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di
Sion; 2) Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre;
3) Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato,
canzoni di gioia i nostri oppressori: «Cantateci i canti
di Sion!». Come non ricordare la stupenda composizione di
Giuseppe Verdi nella quale nel coro del Nabucco si esprime
in modo sublime lo sconforto degli ebrei
esiliati. Il pensiero si volge inevitabilmente
ad uno dei conflitti potenzialmente
più pericolosi che oggi sta insanguinando
la nostra Europa orientale: quello fra
Russia e Ucraina la cui strada per la pace
sembra essere lunga e difficile. Anche
in questo caso, una guerra d’invasione, la
distruzione di intere città, l’esilio di milioni
di persone con la morte di centinaia di
bambini! La pace in questi casi non potrà
che arrivare attraverso una capillare
opera di sviluppo economico e la paziente
ricostruzione di un ambiente sociale e
culturale favorevole al dialogo. Un compito
quasi sempre estremamente difficile
svolto nel silenzio complice del mondo.
IL CANTO DELL’ESILIATO
37
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Petra Dippold-Götz
La danza del segno tra gesto e colore
di Daniela Pronestì
Danzare sulla tela con il pennello allo stesso modo di
come farebbe una ballerina sul palcoscenico. Cercare
nel colore la stessa immediatezza comunicativa
di un’improvvisazione musicale. Trovare poi il modo di accordare
entrambi gli elementi, gesto e colore, per farli vibrare
e respirare insieme sulla superficie della tela. Sono questi i
tre passaggi all’origine dei dipinti di Petra Dippold-Götz, artista
di Norimberga formatasi acquisendo e reinterpretando la
poetica del segno espressa dal suo illustre concittadino Albrecht
Durer. Partendo da questa prima impronta, maturata
guardando alle opere del celebre pittore e incisore tedesco, e
procedendo attraverso illustri esempi della pittura informale
americana da Pollock a Kline, la produzione di Petra si è configurata
nel tempo come una riflessione sulla capacità del
segno di restituire, insieme alla pura vitalità del gesto da cui
questo viene generato, l’intensità di stati emozionali che l’atto
creativo porta alla luce, facendoli emergere da una profondità
interiore e di pensiero. Lo sviluppo coreografico del
tracciato gestuale, che alterna a stesure energiche e marcate
la leggerezza e l’eleganza di colature filiformi, trasforma il
Love & Passion (2022), acrilico su cartone, cm 40x50
supporto nel luogo di un evento che, pur avendo in sé qualcosa
di tangibile, concreto, vicino alla realtà delle cose, allude
alla presenza di una dimensione “altra”, di un contenuto
sottile, immateriale, nascosto che il segno cattura ed intrappola
all’interno di un linguaggio criptico. Al di là di ciò che il
gesto pittorico manifesta e dice di sé – e quindi dell’artista
Capriccio (2019) acrilico su cartone, cm 70x100
The Dolphins' Kiss (2019), acrilico su cartone, cm 70x100
38
PETRA DIPPOLD-GÖTZ
Leonard Bernstein conducting... (2019), acrilico su carta, cm 38x54
– assecondando una precisa finalità espressiva – in questo
caso, ad esempio, trattare temi quali la libertà (Born free), la
passione amorosa (Love&Passion), il dinamismo presente in
natura (The dance of the whales) –, esiste anche tutta una
parte di significato che affiora dal segno in maniera incontrollata,
attraverso un processo di spontanea autogenerazione
che attribuisce all’opera una densità concettuale diversa, più
Jealousy (2019), acrilico su cartone, cm 40x40
articolata e complessa di quella conferitale in origine dall’artista.
Ecco perché davanti ai dipinti di Petra è più facile che
l’osservatore, pur seguendo inizialmente gli spunti interpretativi
offerti dai titoli, si lasci portare “altrove” dalle suggestioni
che il segno-colore suscita in lui, intravedendo in queste
composizioni astratte qualunque cosa la memoria o l’immaginazione
siano in grado di suggerire sia in termini di rimandi
visivi al mondo reale – come ad esempio paesaggi o figure di
animali – che di impressioni emotive. Se l’astrazione, etimologicamente
parlando, “estrae” dalla realtà concreta aspetti
che poi trascrive con un linguaggio proprio, nelle opere di Petra
questa estrazione avviene spesso a partire dall’ambiente
naturale e soprattutto da quegli elementi che in natura
esprimono ciclicità, movimento, trasformazione. Non di rado
l’ispirazione giunge dalla contemplazione anche di un altro
paesaggio, non più fuori ma nell’interiorità dell’artista: da
qui nascono evoluzioni cromatico-gestuali di grande impatto
visivo, con scene talvolta di “lotta” tra i segni che si contrappongono
dipanandosi sulla tela, ritmi irruenti e rapsodici
alternati all’armonia di voci che si accordano in un canto unico.
In questo modo l’astrazione diventa un tramite per tirare
fuori l’altro volto delle cose, quello che nasce dal pensiero e
che si nutre della sensibilità di un’artista che come Petra Dippold-Götz
non smette mai né di guardarsi dentro né di interrogare
il mondo.
www.petrapainting.com
petrapainting
PETRA DIPPOLD-GÖTZ
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
I Luoghi Parlanti varcano i confini nazionali
Dall’Italia alla Repubblica Ceca attraverso quattordici nuovi territori da scoprire
tecnologia digitale si fanno quindi veicolo di conoscenza e
esplorazione dei tesori del passato e di un patrimonio storico-culturale
da riscoprire nella sua interezza. Con la possibilità
di interagire e condividere foto, suggerimenti, esperienze, il
proprio posto del cuore, e di caricarli sulla apposita piattaforma
digitale, visibile su www.luoghiparlanti.com. Nella giornata
di consegna, il Movimento Life Beyond Tourism-Travel to Dialogue,
in collaborazione con Fondazione Romualdo Del Bianco,
Consolato Onorario della Repubblica Ceca per la Toscana, Czech
Tourism e ARCA – Amici della Repubblica Ceca Associati,
ha organizzato la mostra interattiva dedicata alla Repubblica
Ceca e ai suoi distretti attraverso l’esposizione di quattordici
pannelli dotati di tecnologia NFC, collegati alla piattaforma
digitale, per conoscere le bellezze tradizionali, la cultura e il
territorio di ciascun luogo ceco. Ha dichiarato la console onoraria
della Repubblica Ceca a Firenze, Giovanna Dani: «Crediamo
sia strategico che sia proprio la Repubblica Ceca a avviare
su scala internazionale il progetto dei Luoghi Parlanti. Una nazione
che ha dimostrato grande maturità nel dividere pacificamente
il suo territorio in due pari: la Repubblica Ceca e la
Slovacchia, sempre molto vicine sia per i rapporti economici
che per la vicinanza tra i due popoli. Un rapporto che è andato
sempre più rafforzandosi. L’occasione della ricorrenza dei
vent’anni dall’apertura del Consolato Onorario in Toscana, ci
consente di presentare, in un momento particolarmente difficidi
Stefania Macrì
L’impegno del Movimento Life Beyond Tourism Travel
to Dialogue nell’ambito della valorizzazione dei territori
e delle identità locali continua con la diffusione del
progetto dei Luoghi Parlanti ® in Italia e all’estero. Ed è proprio
la Repubblica Ceca il primo paese che fa varcare i confini nazionali
al progetto del Movimento LBT-TTD con Praga e i tredici
distretti regionali. In occasione delle celebrazioni dei vent’anni
di apertura del Consolato Onorario della Repubblica Ceca
per la Toscana a Firenze dello scorso 14 maggio, la presidente
del Movimento LBT-TTD Carlotta Del Bianco ha consegnato
all’ambasciatrice della Repubblica Ceca, Sua Eccellenza Hana
Hubáčková, e al vicepresidente del Comitato per le relazioni
interregionali, Vladimír Smerda, le targhe interattive dotate
di tecnologia NFC/QR code da apporre nei luoghi strategici e
di interesse delle varie regioni. Pertanto i territori di Praga, Boemia
meridionale, Moravia del sud, Regione di Karlovy Vary,
Regione di Hradec Králové, Regione di Liberec, Moravia Slesia,
Regione di Olomouc, Boemia orientale (Pardubice), Regione
di Pilsen, Boemia centrale, Regione di Ústí nad Labem,
Vysočina, Moravia orientale (Zlín) potranno essere esplorati
in maniera innovativa dai viaggiatori che potranno accedere
a informazioni, cenni storici, suggerimenti per completare
il proprio percorso di visita dei territori interagendo con i locals
attraverso l’unico accessorio veramente indispensabile
al viaggiatore contemporaneo: lo smartphone. Modernità e
Da sinistra Vladimir Smerda, Carlotta Del Bianco e Sua Eccellenza Hana Hubáčková
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Uno dei pannelli della mostra sui territori della Repubblica Ceca
le, una realtà di successo e in continua evoluzione». Aggiunge
Paolo Del Bianco, presidente emerito di Fondazione Romualdo
Del Bianco: «Oggi occorre trovare nuove forme di comunicazione
fra popoli diversi, soprattutto dopo l'esperienza terribile
della pandemia e con le nuove guerre in corso. Luoghi Parlanti,
cresciuto e sviluppato con il Movimento Life Beyond Tourism
– Travel to Dialogue è volto proprio a promuovere l’incontro,
la reciproca conoscenza, il rispetto quindi la creazione di ponti
culturali di educazione al dialogo e all’amicizia. Vogliamo
rendere gli esseri umani sempre più vicini tra loro: i visitatori
non siano solo turisti ma messaggeri di pace». Conclude Carlotta
Del Bianco, presidente del Movimento Life Beyond Tourism-Travel
to Dialogue: «Siamo particolarmente lieti che sia
proprio la Repubblica Ceca, da sempre partner di rilievo del
nostro movimento, il primo paese estero del progetto Luoghi
Parlanti ® . La pandemia ci ha spinto a ripensare modi e obiettivi
del viaggio. In questo periodo difficile fatto di incertezze,
timori e di privazione delle proprie libertà, il viaggio può diventare
realmente una forte reazione volta a ritrovare il senso della
propria individualità, un modo intimo di riassaporare ciò che
vivevamo prima della pandemia. Viaggiare consapevolmente,
infatti, è l’immagine più bella del senso di libertà in antitesi rispetto
a tutto ciò che è routine e conformismo. Si riscoprono
i nostri veri valori individuali che vengono poi a contatto con
quelli di altri, espressioni anch’essi di luoghi, culture e tradizioni
diverse, non solo nazionali ma anche internazionali. I Luoghi
Parlanti sono una finestra, uno “stargate” che apre un viaggio
virtuale in attesa di intraprendere il viaggio vero. Dobbiamo ripartire
dai nostri luoghi e farli raccontare da chi li ha nel sangue.
Per questo attiviamo un percorso che tocchi i posti meno
conosciuti e anche per i posti già famosi usare i Luoghi Parlanti
per far riscoprire l'anima vera dei luoghi. Questo è un mattone
sul quale costruire un solido fondamento per un dialogo
futuro di pace. A breve anche Azerbaijan, Polonia e Bahrein svilupperanno
un itinerario capillare dei luoghi parlanti per coprire
in forma diffusa i tesori dei rispettivi territori».
Luoghi Parlanti arriva al B&B Hotel Roma Fiumicino Aeroporto Fiera
Dallo scorso 5 maggio i pannelli Luoghi Parlanti sono a disposizione
degli ospiti del B&B Hotel Roma Fiumicino Aeroporto
Fiera appena inaugurato. Una grande emozione è stata
contribuire all’offerta di servizi che questo 55esimo hotel del
Gruppo in Italia, e settimo sul territorio romano, mette a disposizione
dei viaggiatori. La presenza del pannello di Luoghi
Parlanti rientra nell’ambito della collaborazione con B&B
Hotels Italia che è Golden Donor del Movimento Life Beyond
Tourism Travel to Dialogue. Abbiamo presentato questa collaborazione
alla stampa come strumento attraverso il quale
vivere un’esperienza itinerante che invita alla scoperta per creare
un legame più profondo e diretto con la comunità locale.
Luoghi Parlanti al B&B Hotels Roma Fiumicino
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism
® , ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme
alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che
custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle
identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e
i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
41
Fare impresa
oggi
Gamont
L’azienda leader per gli accessori dell’alta moda ha sede a Calenzano
di Aldo Fittante
designer delle griffe più famose al mondo. Un’intuizione,
quella di entrare nella filiera del fashion, che risulta vincente
fin da subito, riuscendo a cavalcare, negli anni successivi,
la grande espansione del settore sia sul territorio
toscano che a livello internazionale: «Un punto di svolta
è stato legarsi direttamente ad un brand importante
come Gucci, negli anni Novanta», spiega Marco Montuotera,
in Calabria, la sua scalata al
successo inizia con una piccola azienda, situata
a Calenzano, provincia di Firenze, cuore
pulsante del made in Italy; oggi, in una
modernissima struttura di oltre 8000 mq, e
dopo più di quarant’anni di attività, la Gamont
srl vanta il titolo di leader indiscussa
nel settore dell’alta moda italiana. Specializzata
nelle minuterie metalliche per accessori
come borse, scarpe e bigiotteria,
nell’incisione di loghi su materiali come
acciaio e ottone, l’attività si distingue per
la costruzione in proprio di attrezzature e
stampi per la produzione. È proprio questa
la caratteristica principale dell’attività:
garantire una qualità altissima dal primo In questa e nelle foto seguenti alcune lavorazioni di Gamont
all’ultimo passo del processo di realizzazione
del prodotto, tramite procedure di precisione rigorose
che consentono di controllare ogni dettaglio. Il tutto sempre
nel rispetto delle specifiche esigenze del cliente, con
l’ausilio della propria esperienza tecnica e di mercato. Il
risultato? Vere e proprie opere d’arte, che perseguono l’obiettivo
che Montuoro e tutto il suo team da sempre mettono
al primo posto: trasformare in realtà la creatività di
Quella di Domenico Montuoro è una
storia che parte da lontano. Personaggio
eclettico, originario di Nico-
42
GAMONT
Alcuni interni dell’azienda
ro, figlio del presidente e fondatore Domenico e direttore
di produzione per Gamont. «Inizialmente lavoravamo
con i fornitori dei grandi brand, poi iniziammo ad avere
un rapporto diretto con le grandi marche, realizzando per
loro prodotti finiti da applicare direttamente sugli accessori,
come la pelletteria ad esempio». La collaborazione
con Ferragamo prima e l’avvio della partnership con
il gruppo del lusso Kering poi – di cui fanno parte maison
prestigiose come Gucci, Saint Laurent e Balenciaga
– hanno reso l’azienda un vero e proprio punto di riferimento
culturale nel campo della moda, delle arti, della
cultura, ma anche dello sport, come dimostrano i numerosi
momenti di promozione culturale ospitati e sponsorizzati,
che spaziano dalla giornata memorabile, nel 2013,
per il Sitting-Volley nel Parco di Villa Montalvo, all’evento
organizzato dalla Pallavolo Bacci di Campi Bisenzio,
in occasione della settimana dello sport. Sempre all’interno
dei locali della Gamont, nel 2018, è stato ospitato
il Subbuteo Club North Florence per l’undicesima tappa
del Gran Prix Toscana Liguria Umbria, torneo regionale di
seconda categoria. Specializzati sulla piegatura, tranciatura
e sul taglio dei metalli a filo in elettroerosione, nel
campo della costruzione di stampi e punzoni vantano più
di 5000 stampi in deposito, vero e proprio patrimonio nel
settore, che permettono di realizzare un’infinità di prodotti
unici e di alta qualità. Si parte sempre da un prototipo,
costruito sulla base di un disegno tecnico o di una semplice
idea che sarà poi realizzata, insieme al cliente, nelle
varie fasi di progetto e produzione. Poi l’articolo può essere
consegnato non solo grezzo, ma anche completo di
tutte le lavorazioni necessarie quali saldatura, vibratura,
lucidatura e verniciatura. L’azienda è inoltre nota per l’esecuzione
sul prodotto di varie finiture e di numerosi trattamenti,
quali cromatura, nichelatura e zincatura, nonché
placcatura in oro a spessore. L’attenzione è posta in ogni
fase del processo di realizzazione, che viene analizzato
periodicamente, offrendo così al cliente sempre il miglior
prezzo, a fronte del miglior risultato. Infatti, come afferma
lo stesso Montuoro: «Ci distinguiamo da altri produttori
mettendo a disposizione del cliente un team in grado
di realizzare in tempi brevissimi il prototipo dall’idea con
già la visione della sua industrializzazione. La possibilità
di produrre stampi ed attrezzature in acciaio internamente,
permette di realizzare una “filiera corta” ed ottimizzata,
così da ridurre costi e tempi del lavoro». Una passione,
quella di Montuoro, trasmessa di generazione in generazione:
la partecipazione dei figli Sara e Marco all’attività
rende la Gamont srl un’azienda a conduzione familiare a
tutti gli effetti, con dipendenti specializzati nei vari settori
produttivi, che lavorano con entusiasmo e dedizione in un
ambiente armonioso e altamente professionale. E i risultati
si vedono tutti: clienti che, fin dagli inizi dell’attività,
apprezzano l’esperienza e premiano l’alta qualità di rifinitura
dei prodotti, ma anche e soprattutto l’affabilità del
titolare, che ha saputo trasmettere valori di stima e sincerità,
in linea con la serietà e l’alta precisione sul lavoro.
Know-how, intuito, competenza e utilizzo di attrezzature
moderne, sempre al passo con i tempi: è questa la chiave
del successo, in un settore così ricco di eccellenze, trovare
quel giusto equilibrio che permetta di preservare le conoscenze
e i valori tradizionali, inseriti però nelle logiche
di business e nelle strategie di innovazione.
Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale all’Università
degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista
iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo Fittante
è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni
scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie
in materia di Diritto Industriale, d’Autore e Diritto dell’Innovazione.
www.studiolegalefittante.it
GAMONT
43
GIENNE snc
L’arte del ferro a Cetona
Nel centro storico di Cetona (SI), la Gienne snc
porta avanti la tradizione della bottega specializzata
nella lavorazione del ferro. Un’attività iniziata
oltre cinquant’anni fa da Bruno Ceccobao e oggi portata
avanti dal figlio Gianni in società con il cognato.
Pur essendo ormai in pensione, Bruno, oggi settantaseienne,
continua ad essere un punto di riferimento
per la bottega, dispensando preziosi consigli alla
luce della lunga esperienza maturata nel tempo. Alla
Gienne si realizzano lavori in ferro, tutti eseguiti a
mano, come pergolati, gazebi, tettoie, porte, ringhiere,
inferriate per le finestre, scale a chiocciola, tavolini
da interno o da esterno con sopra legno, marmo
o vetro, sedie da giardino lavorate, etc. . Tutti i lavori
vengono eseguiti su richiesta del cliente, come è
avvenuto, ad esempio, nel caso di Massimo Ciaccioni
– anche lui artigiano di Cetona e titolare per oltre
quarant’anni di una piccola impresa edile – che
ha avuto l’idea di progettare un camino al cui interno
è incassato uno scatolare in ferro robusto – realizzato
apposta per lui dalla Gienne – che funge da
camera d’aria per la raccolta del calore che da qui
viene diffuso attraverso due condotti laterali negli altri
ambienti della casa. Inoltre, per aumentare il flusso
dell’aria è stata applicata una ventola che si attiva
quando l’aria arriva a 35 gradi e che aiuta così a diffondere
più velocemente il calore nelle altre stanze.
GIENNE snc
di Ceccobao Gianni & C.
Via XXV Aprile, 42, 53040 Cetona (SI)
+ 39 0578 238210
La struttura in ferro eseguita da Gienne in base al progetto di Massimo Ciaccioni
A cura di
Alessandra Cirri
L’avvocato
risponde
La modifica delle condizioni di separazione e di divorzio
di Alessandra Cirri
Molti clienti si rivolgono al mio studio chiedendomi
se sia possibile modificare gli accordi raggiunti
in sede di separazione o di divorzio, o di quanto
disposto da una sentenza. Ebbene, il diritto di famiglia non
soggiace al principio giuridico rebus sic stantibus che si applica
in tutte le altre materie del diritto. Ciò significa che, una
volta terminata la causa, emessa una sentenza e decorsi i
termini per l’impugnazione, tale sentenza non può essere modificata.
Il diritto di famiglia ha invece una sua peculiarità, in
quanto tratta di situazioni volte a continue evoluzioni e mutamenti.
Per tale motivo si può sempre rivedere quanto pattuito
in sede di separazione e di divorzio. Le ragioni possono essere
molteplici, tuttavia è necessario ed indispensabile che il
motivo rivesta il carattere di “novità” e che sia “sopravvenuto”
dopo l’emissione dell’omologa/sentenza di separazione
o alla sentenza di divorzio. Deve trattarsi di una circostanza
non conosciuta o non intervenuta al momento in cui le parti
si sono separate o divorziate, tale da aver creato uno squilibrio
tra i coniugi per le loro condizioni economiche o per i rapporti
con i figli. I temi da affrontare nelle separazioni e divorzi
riguardano sempre: l’affidamento dei figli minori; l’assegno,
quale contributo al mantenimento dei figli; l’assegnazione
della casa familiare ed eventualmente l’assegno di mantenimento
o divorzile per il coniuge più debole e bisognoso. In
tutti questi casi si possono verificare fatti nuovi, basti pensare
ad un coniuge che perda il lavoro, vada in pensione con
riduzione di redditi, presenti patologie, oppure ad un figlio
collocato prevalentemente presso un genitore, poi decida, invece,
di andare a vivere con l’altro genitore; oppure se un coniuge
ricostituisce una nuova famiglia o convivenza, oppure
passi a nuove nozze; il figlio che abbia raggiunto l’indipendenza
economica perché ha reperito un lavoro stabile tale
da renderlo autonomo, etc. Le fattispecie possono essere le
più varie, tuttavia, una volta verificatesi, non comportano, in
modo automatico, la modifica di quanto è stato pattuito nella
separazione o nel divorzio. La persona che voglia modificare
quanto stabilito in separazione o divorzio dovrà adire
il tribunale e instaurare un procedimento di volontaria giurisdizione
in Camera di Consiglio e richiedere le necessarie
modifiche (art. 710 c.p.c. o art. 9 L. 898/1970 modif. da L.
78/1987). Laddove entrambi gli ex coniugi siano concordi nel
modificare le condizioni della loro separazione o del divorzio,
possono proporre un ricorso congiunto al tribunale competente
oppure ricorrere alla negoziazione assistita (L. n.
132/2014, modif. L. 164/2014), con una procedura più celere
svolta con l’assistenza di due avvocati e sottoposta al vaglio
e al controllo del pubblico ministero. Con l’art. 4 della legge
08.02.2006 n. 54, le modifiche possono essere richieste anche
da genitori non coniugati in merito alla disciplina dell’affidamento
dei figli, del loro mantenimento o collocamento, che
erano state pattuite con il ricorso per affidamento dei minori.
In questa fattispecie, però, non è possibile ricorre al procedimento
più rapido della negoziazione assistita, credo per una
svista del legislatore.
Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università
di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione
di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto
di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista
dal 2006.
Studio legale Alessandra Cirri
Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze
+ 39 055 0164466
avvalecirri@gmail.com
alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it
CONDIZIONI DI SEPARAZIONE
45
Nuove realtà
espositive
Nasce a Roma, nel cuore di via
Margutta, l’atelier d’arte di KristiPo
L’attore Massimo Boldi, amico dell’artista dichiara:«È una ragazza
di talento, le auguro grande fortuna per questo passo importante»
di Lucia Raveggi
«
Circa tre anni fa, quando è arrivata in
Italia, mi ha regalato un ritratto. Mi
aveva rintracciato e me lo aveva portato
nel mio ufficio di Milano: da quel momento mi
ha proposto di posare per lei». Così il noto attore
Massimo Boldi ai microfoni di Notizie.com racconta
l’incontro con l’artista KristiPo, alla quale
ora è legato da una sincera e profonda
amicizia. «Quest’anno mi ha
dedicato un altro ritratto e così è
nata definitivamente l’amicizia. Ho
pensato di dare una mano a questa
ragazza di talento, soprattutto
in un periodo così difficile». E
così il celebre comico è rimasto
molto colpito dall’esperienza della
giovane artista, tanto da partecipare
spesso alle sue esposizioni,
senza stancarsi mai di elogiarne
il lavoro. Ora l’eclettica KristiPo,
pittrice e scultrice, ha finalmente
realizzato il suo sogno, come precisa
sempre Boldi: «Ha fatto un
passo importante, anzi, direi notevole:
dalla piccola realtà di Montecatini
si è spostata fino a Roma
dove pochi giorni fa ha inaugurato
il suo atelier in via Margutta 53,
insieme alla collega Isabella Rodriguez.
Il loro primo incontro è stato
casuale ed è avvenuto proprio in
questa via; si sono subito piaciute
ed hanno iniziato a lavorare insieme:
auguro loro grande fortuna».
KristiPo, nome dato anche alla sua
galleria, è amante della natura e si
dedica, oltre che a questo tipo di
opere, anche alla poesia, cimen-
tandosi soprattutto nel genere letterario giapponese
dell’haiku. «Ho fatto il suo nome al mio amico
Vittorio Sgarbi» conclude Boldi, che in questi anni
ha assistito alla crescita professionale dell’artista,
la quale a piccoli passi si sta facendo strada.
kristina.poplitskaya@gmail.com
KristiPo con l’attore Massimo Boldi
I giganti
dell’arte
Vincent van Gogh
Notte stellata, un capolavoro avvolto dal mistero
di Matteo Pierozzi
Vincent van Gogh, Notte stellata (1889), olio su tela, Moma, New York
La celebre Notte stellata è un'opera atipica di Van Gogh,
una delle ultime. Un dipinto avvolto del mistero anzitutto
per il fatto che l’artista stesso dice ben poco a riguardo al
fratello, al quale invece era solito riferire minuziosamente di tutte
le sue opere. Vi si vede raffigurato un piccolo borgo sulle colline,
di notte, sovrastato da un cielo caotico, toccato da un bosco cupo
che sembra travolgerlo come le onde di un mare in tempesta. Il
colore blu è dominante. Van Gogh scrive al fratello: «Spesso penso
che la notte sia più viva e più riccamente colorata del giorno».
E ancora: «Guardare il cielo mi fa sempre sognare (…). Perché, mi
chiedo, i punti scintillanti del cielo non sono accessibili come i
puntini neri sulla cartina della Francia? Proprio come prendiamo
il treno per andare a Tarascon o a Rouen, così prendiamo la morte
per raggiungere una stella». L’orizzonte basso regala la scena alla
volta celeste, un vortice violento di nubi e vento si muove intorno
agli astri luminosi, il cipresso è
come una fiamma scura; brevi
pennellate di colori puri delineano
le case e la chiesetta
con il campanile. Uno stile tormentato,
che pervade il periodo
che precede la crisi finale
dell’artista.
VINCENT VAN GOGH
47
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Anne Irene Holthe
La forma del tempo che ritorna
di Daniela Pronestì
Dipingere portando fuori ciò che si ha dentro: ricordi,
sensazioni, lampi improvvisi. E in questa emersione di
immagini dal profondo, essere allo stesso tempo attori
e spettatori di un processo che l’artista riesce soltanto in
parte a controllare. Le opere della pittrice norvegese Anne Irene
Holthe nascono seguendo questo percorso, che trasferisce
sul supporto un insieme di pensieri consapevoli e di elementi
inconsci. A questo si aggiunge la scelta, ma potremmo dire forse
anche la necessità, di rappresentare quasi sempre lo stesso
soggetto, con un meccanismo iterativo simile a quello che nei
sogni ricorrenti è utile per far venire a galla qualcosa di nascosto.
Vasi, brocche, anfore, oggetti che se da un lato servono a
contenere una pianta o un liquido, dall’altro lato fissano un limite
al contenuto, lo chiudono al loro interno, stabilendo quindi un
confine tra il dentro e il fuori, tra ciò che si mostra allo sguardo
e ciò che invece rimane nascosto. Queste forme altro non sono
quindi che simboli di un’interiorità segreta, qualcosa di profondo
e prezioso, la cui presenza nell’opera si può soltanto intuire,
senza potervi tuttavia accedere. Contenitori di memorie, sogni,
attimi di vita che restano al di là del limite, celati nella cavità di
un’anfora dal gusto antico, dove lo sguardo non può raggiungerli
né violarne la segretezza. Ma è proprio la presenza di un
limite a rendere evidente ciò che altrimenti resterebbe sepolto
nella coscienza: non è dato sapere cosa si nasconda dentro
questi contenitori, ma il loro essere lì, al centro della rappresentazione,
è già indizio di qualcosa al loro interno che attende di
essere svelato. Anche altri elementi della composizione – scorci
di tavoli o di pareti, bande laterali – concorrono a rafforzare
l’idea di un confine che non può essere attraversato, suggerendo
allo stesso tempo la sensazione che la scena si svolga in
una stanza, in condizioni di luce non ben definite. Non si tratta
di un luogo reale ma di uno spazio interiore, al cui interno l’arti-
Daydreaming, acrilico su legno, cm 37x38
48
ANNE IRENE HOLTHE
The cup of life, acrilico su legno, cm 44x63
sta ambienta i propri racconti poetici, immaginandoli come momenti
di vita quotidiana, angoli della sua casa trasformati in
brani di natura morta. Erano questi i giorni, recita il titolo di uno
dei dipinti, lasciando pensare che proprio ai giorni di un determinato
tempo ormai lontano l’opera intenda riferirsi, facendoli
rivivere e affiorare di nuovo, con tutto il loro carico di ricordi. Un
altro titolo allude invece alle “forme ricorrenti nella nostra vita”,
e quindi a tutto ciò che di continuo si ripropone nei nostri pensieri,
nelle abitudini, nelle esperienze, per rammentarci aspetti
importanti, cose da risolvere, schemi dai quali non riusciamo a
Still life, acrilico su legno, cm 40x49
liberarci. In questo modo la pittura diventa un potente strumento
di scandaglio interiore, un’occasione per calarsi dentro sé
stessi, alla ricerca di verità che l’opera porta alla luce del giorno
come reperti di uno scavo archeologico. Ecco allora perché
ritrarre anfore, brocche ed altri oggetti che parlano del passato,
per elevarli a simboli di ciò che è stato e che ritorna, scampoli
di un vissuto che – suggerisce Anne Irene Holthe – proprio grazie
alla pittura trova il giusto significato.
annesatelier57
Those were the days, acrilico su legno, cm 30x30
ANNE IRENE HOLTHE
49
Firenze
mostre
Al Gruppo Donatello la collettiva
dei Medici Artisti
di Roberto Della Lena
Lo scorso 30 aprile, presso il Gruppo Donatello, storico
sodalizio culturale, è stata inaugurata la mostra
Medici Artisti. Sono intervenuti il presidente del Gruppo
Donatello Ugo Barlozzetti e due dei nove medici donatelliani:
Roberto Della Lena e Filippo Cianfanelli. In mostra non
solo opere di pittura ma anche scultura, grafica, fotografia e
computer art. A Firenze il gruppo dei Medici Artisti è attivo
fin dagli anni Sessanta. In tempi oramai lontani si svolgeva a
Firenze la Biennale dei Medici Pittori, allestita in importanti
gallerie come Santa Croce e Pananti, più recentemente anche
nella sede dell’Ordine dei Medici ed in sodalizi come Gadarte
e Gruppo Donatello. Per quanto attiene alle collettive organizzate
presso l’Ordine dei Medici di Firenze, da ricordare
le tre edizioni 2006, 2008, 2010, delle quali il critico Federico
Napoli seguì i lavori, dedicando anche un ampio testo sulla rivista
dell’Ordine Toscana Medica.
Artisti in mostra e titoli delle opere:
Carla Arfaioli (Ritrovarsi, 2016, olio su tela, cm 78x58); Angiolo Benedetti
(Igeia, dea della medicina, 2016, acrilico su cartone, cm 40x30;
I 5 vasi, 1980, olio su faesite, cm 70x50); Grazia Bonini (Stazione di
Milano, 2017, olio su tela, cm 100x70; Stazione di Bologna, 2017, olio su tela,
cm 100x70); Giuseppe Camagni (Senza titolo); Teresa Cella (Ferita di colori,
2005, acrilico su carta, cm 50x60; Colori feriti, 2022, acrilico su tela, cm
40x60); Filippo Cianfanelli (81° parallelo, 2021, olio su tavola, cm 35x50; L’imbrunire
a Baratti, 2012, olio su tavola, cm 35x50); Adriano Danti (Riflessi sul
Tamigi, 2013, olio su tela, cm 28x50; Ombre Rosse, olio su tela, cm 28x50);
Roberto Della Lena (Liber Primus, cm 70x100, collage di immagini – computer
art, disegni tratti dal libro di Roberto Della Lena Appunti e schizzi leggendo
Un collage delle opere esposte
e rileggendo il libro
rosso di Jung, Amazon);
Valter Francini
(Tanninototem, 2016,
elaborazione da originale
jpeg a colori,
cm 30x40; Geometrie
perfette, 1999, elaborazione
su scansione
di originale su carta
a colori, cm 30x40);
Domenico Lo Russo
(Albero fiorito nella
I medici artisti al Gruppo Donatello
plastica); Luca Mercatali (Sinergie emotive, fotografie digitali stampate su
carta cotone da Antonio Manta e montate su pannelli Dibond, cm 100x70,
sculture di Monica Antonelli, modella Veronica Guarducci); Antonietta Moschi
(Gioco e fantasia, acrilico, cm 40x50; Interpretazione di piazza Signoria
Firenze, acrilico, cm 40x50); Daria Orlandini (Flores sententiarum, fotografie
digitali); Marcello Paoli (Momenti di conflitto, 2022, olio su tavola, cm
61x125; Una giornata qualunque, 2020, olio su tavola, cm 97x101); Rinascimento
Punk (Guerrieri di stoffa dentro a dei cassetti, 2020, acrilico e
smalto su materiali di recupero, cm 36,5x31); Massimo Sanfilippo (Senza
titolo); Elisabetta Weber (Campi d’autunno, 2009, cm 50x60; Albero d’inverno,
2018, cm 40x60).
50
GRUPPO DONATELLO
Ritratti
d’artista
Renata Massai
L’armonia dell’esistere
di Lodovico Gierut
Nella continuità della mia attenzione per i cosiddetti
“creativi”, oggi ho pensato di dedicare un certo
spazio a Renata Massai, pittrice grossetana della
quale ho potuto recentemente notare una serie di opere –
figure, pur se non mancano varie “nature” (evito la parola
“morte” giacché, essendo fiori, sono particolarmente vive
per gli ottimi cromatismi) – tuttavia, prima di scriverne pur
in sintesi, penso opportuno sottolineare che, pur se si è avvicinata
al colore da circa un decennio, i suoi lavori riflettono
una solida base disegnativa senza la quale, in genere, il
cosiddetto “figurativo” scivolerebbe su una complessità di
errori. Il suo è uno stile che non esiterei a definire meditativo
giacché in ogni opera riesce a rappresentare la sosta
e il silenzio, quella pausa di un tempo veloce che spesso
trascuriamo travolti dalla fretta dissennata dei nostri tempi.
Le persone appartenenti alla realtà dell’esistere la fanno
da protagoniste, avvolgendo ogni età e provenienze diverse,
in un tutto sapientemente miscelato con un contorno
paesaggistico molto equilibrato. Renata Massai non cerca
l’eclatante, lo “strano” o – per meglio dire – quei certi temi
provocatori così di moda in pittura (o nella “non pittura”), e
più che altro in scultura, accanto ai quali la superficialità e
la non conoscenza ama farsi fotografare, ma porta in essere
con grande onestà un sentimento con cui propone, di volta
in volta, una figura carica d’anni e di dolore, un’altra che,
seduta su un tronco spiaggiato, pare ripensare alla propria
giovinezza facendosi chissà quali interrogativi, una bambina
che tiene in braccio un gatto e altro ancora. Nell’insieme
ci sono pure occhi che si perdono nell’infinito, rughe che
parlano di vita vissuta, mani che hanno lavorato e ne portano
traccia. È una pittura che fa pensare, al di là della raffinata
esecuzione, ed in questo sta il valore dell’opera d’arte
che altrimenti si riduce a mera esperienza estetizzante. Pulsano,
nell’insieme, simbologie avvolgenti ben coniugate ai
soggetti sempre impaginati con particolare attenzione, ed
ecco l’azzurro che può evocare il distacco dagli egoismi
materiali e poi c’è il cielo del pensiero e della spiritualità,
il rosso dell’amore, il viaggio della vita e altro, altro ancora.
renata.massai@alice.it
RENATA MASSAI
51
Ritratti
d’artista
Lelia Secci
Gli amici del Gruppo Donatello ricordano la pittrice fiorentina a
tre anni dalla scomparsa
di Roberto Della Lena
Parlare del percorso biografico e artistico di Lelia Secci
sarebbe in un certo senso facile, consultando i cataloghi
delle sue numerose mostre sia in gallerie che
in importanti sedi istituzionali, rileggendo gli articoli su di lei
comparsi su diverse riviste, elencando le attestazioni di merito
che le sono state tributate. Qui in realtà si vuole trattare un
particolare aspetto, ovvero parlare di Lelia attraverso i ricordi
personali dei soci, ma soprattutto amici, del Gruppo Donatello,
storico sodalizio artistico-culturale fiorentino di cui Lelia ha fatto
parte per tanti anni. La sua prima mostra personale al Gruppo
Donatello dal titolo Evocazione onirica della realtà risale al
1996, ma va precisato che già molto prima, almeno dal 1989,
Lelia aveva allestito mostre personali in altre gallerie fiorentine
e di altre città. Un’altra occasione “donatelliana” da ricordare
è la mostra del novembre 2008 Le ali del sogno per figura
(ipotesi di un viatico per il secolo nuovo) che vide protagoniste
Anna Cecchetti e Anna Mercati assieme a Lelia Secci. La mostra,
che riscosse notevole successo, fu presentata dal professor
Ugo Barlozzetti, attuale presidente del Gruppo Donatello. In
tempi più recenti, e proprio su questa testata, lo stesso Barlozzetti
ha scritto due importanti articoli su Lelia ai quali si rimanda
consigliandone la lettura. La peculiarità della pittura di Lelia
è indubbiamente rappresentata da quella velatura, quell’effetto
flou, presente pressoché in tutti i soggetti da lei raffigurati:
paesaggi, fiori, nature morte e ritratti. Su questo ho un ricordo
personale: una volta, in occasione di una mostra, le dissi
che questa sua caratteristica mi ricordava l’effetto con cui Hamilton
arricchiva le sue foto, cosa che Lelia apprezzò molto;
e fu in quella cordiale conversazione che mi illustrò con dovizia
di particolari la tecnica del pastello Rembrandt che da sempre
amava e della quale era una vera specialista. Lelia, tuttavia,
aveva sperimentato con successo anche altre tecniche: affresco,
incisione e scultura, murales, realizzazione di stendardi
per importanti manifestazioni tradizionali come il Palio della
Giostra della Stella di Bagno a Ripoli e il Palio del Baluardo della
Ginevra. Inoltre, nel 2003 è stata la prima donna a realizzare
il Palio del Calcio storico fiorentino. Molte le testimonianze dei
donatelliani: da quelli “storici”, che meglio l’hanno conosciuta,
ad altri, che solo recentemente l’hanno incontrata. Tra i primi
vanno annoverati Giuse Benignetti, Enrico Bandelli, Gianni Oliveti.
Giuse Benignetti, da sempre punto di riferimento e “colonna
portante” del Gruppo Donatello, ricorda come nel lontano
2001, in occasione dell’importante collettiva Omaggio all’iris
da lei curata, colse il talento di Lelia e volle che la sua opera
comparisse nella copertina del catalogo. Non solo, sempre nel
2001, quindi pochi mesi dopo, Giuse volle in copertina nuovamente
una pittura di Lelia per il catalogo di un’altra collettiva altrettanto
importante che si teneva a Castiglioncello in estate.
Chi conosce Giuse sa bene che non avrebbe fatto tali scelte se
non per convinzione personale. Lontano e suggestivo il ricordo
di Enrico Bandelli, legato ad un’esperienza che può essere
definita artistica e di valore sociale ad un tempo, ovvero la re-
52
LELIA SECCI
alizzazione di un murale in una scuola primaria di Lizzano, in
provincia di Pistoia nel 2001. La passione con cui Enrico ricorda
quei giorni in cui lui e Lelia stettero a contatto con i bambini,
con gli insegnanti e con gli abitanti che facevano loro mille
domande mentre ammirati e incuriositi li guardavano dipingere,
meriterebbe una trattazione a parte. Esperienza davvero sui
generis: la grande opera fu il risultato di una felice sintesi tra
i disegni realizzati dai bambini e l’armonia compositiva dettata
dall’esperienza artistica di Lelia ed Enrico. L’opera, di grandi
dimensioni, fu inaugurata alla presenza delle autorità, fu molto
apprezzata dalla comunità, ebbe risalto sulla stampa quotidiana
e tuttora è presente e conservata con cura. Ugo Barlozzetti,
che come si è detto si è occupato più volte di Lelia, in un ricordo
della pittrice fiorentina ha sottolineato con sapienti parole
quell’aspetto già ricordato e tanto apprezzato della sua pittura:
«Una personalità attenta a recuperare la delicata gioia nel restituire
atmosfere dove la luce si scioglie in eleganti ed evocative
forme sostenute da raffinato cromatismo». Gianni Oliveti
e Giovanni Giusti, entrambi vicepresidenti in carica del Gruppo
Donatello, hanno sottolineato di Lelia il già menzionato uso
portentoso dei “pastelli Rembrandt” nonché la sua attiva e continua
partecipazione alle iniziative artistiche e alla vita sociale
del gruppo. Altri soci hanno voluta ricordarla: Barbara Santoro,
già autrice di due importanti articoli su Lelia, Antonietta Borgioli,
Carlo Maltese, Anna Maria Maremmi. Ognuno di essi ha raccontato
qualcosa: naturalmente le sue “velature”, una visita al
suo studio di Poggio Imperiale, uno scambio di idee di fronte a
un’opera esposta, il ricordo di una delle tante serate conviviali,
l’allestimento di una mostra, e tanto altro ancora. In tutti i soci
rimane la tristezza per una grande perdita, in tutti il riconoscimento
di un tratto gentile, di un notevole talento artistico, e il
ricordo affettuoso di una gran bella persona. Semplicemente.
Riferimenti bibliografici
• Benignetti Giuse (a cura di): Omaggio all’iris, catalogo della mostra, Lastra a Signa, Villa Bellosguardo-Caruso, 12
maggio 2001
• Borghini Fabrizio: L’improvvisa scomparsa di Lelia Secci; testimonianze di Ugo Barlozzetti, Giuse Benignetti, Roberta
Fiorini, in La Toscana Nuova, giugno 2019, pagg. 34-36
• Lelia Secci - documento WEB http://www.bottega2000.it/artisti/leliasecci/index.htm
• Santoro Barbara: Lelia Secci, in La Toscana Nuova, giugno 2017, pagg. 36-37
• Tonarelli Alessandro: In arrivo due nuovi murali a Lizzano, in La Nazione, 7 aprile 2012
LELIA SECCI
53
Una telefonata impossibile
di Giuse Benignetti
Cara Lelia,
sono tre anni che te ne sei andata. Il “nostro” gruppo ti ha ricordato
recentemente nella collettiva annuale degli amici (tanti) e i
parenti hanno ammirato anche una tua bellissima opera. Telefonicamente,
ho saputo che ci sarà un altro ricordo nella rivista di
Borghini e, sempre per telefono, ho deciso che anche io voglio
confermarti quanto ti volevo bene come amica, e soprattutto come
ti apprezzavo come artista. Più di 20 anni fa, esattamente
nel 2001, il suddetto Borghini mi affidò il catalogo della mostra
Omaggio all’iris al Comune di Lastra Signa e, seppur conoscendoti
da poco, volli in copertina la riproduzione della tua opera Una
città, una piazza, un’aiuola che bene interpretava che l’omaggio
all’iris, come avevo successivamente scritto, era un “pretesto” e
l’essenzialità e la modernità delle linee si imponevano nell’aiuola
seppure con il celebre scenario del palazzo fiorentino. Il rispetto
e la stima per la tua produzione non mi impedì, nello stesso anno,
di mettere ancora nella copertina del catalogo della mostra Il mare
a Castiglioncello, la tua “Luce”. I nudi, entrando nell’acqua, anche
questa volta, sono in armonia con il tema, ed evitando le già
pur suggestiva e note vedute marine, hanno umanizzato una forza
naturale. La mia improbabile lettura termina qui. Confido che
altri siano stati più brevi di me o più lunghi, se è concesso.
Con affetto, la tua vecchia amica Giuse.
Di Lelia Secci ricordo con ammirazione la pittura di luce, piena
di atmosfere, dettate dall'uso sapiente dei pastelli, sia nei
ritratti, sia nei fiori che si sfaldavano contro architetture fiorentine.
In modo particolare i fiori di iris che le piacevano, sia
per forma che per colore. Come donna devo sottolineare la
sua generosità, le sue buonissime torte che offriva a tutti in
molte occasioni, la sua disponibilità a collaborare e la partecipazione
attiva alle cene in piazza autogestite.
(Antonietta Borgioli)
Non ho avuto modo di conoscerla bene. Aveva molta classe, dei lineamenti
delicati e la particolarità di vivere in un mondo tutto suo.
Ha aderito alla mostra da me proposta Castelli in Arte ma come,
commentato all’inaugurazione dal vicepresidente Giovanni Giusti,
«non ha potuto portare a termine il proprio lavoro per impegni inderogabili
con il Cielo». Ha lasciato un disegno incompiuto, ben nitido,
in matita, del Castello di Torregalli dove abita tuttora la figlia.
Lo avrebbe dipinto, all'ultimo tuffo, regalandoci un bellissimo quadro
ad olio. Il castello è visto nella sua angolazione più suggestiva,
si trova ai piedi della zona collinare tra l’Arno ed il fiume Greve ed
è visitabile, mi sembra, in giorni prestabiliti. Il suo lavoro, sebbene
non ultimato, è stato esposto alla mostra, in primo piano tra tutte
le nostre opere, perché si potesse tenerla stretta e prolungare ancora
la sua presenza ed il suo ricordo. A questo proposito, Lelia sa
che non la dimenticheremo mai.
(Anna Maria Calamandrei)
Ricordo il suo sorriso velato, il suo essere sola in mezzo alla
moltitudine, la “distanza” che trasmetteva con opere apparentemente
non finite, come appena accennate, eppure
straordinarie per rara sensibilità e per capacità disegnative
d’altri tempi. Ricordo il suo amore per la figura femminile,
per i paesaggi fiorentini, per i gatti, per i fiori, spesso
in primo piano. Con lei è sparita una “signora dell’arte” che
meriterebbe una collocazione museale adeguata come voce
elegante, raffinata e nobile del nostro tempo.
(Carlo Maltese)
Vorrei raccontare solo un breve primo incontro con Lelia, ma
che è rimasto impresso per l’atmosfera del momento, per me
emozionante, nel quale si affaccia nel ricordo, la sua figura
così pacata e gentile. E per questo devo andare indietro
nel tempo, fino all’anno 2008, nel giorno in cui, assieme ad
una cara amica pittrice, entrai per la prima volta nella vecchia
sede dell’Antica Compagnia del Paiolo, la Saletta Bocuzzi
di piazza della Signoria, per presentarmi all’associazione.
Qui ecco Lelia che mi viene incontro: un sorriso, una stretta
di mano di gentile cortesia. E così la ricordo, dolce e soffusa
come i suoi incantevoli lavori, specchio di un sensibile mondo
interiore, dove la natura si decolora nel sogno.
(Anna Maria Maremmi)
Cara Lelia ti ho conosciuto e mi hai preso subito per la gola con
i tuoi dolci e dopo con i tuoi quadri hai profuso la tua sensibilità
conquistando l’affetto e la stima di tutti.
(Giovanni Giusti)
Tratto da L’avventura pittorica di Lelia
Secci di Barbara Santoro
Con la tecnica del pastello Rembrandt, che arriva a gradazioni
di colore infinite, Lelia riesce ad ottenere un delicato mélange
che fa sì che il quadro assuma tonalità cromatiche soffuse e
velate come uscite da una nebbia leggera. Dai primi fiori, animali,
donne e nature morte, si passa poi a soggetti unici con il
quadro, che diventa contenitore di un’espressione più nuova e
dinamica. Gli stessi soggetti in primo piano vengono a far parte
di architetture di metafisica bellezza sullo sfondo che rivelano
l’anima dell’artista […]. L’ abilità della Secci sta proprio nella
resa pittorica di grande respiro, si percepisce quasi il profumo
dei suoi fiori, ed anche i volti vengono fuori da antiche architetture
e catturano l’osservatore per quel silenzio che le circonda
quasi un’aureola sfumata, che anzi ne delinea la psicologia
del personaggio […]. Due anni fa Lelia se n'è andata lasciando
un grande vuoto intorno a noi. La penso oggi indaffarata a dipingere
in paradiso e forse anche gli angeli rimarranno incantati
davanti i loro magnifici ritratti. Ogni mattina quando arrivo
nel mio studio saluto Lelia che mi ha donato un mio bel ritratto.
Quando lo guardo, fra le architetture accennate della mia casa,
mi sembra di vederla, sorridente come sempre e con quei meravigliosi
occhi che scrutano ogni particolare.
Cara Lelia, ti ricordo con molto affetto nella tua ingannevole
semplicità apparente, ricca al contrario di insondabili labirinti di
percezioni e sentimenti, e spero che là, dove ora tu sei, abbiano
fabbricato apposta per te sfumature speciali ed ineffabili di quei
portentosi “pastelli Rembrandt” di cui eri la più strenua e al contempo
felice ed orgogliosa sostenitrice…
(Gianni Oliveti)
Brevi storie da
raccontare
Il sorriso degli Etruschi
di Andrea Cafaggi
Alcuni anni fa, ad ogni nuovo cambio di stagione, coltivavo
la piacevole consuetudine di recarmi a passeggiare
con la mia famigliola nelle Crete Senesi.
Il nostro itinerario preferito si snodava dal paesino di Chiusure,
in magnifica posizione sovrastante l’abbazia di Monte
Oliveto Maggiore, fino al castelletto di San Giovanni d’Asso.
Nel tragitto a piedi, fuori dal frastuono dei motori, ascoltavamo
la voce del vento nel silenzio assoluto e ci riempivamo
gli occhi di scorci stupendi e di visioni idilliache. L’asprezza
dei calanchi e delle forre si stemperava in dolcezza di colline
e di colture verso San Giovanni e Monterongriffoli. Ogni
stagione recava i suoi doni: alla fine di maggio la splendida
fioritura di rosse orchidee selvatiche al bordo dei sentieri, e
poggi ricoperti di biade che, carezzate dal vento, sembravano
un mare verdissimo e vivo; agli inizi di ottobre grappoli
d’uva nera e foglie d’oro e di rame. Questo, solo per citare
cose grate agli occhi: ma poi ce n’erano tante altre ben nascoste
sottoterra, come i famosi tartufi dell’Asso, o disperse
nell’aria, come il soave profumo delle piante di fave in
fiore che si alternava a quello dei cipressi, salendo a piedi
sulla strada bianca e dritta che dalla Lauretana porta sul
colle di Leonina. Una volta, in autunno, io e mia moglie invitammo
a questa nostra scampagnata una coppia di amici
senza prole: ad ogni modo, per dar daffare a tutt’e quattro,
bastavano e avanzavano i nostri due figli. Avevo procurato
diverse bontà per nostro pranzo al sacco: pane di campagna,
salamino di cinghiale, “coppiette” di cinta senese,
e poi noci fresche di Sorrento e mostarda di cipolle fatta in
casa per accompagnare i formaggini di capra di sei diversi
tipi e stagionature, acquistati il mattino stesso alla fattoria
Santa Margherita di Ville di Corsano. Avevo anche quattro
bottiglie di vini diversi per annaffiare il tutto (un Bianco Ver-
gine Valdichiana, un Tocai friulano, un Chianti giovane e un
Amarone della Valpolicella) più una di Vinsanto di caratello
per i cantuccini di Prato. Il luogo d’elezione per il pranzo
era la collinetta di San Marcellino, incoronata di cipressi. Al
centro della cipresseta, in splendida solitudine, si trova una
cappelletta di mattoni rossi, dove riposano beatamente gli
antichi proprietari di Monterongriffoli. Dietro la cappelletta,
vicino al calanco che si affaccia su una tartufaia, qualcuno
ha costruito un paio di rustici tavolinetti di legno con relative
panchette. Anche quel giorno quella era, come al solito,
la nostra mèta. Dalla mia capace borsa da picnic tirai fuori
due tovagliette e l’occorrente per apparecchiare, e in breve
le due tavoline furono imbandite di tutto quel bendidìo.
Ci sedemmo ed iniziammo allegramente a pranzare, come
si addice a persone semplici ma civili, e la brezza meridiana
ci portava odori di bosco e di piante resinose. Arrivati
ai cantuccini col vinsanto, i ragazzi si alzarono ed iniziarono
a giocare fra loro, facendo a nascondino e rincorrendosi
fra gli alberi e intorno alla cappelletta, con grandi risa e
strilli, mentre noi adulti facevamo il chilo ancora seduti al
rezzo. In quella, da dietro la cappelletta, comparve un viandante.
Era una persona attempata ma portava un grosso
zaino da trekking sulle spalle e pesanti scarponi impolverati.
Teneva in mano un bastone dal puntale di ferro, in capo
un cappellaccio a tesa larga dall’aria molto vissuta, da sotto
il quale uscivano folti capelli bianchi. Sul naso prominente
portava occhiali da vista con copri-lenti Polaroid. Quando
ci vide rialzò le lenti scure e potemmo vedere che aveva occhi
azzurrissimi, che formavano un piacevole contrasto con
le guance rubizze e i capelli candidi. Rispose al nostro saluto
e si avvicinò al nostro tavolinetto. Parlava in tedesco
ma riusciva ad esprimersi correttamente anche in italiano,
Sarcofago degli Sposi, VI secolo a. C., Museo di Villa Giulia, Roma
56
IL SORRISO DEGLI ETRUSCHI
Il paesaggio delle Crete Senesi
e molto meglio di quanto avremmo potuto fare noi nella sua
lingua. Ci disse di essere un professore di storia dell’arte di
Heidelberg, appassionato della Toscana e dei suoi itinerari
pedestri. Ogni anno tornava a vagare da solo per le Crete
Senesi, per rinfrancarsi nel rivedere le stesse cose, ma
stavolta si era imbattuto in un fatto insolito: un tranquillo
picnic con chiasso di fanciulli nelle adiacenze di una cappella
funeraria. Questo aveva subito suscitato in lui vivide
reminiscenze dei suoi studi e dei suoi scritti, e con tutta la
discrezione possibile volle sapere se noi fossimo Etruschi,
o loro discendenti. La cosa meritava un approfondimento:
così lo facemmo accomodare insieme a noi alla nostra tavola
improvvisata, su una delle panchette. La brezza era caduta
e l’aria era calda: il mezzo bicchiere di vino bianco – che
prontamente gli avevo offerto – sparì d’incanto, seguìto a
ruota da un altro. Poi, siccome “mangiare insegna bere”, ma
anche viceversa, sparì anche il resto dei caprini, del salamino
e del pane che non gli avevo lesinato. Ai cantucci era ormai
del tutto rinfrancato, nonché in eccellenti disposizioni
di spirito. Anche il suo italiano era migliorato nel frattempo,
e con ottima proprietà di linguaggio ci spiegò la sua meraviglia
di aver trovato qualcosa che non si sarebbe mai aspettato
di vedere. Secondo lui soltanto gli Etruschi avrebbero
potuto ricreare in quel luogo una così perfetta armonia fra i
diversi aspetti della vita e della morte. Lì per lì, un poco imbarazzato
per quello strano complimento, non seppi che rispondergli:
ma oggi lo saprei e come lo penso così lo scrivo
adesso: «Caro amico, che apprezzi e conosci gli Antichi, eri
nel vero. Quand’eri giovane, là nella tua Renania, i tuoi studi
formarono il tuo spirito e i tuoi pensieri, infondendoti amore
per la terra etrusca, al punto di spingerti anche da vecchio
a vagabondare per strade bianche cercando tracce e segnacoli
che ti parlassero della sua natura e della civiltà che l’ha
plasmata. Apristi per noi il tuo zaino pieno di poveri tesori
che ci mostrasti con orgoglio: un coccio di maiolica, una
conchiglia fossile, un dente di cinghiale… Ma nel tuo zaino
ancora mancava una cosa che quel giorno – quasi incredulo
– pensasti di aver trovato proprio in mezzo a noi: cioè il
sorriso degli Etruschi. Quel sorriso, che conoscevi dalle immagini
sulle loro urne, era ancora vivo quel giorno per te, e
attraverso di noi ancora parlava al tuo intelletto ed al tuo
cuore di ciò che essi ci hanno consegnato per l’eternità: l’amore
per la vita, col suo nascere, e morire, eppoi rinascere,
insieme alle stagioni della terra e dell’Uomo. Il loro sorriso
era il sorriso di chi conosce la Vita e accetta il suo mutare
e rinnovarsi nel continuo avvicendamento dei suoi cicli. Ed
ogni Etrusco o loro discendente, oggi come tremila anni fa,
è ben consapevole del proprio ruolo nel proprio tempo. Domani
sarò un fiore, per la gioia di un’ape. O una ghianda che
sogna di diventare quercia. O un cinghiale che sogna ghiande
saporite. Oppure un cacciatore che sogna cinghiali ben
nutriti di ghiande del querceto...». Ritorno col pensiero a
quel pomeriggio: mentre noi ci apprestavamo ad intraprendere
il lungo viaggio di ritorno e il nostro estemporaneo amico
riprendeva la sua strada in direzione opposta, rammento
che all’improvviso fui vividamente conscio che laggiù in fondo
al calanco, fra i lecci, i tartufi seguitavano a crescere nel
buio e nel silenzio nelle loro culle ipogee, a tutto indifferenti
nel loro lento granire, nulla sapendo né curando del mondo
soprastante la loro buccia di terra, né del vento che agitava
la cima dei cipressi ed i bianchi capelli del vecchio nell’ultimo
saluto che da lontano ci dedicava togliendosi il cappello
con largo gesto. Fra poco sarà sera, pensai, è tempo di lasciare
la natura atemporale di questi luoghi alla sua arcana
solitudine, e i cinghialotti nelle forre alle loro notturne scorribande
in cerca di gallòzzole di cerro...
IL SORRISO DEGLI ETRUSCHI
57
Surrealismo e Digital art
Mostra personale di Rusp@, pittore e pittore digitale
Museo Il Correggio - Palazzo
dei Principi Sala Putti
Dal 25 giugno al 9 luglio 2022
Opere ad olio e digitali stampate
su tela in pezzi unici certificati
Artista di lungo corso, Rusp@ è nato nel 1946 a Castelnovo
di Sotto (Reggio Emilia). Ha frequentato
negli anni Sessanta lo studio del pittore William
Lusuardi. La sua formazione artistica si è arricchita
frequentando alcune associazioni culturali
fiorentine, con le quali ha un rapporto continuativo
da oltre trent’anni. Il primo dipinto ad olio risale
al 1956; la prima mostra personale al 1987; il
primo quadro di pittura digitale al 1997. Nella sua
lunga carriera artistica ha realizzato oltre duemila
opere. Nel 2002 ha assunto il nome d’arte Rusp@ e
da quella data tutte le sue opere sono così firmate.
Nella pittura digitale Rusp@ è stato un precursore
dei tempi, a testimoniarlo sono: la medaglia
di bronzo vinta nel 1999 al Premio Firenze sezione
digitale e la mostra personale allestita nel Palazzo
Bentivoglio di Gualtieri nell’anno 2000 dal titolo
Pittura e computer art. Ha al suo attivo ottantuno
personali, più di trecentocinquanta partecipazioni
a mostre anche all’estero e numerosi premi. Critici,
cataloghi, pubblicazioni, siti internet, giornali,
televisioni hanno scritto e parlato di lui e della sua
arte. Nel 2009 la casa editrice Pegaso di Firenze
ha pubblicato la monografia Rusp@ artista al passo
coi tempi, con prefazione del giornalista Fabrizio
Borghini. Per ventiquattro anni consecutivi ha partecipato
al Premio Firenze, dove è stato premiato
ben diciotto volte con medaglie di bronzo, un fiorino
d’argento e numerose mostre in palazzi pubblici
e nello storico caffè Giubbe Rosse di Firenze. Quella
al Museo Il Correggio è l’ottantaduesima mostra
di Rusp@; esposte opere ad olio e opere digitali
stampate su tela in pezzi unici certificati.
Abitazione e studio:
Via Giusti 9, Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia)
+ 39 333 1259863
ruspapittore.myblog.it / gianni.ruspaggiari@alice.it
Firenze
mostre
Giuseppe Bezzuoli
Palazzo Pitti celebra un grande protagonista della pittura romantica a Firenze
di Barbara Santoro
Dal 29 marzo scorso e fino al 5 giugno, le sale della Palazzina
della Meridiana di Palazzo Pitti hanno ospitato
la mostra Giuseppe Bezzuoli (1784-1855) / Un
grande protagonista della pittura romantica. Curata da Vanessa
Gavioli, Elena Marconi ed Ettore Spalletti, l’esposizione racconta,
attraverso centotrenta opere – dipinti, sculture e disegni –
la carriera dell’artista fiorentino, confrontandone la produzione
con quella di altri importanti maestri del calibro di Francesco
Hayez e Massimo D’Azeglio, insieme ad una sezione dedicata
ai giovani artisti americani frequentatori dell’Accademia di
Belle Arti dove Bezzuoli insegnava, avendo come allievi futuri
eccellenti pittori quali Giovanni Fattori, Enrico Pollastrini, Antonio
Ciseri e Antonio Puccinelli. Personalmente, amo da sempre
Giuseppe Bezzuoli, a partire da quando, ancora bambina, vedevo
alcuni suoi lavori in casa di mia nonna, opere oggi di mia
proprietà. Merito di questa mostra è far conoscere al grande
pubblico la storia e l’attività di questo eccellente pittore del romanticismo
storico, con un allestimento grazie al quale il visitatore
viene trasportato in una scenografia perfetta dove sia le
opere di Bezzuoli che quelle di altri autori suoi contemporanei
rivivono tra le tappezzerie e gli arredi d’epoca come in una scenografia
teatrale. Giuseppe Bezzuoli nasce a Firenze il 28 no-
Giuseppe Bezzuoli, Autoritratto (1839)
vembre 1784 da Luigi Bazoli, decoratore prospettico e fiorista,
e da Anna Banchieri. Comincia a firmarsi Bezzoli o Bezzuoli nel
1822 circa, ritenendosi discendente di un’antica famiglia con
questo cognome e come tale è registrato nell’atto della morte
avvenuta nel 1855. Da giovane intraprende gli studi di Medicina
e frequenta parallelamente la scuola di nudo all’Accademia
di Belle Arti, alla quale si iscrive nel 1807 per studiare pittura
sotto la guida di Pietro Benvenuti. Con una tela raffigurante
Aiace che difende il corpo di Patroclo vince nel 1812 un premio
triennale che gli permette di dedicarsi a studi di paesaggio e di
costume e di studiare a Roma la pittura di Raffaello da lui tanto
amata. Tornato a Firenze, si allontana dal classicismo iniziale
per abbracciare il gusto romantico e decora alcuni palazzi: a
Pitti realizza Alessandro il macedone nello studio di Apelle, undici
scene su Giulio Cesare e Berenice abbandonata da Tito; a
Palazzo Pucci Francesca da Rimini con Paolo sorpresa da Cianciotto
e Gli Amori di Angelica e Medoro; lavora poi a Villa Baldini
a Sesto Fiorentino e a Palazzo Gerini. In occasione delle
celebrazioni galileiane dipinge al Museo di Storia e Fisica Naturale
un Galileo che studia la legge della caduta dei gravi. Nella
chiesa di San Remigio a Firenze si trova il suo dipinto di grandi
dimensioni L’arcivescovo di Reims dà il battesimo a Clodoveo.
Nel 1827 presenta con molto successo all’Esposizione di Parigi
una Venere che si abbiglia. La sua fama però è legata soprattutto
all’opera L’entrata di Carlo VIII a Firenze, commissionatagli
dal granduca Leopoldo II di Toscana e ora nella Galleria d’Arte
Moderna di Palazzo Pitti. Nel 1829 è assunto in Accademia come
assistente del Benvenuti, al quale subentra come docente
nel 1844. Nel 1837 dipinge La morte di Filippo Strozzi e quella
di Lorenzino dei Medici, e a Pistoia, a Casa De Rossi, l’affresco
Danza della prima giornata del Decamerone. Nel 1838, per
i principi Demidoff, affresca Il ritrovamento del corpo di Manfredi
dopo la battaglia di Benevento (oggi al Museo del Sannio)
e per una villa a Fiesole La samaritana al pozzo. Nel 1847 realizza
una vasta tela con Riccardo Cuor di Leone all’assedio di
Gerusalemme per la navata destra del duomo di Pisa. Ispirandosi
poi al nono canto dell’Inferno, crea una Tempesta e una
Morte di Zerbino tratta invece dall’Ariosto. Nel 1852 vede la luce
Giovanni dalle bande nere al passaggio dell’Adda con cui dimostra
di conoscere bene la storia e di farla rivivere sulla tela.
A questa produzione più ufficiale si affianca una serie infinita
di ritratti dei più autorevoli esponenti dell’alta società, uno
spaccato della nobiltà e della borghesia nazionale ed internazionale:
dame dalle complicate acconciature avvolte in vesti
fruscianti, uomini stretti nelle giacche piene di decorazioni, intellettuali
e statisti. Ben venga quindi questa prima grande mostra
monografica per ricostruire la vicenda di un importante
esponente della pittura romantica italiana e fiorentina troppo
spesso dimenticato.
GIUSEPPE BEZZUOLI
59
NICOLETTA
MACCHIONE
Ritratto, grafite, cm 15,5x19,5
Ritratto, olio su tela, cm 30x40
nicolettamacchione@yahoo.it
Il cinema
a casa
A cura di
Lorenzo Borghini
Snowpiercer
Il treno-mondo di Bong Joon-ho
di Lorenzo Borghini
Un treno lunghissimo si aggira per il globo percorrendo
centinaia di migliaia di chilometri all’infinito;
fuori, metri di neve e giaccio ricoprono la terra.
È l’avvento di una nuova era glaciale, i pochi superstiti sono
ingabbiati in questa trappola per topi; costretti a sopravvivere
girando intorno al mondo da diciassette anni. La plebe
è racchiusa nella coda del treno, tira avanti con poco, perché
all’interno del treno-mondo ci vuole equilibrio e i ricchi,
come sempre, devono prendere il piatto più buono, arraffare
a più non posso, con tanto di posti chic in testa al treno.
Il meccanismo si inceppa, il malcontento serpeggia dalla
coda, gli oppressi non ci stanno, sono
stufi di mangiare sbobba proteica tutti
i giorni, sono stufi di vedere i propri
figli strappati dalle loro braccia e il loro
leader, Curtis (Chris Evans), aspetta
il momento giusto per tentare la
rivolta, per cercare di sovvertire l’ordine
delle cose. Bong Joon-ho ci ha abituati
bene, è un regista sapiente, che
non sbaglia un colpo e anche qui riesce
a orchestrare bene la sua banda di
orchestrali, i pazzi che abitano il suo
mondo folle e malato, in un futuro non
troppo lontano dal nostro presente.
Bong come un esperto del naturalismo
prende l’uomo, il suo campione da
analizzare, da sezionare e ne sviscera
i difetti più evidenti, mette a nudo
la rabbia dei deboli, la voce di quella
parte del popolo che non ce la fa più
a ingoiare bocconi amari giorno dopo
giorno, umiliazione dopo umiliazione,
mentre i ricchi, voraci, li trattano come
animali, o meglio come scarpe, perché
le scarpe come la coda del treno sono
oggetti che stanno in basso, a contatto
con il suolo, strisciando in silenzio
a testa bassa. La macchina da presa
danza per i vagoni del treno, si muove
a colpi di accetta riprendendo scontri
cruenti, all’ultimo respiro, indispensabili
per la meta finale, seguendo i protagonisti
bagnati di sangue, sudore
e lacrime. Come sempre l’equazione
Bong Joon-ho/Song Kang-ho è vincente
in partenza, l’attore ormai osannato
in patria come il Leonardo DiCaprio
orientale interpreta l’elemento di di-
sturbo che sposta gli equilibri, imprevedibile nella sua follia,
grazie al suo estro riesce a calarsi alla perfezione nella
parte di un tossico esperto di sicurezza, una di quelle persone
che la società non accetta perché ritenute “diverse”,
ma che saprà regalarci risate alternate a momenti di riflessione.
Mirabolanti inseguimenti ci porteranno dritti all’epilogo,
in una parata di esseri umani in pieno caos, fra fuochi,
spari, urla e un equilibrio che ormai si è rotto, come il meccanismo
perfetto del treno-mondo, un meccanismo inceppato
dalla nascita che risparmia poco o niente. «Si salvi chi
può» sembra dire Bong, e la speranza è l’ultima a morire.
62
SNOWPIERCER
Ritratti
d’artista
Marco Campostrini
L’energia del colore, la forza del femminile
di Jacopo Chiostri
È
nel colore, e con il colore, che Marco Campostrini, artista
di Sesto Fiorentino, fino al 30 giugno protagonista
di una personale alla Galleria CI VÚ di Viareggio, esprime
la sua poetica. Colori forti, emozionali, accesi, quantunque
non impattanti in virtù dell’abbinamento calibrato con i soggetti
e con l’armonia cromatica complessiva, figlia, quest’ultima, di
un’evidente attenta ricerca e di lunga esperienza. I contorni decisi
e gli accostamenti della tinta contribuiscono nei suoi lavori
a trasmettere l’idea di una grande forza evocativa. «Sono prima
di tutto un colorista» dice della sua arte Campostrini. E in effetti,
a ben guardare, tutto nelle sue tele appare funzionale ad
esprimere la forza del colore ed è in questa che si rintracciano
le intenzioni dell’autore. Le forme a cui dà vita Campostrini, riempite
di tinta, diventano dei tramiti per sostenere il linguaggio
espressivo necessario per raccontare una “sua” verità. Campostrini
dipinge utilizzando tempera acrilica; la sua pittura è figurativa,
ma in un passato, neppure troppo lontano, aveva anche
sperimentato la strada dell’informale che ha poi abbandonato
probabilmente perché insufficiente per “autenticare” le simbologie
silenti sebbene marcate presenti in quasi tutti i suoi lavori
(si veda ad esempio Il poeta e la sua Musa, Marionette, Belle
Epoque). Due sono i soggetti prediletti: il cavallo e la donna.
«Entrambi, a mio parere, esprimono il massimo della grazia e
dell’eleganza» dichiara il pittore. I soggetti femminili sono caratterizzati
da posture ed espressioni del volto spesso sorprendenti
che denotano personalità decise; negli sguardi però è
rintracciabile un’evidente mestizia; occupano per intero la scena
sia visivamente che come impatto iconico. Sono donne che
attraversano i giorni difficili che viviamo, senza rinunciare alla
propria eleganza ma indossandola con manifesta compostezza.
Tanti sono i richiami visivi a pittori che conosciamo: Klimt
(come suggerisce Campostrini stesso) ma anche Egon Schiele
e Enrst Kirchen. Dei grandi del passato, egli racconta la sua
predilezione per Van Gogh – e non poteva essere diversamente
considerata la passione per il colore e, come il grande pittore
olandese, per la ricerca di cromatismi inediti –, poi Cezanne, da
lui definito “il più grande”, e Matisse soprattutto per la grande
lezione coloristica. Pittura classica, quindi, pittura di qualità eccelsa,
pittura, nel suo caso, rivisitata nei termini di una modernità
e di una contemporaneità entrambe senza tempo. Pittore che
si definisce autodidatta, Marco Campostrini è nato però in una
famiglia dove il disegno era di casa, a partire da una zia disegnatrice
per una casa di moda fiorentina fino al nonno capace
acquarellista e al padre Piero che disegnava per la Richard Ginori.
Di sé racconta di aver sempre disegnato; la prima mostra,
della quale ricorda soprattutto le critiche favorevoli ricevute da
Gastone Breddo, risale al 1972 a Firenze alla Galleria Santa Croce.
A questa sono seguite altre esposizioni personali e collettive:
tra le prime alcune allo Spazio Berti, al Palagio di Parte
Guelfa, alla Soffitta, a Prato al Palazzo Pretorio e a Sesto Fiorentino
alla Ginori. Nel futuro prossimo di Campostrini c’è una
probabile grande esposizione di trenta opere – grafica, tecniche
miste, collage, inchiostri e acquerelli – accompagnate dalle poesie
di Alessandra Bruscagli.
MARCO CAMPOSTRINI
63
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Simona Tesi
Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale
Alba, tecnica mista, cm 60x80
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di LUCHINI LUDOVICO & NUTI SIMONE s.n.c.
Via del Colle, 92 - 50041 Calenzano (FI)
Tel. 055 8827411 - Fax 055 8839035
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di LUCHINI LUDOVICO & NUTI SIMONE s.n.c.
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Tel. 055 8827411 - Fax 055 8839035
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64 CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
Stefania Salti
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Stefania Salti
Nata a Barberino
del Mugello il 7
giugno del 1959,
Stefania Salti si è avvicinata
alla poesia da pochi
anni, dopo un passato da
pittrice. Adesso cerca di
dipingere pagine con le
parole, mettendo la sua
anima in ciò che scrive.
Luce
Luce.
Quando il sole fa l'amore
con le acque calme dell'immenso mare.
Luce,
quando specchiandosi in esso,
vanitoso,
espande i suoi raggi,
abbracciandolo.
Niente come questo incanto,
scalda così la tua anima,
che libera fa un tutt'uno con la sua vastità.
E ti senti piccolo,
difronte al suo astro
ma protetto dal calore dei suoi baci.
Luce che si affievolisce.
Lentamente, stanca del suo brillar diurno,
con un battito d’ali,
si arrende al mare,
danzando sopra le onde.
È un’esplosione di colori dai toni caldi,
appassionati.
Sempre più vicina,
fino ad immergersi completamente e scomparire
in esso,
arrendendosi al mare,
il grembo materno consolatore dell'universo.
L’amore
L’amore...
Interminabili attimi
passati dentro gli occhi.
Fino all’abisso del cuore.
Dentro,
immerso in quel fiume di emozione,
che ti toglie il respiro.
In quell’esatto istante capisci,
che tu, prima,
non avevi mai vissuto.
L’amore non teme fame,
si nutre di se stesso.
Anima e viscere,
è un cannibale che divora i corpi,
consapevoli di tanta fame,
non sarai mai sazio della bocca
e del corpo del tuo amato.
mai smetterai di assaggiarne le carni.
Mai smetterai di accarezzarne
le setose pelli arricciate dai brividi.
Mai sentirai freddo,
l’amore ti scalda e ti brucia da dentro,
come mille tizzoni ardenti.
L’amore è etereo,
vive di sguardi e sospiri,
di mani intrecciate, incollate l’una all’altra,
di abbracci senza fine,
anche se lontane,
rimarranno abbracciate.
L’amore è acqua pura e cristallina,
che ti lava il viso,
purificandolo dai cattivi pensieri.
Dona, non priva.
È luce, non ombra.
Sono sorrisi, mai lacrime.
Vivrai nella sua immensa eternità.
Luce.
Puoi riposare.
Domani,
tornerai a splendere ancor più luminosa.
Adesso è momento di sogni e sospiri.
Dove la luna con luce molto soffusa,
insieme a infinite stelle,
veglierà sorniona.
CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO
65
Paolo Lacrimini
Ciotola di Hygieia
Dipinto a olio e acrilico
su tavoletta lignea, cm 30x40
paololacrimini@alice.it
I libri del
mese
Aldo Lisetti
Carabiniere e scrittore, ha ricostruito, insieme a sua moglie
Lidia Scuderi, la vita dell'artista di fine Seicento Sebastiano Conca
di Fabrizio Borghini
Legge la nostra rivista, segue il percorso artistico di alcuni
pittori e scultori delle nostre mostre e rassegne,
ha presentato in anni recenti i suoi libri a Firenze, Arezzo,
Montevarchi e Pistoia, ama la Toscana, che dette i natali a
suo nonno, ed è stato in servizio per alcuni anni nel Valdarno,
che continua a frequentare. Si tratta di Aldo Lisetti, un carabiniere,
oggi generale di corpo d’armata nel ruolo d’onore, autore,
insieme alla moglie Lidia Scuderi, del libro La Madre del
Signore nei dipinti di Sebastiano Conca di Gaeta a Linguaglossa
e Mazara del Vallo (Editore D’Arco, Formia, 2022). Nel libro,
che nell’incipit riporta una frase dell’indimenticabile sindaco
di Firenze Giorgio La Pira, non mancano riferimenti sui quadri
del grande maestro rinascimentale soprannominato il “Cavaliere
di Gaeta”, presenti nelle chiese e nei musei di Firenze
e di Siena. Nel XVIII secolo, Conca fu l’autore delle grandi tele
e pale di altare di stile tardo Barocco e Rococò che ornarono
le più importanti chiese e i palazzi dei regnanti non solo d’Italia
e d’Europa. È un autore, quindi, entrato di buon diritto nella
storia dell’arte, ammirato per le sue opere nel mondo intero.
Nato nel 1680, visse e operò tra Napoli, allora capitale del Regno
delle Due Sicilie, e Roma capitale dello Stato Pontificio, ma
non abbandonò mai Gaeta, dove morì nel 1764. Il libro ha una
presentazione di pregio a firma del vescovo di Acireale (Catania),
monsignor Antonino Raspanti, vicepresidente per l’Italia
meridionale della Conferenza Episcopale e membro del Pontificio
Collegio della Cultura; autore della prefazione è il dotto
arciprete don Orazio Barbarino, già direttore dell’Istituto Diocesano
di Scienze Religiose e professore di Patrologia. I coniugi
Lisetti hanno focalizzato la loro ricerca sulle opere del maestro
esposte nelle chiese siciliane e in particolare sulla Madonna
del Rosario con i Santi Domenico e Caterina, quest’ultima
venerata nella Sicilia orientale, e sulla Madonna del Paradiso
esposta nella cattedrale dell’estrema punta occidentale dell’isola.
Con interessanti particolari, hanno tratteggiato la vita e le
opere esistenti a Gaeta, facendo una scoperta che ha sorpreso
per primi loro stessi. I biografi di Sebastiano Conca, infatti, non
hanno mai fatto cenno alla sua posizione di stato civile e, quindi,
è stato sempre considerato uno scapolo che lasciò i suoi
patrimoni ai pronipoti (nipoti di un fratello) e al medico che lo
curò sino alla fine dei suoi giorni. A distanza di circa tre secoli,
emerge la sorpresa, ben documentata nel libro appena pubblicato.
Come accadde nel 1980, quando il ricercatore gaetano,
Antonio Cervone, rintracciò tra vecchi e consunti registri l’atto
di morte originale di Sebastiano Conca per suffragare la sua fine
a Gaeta e non a Napoli come molte fonti affermavano, così
oggi si apprende che il pittore era sposato con Mariangiola e
aveva avuto da lei una bambina. Anche in questo caso la notizia
è documentata da un atto di morte nel registro della chiesa
di San Benedetto in Piscinula a Trastevere nel cuore di Roma,
dove abitò Sebastiano Conca. In esso si attesta che la bambina
volò al cielo quando aveva “circa” un anno di vita e fu sepolta
in detta chiesa. Gli autori ne danno contezza in uno degli
otto capitoli del libro che fornisce altre notizie particolareggiate
sulla vita e le opere del “Cavaliere dello Speron d’Oro”, come
l’artista veniva chiamato a seguito dell’alta onorificenza conferitagli
dal Sommo Pontefice. Il valore del lavoro di ricerca dei
coniugi Lisetti è esaltato dal fine umanitario: hanno destinato il
ricavato delle vendite della pubblicazione a fin di bene, tramite
la parrocchia di Linguaglossa, città metropolitana di Catania,
della quale è originaria Lidia Scuderi, egregia insegnante, oggi
residente a Gaeta con la famiglia.
aldolisetti@libero.it
ALDO LISETTI
67
Polvere di
stelle
A cura di
Giuseppe Fricelli
Bruno Rigacci
Uno tra i musicisti italiani più preparati
di Giuseppe Fricelli
Un musicista che ho amato ed ammirato
con profonda stima è stato Bruno Rigacci.
Il meraviglioso e poliedrico artista era
diplomato in pianoforte (allievo di Alfredo Casella),
composizione (allievo di Vito Frazzi), direzione
d’orchestra (discepolo di Antonio Guarnieri) e
canto. È stato uno dei musicisti italiani fra i più
preparati. Mi ha sempre affascinato in lui la naturalezza
con cui affrontava qualsiasi partitura e
brano musicale. Leggeva la musica a prima vista
in modo impressionante. Ho conosciuto pochi artisti
con una vocazione e fede artistica così vera
e profonda. Gli sono stato amico con vera devozione
e questo mi riempie di gioia ed orgoglio. Mi
ha dedicato vari brani pianistici che ho sempre
eseguito con piacere, componeva della splendida
musica. Eravamo uniti da un immenso amore
per l’opera pucciniana di cui Rigacci era un conoscitore
unico.
Bruno Rigacci
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
68
BRUNO RIGACCI
La voce
dei poeti
Susy Gillo
Nel “cammino della goccia” la ricerca del senso dell’esistere
di Erika Bresci
L’insignificanza di una goccia colta nella fragilità
nuda della sua frazione di grammo è solo apparente.
Quel suo cammino, la fatica carsica che conosce
la pazienza dell’attesa, l’insinuarsi tra le pieghe del
silenzio, la solitudine dello spazio, la consistenza greve
del buio, non è sterile andare. Scendere in profondità, darsi
alla terra per subire la metamorfosi della roccia, plasmarla
di sé, vivificarla. Caspar David Friedrich, pittore
del paesaggio simbolico, di atmosfere rarefatte e umbratili,
vestite di pallori e di parvenze, che tanto mi sembrano
dialogare con gli infiniti mondi e le meteore, gli universi
spazi e le nebulose presenti nella raccolta di Susy Gillo,
suggeriva: «Chiudi il tuo occhio fisico, al fine di vedere il
tuo quadro con l’occhio dello spirito. Poi porta alla luce
ciò che hai visto nell’oscurità, affinché la tua visione agisca
su altri esseri dall’esterno verso l’interno». Le poesie
di Susy Gillo, distese in versi brevi, liberi dai vincoli di una
punteggiatura che non avrebbe alcun senso nell’apertura
di un tempo che si fa mitico, circolare, costantemente
teso tra presente e passato – età, questa, di infinita nostalgia,
caro rifugio, dimensione autentica: “nel bozzolo
ritrovo il sapore / delle ali della farfalla” –, distillano visioni
di un mondo nel quale l’uomo trova difficile trovare
un proprio posto; in “strade solitarie / attonite / sole in
un neo umanesimo / l’uomo rigettato / nell’ibrido spazio
/ di se stesso” si muove alla ricerca del senso dell’esistere.
Di quella vita che specifica di sé, quasi ossessivamente
nell’intera raccolta, aspetti di un disagio profondo nel
quale l’uomo contemporaneo pare destinato ad annegare.
E così, a precedere il “di vita” si trovano – ritmati anch’essi
con cadenza che scava e si insinua nei precordi – giungla,
pezzi, giogo, cenere, parvenza, accenni, giostra, miseria,
pallore, follie, cerchio, solitudine, dolore, nube tossica,
polvere, sorpasso, assillo, lutto, creando quelle “atmosfere
distopiche” cui fa cenno la senatrice Cinzia Leone nella
felice prefazione al libro, cui si premura di aggiungere
subito dopo “in cui però c’è la possibilità di redenzione”.
“Noi ci salveremo”, ripete a se stessa e a noi lettori la poetessa,
lo sussurra nell’anafora di un anelito, quello stesso
che le fa sperare “di trovare un mondo / che mi accolga”,
che la fa restare vigile “all’ombra del mondo … in cerca /
di Luce”. Poesia potente, questa del “cammino della goccia”,
che richiama ere mitologiche di scontri titanici tra
mondi parcellizzati in meteore, versi nei quali la brutalità,
l’arido vero non si cela all’occhio, dove il dolore è dolore,
la morte rende attoniti, il niente dell’uomo è evidente.
Ma se l’uomo, riconosciuto polvere il potere che credeva
avere tra le mani, svanita in un soffio la triste tracotanza
insieme alla furia cieca del (corona)virus che ha scoperto
al vivo i nervi della nullità dell’essere atomo – atomo
persino la nostra amata Terra, se confrontata alla sovrumanità
dell’infinito universo –, può ancora riconoscere e
confortare il proprio spirito con “il roseo respiro dell’Universo”
che “bacia la nuda terra”, se l’uomo affacciato alla
finestra della vita non esclude se stesso dall’altro, pur rimanendo
in disparte, lo può fare anche e proprio grazie al
cammino lento, doloroso, a tratti buio, insensato all’apparenza
nella grotta dell’Io, per riemergere poi al cielo e non
scoprirsi solo. Perché “La poesia / tiene per mano / guida
/ nel deserto dell’attesa”.
SUSY GILLO
69
JULES VISSERS
KINGA LAPOT DZIERWA
MICHAL ASHKENASI
ALMA SHEIK
A cura di
Franco Tozzi
Toscana
a tavola
La cecina
Il piatto principe dello “street food” in Toscana
di Franco Tozzi
Questa farinata di ceci è diventata la signora del cibo
di strada tipico delle nostre coste. Ne parliamo
questo mese perché presto torneremo al mare mangiando
uno spicchio di cecina sulla spiaggia, passeggiando
in pineta o “strusciando” lungo le passeggiate di
tante località di mare. Anche in questo caso le origini e la
patria sono oggetto di dispute letterario-gastronomiche per
cercare di dare illustri natali a piatti poverissimi. Si passa dal
poeta greco Alcmane del terzo secolo a. C., che racconta di
questa farinata di ceci ed altri legumi per scaldare le notti invernali,
alla battaglia della Meloria del 1248 vinta dai genovesi
sui pisani, per arrivare all’invenzione del forno a volta, che
consentirà di ottenere e mantenere inalterata la forma ed il
sapore della “torta di ceci” fino ad oggi. La cecina toscana è
sicuramente di origine genovese, repubblica marinara che ha
dominato il Mediterraneo per secoli, con marinai sparsi per
tutti porti che mangiavano la farinata a colazione. Ovviamente,
il mare è da sempre un mezzo di condivisione importante
e quindi troviamo piatti simili in Grecia, Siria, Egitto e Spagna
meridionale. Andando nel particolare di questo piatto,
tre caratteristiche sono importanti: la cottura che deve essere
fatta al forno, la teglia che deve avere il bordo basso (anticamente
si usavano i testi) e lo spessore non deve superare
il centimetro.
La ricetta: cecina
Ingredienti:
- 500 gr. di farina di ceci
- 8 cucchiai da minestra di olio extra vergine di oliva
- sale e acqua q. b.
La sera prima mettere a mollo la farina in una ciotola
nella quale sarà stato sciolto un cucchiaio abbondante
di sale fino. Al mattino, accendere subito il forno, che
dovrà essere caldissimo, togliere dalla ciotola l’acqua in
eccesso e l’eventuale schiuma, aggiungere l’olio e mescolare
bene il tutto. Nella teglia, già unta sempre con
olio, versare il composto che non dovrà superare il centimetro
di altezza; infornare per una decina di minuti o
comunque quando comincia a fare una crosticina superficiale;
sfornare lasciando la cecina nella teglia. Il completamento
dell’opera è una giusta spolverata di pepe
nero. Il risultato finale, difficilmente raggiungibile a casa,
è una crosticina sotto e sopra e un interno cremoso.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
LA CECINA
71
Mauro Mari Maris
Tracciati dell’anima
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
A cura di
Stefano Marucci
Riflessioni
sulla fede
La storia di Agar, donna e madre salvata da Dio
di Stefano Marucci
Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, Agar
L’opera di Maria Lorenza Pinzauti Zalaffi dedicata alla
storia di Agar, ci permette di parlare di questa figura
biblica descritta nella Genesi. Nel libro si legge
che Sara, non riuscendo a dare un figlio al marito Abramo, gli
offre la propria schiava, una straniera di nome Agar, con l’obiettivo
di adottarne il figlio al momento del parto. Da questa
unione nascerà Ismaele. Quando si accorge di essere
incinta, Agar perde ogni rispetto per la sua padrona, che finisce
col maltrattarla. In seguito, anche Sara riesce a generare
un figlio, Isacco, ma quando lo vede scherzare col fratellino
Ismaele, scoppia in lei una profonda rabbia, al punto che
Abramo è costretto ad allontanare Agar che, insieme al figlio,
erra sconsolata nel deserto di Bersabea. Il racconto mette
in luce due temi principali, il primo dei quali relativo a Sara,
che non ha creduto alla promessa di Dio di darle un figlio
e ha cercato di arrangiarsi con mezzi umani per procurarsene
uno adottivo. Allo stesso tempo, Agar non accetta di essere
considerata solo una madre per conto di altri e Ismaele
non accetta di non essere considerato il vero primogenito di
Abramo. Deve intervenire l’angelo del Signore per allontanare
Agar e simultaneamente assicurare la sorte di Ismaele e
dei suoi discendenti. Questa storia ci fa vedere l’attenzione
di Dio per gli individui che la mentalità corrente considera inferiori.
Agar è donna, schiava e straniera; Sara e Abramo ne
parlano solo come “la schiava”, senza nemmeno riconoscerle
la dignità di chiamarla per nome. Per Sara, Agar è solo lo
strumento di una maternità surrogata, come previsto dalle
consuetudini semitiche codificate nel Codice di Hammurabi.
Dio, invece, vede l’afflizione di Agar senza che lei abbia bisogno
di esprimerla. Agar, inoltre, è la prima donna in tutta la
Bibbia alla quale compare l’angelo del Signore per annunciarle
la maternità e il destino del figlio, di cui stabilisce anche il
nome (Ismaele significa proprio “Dio ascolta”). Maria Lorena
Pinzauti Zalaffi mettere in risalto gli aspetti di questa storia
tramite l’abile uso dei colori che indicano a Sara la via da percorrere,
ma anche lo stato d’animo legato a tutta la vicenda,
alle sofferenze generate da situazioni ambigue e alla necessità
di sopportarle. L’opera si riferisce in particolare al passaggio
della Genesi in cui si legge: «Abramo si alzò di buon
mattino, prese il pane e un otre di acqua e li diede ad Agar, caricandoli
sulle sue spalle; le consegnò il fanciullo e la mandò
via. Essa se ne andò e si smarrì per il deserto di Bersabea».
Da questo momento, il destino della discendenza di Abramo
si compie proprio tramite Ismaele che, con i suoi dodici figli,
darà vita alle dodici tribù di Israele, realizzando così la profezia
secondo cui Abramo sarebbe diventato “padre di una moltitudine
di nazioni”.
LA STORIA DI AGAR
73
A tavola
con...
A cura di
Elena Maria Petrini
Alessandro Cecchi Paone
Un viaggio attraverso l’amore per la scienza e i futuri scenari del “mangiar
bene” nell’intervista al noto giornalista e divulgatore scientifico
di Elena Maria Petrini / foto courtesy Alessandro Cecchi Paone
Nostro ospite questo mese è il professor Alessandro
Cecchi Paone, giornalista, conduttore televisivo, divulgatore
scientifico, saggista e accademico. Noto
al grande pubblico per la conduzione di programmi televisivi
di successo come Il bello della diretta, Time House - Il tempo
della scienza e La macchina del tempo, è autore di numerosi
libri di divulgazione scientifica, tra cui Scienza e pace e Una
vita per la scienza, scritti con il professor Umberto Veronesi,
ma anche Le frontiere dello spazio, Un saggio mi ha detto
e I graffiti e Internet: l’avventura della comunicazione, solo
per citarne alcuni. Attualmente è docente di Teoria e tecnica
del documentario turistico all’Università di Milano-Bicocca e
di Scrittura per la produzione documentaristica all’Università
Benincasa di Napoli. Insegna, inoltre, Documentazione scientifica
all’Università dell’Insubria di Como e presso la Facoltà
di Scienze della Comunicazione all’Università di Cassino e
del Lazio meridionale. Molto impegnato per il riconoscimento
delle unioni civili e del diritto all’eutanasia, è anche un fervente
ambientalista.
Com’è nata la sua passione per la comunicazione e la divulgazione
scientifica?
Lo debbo a mia nonna paterna Jole, una delle primissime
donne in Italia laureate in Biologia, Chimica e Fisica; faceva
parte, come dottoranda, del gruppo che lavorava con Enrico
Fermi a via Panisperna quando spezzarono l’atomo. Questa
nonna fu importantissima per i suoi racconti e per l’atmosfera
che c’era in famiglia e per i libri che giravano per casa:
da lei è arrivata la spinta e l’amore per le scienze nuove,
le scienze dell’avvenire e del futuro. Quindi da lì è nato tutto
perché lei faceva scienza e mi ha lasciato in casa il profumo
della voglia di parlare di scienza. Infatti poi mi sono
dedicato allo studio della scienza intesa come filosofia, epistemologia
e divulgazione scientifica.
Ci sono delle tematiche scientifiche che la coinvolgono
particolarmente?
Sono stato educato all’amore verso il futuro ed il progresso e
ad avere fiducia nel fatto che gli esseri umani possano cambiare
in meglio il proprio destino e quello degli altri. Anche
questo vuol dire amore per la scienza, la cultura, la razionalità
e l’innovazione, tutte cose che nel corso della mia vita e
della mia attività ho sempre coltivato: sono quarantasei anni
di televisione, di radio, di giornalismo, di attività editoriali
e di insegnamento universitario, sempre improntati a questo
tipo di contenuti.
Alessandro Cecchi Paone
A suo parere come si è evoluta la psicologia alimentare e come
è cambiata nei secoli la percezione antropologica del cibo?
Secondo me il vero cambiamento è dovuto al passaggio dalla
fame al benessere: nel nostro paese, durante la seconda guerra
mondiale, si mangiava male con gravissime carenze estese
a larghe fasce della popolazione, per cui eravamo più brutti, più
bassi e meno sani, dato lo scarso apporto di proteine animali.
Questo provocava problemi ad esempio per quanto riguarda
l’altezza, l’ossatura e le dimensioni degli italiani; inoltre vi era
mancanza di igiene e problemi per la conservazione dei cibi, e
sovente vi erano epidemie di tifo, epatite, colera e un alto tasso
di mortalità infantile. Dopo la fine del secondo conflitto mondiale,
con il coinvolgimento dell’Italia nel mondo occidentale e
americano, abbiamo iniziato ad avere una ricchissima dieta in
termini di proteine, che nel giro di poche generazioni ci ha alzati
di 10 cm. I nostri figli e nipoti sono alti, belli, forti e sani come
mai si erano visti nella storia italiana, e non esiste praticamente
più la mortalità infantile; abbiamo ottenuto in cinquant’anni,
grazie allo stile di vita nord europeo ed americano, dei risultati
che prima non avevamo, e in un solo secolo, grazie anche
al maggior livello di igiene, abbiamo raddoppiato la nostra
aspettativa di vita. Siamo stati fortunati anche per aver saputo
sopperire alle carenze precedenti con le nostre tradizioni della
dieta mediterranea che, integrata con una maggiore quantità
di proteine animali, ci ha portati a diventare i testimoni del
miglior regime alimentare secondo l’Unesco.
Come saranno i cibi del futuro?
Bisogna vedere chi vince, ossia se riusciremo a mantenere
questa mediazione tra tutto quello che serve in termini di ci-
74
ALESSANDRO CECCHI PAONE
bo terapeutico, intendo il cibo come prevenzione delle malattie,
mantenendo la nostra attenzione alla cura per il gusto
e la specificità territoriale, allora vinceremo e avremo il cibo
più buono di tutta la storia dell’umanità. Avremo un cibo
che cura e protegge, un cibo che ci allunga la vita, però
mantenendo, contrariamente ad altri paesi che guardano solo
questo aspetto, anche un cibo buono: gli stranieri vengono
in Italia perché sentono dei sapori che loro hanno completamente
perso.
Il suo rapporto con il cibo? Le piace cucinare?
Non sono capace di cucinare, però mi piace molto mangiare.
I miei maestri, in particolare il professor Veronesi con il
quale ho collaborato, mi hanno insegnato a godere del cibo e
del gusto, prestando però attenzione alle sostanze ossidanti
e nocive e privilegiando frutta e verdura con un colore oscillante
tra il giallo, l’arancione e il rosso, perché più ricchi di licopeni
ed altri antiossidanti naturali. Sono tutte cose che ho
imparato lavorando con il professore, che mi ha fatto scoprire
l’importanza di mangiare bene e in buona compagnia, per
sottolineare un momento sociale ma anche per godere di un
po’ di relax dopo una giornata di lavoro.
Ha un cibo che le rievoca un ricordo legato agli affetti oppure
ad un momento di condivisione?
Il cibo si collega sempre a grandi momenti emotivi: ho due ricordi
fondamentali, uno che potrebbe far storcere la bocca a
qualcuno ed un altro proprio fiorentino. Il mio primo grande
amore era una ragazza di origini persiane conosciuta a Milano,
che mi fece assaggiare per la prima volta in vita mia il sushi.
Parliamo della metà degli anni Ottanta, quando il sushi non era
ancora alla moda come adesso e non era assolutamente conosciuto.
Avevo 25 anni e mi affacciavo alla vita: una grande
novità, Milano, il primo amore, la prima convivenza con questa
ragazza di nome Sherazade, come la protagonista de Le
Mille e una notte, le prime trasmissioni di successo e la scoperta
di un cibo nuovo. Tutto questo mi lega al sushi in maniera
particolare. L’altro ricordo è legato alla fiorentina, intesa non
come squadra ma come carne, perché fu il primo momento in
cui mi trovai a trasferire la mia esperienza e le mie conoscenze
a mio nipote che, molto giovane, fece il suo primo viaggio
da solo in treno per raggiungermi a Firenze, d’accordo con mio
fratello Leonardo e la moglie. All’epoca dovevo fare un’intervista
a Prandelli, CT della Nazionale, così decisi di fare un regalo
a mio nipote Giulio, grande appassionato di calcio, portandolo
a conoscere Prandelli a Coverciano che per lui era il tempio
del calcio. Io venivo da Milano in treno, mio nipote da Roma,
anche lui in treno. Ci siamo incontrati a Santa Maria Novella e,
prima di andare a Coverciano, portai Giulio a fare il vero pranzo
toscano in una delle famose “buche” storiche dove gli feci assaggiare
la prima bistecca alla fiorentina della sua vita. Fu per
me, ma penso anche per lui, un momento fondante, di passaggio,
nel quale per la prima volta mi sono visto nel ruolo di zio
che trasferisce al nipote prediletto una messe di conoscenze,
rapporti, passioni, ma anche la storia del cibo giusto per chi si
chiama Cecchi che è un cognome toscano.
Ha qualche ricordo relativo al Negroni, il cocktail nato a Firenze?
Il Negroni mi lega al ricordo del mio più stretto collaboratore
agli inizi della mia carriera. Parliamo degli anni Novanta
quando in un programma di Canale 5 che si chiamava Cara
TV, sulla storia e sui significati della televisione, conobbi un
giovane e bravo autore televisivo, Gigi Renai, storico curatore
di Forum, con il quale ci trovammo talmente bene sul piano
professionale ed umano, che divenne il mio braccio destro
per ben vent’anni oltre che il mio più caro amico. Alla fine di
ogni registrazione televisiva, Gianni mi aveva abituato a bere
un Negroni insieme… e a volte anche due!
ALESSANDRO CECCHI PAONE
75
B&B Hotels
Italia
B&B Hotels di nuovo a Roma con l’inaugurazione
di una struttura “green” nel Parco Leonardo
di Chiara Mariani
B&B Hotels, catena internazionale con più di 650 hotel
in Europa e nel mondo, inaugura il nuovo B&B Hotel
Roma Fiumicino Aeroporto Fiera 2, cinquantacinquesimo
hotel del gruppo in Italia e settimo sul territorio romano,
raddoppiando e portando a 228 il numero di camere a
Parco Leonardo. Location ideale per raggiungere comodamente
l’aeroporto o per viaggi di lavoro, il B&B Hotel Roma
Fiumicino Aeroporto Fiera 2 dispone di 114 camere in tipologia
doppia, matrimoniale e tripla, tutte dotate dei comfort
necessari per godersi un momento di relax dopo gli impegni
lavorativi, un viaggio in aereo o un’intensa giornata alla scoperta
di Roma. Gli ambienti delle camere sono caratterizzati
da un’atmosfera sobria e dallo stile moderno e sono dotate
di wi-fi gratuito, bagno con doccia e asciugacapelli, climatizzazione
autoregolabile, Smart TV con canali satellitari e Sky,
frigobar e cassaforte elettronica. Il nuovo hotel rispetta totalmente
lo spirito ecologico, la libertà di viaggiare, la semplicità
e la modernità che da sempre rappresentano i valori
su cui si fonda il concept di B&B Hotels: un albergo con un
look personale ma discreto e senza fronzoli che lascia agli
ospiti, contemporanei e sempre più consapevoli, la libertà di
decidere in che modo vivere la destinazione nel pieno rispetto
dell’ambiente e della comunità in cui si inserisce in termini
di struttura dell’immobile, fornitori, prodotti utilizzati,
servizi offerti. «L’inaugurazione della settima struttura nella
capitale e la cinquantacinquesima in Italia è per noi un
traguardo molto importante che riconferma l’ambizioso piano
di espansione che vede dieci nuove aperture nel 2022 in
città primarie e secondarie» commenta Valerio Duchini, presidente
e amministratore delegato di B&B Hotels Italia. «Il
B&B Hotel Roma Fiumicino Aeroporto Fiera 2, struttura gemella
del B&B Hotel Roma Fiumicino, inaugurato nel 2018,
incarna perfettamente lo spirito ecologico del nostro gruppo,
garantendo un risparmio nei consumi di energia e risorse
grazie all’utilizzo di materiali basso emissivi e alla promozione
di comportamenti sostenibili in termini di rifiuti e mobilità.
Un hotel 100% green che ci permette di offrire ai nostri
ospiti una soluzione moderna e smart nel completo rispetto
dell’ambiente che ci circonda». Il nuovo hotel rientra nel
piano urbanistico e edilizio di Parco Leonardo, progetto di
Gruppo Leonardo Caltagirone, che comprende funzioni residenziali,
commerciali, direzionali e di intrattenimento sul-
In questa e nelle altre foto alcuni ambienti del B&B Hotel Roma Fiumicino Aeroporto Fiera 2
76
B&B HOTELS ROMA
la direttrice Roma-Fiumicino, condividendo con B&B Hotels
una filosofia di sviluppo fondata sull’attenzione alla sostenibilità
e alla minimizzazione dell’impatto sull’ambiente. Il
risultato della collaborazione tra B&B Hotels, Gruppo Leonardo
Caltagirone e tutti i partner impegnati nella realizzazione
dell’hotel si traduce in una struttura 100% green, che
ha conseguito la certificazione LEED di struttura sostenibile.
L’hotel è dotato di parcheggi preferenziali per veicoli elettrici
e colonnina di ricarica, in posizione privilegiata rispetto
all’ingresso, al fine di incentivare il più possibile il servizio e
spingere maggiormente all’utilizzo di carburanti “alternativi”
e a bassissimo impatto ambientale.
B&B HOTELS ROMA
77
Benessere e cura
della persona
A cura di
Antonio Pieri
Preparare la pelle per l’esposizione al sole
di Antonio Pieri
La bella stagione è ormai arrivata, questo significa che i
vestiti si fanno più leggeri, il sole inizia a scaldare nuovamente
la nostra pelle e finalmente, per gli amanti dell’abbronzatura,
possiamo tornare ad esporci al sole. Prima di farlo
però è bene preparare la pelle nel modo adeguato. Essendo stata
sempre coperta durante l’inverno la pelle non è più abituata ad
essere esposta direttamente alla luce solare, ecco perché è importante
darsi del tempo per prepararla in modo sano e graduale.
Esfolia
La prima cosa da fare per preparare la pelle all’esposizione solare
è quella di esfoliarla per eliminare le cellule morte in modo da
riuscire ad idratarla meglio successivamente. La spugna corpo
esfoliante Idea Toscana è il prodotto perfetto per eliminare le impurità
e aprire i pori occlusi causati dall’abbigliamento invernale,
grazie alla presenza di noccioli d’oliva micronizzati. Un regolare
utilizzo dona una pelle incredibilmente morbida e rigenerata.
Possiamo idratare la pelle dall’interno bevendo molta acqua,
infatti nei mesi estivi per regolare la temperatura corporea il
nostro corpo traspira liquidi sudando. È per questo che è necessario
assumere più liquidi, in particolare acqua, che vanno a reidratarci.
Una volta che la pelle è stata esfoliata e detersa con il
giusto bagnoschiuma o sapone solido, è il momento di idratarla
“dall’esterno” utilizzando la giusta crema idratante. La crema
corpo idratante Prima Spremitura di Idea Toscana, grazie alla
sua formulazione con olio extra vergine di oliva toscano IGP
biologico regala alla pelle nutrimento e benessere. Facilmente
applicabile e rapida da assorbire per la pelle, lascia sul corpo
un piacevole effetto vellutato idratando e nutrendo la pelle in
profondità. Ottima da utilizzare anche come doposole. L’ultimo
consiglio, ma non meno importante, è quello di non sottovalutare
l’impatto del primo sole di stagione e di esporsi al sole in
maniera graduale per evitare ustioni o danni peggiori alla pelle.
Detergi
L’idratazione della pelle parte dalla detersione utilizzando il giusto
bagnoschiuma o sapone solido. Il consiglio, come sempre,
è quello di utilizzare prodotti naturali o biologici privi di agenti
chimici come SLES, SLS o parabeni. Il bagnoschiuma idratante
Prima Spremitura di Idea Toscana è il prodotto ideale per idratare
la pelle già sotto la doccia. Infatti la sua formula naturale arricchita
con olio extravergine di oliva toscano IGP biologico è
studiata per rispettare l’equilibrio idrolipidico di tutti i tipi di pelle
idratandola e trasformando il rito della doccia in un momento
di completo benessere. Il sapone di Marsiglia solido Prima
Spremitura di Idea Toscana è ottimo per chi preferisce al sapone
liquido una soluzione solida che deterga e idrati allo stesso
tempo. Questo sapone, totalmente vegetale, nasce dalla saponificazione
di oli vegetali di primissima qualità e, grazie all’aggiunta
di olio extravergine di oliva toscano IGP biologico nella
fase di finitura del sapone, viene arricchito ulteriormente rendendolo
ancor più nutriente e idratante per la pelle.
Idrata dall’interno e dall’esterno
Ti aspettiamo nel nostro nel nostro punto vendita in Borgo
Ognissanti 2 a Firenze o sul sito www.ideatoscana.it per
idratare e nutrire la tua pelle in maniera naturale e biologica.
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
78 ESPOSIZIONE AL SOLE
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fragranze naturali per la casa
Prepara la tua pelle
in modo naturale all’esposizione solare
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