Create successful ePaper yourself
Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.
La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 1 - Gennaio 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
Emozioni visive
a cura di Marco Gabbuggiani
Ombre o luci?
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Quando iniziai a realizzare foto femminili mi chiesi come
rappresentare al meglio un corpo di donna e se fosse
più importante la luce o l’ombra per la riuscita dello
scatto. Ben presto arrivai alla convinzione che ciò che
disegna la morbidezza, i margini e la sensualità di una
foto sono sicuramente le ombre. La luce piena può evidenziare
un colore o un particolare ma per far risaltare
la sinuosità di un corpo femminile, la cosa più importante
sono quelle ombre che, oltre a definire morbidamente
le linee, lasciano all’immaginazione ciò che,
spostandosi verso il buio, si nasconde agli occhi ma
non alla mente dell’osservatore. Giocando con le ombre
puoi disegnare a piacimento le linee corporee, ed
anche corpi e lineamenti non esattamente perfetti assumono
quel fascino invincibile che attrae lo sguardo
e stupisce l’osservatore. Amo fotografare tutto ciò che
mi emoziona e anche i particolari apparentemente banali,
se visti sotto una certa luce o prospettiva, mi entusiasmano
e sono meritevoli di essere congelati in uno
scatto. Il corpo femminile rappresenta una fonte inesauribile
di questi particolari meravigliosamente ispiranti.
Per quanto possa apparire bello o brutto, credo
che il corpo di una donna sia come una bottiglia di
buon vino: ognuna è simile alle altre ma ciascuna contiene
un aroma, un’essenza, una particolarità che, se
percepiti ed assaporati, lasciano alla persona una varietà
infinita di differenti sensazioni.
marco.gabbuggiani@gmail.com
Da oltre trent'anni una realtà per l'auto in Toscana
www.faldimotors.it
GENNAIO 2022
I QUADRI del mese
7
8
11
12
14
15
16
17
18
20
21
23
24
25
26
27
28
29
30
32
33
34
37
38
40
42
44
47
48
50
51
52
54
55
57
58
59
61
62
63
64
65
67
69
70
71
73
74
76
78
Al Gran Caffè San Marco, la consegna del Premio Ponte Vecchio
Intervista a Massimo Sestini, geniale interprete della fotografia
Chema Madoz, il maestro spagnolo del paradosso fotografico
L’orgoglio della femminilità nella pittura di Ornella De Rosa
Il racconto a più voci su Firenze nel nuovo libro di Fabrizio Borghini
Il docufilm su Lawrence Ferlinghetti, tra i “grandi” della Beat Generation
Poesie all’insaputa: i versi intimisti di Maria Luisa Manzini
La magia del Natale nei racconti di Doretta Boretti
Mario Pratesi, il pittore dell’istinto primordiale
Dimensione salute: così il singhiozzo va via…
Psicologia oggi: il benessere nei piccoli piacere quotidiani
I consigli del nutrizionista: l’educazione alimentare nella disabilità
Claudio Spinelli, un medico con la passione per la pittura
Arte della cura: la creatività come strumento per conoscere sé stessi
Dal teatro al sipario: col nuovo anno tutti a scuola di recitazione
Paula Luz, una pittrice in cerca delle proprie radici
Curiosità storiche: San Sebastiano, patrono della Misericordia a Firenze
I libri del mese: il segreto della scrittura nell’Annunciazione di Leonardo
Archeologia: dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra
Arte antica e moderna al Museo Civico di Palazzo Guicciardini a Montopoli
Dall’estasi della gioia al tormento del male in due opere di Francisco Goya
Approfondimenti sull’arte: la tomba di Donatello nella cripta di San Lorenzo
Il salto oltre il visibile nella pittura di Gianni Panciroli
Gisela Kentmann: la bellezza dell’impermanenza nel batter d’ali di una farfalla
Il futuro del viaggio secondo il Movimento Life Beyond Tourism
Flod: piccola come una cellula, grande come l’universo
Ingegno e tecnologia: chattare con il David alla Galleria dell’Accademia
L’avvocato risponde: l’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni
Gualtiero Sbardelli, poeta e commediografo tra Roma e la Toscana
La voce dei poeti: le liriche di Isabella Cipriani
Caffè, il viaggio narrativo di Luca Mazzuoli
Le invenzioni letterarie di Edoardo Adacher, storico goliardo fiorentino
Il cinema a casa: 50 anni di Arancia meccanica, il capolavoro di Kubrick
Mostre in Italia: a Borgo Valsugana, il dialogo artistico di Passo a due
Un ricordo di Bruno Becattini, pittore della bellezza incontaminata
Il concerto davvero “speciale” del famoso pianista Arthur Rubinstein
Gloria Campriani, l’artista dei nodi che danno forma ai pensieri
Le liriche di Gabriella Gentilini, poetessa e storica dell’arte
Terra e Segni: Emilio Carvelli e Lucio Bussolini sulle tracce dell’uomo
Andar per mare: una nuova rubrica per scoprire i segreti della nautica
Ristorante Retrò, l’alta cucina nello storico Gran Caffè San Marco
L’amore come percorso introspettivo nel romanzo di Elena Marceddu
Toscana a tavola: zuppa inglese, un dolce dalle origini misteriose
Storia delle religioni: la cacciata degli angeli dal Paradiso
Franco Curvo, pittore digitale tra algoritmi e citazioni del passato
I segreti del tema natale: le caratteristiche dell’eroe “saturniano”
Eccellenze in Cina: l’importanza di avere una sede nel paese del dragone
Vacanze in Italia tra natura e arte con B&B Hotels
L’amore per la musica e per la buona cucina nell’intervista a Marco Masini
La personale di Luciano Faggi allo Spazio Espositivo San Marco
Paola Beretta, Donna con maschera floreale (2020),
olio su tela, cm 40x40
paul_etta@hotmail.com
Stefano Degl'Innocenti, Innamorati, acrilico su tela, cm 50x70
deglinnocentistefano58@gmail.com
In copertina:
Yan Laichao, Flusso di coscienza (2015),
tecnica mista, cm 60×80
Periodico di attualità, arte e cultura
La Nuova Toscana Edizioni
di Fabrizio Borghini
Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze
Tel. 333 3196324
lanuovatoscanaedizioni@gmail.com
lanuovatoscanaedizioni@pec.it
Registrazione Tribunale di Firenze
n. 6072 del 12-01-2018
Iscriz. Roc. n. 30907 del 30-01-2018
Partita Iva: 06720070488
Codice Fiscale: BRGFRZ47C29D612I
Anno 5 - Numero 1 - Gennaio 2022
Poste Italiane SpA
Spedizione in Abbonamento Postale D.L.
353/2003 (conv. in L 27/02/2004 n, 46)
art.1 comma 1 C1/FI/0074
Direttore responsabile:
Daniela Pronestì
direzionelatoscananuova@gmail.com
Capo redattore:
Maria Grazia Dainelli
redazionelatoscananuova@gmail.com
Grafica e impaginazione:
Viola Petri
Distribuzione:
Media Servizi srl
via Lombarda, 72 - Località Comeana
59015 - Carmignano (PO)
tel. 055 8716830
www.mediaservizi.net
Abbonamenti e Marketing:
abbonamenti.latoscananuova@gmail.com
Stampa:
Nova ArtiGrafiche srl
Via Cavalcanti 9/d - 50058 Signa (Fi)
tel. 055 8734952
Facebook e Instagram:
La Toscana nuova -
Periodico di attualità, arte
e cultura
www.latoscananuova.it
Testi:
Manuela Ambrosini
Luciano Artusi
Ricciardo Artusi
Francesco Bandini
Rosanna Bari
Ugo Barlozzetti
Doretta Boretti
Lorenzo Borghini
Erika Bresci
Andrea Cafaggi
Viktoria Charkina
Jacopo Chiostri
Filippo Cianfanelli
Silvia Ciani
Giovanni Cipriani
Isabella Cipriani
Alessandra Cirri
Nicola Crisci
Maria Grazia Dainelli
Gherardo Dardanelli
Roberto Della Lena
Corinna Desiati
Silvia Fallani
Aldo Fittante
Giuseppe Fricelli
Marco Gabbuggiani
Serena Gelli
Stefano Grifoni
Maria Concetta
Guaglianone
Michele Loffredo
Stefania Macrì
Chiara Mariani
Moravio Martini
Stefano Marucci
Emanuela Muriana
Elena Maria Petrini
Matteo Pierozzi
Daniela Pronestì
Lucia Raveggi
Barbara Santoro
Michele Taccetti
Franco Tozzi
Antonello Venticinque
Foto:
Rosanna Bari
Doretta Boretti
Luca Brunetti
Luisa Carcavale
Gino Carosella
Filippo Cianfanelli
Maria Grazia Dainelli
Marco Gabbuggiani
Simone Lapini (ADV
photo)
Chema Madoz
Carlo Midollini
Massimo Sestini
Silvano Silvia
4
Giuliacarla
Cecchi
La sfavillante magia
del “e vissero felici e contenti”.
Il nostro migliore augurio
per tutti voi.
Pola Cecchi
Si ringrazia la sposa,
Federica Carbone,
per la gentile concessione delle foto
Paolo Vignini
Stratificazioni visive
Risacca (2021), stampa su forex, cm 100x100
paolo.vignini@gmail.com
Eventi in
Toscana
Premio Ponte Vecchio
Al Gran Caffè San Marco la consegna del riconoscimento a
Dario Nardella e Gualserio Zamperini
di Gherardo Dardanelli / foto Maria Grazia Dainelli
Mercoledì 8 dicembre al Gran Caffè San Marco di
Firenze si è tenuta l’annuale festa dello scambio
degli auguri prenatalizi della ormai numerosa famiglia
de La Toscana Nuova composta da giornalisti, fotografi,
grafici, impaginatori, tipografi, spedizionieri, contabili e da
tante altre persone che a vario titolo fanno sì che ogni mese
la rivista possa arrivare agli abbonati e ai lettori affezionati.
Ognuno di loro ha ricevuto una pergamena che attesta
l’attaccamento manifestato nel corso del difficile 2021 alla
rivista. Ospiti della manifestazione, il sindaco di Firenze Dario
Nardella e il console di Tunisia a Firenze Gualserio Zamperini;
entrambi hanno ricevuto il prestigioso Premio Ponte
Vecchio consistente in un pregevole bassorilievo in bronzo,
realizzato dalla storica fonderia fiorentina Il Cesello, raffigurante
proprio uno dei simboli più riconoscibili della città a livello
planetario. In passato, l’onorificenza è stata attribuita,
dall’associazione Toscana Cultura, che lo ha fondato, a personaggi
del mondo della cultura come Dacia Maraini, dell’arte
(Timothy Verdon, Cristina Acidini, Antonio Natali), dello
spettacolo (Massimo Ghini, Gianna Giachetti, Narciso Parigi,
Rolando Panerai, Dolcenera), dello sport (Giancarlo Antognoni,
Gianni De Magistris), delle istituzioni (Eugenio Giani), della
Da sinistra, l’editore de La Toscana Nuova Fabrizio Borghini, la presidente di Toscana
Cultura Lucia Raveggi e il sindaco Dario Nardella durante la consegna del premio
moda (Ferragamo, Regina Schrecker, Pola Cecchi) e dell’imprenditoria.
Si sono alternati nella consegna dei premi, la presidente
di Toscana Cultura Lucia Raveggi e l’editore de La
Toscana Nuova Fabrizio Borghini.
La consegna del riconoscimento al console di Tunisia a Firenze Gualserio Zamperini
PREMIO PONTE VECCHIO
7
I grandi della
fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Massimo Sestini
Dall’omaggio a Dante ai ritratti in posa in una chiesa del Seicento: le tante
anime di un geniale interprete della fotografia contemporanea
di Maria Grazia Dainelli / foto Massimo Sestini
Come nasce il progetto Ricordi? Ritratti fotografici
stampati in corso, fino al 14 febbraio, nella chiesetta
di via Giovanni Piantanida 12 a Peretola?
Nasce dall’idea del mio caro amico e fotografo Settimio
Benedusi, il quale negli ultimi anni ha riscoperto l’importanza
di fotografare persone comuni, stampando l’immagine
in alta qualità e inserendola in una cornice. È tutto il
contrario di quanto accade oggi: ormai siamo abituati ad
archiviare le fotografie nei cloud o a pubblicarle sui social,
abbiamo perso l’abitudine di stamparle e ed esporle
nelle nostre case. Questo progetto vuole essere in controtendenza,
anche perché quelli proposti non sono ritratti
“photoshoppati”, ma privi di colore, e quindi in bianco
e nero, per non distrarre l’occhio dello spettatore ed avvicinarlo
all’identità del volto immortalato. Ho visto le
persone commuoversi mentre le fotografavo, e questa
emozione mi è arrivata forte, ha prodotto in me la stessa
scarica adrenalinica che provo tutte le volte che scatto
foto dall’alto di un elicottero o all’interno di un sottomarino.
Fotografare persone comuni e non personaggi famosi
mi ha permesso di provare nuove sensazioni, complice
anche il suggestivo set fotografico, una chiesa affrescata
del Seicento.
Hai iniziato per gioco fotografando concerti per poi diventare
un paparazzo…
A quindici anni ero istruttore di windsurf ed essendo anche
appassionato di fotografia, ho cercato di unire le due cose fotografando
personaggi famosi sulle spiagge più belle d’Italia.
Contemporaneamente al gossip, ho intrapreso anche la strada
del fotogiornalismo, una grande scuola che mi ha insegnato
a non mollare mai, anche in situazioni difficili.
La tua ricerca visiva è incentrata sulla visione prospettica
dall’alto, cosa c’è dietro questa scelta espressiva?
Ho iniziato a fotografare dall’alto per distinguermi da altri
colleghi che come documentavano fatti di cronaca. Ho
cercato di essere originale perché dovevo vendere le mie
immagini, e così è stato in effetti. Quando salgo sugli elicotteri
o sugli aeroplani mi munisco di teleobiettivi molto
potenti per catturare i particolari. Negli anni ho acquisito la
capacità di prefigurarmi come sarà lo scatto finale, superando
così le difficoltà dovute al vento, che a quell’altezza fa lacrimare
gli occhi, e alla velocità dell’elicottero. Ovviamente,
dietro ogni foto c’è un enorme lavoro di preparazione, un’alchimia
complicata da ottenere perché soggetta a diverse
Massimo Sestini durante l’intervista nella chiesa di Peretola (ph. Claudio Midollini)
variabili come le condizioni meteo, la bravura del pilota e altre
difficoltà non sempre prevedibili.
Un tuo celebre scatto ha vinto nel 2015 il World Press Photo:
puoi parlarcene?
Ci sono voluti sette anni di lavoro per arrivare a scattare
questa foto. Ero partito dall’idea di fotografare un gruppo
di migranti senza che fosse in posa, per questo mi sono imbarcato
per tredici giorni su una nave della Marina coinvolta
nell’operazione Mare Nostrum nel Mediterraneo. L’ultimo
giorno della mia permanenza, tentai di scattare con il mare
in tempesta: servirono due o tre virate per trovare lo zenit
sul barcone e, perdendo circa la metà dell’attenzione dei
migranti a bordo, non fu possibile realizzare la mia idea.
L’anno dopo mi sono imbarcato di nuovo su una nave della
Marina, con la quale abbiamo fatto numerosi salvataggi dal
basso perché l’elicottero a causa del mare in tempesta non
poteva decollare. Il quindicesimo giorno il mare era calmo
e fu possibile quindi levarsi in volo per effettuare un salvataggio.
Finalmente si presentò la giusta occasione per scattare
la foto che avevo pensato. In seguito nacque il progetto
Where are you? con il quale, lanciando un appello sui canali
social, mi proposi di rintracciare tutti i migranti che si trovavano
sul barcone quel giorno. Sono riuscito a rintracciarne
alcuni in Francia, Austria e Italia e li ho ritratti, sempre
dall’alto, nella loro nuova vita.
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
8
MASSIMO SESTINI
Una foto della mostra al Forte Belvedere a Firenze Piazza Santa Croce in uno degli scatti di Sestini per la mostra Dante 700
Durante i mesi più duri della pandemia hai raccontato
la vita del personale sanitario dell’Ospedale Santa Maria
Nuova a Firenze. Da queste foto è nata la mostra Indispensabili
infermieri. Che esperienza è stata?
È stata un’esperienza molto toccante perché, lavorando a
stretto contatto con medici e infermieri in quella situazione
drammatica, ho avuto modo di riflettere sul valore della
vita e sull’inutilità dei piccoli problemi quotidiani che
spesso ci sembrano insormontabili. La mostra è stata voluta
dalla Fondazione Santa Maria Nuova Onlus per documentare
il prezioso lavoro del personale infermieristico
proprio in occasione dei settecentotrentadue anni di vita
della struttura, tra le più antiche al mondo ancora in attività.
Sono immagini che parlano da sole, raccontano la vita
e la morte, la fatica fisica e il carico emotivo, la dedizione
e la professionalità dei medici e degli infermieri che in
questi lunghi mesi hanno avuto l’arduo compito di fronteggiare
l’emergenza.
Con la mostra Bellezza oltre il limite al Forte Belvedere a Firenze
hai raccontato la Toscana da un nuovo punto di vista…
Ho unito la passione per il volo all’amore per la Toscana, senza
dubbio una delle più belle regioni d’Italia. Ero stanco di
raccontare il Covid, volevo dare spazio alle bellezze del paesaggio
toscano. Ho ritrovato foto scattate in passato, cercando
di tirare fuori l’anima della nostra regione. Vista dall’alto,
la natura presenta geometrie inimmaginabili, come fossero
opera di un pittore.
Lo scorso ottobre si è conclusa al Palazzo del Quirinale a
Roma la mostra Dante 700 che hai dedicato al sommo poeta
nel settecentesimo anniversario della morte. Cosa ci dici
di questo progetto?
Ho voluto raccontare la presenza di Dante oggi nelle città
che hanno segnato la sua vita, Firenze, Ravenna e Verona,
sia attraverso scatti realizzati dall’alto che con visioni panoramiche.
Il progetto è stato realizzato con la collaborazione
del Comune di Firenze e con il sostegno del Ministero
della Cultura e del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione
internazionale. Per l’occasione, il sindaco Dario
Nardella ha voluto che fossero esposte in mostra le due
ante in tarsia lignea di Palazzo Vecchio datate 1480 e raffiguranti
Dante e Petrarca. Da Roma la mostra si è spostata
a Firenze e da qui ha proseguito per Parigi, Bruxelles, Berlino
e Madrid.
Siamo continuamente sommersi da milioni di immagini.
Quali caratteristiche devono avere per rimanere nella
memoria?
La fotografia che ci ricorderemo per sempre è quella che ci
tocca nel profondo. Per questo è importante che il fotografo
impari a comunicare emozioni e a trasferire a chi guarda
messaggi universali.
Secondo te, la fotografia è più una forma d’arte o un mezzo
di comunicazione?
È un modo di comunicare molto potente, diretto ed immediato.
Certo, può essere anche una forma d’arte, dipende
dal contenuto dell’immagine e da ciò che s’intende esprimere.
La mia foto del barcone, ad esempio, è diventata iconica
perché invita a riflettere sul problema globale dei migranti
senza mostrare aspetti drammatici o cruenti ma aprendo
lo sguardo alla speranza che queste persone possano salvarsi.
È così che uno scatto di cronaca diventa forma d’arte
perché racconta qualcosa che va al di là del contenuto immediato
dell’immagine.
I tuoi prossimi impegni?
Ho da poco pubblicato il calendario della Marina Militare
2022, sto realizzando un libro sull’Aviazione Navale e ho concluso
la pubblicazione per il cinquantennale della Polizia di
Stato fotografando gli elicotteri in volo dal nord al sud d’Italia
con effetti di luce mozzafiato dall’alba al tramonto. Ho inoltre
realizzato una mostra inaugurata dal capo della Polizia con
la pubblicazione del libro Le ali della Polizia. Un progetto al
quale sto ancora lavorando invece è quello sulle frecce tricolore
per il centenario dell’Aeronautica Militare: ho avuto l’idea
di fotografare le frecce tricolori in volo e per farlo ho dovuto
creare la prima sala di posa a 40.000 piedi di altezza, un’impresa
non facile.
MASSIMO SESTINI
9
Margaret Karapetian
L’eleganza del segno inciso
Incisione premiata con il Fiorino d’Oro nell’ambito del Premio Firenze 2017
www.margaretkarapetian.it
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Spunti di critica
fotografica
Chema Madoz
Il maestro del paradosso in fotografia
di Nicola Crisci / foto Chema Madoz
Nato a Madrid nel 1958, Jose Maria Rodriguez Madoz,
meglio conosciuto come Chema Madoz, è famoso
per i suoi scatti surreali ottenuti creando
contiguità formale e di significato tra oggetti d’uso quotidiano
che, sottratti alla funzione d’origine, conquistano un fascino
inaspettato. Si tratta di foto che strizzano l’occhio ai
ready-made di Marcel Duchamp e ai paesaggi onirici di René
Magritte. È un fotografo interessato alla possibilità di scoprire
nuovi significati a partire da cose ordinarie, creando
veri e propri paradossi visivi. «Gli oggetti – afferma – hanno
lo stesso carattere delle parole, si contaminano l’un l’altro
generando significati sempre nuovi». Libri, monete, piatti,
orologi, fiammiferi diventano forme nuove nella trasposizione
surreale dei suoi scatti. La scelta di lavorare soltanto in
bianco e nero conferisce a queste fotografie un’atmosfera
di delicata leggerezza. Mancano anche i titoli per lasciare al
pubblico la libertà di interpretare il soggetto immortalato. Il
suo libro più famoso s’intitola Oggetti con foto scattate tra il
1990 ed il 1999 nelle quali si coglie chiaramente la poetica
delle cose quotidiane che, decontestualizzate e proiettate in
una dimensione fuori dal tempo, si trasformano in presenze
oniriche e misteriose. Dichiara Madoz: «Non prendo in considerazione
la reazione che le mie foto provocheranno nello
spettatore. Cerco immagini che mi commuovano e mi tocchino,
che mi facciano sentire che sto facendo qualcosa di
diverso di cui non ero a conoscenza. Voglio essere in grado
di stare di fronte alle mie foto e sentire
di poter comunicare con loro». È
considerato in Spagna uno dei massimi
protagonisti della cultura nazionale,
con mostre importanti presso
le principali istituzioni. Nel novembre
2011, il principe Filippo (attuale
re di Spagna) e la principessa Letizia
hanno inaugurato una sua mostra
al Museo de Arte Contemporáneo a
Santiago del Chile.
CHEMA MADOZ
11
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Ornella De Rosa
L’orgoglio della femminilità
di Daniela Pronestì
Il valore della sensibilità femminile in pittura si rivela
soprattutto quando ad essere raffigurate in un’opera
sono le donne. In questo caso, infatti, emergono sfaccettature
del femminile che soltanto l’occhio di una donna
sa cogliere, trasferendole in immagini lontane da schematismi
e stereotipi. Anche la sensualità assume nuove
sfumature quando a raccontarla è una donna. Nei ritratti
femminili di Ornella De Rosa, la sensualità non è un atteggiamento
banalmente seduttivo ma è un modo di essere
e di stare al mondo, una caratterista che, in quanto tale,
non si sceglie né si acquisisce ma si possiede in maniera
del tutto naturale. È un enigma, potremmo anche dire, che
non può essere spiegato a parole ma che si può soltanto
percepire attraverso il linguaggio del corpo. Gli occhi,
la bocca, i gesti, la postura, l’abbigliamento: strumenti di
una comunicazione sottile e persuasiva che queste donne
conoscono bene e che mettono in atto senza alcuno
sforzo. Osservando con maggiore attenzione i loro sguardi,
vi si avverte la presenza di una malinconia inafferrabi-
1
le, un languore dell’anima nutrito di assenze, frammenti di
cose perdute, memorie lontane nel tempo. Una luce fredda,
irreale, a tratti metafisica ne illumina i volti e la figura,
le avvolge con la sua consistenza lattiginosa, facendole
sembrare creature ammantate da un’aurea di sacralità. A
ben guardare, più che di donne reali si tratta di figure nel-
2 3
12
ORNELLA DE ROSA
le quali s’incarnano ideali assoluti:
amore, bellezza, grazia, armonia,
gentilezza. Per questo motivo ci appaiono
allo stesso tempo vicine ed
irraggiungibili, carnali ed eteree, luminose
ed oscure. Dialogano tra di
loro segretamente, non si lasciano
afferrare, e anche quando ci guardano,
continuano a sfuggire, a rimanere
distanti, chiuse, come sono, in
un mistero impossibile da sciogliere.
Insieme alla loro personalità, e
tramite questa, s’intuisce anche la
personalità dell’artista, la sua attenzione,
tutta femminile, per i dettagli
preziosi, gli elementi floreali, la resa
attenta di pieghe e tessuti e per
tutti quei particolari che mettono in
relazione la figura con lo sfondo.
Ornella De Rosa ritrae le donne per
raccontare la totalità della vita, non
soltanto la condizione di una parte
o di un genere. Certo, quella da
lei raffigurata è una femminilità che
non rinuncia ad alcuna delle proprie
prerogative, una femminilità volutamente
“esibita”, con corpi avvenenti
– talvolta fino a sembrare quelli delle
bambole –, profili perfetti, vanità
di pose e di abiti. Ma tutto questo
ha come scopo rimarcare il diritto
della donna ad essere attraente,
sensuale, spudoratamente bella,
senza per questo andare incontro
a pregiudizi e strumentalizzazioni.
Un tema tanto antico quanto attuale
che queste donne interpretano
attraversando epoche e stili: dalla
classicità al modernismo, dalla cultura
accademica all’arte grafica, dal
ritratto pittorico al linguaggio fotografico.
Quanto basta a renderle figlie
della contemporaneità e allo
stesso tempo interpreti di un’idea di
femminilità che va ben oltre la narrazione
del presente perché invita a
scoprire la luce e la forza creativa
che da sempre la donna custodisce
in se stessa.
4
5
1.
2.
3.
4.
5.
E l'oblio mi è dolce, cm 70x90
Intime conversazioni, cm 90x100
Il volo, cm 100x120
Riflessioni e confronti, cm 80x80
Luci ed ombre, cm 100x100
ORNELLA DE ROSA
13
I libri del
mese
C’era una volta un rione a Firenze
Un racconto a più voci sul passato recente del capoluogo gigliato
nel nuovo libro di Fabrizio Borghini
di Erika Bresci
Raccontare Firenze com’era e farla rivivere nelle pagine
di un voluminoso libro di ricordi-memorie, concentrati
in particolare negli anni dal dopoguerra
all’alluvione. Farlo come fosse una sorta di sequenza cinematografica,
lasciando srotolare senza soluzione di continuità
quel filo che, seguendo strada per strada quartieri e rioni,
riesca a disegnare un anello perfetto, capace di racchiudere il
perimetro cittadino in un unico dialogante racconto a più voci.
E quante voci! Ecco l’invito, stimolante e curioso, raccolto
da centocinque fiorentini (doc o naturalizzati tali), che, con
voce diversa e provenendo da differenti ambiti professionali,
status sociale, esperienze personali, hanno voluto dare il loro
contributo come testimoni; e lo hanno fatto certo scrivendo
ma anche tirando fuori dai cassetti di famiglia, e offrendole
come garanzia del ricordo narrato, tante, inedite fotografie in
bianco e nero, dalle quali ben si comprende la trasformazio-
ne del tessuto cittadino prima e appena dopo il boom edilizio
degli anni Sessanta. Interi quartieri ancora da costruire intravisti
alle spalle di sorridenti scolaresche, edifici ora abbattuti
per far posto a cavalcavia e sottopassi, torrenti ancora da
interrare che attraversavano, ignari, strade e viali e scorrevano
sotto ponti ora cancellati dall’asfalto, piazze che avevano
altri nomi – come l’attuale piazza Indipendenza, allora piazza
Barbano –, botteghe, ristoranti, ritrovi, un tempo fulcro di
attrazione e di animazione, oggi trasformati in altro, alcuni
spariti del tutto, altri tenacemente ancora aperti. E poi, dalle
fotografie come dai ricordi, si vedono spuntare personaggi
che hanno fatto la storia di quegli anni. Come il famoso
Gratta insieme al suo circo itinerante, che, tolto il tendone da
un quartiere, vedevi subito riapparire in un altro, insieme alla
magia delle evoluzioni delle figlie trapeziste e alle burle del
clown buono, così come in tanti racconti viene rammentato.
Oppure i personaggi comuni della storia quotidiana,
come il netturbino porta a porta, il ghiacciaiolo (perché
ancora i frigoriferi erano una chimera), l’arrotino
ambulante, i renaioli… Un mondo animato che riprende
vita attraverso i brevi cenni di alcuno o le descrizioni
accurate di altri. Perché anche nel ricordare si
è diversi. E poi, dalla nebbia del tempo, riaffiorano i
volti e i nomi di chi alla vita cittadina ha partecipato
dedicandosi allo sport (il calcio, certamente, ma anche
il ciclismo, la pallavolo, la pallanuoto) e al volontariato.
Circoli e associazioni, poli di aggregazione e
di crescita, rievocati nei protagonisti e nelle attività
condivise. Un pullulare di umanità si muove tra strade
e vicoli, si veste a festa la domenica, partecipa alle
feste popolari – il Grillo, la Rificolona –, colora di
sé il bianco e rosso che dal piazzale veste Firenze
nei giorni di sole, vive con e per la città. Perché, diciamocelo,
sia che a confidare i propri ricordi siano
nomi conosciuti – come quello di Carlo Conti, Marco
Masini, Cinzia TH Torrini – o meno, tutti ugualmente
si scoprono ancora (e sempre) pazzamente innamorati
– e orgogliosi – della propria città. Insomma,
si coglie bene in ogni singola pagina quanto “lo spirto
fiorentin dentro ci rugge”: ci perdoni Foscolo l’impropria
appropriazione! La regia di Fabrizio Borghini,
che ha pensato, scritto anch’egli tre suoi ricordi e una
premessa, coordinato le tante penne, selezionato
con cura e pazienza le foto, la sua personale, attentissima
conoscenza dei luoghi, delle storie e dei testimoni
hanno dato vita a questo prezioso scrigno di
memoria (arricchito dalla partecipata prefazione di
Cosimo Ceccuti) che resterà nel tempo.
14
C’ERA UNA VOLTA UN RIONE A FIRENZE
A cura di
Viktoria Charkina
Incontri con
l’arte
Lawrence Ferlinghetti
Un docufilm per ricordare uno degli ultimi grandi protagonisti
della Beat Generation
di Viktoria Charkina
Da poco nelle sale italiane è uscito
Lawrence, il primo docufilm
dedicato a Lawrence Ferlinghetti,
grande poeta, scrittore ed esponente
del gruppo di ribelli della Beat Generation
(anche se lui stesso rifiutava tale termine,
preferendo San Francisco Renaissance).
Nel film, il cofondatore della City
Lights Bookstore di San Francisco, prima
libreria di soli tascabili e rifugio per
gli intellettuali oppositori, si esprime sui
temi riguardanti le problematiche sociali,
politiche ed ecologiche. Il coraggioso
editore di Urlo di Allen Ginsberg e tenace
difensore della libertà di stampa racconta
le contraddizioni e i drammi della
società capitalista, cercando in tutti i modi di suscitare una
riflessione e una presa di coscienza collettiva sui temi trattati.
Uno dei suoi mezzi di comunicazione per parlare dei pericoli
causati dall’autoritarismo e dell’importanza dell’unione
tra gli esseri umani diventa la pittura. I pericoli causati dalle
lotte armate, le riflessioni sulla pena di morte e i forti disaccordi
con il sistema politico occidentale nell’arte di una delle
massime personalità del panorama letterario americano
contemporaneo non appaiono con toni cupi, violenti e sfrenati,
ma spesso portano note di speranza e umorismo. Non
esiste un’ombra senza un raggio di luce nella pittura di Ferlinghetti,
che sembra rivolgersi all’arte per motivi più spirituali
e meditativi che educativi, evitando chiari proclami e lasciando
spazio al mistero che davanti ad un’opera d’arte diventa
profondo e infinito. Il tentativo di preservare la particolare
trascendenza genera una «pittura politica che deve anche
essere lirica», trasportando il pensiero su tela e servendosi
del pennello, per ammissione stessa del poeta, per raffigurare
ciò che non riesce ad esprimere a parole. La passione per
l’arte dello scrittore statunitense nasce in maniera spontanea
ma allo stesso tempo organica quando nel 1947, grazie
ad una borsa di studio ottenuta per tre anni, si reca a Parigi
per un percorso di dottorato alla Sorbonne e nella capitale
francese inizia a vivere una nuova stagione di vitalità, creatività
e idee. Il primo avvicinamento all’arte figurativa avviene
quando il coinquilino del poeta con cui condivide la stanza
dimentica i propri “strumenti da pittore” e allora Lawrence,
cogliendo l’attimo per avvicinarsi alla pittura, si presenta a
quella che da quel momento in poi diventerà una passione
lunga tutta una vita. Presto, inghiottito dal clima di incontri
fra giovani artisti negli studi a Montparnasse parallelamente
alle prime prove di scrittura, inizia a frequentare l’Académie
Julien, una scuola libera da vincoli di frequenza, orari e
Lawrence Ferlinghetti mentre legge le sue poesie
pregiudizi. A Parigi vive il panorama in cui, proprio nell’anno
del suo arrivo, André Breton e Marcel Duchamp danno vita
ad uno degli eventi artistici più significativi dell’epoca: la
grande mostra Le Surréalisme en 1947: Exposition Internationale
du Surréalisme. Vedendo fra i partecipanti artisti come
Max Ernst, Sebastian Matta e Joan Miró, Lawrence, curioso
e inseparabile dai concetti dell’apertura mentale e dell’inclusività,
avvia una riflessione sugli enigmi nei disegni di Jean
Cocteau che prendono forma nella sua prima opera pittorica
intitolata Deux, di forte matrice surrealista. Ulteriormente
stimolato, continua le sue esperienze interdisciplinari anche
una volta tornato in patria, dove osserva la nascita e l’esplosione
dell’espressionismo astratto con protagonisti Pollock,
Rothko e Kline, ammirando l’uso dei neri di quest’ultimo. Tramite
la contaminazione delle esperienze artistiche diverse e
degli inserti letterari nei dipinti, lo scrittore statunitense si
avvicina alla poesia creando talvolta dei veri e propri manifesti.
Le problematiche, per il suo carattere attuale e universale,
superano la distanza geografica e continuano il filo rosso
della pittura di Ferlinghetti che, alla ricerca della pace, dell’amore
e dell’equilibrio, rimane irrisolto e destinato a suscitare
riflessioni per le generazioni successive. Perché lo spirito rivoluzionario
non svanisce con la scomparsa di un grande artista,
ma rappresenta una fonte d’ispirazione per continuare
il progetto da lui iniziato.
www.florenceartgallery.com
LAWRENCE FERLINGHETTI
15
La voce
dei poeti
Poesie all’insaputa
I versi intimisti di Maria Luisa Manzini
di Giovanni Cipriani
Maria Luisa Manzini non cessa di stupirci per la sua
vivacità intellettuale e questo amabile libro di poesie,
stampato nel novembre del 2021, è un ottimo
auspicio di rinascita per il 2022. L’agile volumetto ha
un duplice pregio, da un lato conferma l’indubbia qualità
delle liriche dell’autrice, che già aveva dato alle stampe le
due raccolte di versi Se le lacrime fossero rugiada (2008)
e Ciliegie e noccioli (2013), e dall’altro ne valorizza le virtù
pittoriche, grazie ai raffinati disegni di fiori e di paesaggi
toscani, che arricchiscono numerose pagine. Maria Luisa
Manzini sa scavare nel mondo dei sentimenti con le sue
capacità espressive e ben sottolinea la figlia Anna, in una
breve, ma significativa, introduzione che «nei suoi dipinti
ci si può immergere, nelle sue poesie ritrovare». Gli occhi
di un poeta sanno infatti vedere lontano e condensare
magicamente, con parole efficaci e ricche di contenuto, impressioni,
immagini, moti dell’animo, rendendoli realmente
momenti soggettivi dell’assoluto e riuscendo a vincere, con
disarmante facilità, di mille secoli il silenzio, grazie ad un
linguaggio universale. La “lunga collana di giorni” inanellata
da Maria Luisa Manzini ha ancor più acuito la sua capacità
di percepire il fondo della nostra mente e il battito del
nostro cuore, come ci dimostra con finezza pagina dopo pagina,
e le consente, per la nostra gioia, di mettere sempre a
fuoco la traccia lasciata dal filo della nostra vita / nel flusso
d’infinito dell’esistenza umana.
16
POESIE ALL’INSAPUTA
I libri del
mese
La magia del Natale nei racconti
di Doretta Boretti
di Erika Bresci
Nella sua lunga frequentazione con la scrittura – come
autrice di numerosi testi teatrali, libri di racconti,
romanzi, poesie, articoli per riviste –, Doretta Boretti
sembra avere un ospite privilegiato che l’accompagna come
amico fidato e confidente lungo tutto il percorso: il Natale.
L’appena uscito Tre vigilie di Natale come in un talk show – tre
racconti illustrati dalla fantasia colorata di Stefania Silvari –,
dialoga infatti a perfezione, in un certo senso torna a puntualizzare,
spiegare, amplificare il senso e a giocare, in particolare,
con altri due precedenti titoli, Sarà sempre Natale, romanzo
distillato di amore materno, e Tre storie di Natale da Firenze al
mondo, che anticipa soggetti e oggetti che ritroviamo anche
in quest’ultimo nato. Lo spirito del Natale, che Doretta fa proprio
e fa concretamente rivivere nel tempo della festa all’interno
della sua casa, trasformata per l’occasione in “vera casa di
Babbo Natale”, sembra incarnare a perfezione ciò che rappresenta
la dimensione autorale e spirituale della scrittrice.
Il Natale, infatti, è l’unico momento dell’anno nel quale
“la verità si unisce alla fiaba”, il sogno diventa realtà e la
realtà può vestirsi di sogno. Un tempo in cui tutto è possibile,
anche immaginarsi insieme a chi non appartiene a
questa dimensione, coglierne la voce, accarezzarne i segni,
farsi toccare gli occhi per aprirli diversi a credere oltre
l’umano concepire. Le tre vigilie raccontate colgono l’essenza
e le caratteristiche precipue di tre anni (2018, 2019
e 2020) molto vicini. Nella prima, il lettore dovrà fare i conti
con una notizia sconvolgente, urlata sui social e rimbalzata
ai quattro angoli del globo terrestre: Babbo Natale
non tornerà mai più. Cos’è, si chiede la scrittrice, che può
cancellare per sempre la magia del Natale? L’indifferenza,
il non sentirsi più parte di una comunità. Per questo, l’unico
modo che ha l’uomo per far tornare sui propri passi il
vecchio con la barba bianca è quello di mettersi in gioco
in prima persona, condividendone entusiasmo, speranza,
voglia di sognare, immaginare. L’invito è a trasformarsi per
un giorno in tanti aiutanti di Babbo Natale con l’unico progetto
di rendere il mondo un posto migliore in cui vivere.
La seconda, che richiama un tema caro a Doretta – quello
degli angeli e delle loro piume lasciate come segno di
presenza e aiuto –, ci consegna un messaggio profondo,
che va ben oltre il battito di un’ala. Occorre sempre, anche
nei momenti più bui, aprire gli occhi a una visione diversa,
non dobbiamo aver paura di guardare, perché solo a chi
si affida al salto, a chi si lascia andare al possibile, è concesso
di “vedere”. Occorre aprirsi alla meraviglia, danzare
con gli occhi del cuore, lasciarsi cullare da una leggerezza
che sembra non appartenerci più. Il terzo, concentrato
sulla vigilia di quel 2020 di isolamento da pandemia che ci
ha visto privati della vicinanza degli affetti, è un inno all’amicizia
e alla vita da condividere con chi si ama, che si rivela e rinnova
anche negli oggetti concreti e nel ricordo che essi suscitano
di volti cari, evocati nella solitudine come personaggi di un presepe
intimo e personale, che aspettano solo l’arrivo di una stella
cometa per accendersi e far festa. Ed è un regalo che giunge
inaspettato – un Babbo Natale dipinto da un’amica pittrice – a
far scoccare nel buio dell’assenza la scintilla di luce, e che addirittura
si fa esso stesso messaggero di un dono più grande.
Perché l’amore donato si moltiplica nel donarsi, dilaga, illumina,
riscalda. Come le parole e i racconti di Doretta, la cui scrittura è
vera incarnazione del puro spirito del Natale.
Doretta Boretti
Tre vigilie di Natale come in un talk show (Pegaso, 2021) / 12 euro
MAGIA DEL NATALE
17
Ritratti
d’artista
Mario Pratesi
La pittura come istinto primordiale
di Michele Loffredo
Èindubbio che già al primo sguardo la pittura di Mario
Pratesi dichiara apertamente la propria distanza
dall’accademismo di maniera, imponendosi per
una libertà stilistica disinvolta, a tratti trasgressiva, alimentata
da un’energia primordiale, istintuale e autentica, che si
pone, impulsivamente e quasi involontaria, oltre le misurate
convenzioni della storia dell’arte, come se l’artista, nell’urgenza
di testimoniare la propria condizione esistenziale, si
caricasse di un’ansia espressiva che non è possibile trattenere,
trovando quiete solo dopo averla proiettata sulla tela
che si affolla di un febbricitante dionisiaco horror vacui.
Questa manifestazione impellente del proprio vissuto è il
nucleo proponente di un’attività artistica che, come un vulcano
in eruzione, scaglia all’intorno innumerevoli visioni e
impressioni, riflessioni e stati emotivi, rappresentati con una
figurazione essenziale e antigraziosa, che si nutre di colori
esuberanti ed energici, per cogliere momenti e istanti di
vita, non solo riferiti all’attualità ma anche da sollecitazioni
della memoria o calandosi in frequentazioni di storia e
del mito, ovvero spaziando in un ampio repertorio il cui limite
è dettato solo dalla propria fervida immaginazione. Sulla
tela, il colore, a volte calato come una sciabolata che ferisce,
altre steso in accese campiture o macchie dissonanti,
dispensato con gesto irruente o distribuito in segni delicati,
si sostituisce al disegno, ne costruisce le forme, le figure,
i paesaggi, gli oggetti, per una raffigurazione spregiudicata e
sciolta, a volte grottesca, che richiamandosi al vasto ambito
del neoespressionismo si alimenta ampiamente di sintassi
astrattiste, informali, echi di graffitismo e di primitivismo,
Vergine che allatta (2019)
Autoritratto al tempo del Covid (2020)
in una ricerca che predilige spesso la riduzione compositiva,
esaltando l’essenza del messaggio così da coinvolgere
con immediatezza lo spettatore. Per comprendere però la dimensione
in cui Pratesi opera, e non fermarsi all’apparenza
non convenzionale o naïf di alcuni suoi dipinti, può essere
utile decostruirne il linguaggio pittorico così da identificare
gli elementi che ne rendono possibile l’efficacia espressiva.
In primo luogo si riconosce alla sua pittura l’appartenenza
al vasto territorio dell’espressionismo, inizialmente declinato
nelle avanguardie storiche dei Fauves francesi e dei tedeschi
del Die Brücke in cui si assiste al superamento della
rappresentazione oggettiva della realtà. Questa ormai non
poteva più essere percepita come tale, perché si scopre che
il processo della visione non è meramente meccanico ma è
essenzialmente interpretativo, ovvero non si può separare
ciò che si conosce da ciò che si vede, aprendo così la strada
alla soggettività che è poi il motivo dominante
di tutta l’arte contemporanea. Il punto
di vista di colui che quella realtà la osserva
diviene quindi imprescindibile, in particolar
modo per gli artisti, che dietro anche la pressione
dei nuovi mezzi di ripresa della realtà,
come la fotografia, vanno alla ricerca di nuovi
valori stilistici e di una nuova visione spingendo
ancora più la raffigurazione in senso
deformante e drammatico. Questa perdita di
punti di riferimento, conduce la pittura, nelle
sue ricerche più estreme e affascinanti, a pura
manifestazione fenomenica. Se l’astrattismo
delle avanguardie storiche manifestava
la volontà di superare la figurazione oggettiva
aprendosi ad altri linguaggi, cercando
di esprimere anche realtà soprasensibili e
invisibili, ciò non sembra più possibile dopo
i genocidi di massa e la bomba atomica.
L’artista si ritrova incapace di formulare
18
MARIO PRATESI
Notre-Dame (2019)
risposte agli interrogativi del proprio tempo e il linguaggio
informale manifesta questa tormentosa condizione. L’informale
rivendica la pittura come puro atto esistenziale, non
si propone di prospettare direzioni, intendimenti o significati,
ma si emancipa da qualsiasi intenzione rappresentativa,
diventa pratica tautologica, in linea con la filosofia dell’esistenzialismo
e la fenomenologia. Ma è nel neoespressionismo
tedesco dei cosiddetti Nuovi Selvaggi che la pittura
raccoglie il testimone di quell’irruenza trasgressiva e ribelle,
audace e indipendente, che sembra idealmente scorrere anche
nella pittura di Mario Pratesi. Attingendo istintivamente
alle esperienze pittoriche precedenti, che rappresentano
il lato dionisiaco della storia dell’arte, l’artista toscano interpreta
con tecnica essenziale e immediata la pratica pittorica
come mezzo per sondare il proprio grado di esistenza al
mondo. Nella composizione l’elemento descrittivo è ridotto
al minimo, l’artista va diretto all’essenziale, senza orpelli,
con capacità di sintesi e di far rivivere nella scena elementi
immaginativi e concreti insieme, compiendo un atto di identificazione
con le proprie istantanee di vita, con i propri personaggi.
Così facendo, può far emergere territori dolorosi e
sofferenti, luoghi di passioni e di affettuosi trasporti, di desideri
felici e di promesse infrante, manifestando sulla tela
la propria intensa adesione alla vita, con una forza che si impone
al di là di tutte le nostre paure, testimoniando che la realtà
è autentica quando è partecipazione.
L’alba dell’uomo (2018)
MARIO PRATESI
19
Dimensione
salute
A cura di
Stefano Grifoni
Così il singhiozzo va via…
di Stefano Grifoni
Si chiama “singhiozzo vai via” uno strumento per far
sparire il singhiozzo. Si tratta di una cannuccia rigida
con una valvola a pressione all’estremità opposta
alla bocca. La valvola genera una resistenza aggiuntiva
quando si cerca di aspirare acqua da un bicchiere. La suzione
e la successiva deglutizione dell’acqua stimolano il
nervo frenico e il vago, inducono una contrazione del diaframma
e fanno richiudere l’epiglottide, la valvola che impedisce
ai cibi e alla saliva di finire nelle vie aeree. In caso
di singhiozzo, il diaframma e i muscoli intercostali si contraggono
causando una rapida inalazione di aria circa 35
millisecondi. Più tardi la chiusura della epiglottide si traduce
in un caratteristico “hic”. Per la maggior parte delle
persone il singhiozzo è passeggero, ma in alcuni casi,
come nei pazienti con lesioni cerebrali o che stanno affrontando
cure oncologiche, può persistere e risultare debilitante.
In questi casi lo strumento “singhiozzo vai via”
potrebbe risolvere il problema.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
20
SINGHIOZZO
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Il benessere nei piccoli piaceri quotidiani
di Emanuela Muriana
Essere intrappolati nel presente è una condizione attuale
e generalizzata causata dalla pandemia. Da
circa due anni siamo ostaggi di un nemico invisibile:
il virus SARS 19 ci ha costretti a misure precauzionali che
ci hanno cambiato la vita in quasi tutti gli ambiti. Siamo stati
impegnati a combattere preoccupazioni, paure, ansie e angosce
sconosciute con la ricerca di rassicurazioni attraverso
l’informazione, comportamenti precauzionali di distanziamento,
pulizia e disinfezione, etc. … e anche con l’estrema delirante
difesa: il virus non esiste. Uno degli effetti meno evidenziati
di questo periodo è la rilevante perdita dei piaceri che davano
sapore alla vita. L’assuefazione alla condizione di attesa si può
trasformare in vuoto angoscioso che non si riesce più a colmare,
con il rischio di cadere in un atteggiamento di rinuncia depressiva.
Incapaci di rappresentarsi il “cosa fare” di piacevole
come se niente accendesse il bisogno, il desiderio o la curiosità;
incapaci di stupirsi, appiattiti nell’attesa delegando ad altri
o peggio ancora alla sorte il ravvivarsi della vita quotidiana.
I giovani sembrano essere più esposti al rischio dell’isolamento,
“tombati” in camera con telefono e computer, incapaci di ritornare
in una sana dimensione sociale. Ma senza piacere non
si può essere felici, l’élan vital (lo slancio vitale), come diceva
Bergson (1907), è in fondo il piacere di realizzare qualcosa. Al
di là delle grandi imprese o conquiste personali, è il piacere dei
piccoli risultati quotidiani che nutrono la mente di soddisfazione,
tengono accesa la prospettiva del futuro per non soccombere
all’angoscia del presente. Ricordarsi quindi che anche il
piacere deve essere presente ogni giorno, assunto come un integratore
regolarmente: concedersi piccole cose, assaporarle
in tutti i dettagli come i sommelier, per risvegliare i sensi che
sono stati spenti dall’emergenza sanitaria. Piccoli piaceri quotidiani
contribuiscono al senso del benessere più delle grandi
cose, che spesso impossibili da realizzare subito, tendono a
portarci a rimandare e ad assumere un atteggiamento di rinuncia.
«Adoro i piaceri semplici, sono l’ultimo rifugio della gente
complicata» parola di Oscar Wilde.
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
PIEDE
21
Joanna Aston
Una pittura tra sogno e realtà
La giostra (2021), olio su tela, cm 50x50
joannasouthcote@gmail.com
A cura di
Silvia Ciani
I consigli del
nutrizionista
L’educazione alimentare nelle disabilità cognitive
di Silvia Ciani, Corinna Desiati, Silvia Fallani
Nutrirsi è un atto istintivo, spontaneo, domato dalla percezione
di uno stato di bisogno: la carenza di nutrienti.
Alimentarsi invece è un atto più consapevole, denso di
azioni (scelta e acquisto degli ingredienti, preparazione del cibo,
cottura) e pensieri (aspettative, preferenze), frutto anche delle integrazioni
fra sensazioni che provengono dal corpo (il gusto, la
sazietà, la digestione, etc. ...) con quelle della mente (abitudini,
ricordi, impulsi, etc. ...). La maggior parte delle persone è spontaneamente
in equilibrio grazie ai normali meccanismi che regolano
le funzioni del corpo e della mente, ma vi sono persone che
per vari motivi (indole, ambiente, patologia, etc. ...) tendono ad
alterare il proprio stato nutrizionale (malnutrizione per eccesso
o per difetto) attraverso comportamenti alimentari non equilibrati
e disfunzionali; è un fenomeno questo che ritroviamo purtroppo
nelle persone con disabilità, che hanno un maggior rischio di
sviluppare sintomi psicopatologici perché più soggette a vivere
situazioni di vulnerabilità e con un minor numero di risorse psicologiche
e cognitive disponibili. È particolarmente opportuno
per queste persone che le abitudini alimentari si strutturino correttamente
sin dall’infanzia; in particolare, affinché l’educazione
Ragazzo X fragile intento a cucinare
Incontro di formazione per genitori presso lo studio artEnutrizione, con il presidente
dell'Associazione Toscana Sindrome X Fragile Silvia Fallani, la psicologa
Corinna Desiati e la nutrizionista Silvia Ciani
alimentare sia abilitante e orientata al raggiungimento della maggiore
autonomia possibile, bisogna tener presente che mangiare
è un comportamento appreso e che l’imitazione dei comportamenti
dei familiari, opportunamente sensibilizzati e formati, può
diventare una risorsa preziosa nel favorire un corretto approccio
al cibo e nel migliorare la padronanza degli impulsi. Risulta necessario
quindi soffermarsi a lavorare con tutta la famiglia sul
piano psicologico all’interiorizzazione di uno stile di vita sano e
bilanciato evitando al tempo stesso un controllo esasperato o la
privazione. La sindrome dell’X fragile rientra tra le patologie che
necessitano di un’attenzione particolare per una sana e corretta
alimentazione. Per farlo, c’è bisogno di una rete di professionisti
che mettano la persona, fin da piccola, in condizioni di vivere il
cibo in maniera serena e adeguata, attraverso il coinvolgimento
della rete sociale (famiglia, scuola, associazioni sportive, nutrizionisti,
psicologi, educatori, etc. ...), senza però perdere di vista
il contesto generale in cui la persona vive e l’importanza del cibo
come momento di convivialità e di condivisione. Presso lo studio
artEnutrizione esistono percorsi integrati fra psicologo e nutrizionista
particolarmente attenti alle persone con disabilità e
alle loro famiglie, con l’intento di migliorare lo stato di salute psi-
co-fisica e di ridurre le
diseguaglianze.
www.xfragiletoscana.it
-
Sezione Toscana
O
D
V
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas
14 d - Firenze / + 39 339 7183595
Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -
Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678
Istituto Medico Toscano - Via Eugenio
Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911
www.nutrizionistafirenze.com
silvia_ciani@hotmail.com
EDUCAZIONE ALIMENTARE
23
Ritratti
d’artista
Claudio Spinelli
Un medico con la passione per la pittura
di Gherardo Dardanelli
La poliedricità di pensiero e di azione affiora chiaramente
dal curriculum vitae di Claudio Spinelli, professore
ordinario di Chirurgia Pediatrica e Infantile
all’Università di Pisa e direttore della Sezione Dipartimentale
di Chirurgia Pediatrica dell’Azienda Ospedaliero Universitaria
Pisana. La sua assoluta dedizione alla chirurgia, all’insegnamento,
ai pazienti e agli allievi si è accompagnata, nel corso
degli anni, alla passione per la scrittura e per la pittura. Ha
pubblicato, oltre a cinquecento articoli scientifici e dieci libri
in ambito specialistico, quattro saggi: Il Gioco del pensiero
(2011); Il Gioco di prestigio: una visione incantata del mondo
(2018); La coincidenza degli opposti (2019) e Melìa: una riflessione
sul male. La magia creativa di Claudio Spinelli, nato
a Follonica nel 1953, emerge prorompente dalle sue opere artistiche,
che sono state esposte: a Pisa, all'Opera Primaziale
del Duomo in Piazza dei Miracoli (1993) e al Chiostro della
Chiesa del Carmine (1994); all'Expo di Milano (2015); al Museo
d’Arte Contemporanea di Lucca (2016); al Museo d’Arte
Contemporanea di Padova (2017); alla Sala del Frontone
a Orbetello (2017); al Granaio Lorenese ad Albinia (2019); a
Santa Maria della Scala a Siena (2019); al Castel dell’Ovo a
Napoli (2019); a Rocca Brivio Sforza a Milano (2021); alla Venice
Art Gallery a Venezia (2021); alle Serre Torrigiani e allo
Spazio Espositivo San Marco a Firenze (2021). Nel 1986, due
sue opere sono state pubblicate nel Catalogo Internazionale
d’Arte (Edizioni Rimeco Art). Dal 2013 una sua opera è con-
Campo di Higgs: aggreazioni di oggetti (2021), olio su tela, cm 100x120
servata nella sezione artistica del Museo Garibaldi Meucci, a
New York. Il 2 gennaio 2022, è stato insignito, nella prestigiosa
sede di Villa Caruso di Bellosguardo a Lastra a Signa, dalla
presidente dell’associazione Toscana Cultura Lucia Raveggi
del Premio Internazionale “Ponte Vecchio” per meriti artistici.
claudio.spinelli@unipi.it
Claudio Spinelli nel suo studio
24
CLAUDIO SPINELLI
A cura di
Maria Concetta Guaglianone
PsicHeArt
L’arte della cura
Quando la creatività diventa un tramite per conoscere sé stessi
di Maria Concetta Guaglianone
Èconsuetudine pensare che il percorso psicologico
o psicoterapeutico e la relazione con
il paziente si strutturino prevalentemente attraverso
la modalità verbale. Le parole “curano” e hanno
un impatto incisivo sulla nostra quotidianità poiché
permettono la narrazione e l’ascolto della propria storia,
la condivisione di significati, ma altrettanto importante
è considerare ulteriori canali che si integrano o
sostituiscono ad esse. Andando oltre la narrazione
verbale, la comunicazione avviene non solo attraverso
il corpo, i sensi e i gesti ma anche attraverso l’uso
di mediatori “creativi” che caratterizzano le arti
visive sia grafiche-pittoriche che la scultura, come pure
la fotografia, il teatro, la musica, la danza e il gioco
che sono parte integrante del processo psicoterapeutico.
Nell’affrontare l’argomento della creatività occorre
considerare due significati del termine: il primo fa riferimento
alla creatività dell’artista, intesa come l’atto di creare qualcosa
di nuovo che può essere visto, sentito e percepito dall’altro,
come ad esempio un dipinto, in cui incidono fattori quali
il talento, la predisposizione, lo studio, l’applicazione; il secondo
significato fa riferimento alla creatività intesa come un vero
e proprio atteggiamento che va al di là del mondo tangibile
delle cose e della creazione di per sé. Creatività, quindi, come
“elemento” del carattere, fattore intrinseco alla persona, una
predisposizione al piacere, a cogliere con pienezza e profonda
consapevolezza la vita. Nell’ambito del lavoro psicoterapeutico,
la fusione tra l’elemento psicologico e quello creativo-artistico
apre uno spazio in cui la persona può entrare in contatto,
esplorare e dare forma ai propri vissuti, bisogni, desideri, difficoltà
e blocchi, attraverso l’utilizzo di materiali diversi, come
ad esempio carta, cartoncini, tele, argilla, colori, stoffe, sabbia,
oggetti di vario genere, immagini, l’uso di testi e musiche,
attività di drammatizzazione ed esercizi corporei. Si struttura
un percorso finalizzato alla cura di sé intesa come una vera e
propria “arte della cura” che valorizzi le potenzialità e le risorse
personali. Nel “qui ed ora” la persona attua il riconoscimento
della propria presenza, lasciando una traccia della propria
visione del mondo e del proprio sentire. Così come l’espressione
creativo-artistica mette in ordine e integra contenuti e
materiali dando vita ad una forma, la cura psicologica e fisica
accoglie, ordina e “ri-ordina” aspetti di sé, crea un ponte di connessione
tra il mondo esterno e il mondo interno. In questa ottica,
ognuno può diventare “artista della cura” e allestire quello
che possiamo definire “l’atelier della cura”, in cui creare forme
di benessere, attenzione e ascolto rivolte a sé stessi, in cui poter
giocare, costruire e anche distruggere, a proprio modo, senza
preoccuparsi del “saper fare” o del “dover fare”, ma dare
attenzione al fatto di “essere”. Nel processo creativo la persona
è al centro; viene considerata nell’unità di corpo-mente-emozioni
ed è portatrice di un mondo, il proprio mondo, fatto di
luci ed ombre, forme e simboli, metafore e significati, sfumature
e colori. La creatività e l’utilizzo di mediatori artistici diventano
elementi preziosi per la libera espressione in uno spazio
e in un frangente del proprio tempo, quel tempo che gli antichi
Greci chiamavano “kairos”, il “tempo opportuno” nel quale
qualcosa di speciale e di importante può accadere. Utilizzando
la metafora del viaggio, la persona viene accompagnata ad
approdare a nuove terre, ma ancor più a varcare territori magari
già conosciuti o offuscati dalla nebbia e tanto sommersi da
non riuscirne a scorgerne la bellezza. La creatività come chiave
di accesso, dunque, forza che muove all’azione e al cambiamento,
accompagnando l’individuo nel viaggio più importante:
“ri-scoprire” il contatto con sé stesso.
Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta
Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia
di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di
Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e
Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali
di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).
+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com
L’ARTE DELLA CURA
25
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Col nuovo anno tutti a scuola di
recitazione
Testo e foto di Doretta Boretti
In alcuni libri di psicologia si legge: «Recitare fa bene».
Forse perché per imparare quest’arte bisogna affinare
una serie di “strumenti” individuali, attraverso un percorso
che si dipana come un gioco, perché è proprio nel
gioco che è più facile imparare a muoversi con leggerezza,
a scherzare anche se non ti senti di scherzare, a ridere o a
piangere se pure non hai motivo di farlo. E poi condividere
quei momenti con gli altri significa anche fare emergere
parti di sé stessi a volte completamente sconosciute. Recitare
è soprattutto un’esperienza unica, perché è come entrare
in una dimensione senza tempo, dove tutto si veste di
magia. In questo primo mese del 2022, la rubrica Dal teatro
al sipario festeggia l’inizio del suo terzo anno di vita, perché
è nata a gennaio 2019. Quindi, non essendoci precedentemente
mai occupati di scuole di recitazione, in questi primi
mesi del nuovo anno cercheremo di curiosare proprio in
queste scuole così interessanti e molto originali. Entreremo
prima in quelle per i più piccoli e successivamente in quelle
per le persone di ogni età. Sarà un viaggio all’insegna di
interviste, scoperte di nuovi intriganti personaggi, curiosità
di ogni genere e… chi più ne ha più ne metta. È stato solleticato
il vostro interesse? Allora seguite la rubrica nel mese
di febbraio e scoprirete quale sarà la prima scuola di recitazione
del nostro percorso.
Doretta Boretti inginocchiata e di spalle con un gruppo di bambini intenti a recitare nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio a Firenze durante la Giornata
nazionale e mondiale in ricordo delle vittime della strada lo scorso 19 novembre
26
SCUOLA DI RECITAZIONE
Ritratti
d’artista
Paula Luz
Una pittrice in cerca delle proprie radici
di Jacopo Chiostri
Pittrice con una solida preparazione artistica, Paula Luz
parla della propria arte come di un viaggio. Un percorso
fatto di movimento. I suoi lavori trasmettono una sensazione
di mutabilità nelle forme, per cui si ha l’impressione
che anche quell’equilibrio, inevitabile in un dipinto concluso,
debba scomporsi da un momento all’altro generando una nuova
figurazione. Il viaggio dell’artista si compie, prima di tutto, in
direzione del suo io interiore, a scandagliare il proprio spirito,
imparare a conoscersi e capire dove il viaggio la stia conducendo.
Iniziata la carriera con lo studio e la realizzazione di icone
– oggi tutte in mano a collezionisti – l’arte della Luz è fatta
di meditazione, ha un’evidente componente psicoanalitica ed è
un continuo rivolgersi alla ricerca e al confronto con le proprie
radici. «Raramente – afferma la pittrice – ci rendiamo conto di
custodire dentro di noi radici e rami, profondità e altezze; non
ascoltiamo la nostra voce interiore o la cerchiamo dove non
c’è; si vive attaccati al presente, senza meditare sul passato e
sulle mete che ci prefiggiamo. Non abbiamo radici. Conoscerle
al contrario significa capire quali sono i nostri bisogni più autentici».
Altro cardine della sua poetica artistico-esistenziale è
l’equiparare la nostra vita ad un albero, in quanto quest’ultimo,
a ben vedere, è un’eccellente metafora di conoscenza e di cambiamento:
l’albero affonda le radici nella terra ed è così che assorbe
nutrimento. È poi un tramite che unisce l’alto e il basso,
Florance, tecnica mista con collage e pastelli, cm 50x70
Angela, matita grassa, cm 50x70
il visibile con l’invisibile, il cielo con la terra, l’umano con il divino
e nel tempo spontaneamente assume la propria forma e
mutando diviene ciò che deve essere, infine il frutto che dà a
sua volta origina vita. La Luz è nata in Spagna, a Santander; dopo
il liceo classico, per quasi un decennio ha studiato le icone,
poi nel suo percorso artistico una svolta significativa è avvenuta
nel 2002 quando per quattro anni ha studiato alla Scuola del
Nudo presso l’Accademia di Belle Arti a Perpignan in Francia.
Rientrata in Italia nel 2006, per un biennio ha frequentato a Livorno
un piccolo atelier di nudo e pittura tenuto dal professore
Angelo Foschini e, a seguire, il triennio in pittura alla Libera Accademia
di Belle Arti a Firenze. Per disegnare adopera gessetti,
carboncini, pastelli; il segno è veloce – tra i pittori cui guarda
con passione non per nulla vi è quel Toulouse-Lautrec pittore
eccelso nel disegno e velocissimo nell’esecuzione –, la tendenza
è minimalista, toglie piuttosto che aggiungere. Il segno
si infittisce, si dirada, crea collegamenti tra i soggetti, produce
linee di forza, si fa evanescente, attorno ha il vuoto che completa,
corrobora e definisce il significato dell’opera. E anche qui
il pensiero corre ad un altro artista di riferimento, quell’Alberto
Giacometti che concettualmente appare incarnare proprio i
presupposti della sua ricerca. Cos’è l’arte per Paula Luz? Una
luce – dichiara – frutto di un colloquio interiore, un’elaborazione
del proprio sentire che diviene strumento per trasformare e
trasfigurare quello che crea. Una forza generatrice che si sprigiona
e riempie la tela di vibrazioni.
paulaluz67@libero.it
PAULA LUZ
27
Curiosità storiche
fiorentine
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
San Sebastiano
Il martire patrono della
Misericordia a Firenze
di Luciano e Ricciardo Artusi
Bastiano: così è sempre stato affettuosamente chiamato
dai fiorentini Sebastiano, il santo che era nato nel 250
a Narbona in Gallia (attuale comune francese Narbonne)
da genitori cristiani, madre milanese e padre francese. Era
un giovane, molto bello, che ambiva a far carriera militare, infatti,
trasferitosi a Roma, in breve tempo divenne un alto ufficiale
della guardia imperiale di Diocleziano. Fu nominato addirittura
tribuno della prima coorte e tenuto in alta considerazione dallo
stesso imperatore che lo stimava per la sua intelligenza e l’attitudine
al comando, non sospettando però che fosse cristiano.
Grazie alla sua affermata posizione, Sebastiano poteva aiutare
i cristiani carcerati e svolgere clandestinamente opera divulgativa
del Vangelo. Scoperto, fu condannato a morte dallo stesso
imperatore nel 288; legato ad un albero e trafitto da tantissime
frecce che lo resero simile a un istrice, ritenuto morto, fu lasciato
dal manipolo degli arcieri in pasto agli animali selvatici. Santa
Irene, andata a recuperarne il corpo per dargli cristiana sepoltura,
si accorse che l’ufficiale era ancora vivo, per cui ben nascosto
lo trasportò nella sua casa sul Palatino dove lo curò dalle
ferite con pia dedizione. Sebastiano, prodigiosamente sanato,
tornò da Diocleziano rimproverandolo per le persecuzioni contro
i cristiani. Sorpreso, quasi incredulo, vedendo l’ufficiale che
coraggiosamente lo redarguiva, Diocleziano diede ordine che
fosse flagellato a morte; castigo che venne barbaramente eseguito
nell’ippodromo del Palatino. Il corpo esanime del martire
fu gettato quindi con disprezzo nella Cloaca Maxima, ma durante
la discesa delle acque verso il Tevere in quell’antica fognatura,
s’impigliò in dei cespugli nei pressi della chiesa di San Giorgio al
Velabro, dove fu raccolto dalla matrona Lucina che lo trasportò
sino sulla via Appia e ivi lo seppellì nelle catacombe che oggi si
chiamano di San Sebastiano. La figura del martire frecciato divenuta
molto popolare assunse una particolare devozione quando,
nel 680, gli fu attribuita la fine di una grave pestilenza, tanto da
eleggerlo taumaturgo contro le epidemie. Il calendario cristiano
alla data del 20 gennaio ha mantenuto la memoria di questo
santo, il cui particolare martirio è stato rappresentato da innumerevoli
artisti. A Firenze, in quel giorno, l’Arciconfraternita della
Misericordia festeggia San Sebastiano, suo patrono. In origine
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
Jacopo da Empoli, Il martirio di San Sebastiano (1615 - 1619), olio su tavola,
Basilica di San Lorenzo, Firenze
il patrono era Tobia di Neftali, che spese la sua vita in opere di
carità e di assistenza al prossimo ma, nel 1575, l’antica istituzione
deliberò di assumere a protettore anche San Sebastiano.
Nell’oratorio di Piazza del Duomo, a fianco dell’altar maggiore, si
trova la statua del martire opera di Benedetto da Maiano. Il 20
gennaio, tutti gli anni, i fiorentini si recano alla loro benemerita
Misericordia dove, fin dal 1489, ha la sede. Per l’occasione, particolarmente
addobbata con drappi rossi damascati, dopo i riti religiosi,
vengono distribuiti in dono i “panellini benedetti”. Questa
usanza risale al 1581 quando furono ordinate “numero 150 picce
di panellini a Simone, fornaio del Campanile”. Oggi il numero
dei panellini è enormemente aumentato e la sua forma iniziale a
piccia, che ne vedeva cinque o sei uniti fra loro a forma di ciambella,
da anni non è più la stessa, mentre è rimasta immutata la
fede del “fratello della Misericordia” che, prima di iniziare il desinare,
spezza e divide il panellino benedetto fra i congiunti, certo
di portare così la benedizione del santo fra le pareti domestiche.
Infine, in occasione della festa, sono nati dei proverbi metereologici
che ci piace riportare: Per San Sebastiano la neve cade piano
piano; Per San Bastiano un’ora abbiamo (ovvero la luce del giorno
è aumentata di 60 minuti); A San Sebastiano
l’estate è ancor lontano; Per San
Bastiano sali il monte e guarda il piano;
se vedi molto, spera poco; se vedi poco,
spera assai (se i campi sono già verdi il
raccolto sarà scarso per il rischio delle
gelate). Ultimo, e con un certo ottimismo
campanilistico: San Bastiano con
la viola in mano.
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r
50134 Firenze
28
SAN SEBASTIANO
I libri del
mese
Annunciazione di Leonardo
Il segreto della scrittura nellʼanalisi di Diego Crociani e Caterina Marrone
Testo e foto di Rosanna Bari
Scritto da Diego Crociani e Caterina Marrone e
presentato il 21 ottobre presso la Biblioteca del
British Institute of Florence, il saggio Il segreto
della scrittura nellʼAnnunciazione di Leonardo da Vinci
(Leonardo Libri 2020) è unʼinteressante indagine su
un particolare del celebre ed enigmatico dipinto di Leonardo
esposto alla Galleria degli Uffizi. Nellʼopera,
lʼartista descrive il momento dellʼannuncio allʼesterno,
nellʼelegante giardino di un palazzo rinascimentale
dove la Vergine, assorta nella lettura di un testo sacro,
accoglie sorpresa lʼimprovviso arrivo dellʼangelo.
Il suo braccio destro, per lʼeccessiva lunghezza e la
singolare posizione del dito mignolo, teso ad indicare
la tredicesima riga della pagina, rappresenta per lʼosservatore
un inedito simbolismo numerico, a cui i due
autori hanno cercato di dare una più chiara interpretazione,
ipotizzando anche una datazione più tarda del
dipinto. Oggetto dellʼanalisi del saggio, pubblicato in
italiano e in inglese (The secret of the writing in the Annunciation
of Leonardo da Vinci) è la forma delle lettere
utilizzate nella scrittura del libro dalle pagine quasi
trasparenti, che Maria è intenta a leggere prima di venire
interrotta, dipinte secondo unʼantica e segreta tecnica
allʼepoca conosciuta solo da pochi. Lʼindagine
verte, quindi, sullʼinterpretazione del codice sacro, ben
visibile sulla pagina aperta del libro posto sul leggio e
protetto da un velo, simbolico riferimento alla passione
di Cristo. Lo storico dellʼarte fiorentino Diego Crociani,
appassionato studioso di simbolismo nellʼarte
rinascimentale, interessato a trovare il significato nascosto
del codice, ha così coinvolto in questa ricerca
Caterina Marrone, professore senior di Filosofia
del linguaggio e di Semiotica allʼUniversità
Sapienza di Roma e studiosa del testo letterario
e figurativo. Dopo un approfondito studio
iconografico del tema dellʼAnnunciazione
e del simbolismo a cui Leonardo fa ricorso
nella sua opera, i due autori alla fine riescono
a far emergere significati vicini alla tradizione
ebraica e alla filosofia neoplatonica celati allʼinterno
del dipinto, svelando e restituendo al
lettore quei significati chiari che lo condurranno
alla totale comprensione del capolavoro di
un artista senza tempo.
Leonardo da Vinci, Annunciazione (circa 1472-1475), particolare, Galleria degli Uffizi
leonardolibri.com (acquisti online)
Bookshop Teatro Niccolini
ANNUNCIAZIONE DI LEONARDO
29
Quando tutto
ebbe inizio…
A cura di
Francesco Bandini
Dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra
di Francesco Bandini
1^ parte
Sono appena trascorsi sessant’anni da quando nel 1960
l’astronomo Gerald Hawkins pubblicò su Nature un articolo
nel quale si sosteneva l’ipotesi che i megaliti
di Stonehenge fossero in realtà una sorta di osservatorio
astronomico. Quelle pietre gettate lì, apparentemente a caso,
sembravano raccontare delle storie interessanti. In realtà, andando
a sfogliare il grande libro della storia, scopriamo che
Hawkins non aveva ipotizzato nulla di originale perché poco
più di due secoli prima, nel 1740, William Stukeley, un sacerdote
appassionato di astronomia, aveva intuito che l’asse
principale del monumento sul quale sorge il sole nel solstizio
d’estate, risultava in modo troppo preciso per essere ritenuto
causale. In seguito, si scoprirono altri allineamenti alla luna
e a certe stelle e ben presto Stonehenge divenne il simbolo
dell’archeo-astronomia, la disciplina che getta un ponte fra
archeologia e astronomia quasi a voler dimostrare la stretta
connessione che un tempo esisteva fra l’uomo e il cielo. Per
la verità, strutture architettoniche altrettanto famose, a partire
dai giardini pensili e dalle torri templari (Etemenanki) di
Babilonia ad uso di osservatorio astronomico, ne troviamo
in abbondanza. Che l’origine di queste architetture del sacro
– vedi la Torre di Babele – siano diventate il simbolo della
L’asse di Stonehenge è diretto verso la posizione del sole nel solstizio d’estate:
per tale motivo si pensa che si tratti di un osservatorio astronomico
Hibris, cioè forme legate, nell’immaginazione collettiva, alla
confusione delle lingue e alla dispersione dei popoli nel mondo,
fa certamente parte di un’altra storia affascinante, ma
che raggiungere il cielo con lo scopo manifesto di scrutarne
i misteri fosse presente a partire dal loro stesso nome – ziqqurat
ovvero “innalzare” – e che la loro identificazione richiedesse
la conoscenza di più tecnologie, compreso i rapporti
astrali, sono altrettante realtà. Erodoto, che visitò Babilonia
intorno alla metà del V secolo a. C. e che racconta di aver vi-
Stonehenge
30
STONEHENGE
Harran, la città di Abramo
sto e visitato la celebre torre intatta fino all’ottava gradinata
giungendo così al settimo cielo, ne descrive forme e misure
affermando: «Qui dunque il cielo incontrava la terra» come si
evince dal suo stesso nome Te-Men-Anki, cioè “tempio angolare
del cielo e della terra”. Di tale incontro e conoscenza
biblica fra la terra e il cielo abbiamo un’altra splendida testimonianza
in una delle descrizioni della Creazione, contenuta
nell’immenso patrimonio culturale dei Sumeri, degli Assiri
e dei Babilonesi (circa 2500 a. C.), conosciuta in Occidente
con il nome di Enuma Elish (Quando lassù nel cielo), un documento
costituito da tavolette d’argilla incise in caratteri cuneiformi
che narrano la storia delle origini, tramandatosi nel
corso dei millenni fino a trovare una eco negli stessi libri della
Bibbia frammisti a descrizioni
di culti religiosi della fecondità
e dell’adorazione del sole che rimandano
più volte a questa unione
ierogamica fra cielo e terra. I
siti esistenti nel mondo sono tantissimi
e alcuni di essi si trovano
anche in Italia: i nuraghi, simbolo
della Sardegna ma tipologicamente
una delle architetture più
antiche, le torri di Gerico risalenti
all’età paleolitica (XV-VIII millennio
a. C.) così come i trulli di Alberobello
in Puglia, che richiamano
alla memoria gli antichi villaggi
anatolici di Turchia e Siria come
Harran o Ur dei Caldei nell’attuale
Iraq, cioè i luoghi di origine del
patriarca Abramo. Ebbene, tutti
questi esempi di architetture citate
hanno il loro ingresso orientato
verso il punto di levata del sole
nel solstizio d’inverno. Recenti
studi hanno anche messo in evidenza
orientamenti stellari che
tengono conto del sorgere di Sirio,
la stella più luminosa che la
sera illumina il nostro emisfero.
A tale proposito ricordiamo come
nell’antichità il sorgere di Sirio,
innalzantesi sullo stesso asse
in cui tramonta il sole, segnava l’inizio
delle grandi manifestazioni
religiose come la festa del dio
Mitra sul Nemrod-Dag, e indicava sempre l’inizio del giorno
della festa, la Sbabbat ebraica. È con questo riferimento alla
sacralità, con la quale si riconosceva il giorno consacrato
al Signore, che, a partire dal Concilio Ecumenico Vaticano II,
la Chiesa cattolica ha ripristinato l’uso della Santa Messa vespertina
quale inizio della domenica con chiaro riferimento
all’antica usanza in uso nei riti religiosi orientali. Infine, un ultimo
riferimento: il nome
stesso del giorno della
festa che nel mondo anglosassone
ha mantenuto
il riferimento al culto
solare, sun-day.
Stonehenge (“pietra sospesa”, da “stone”/pietra e
“henge” che deriva da “hang”, ovvero “sospendere”
in riferimento agli architravi) è un sito neolitico che
si trova vicino ad Amesbury nello Wiltshire, in Inghilterra,
a circa 13 km a nord-ovest di Salisbury. È il più celebre
e imponente cromlech (“circolo di pietra” in bretone)
composto da un insieme circolare di colossali pietre erette,
conosciute come megaliti, sormontate da consistenti
architravi orizzontali di collegamento, di cui alcune in
quota. È uno dei più antichi sistemi trilitici conosciuti costituito
da tre pietre (tri = tre / lithos = pietra), di cui due
montanti verticali ed un architrave orizzontale. Le pietre
di Stonehenge devono il loro attuale allineamento ai lavori
di ricostruzione nella prima metà del Novecento. Nel 1986
il sito è stato aggiunto alla lista dei patrimoni dell’umanità
dell’Unesco.
STONEHENGE
31
Percorsi d’arte
in Toscana
A cura di
Ugo Barlozzetti
A Montopoli, un museo civico per documentare la
storia artistica antica e recente del territorio
di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Museo Civico Montopoli
Il Museo Civico di Palazzo Guicciardini nel centro storico
di Montopoli in Val d’Arno è stato allestito nella primavera
del 2003. L’obiettivo è stato di raccogliere le testimonianze
archeologiche, storiche, naturalistiche e artistiche di
quest’area. Il museo è strutturato in sezioni tematiche collocate
sui diversi piani del palazzo. La sezione archeologica
antica presenta al primo piano le raccolte Majnoni e Baldovinetti,
con oggetti etruschi, romani e altomedievali, parte dei
quali di provenienza territoriale. Vi sono inoltre la collezione
personale e i documenti che illustrano l’attività di Isidoro
Falchi di Montopoli, appassionato archeologo, che quando
era medico condotto in Maremma portò alla scoperta delle
necropoli di Vetulonia e Populonia alla fine dell’Ottocento.
Vi è anche una sezione dedicata alle ricerche di archeologia
medievale e postmedievale nella Rocca di Montopoli, che
hanno contribuito a meglio informare sull’arte e sulla storia
dell’area nel periodo successivo al Mille; vi sono, insieme
a questi, stemmi, frammenti lapidei, affreschi e arredi
liturgici provenienti dai più importanti edifici cittadini e qui
raccolti. Vi è anche La Madonna col Bambino e San Giovannino,
opera di grande qualità attribuita ad un maestro della
cerchia di Francesco Brina (Firenze 1529-1586). Una sala a
parte è dedicata alla produzione di terracotta artistica montopolese
di Dante Milani. L’area di Montopoli ha avuto fin dal
Medioevo molte fornaci per materiali edili, mentre la ceramica
da mensa è stata prodotta saltuariamente. Nel 1923
Milani fece costruire in questo territorio
la prima delle sue fornaci da
ceramica artistica che ben presto
fu accompagnata da altre strutture
artigianali originando una produzione
diventata ben presto nota
in Europa e nel mondo. Negli anni
Casa della cornice
tra il 1929 e il 1943 la fabbrica raggiunse
il massimo sviluppo
www.casadellacornice.com
com-
Menotti Pertici, Vista di Montopoli
Una vetrina all’interno del museo con le Ceramiche Milani
merciale grazie alla partecipazione di mostre permanenti e
rivendite a Montecatini, allora importantissimo centro termale,
Torino, Roma e New York. Nel vano sotterraneo si trova
la sala dedicata alla paleontologia, con significativi resti
fossili e materiale dell’attività del gruppo archeologico locale
intitolato a Isidoro Falchi. La sezione dedicata alle arti
figurative contemporanee è anch’essa di grande interesse
perché dimostra la presenza di personalità artistiche non
adeguatamente conosciute. Tra queste ricordiamo, oltre a
Paolo Ciampini (nato nel 1941), incisore di fama internazionale,
Silvio Bicchi (Livorno 1874 - Firenze 1948), pittore che
si affermò, dopo essere stato allievo di Fattori all’Accademia
di Belle Arti di Firenze, con illustrazioni della Divina Commedia.
Fu poi a Parigi e a Londra, dove risentì l’influenza dei
grandi ritrattisti inglesi, e successivamente in America settentrionale
dove raggiunse larga popolarità e nel 1893 vinse
il concorso per la fusione delle porte della biblioteca di Boston.
Tornato in Italia, partecipò a due edizioni della Biennale
di Venezia (1914 e 1920), assunse la direzione artistica
della fabbrica Ceramiche Milani e realizzò affreschi come
quello nella biblioteca della Villa Magni-Rizzoli a Canzo. Un
altro pittore documentato è Menotti Pertici (Montopoli 1904-
1966), allievo e amico di Silvio Bicchi da cui apprese la tecnica
del disegno a pastello. Lo stile di Pertici sperimenta
diverse tecniche e il suo talento è legato ai paesaggi oltre
che a scene di vita e costumi diversi. Mario Borgiotti (Livorno
1906 – Firenze 1977) è un’affascinante personalità di
operatore e promotore culturale che dal 1934 sviluppò una
produzione pittorica di successo: tra l’altro fu presentato in
mostre personali a Firenze (1955) da Ardengo Soffici e a Milano
(1959) da Orio Vergani.
www.comune.montopoli.pi.it/museo-civico
Museo Civico di Montopoli
32
MONTOPOLI
I giganti
dell’arte
Francisco Goya
Dallʼestasi della gioia al tormento del male in due celebri opere
del maestro spagnolo
di Matteo Pierozzi
Francisco José de Goya y Lucientes (Fuentetodos, 1746
– Bordeaux, 1828), meglio conosciuto come Goya, è stato
uno degli autori più radicali e geniali della storia della
pittura. Gli appartengono sfumature, sensazioni, stili e personalità
tra loro divergenti. In un suo autoritratto del 1742, realizzato
all’età di 47 anni, si raffigura come un torero. Un modo per dire
che nell’arte si deve rischiare, proprio come si fa in una corrida.
Ai tempi in cui visse le sue raffigurazioni erano ritenute scioccanti
e ancora i temi da lui affrontati colpiscono la nostra sensibilità:
nelle sue opere si parla dell’orrore, del male, dell’incubo, delle
mostruosità generate dal “sonno della ragione”. Due dipinti con
lo stesso soggetto evidenziano come la sua arte si sia trasformata
nel tempo tanto da sembrare di due pittori diversi. Il primo
dipinto è La pradera de San Isidro (1788) in cui una moltitudine
di cittadini vestiti a festa banchettano all’aperto su una collina
di Madrid: ragazze con ombrellini bianchi, uomini vestiti elegan-
temente, un’atmosfera divertita ed allegra. Da questo dipinto si
percepisce quanto Goya desiderasse fare parte di quella Madrid.
Trent’anni dopo riprese lo stesso argomento, ma con risultati diametralmente
opposti: ne La romeria de San Isidro (1820 – 1823)
al posto di quei giovani eleganti e allegri, un gruppo di mendicanti,
zingari e altre figure lugubri simili a demoni strisciano nella melma.
Il paesaggio è cupo, grottesco, totalmente
diverso dal sereno paesaggio pieno di vita della
prima versione. I volti di queste figure indemoniate
che ci guardano sono trasfigurati da follia
e isterismo, personaggi terribilmente oscuri ed
inquietanti. Da questi due dipinti si percepisce
perfettamente il passaggio dal Goya che dipinge
una serena festa sulla collina al Francisco
Goya che, ormai vecchio e profondamente pessimista,
ci accompagna all’inferno.
La pradera de San Isidro (1788), olio, Museo del Prado
La romería de San Isidro (1820-1823), tecnica mista, Museo del Prado
FRANCISCO GOYA
33
Approfondimenti di
storia dell’arte
Riflessioni sulla tomba di Donatello
Si trova nella cripta della Basilica di San Lorenzo a Firenze, accanto alla sepoltura di
Cosimo il Vecchio, amico affezionato e committente del celebre scultore
di Moravio Martini
Donatello è il diminutivo del nome Donato, figlio
di Niccolò Betto Bardi e Orsa. Nasce a Firenze
il 1383 da famiglia povera (il padre, cardatore
di lana, partecipò al Tumulto dei Ciompi del 1378) e
muore a Firenze all’età di 83 anni, il 13 dicembre 1466,
povero, in una modesta casa in affitto nelle vicinanze
del duomo. Piero de’ Medici, figlio di Cosimo il Vecchio,
detto il gottoso, lo fece seppellire nella cripta di San
Lorenzo, progettata da Filippo Brunelleschi, già cattedrale
di Firenze prima di Santa Reparata (393 d. C.), secondo
i voleri del padre morto due anni prima nel 1464.
Dalle Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori,
scritte nel 1568 dal pittore e architetto aretino Giorgio
Vasari (edizioni Sonzogno), a proposito delle pagine dedicate
a Donatello si legge nella nota n° 70 quanto segue:
«Di tanti epitaffi, sopra il sepolcro (di Donatello)
non uno ne rimase e solo nel XVIII secolo, durante i lavori
di sistemazione di S. Lorenzo e Mausoleo Mediceo,
voluti da Anna Maria Luisa de’ Medici, Elettrice Palatina, (dopo
la morte di Gian Gastone e il ritorno dalla Germania) il canonico
Salvino Salvini fece collocare all’ingresso della cripta
l’epigrafe da lui composta che ancora si legge in latino: Donatellus
/ restituita antigua scolpendi caelandique arte / Celeberrimus
/ Medici princibus summus bonarum / artium patronis
Donatello, Crocifisso (1408-1409 ca.), legno di pero intagliato e dipinto,
cm 168x173, Cappella Bardi di Vernio, Basilica di Santa Croce, Firenze
L’epigrafe sopra la tomba di Donatello nella cripta della Basilica di San Lorenzo
appri mecarus / qui ut vivam suspexere / mortuo etiam sepulcrum
loco sibi / proximiore constituerum / obiit idibus dicembris
an. Sal. MCCCCLXVI aet- suae LXXXIII ( Donatello / per la
ripristinata arte della scultura e dell’intaglìo / celeberrimo sopra
ogni altro / caro ai Medici, principi sommi / delle buone
arti protettori / i quali, come lui vivo, tennero sotto gli occhi
/ così a lui morto dettero sepoltura /
in questo luogo molto ad essi vicino /
morì il 13 dicembre, anno della salute
1466, della sua età ottantatreesimo)».
La lapide con l’epigrafe indica, con il
suo orientamento, la testa del morto.
Cosimo il Vecchio, pater patriae (1389-
1464) morto nella sua villa di Careggi,
ha la tomba nel grande pilastro centrale
della cripta di San Lorenzo progettata
dal Verrocchio, composta da un
motivo neo-romano in porfido e marmo
verde e bianco di esemplare eleganza,
e corrispondente, al piano della
chiesa, a una porzione di pavimento
davanti all’altare. Tale pilastro vuole
indicare che le spalle di Cosimo sorreggevano
la potente dinastia dei Medici.
La paleopantologia del Progetto
Medici dell’anno 2006 ha accertato,
attraverso lo studio delle mummie dei
componenti della famiglia in San Lorenzo,
lo stato fisico e le loro malattie.
È risultato, con questo mezzo, che
a Cosimo fu fatto un taglio nella testa
Donatello, David (1439-1443), fusione in bronzo,
cm 158, Museo Nazionale del Bargello, Firenze
34 TOMBA DI DONATELLO
Andrea del Verrocchio, Tomba di Cosimo il Vecchio (1465-1467), marmi intarsiati, cripta
della Basilica di San Lorenzo
da un medico incapace. Una tradizione che sembra risalire
al decennio successivo alla morte di Donatello riferisce che
questi era omosessuale e che si sentiva attratto dai graziosi
apprendisti del suo studio. L’omosessualità era diffusa nella
Firenze del Quattrocento e fu un aspetto tipico dell’umanesimo
rinascimentale. Si dice che Donatello sia stato molto generoso
perché metteva i suoi soldi in una gerla a disposizione
dei discepoli. Infatti morì povero e malato di Parkinson. Al suo
ritorno da Padova, dove aveva realizzato la statua equestre
del Gattamelata, fu incaricato dell’esecuzione dei due pulpiti
di San Lorenzo, eseguiti in parte dagli allievi (lo stiacciato) da
cui, successivamente, Girolamo Savonarola arringò i fiorentini
a combattere il malcostume che ammorbava la città. Tanti
sono i lavori di Donatello, ma la sua arte si esprime principalmente
nel rappresentare le sculture attraverso una indagine
umana e psicologica. Vale per esempio il bronzeo David, la
cui espressione facciale rivela soddisfazione e compiacenza
di vittoria e forti tensioni emotive. Altri molto significativi come
la collaborazione alle formelle del Ghiberti oppure l’antropomorfo
Marzocco (da Martius) scolpito nella pietra simbolo
di Firenze in sostituzione di quello portato via dall’alluvione
del Trecento sul Ponte Vecchio, il crocifisso ligneo criticato
dal Brunelleschi, il Giuditta e Oloferne e altri. Durante l’alluvione
del 4 novembre 1966 la cripta in San Lorenzo fu invasa
Donatello, Pulpito della Passione (1460 ca.), Basilica di San Lorenzo, Firenze
dalle acque dell’Arno. Le bare in quel luogo accatastate furono
aperte e distrutte dalla violenza delle acque. L’unica che si
salvò fu quella di Cosimo, murata entro il pilastro centrale della
cripta citata. Nella pubblicazione Artedossier dal titolo Donatello
(edizioni Giunti), l’autrice Beatrice Paolozzi Strozzi, già
direttrice del Museo del Bargello, a proposito della tomba di
Donatello scrive: «Verrà sepolto nella Basilica di San Lorenzo
per espressa volontà di Piero dei Medici, erede di Cosimo
il Vecchio, al quale Donatello era stato profondamente legato
per tutta la vita e l’aveva preceduto il primo di agosto del
1464. Del sepolcro dell’artista tuttavia non resta traccia». La
citazione, scritta attualmente davanti alla lapide di Donatello
nella cripta, recita tra l’altro “in occasione dei lavori compiuti
tra il 1738 e 1741 per volontà di Anna Maria Luisa de’
Medici, nei pressi della tomba di Donatello fu posta la lapide
commemorativa che vediamo ancora oggi”. Nel libro La scultura
di Donatello di Francesca Petrucci, con introduzione di
Antonio Paolucci (edizioni Le Lettere) del 2003, si legge: «Il
10 dicembre 1466 Donatello concluse, ottantenne, la sua esistenza
terrena in una povera casetta… ridotto alla inoperosità
dal parletico e dall’abbassamento della vista». Prima del
Concilio di Trento e la relativa Controriforma non esisteva l’anagrafe;
con la Controriforma fu stabilito che si dovevano registrare
le nascite e le morti dei parrocchiani.
TOMBA DI DONATELLO
35
Alfredo
Correani
Le voci della natura
“Se verrete a trovarmi nel mio studio a Greve in Chianti, in località Mezzuola (via San
Cresci 33), davanti ad un buon bicchiere di vino parleremo di pittura, arte e amicizia”.
coralf1947@libero.it
La vigna in autunno, olio su tavola, cm 60x80
Ritratti
d’artista
Gianni Panciroli
Un salto oltre il visibile attraverso il colore
di Jacopo Chiostri
Le opere di Gianni Panciroli sono una presenza frequente
nelle mostre promosse dall’associazione Toscana
Cultura allo Spazio Espositivo San Marco. Lui
non compare sempre. Un po’ perché abita fuori città, un po’
perché è persona schiva, addirittura riluttante ad accettare
complimenti. Se è presente, è certo che con lui c’è Lorenza,
compagna di vita e nume protettrice, che si occupa di salvaguardare
e promuovere il suo lavoro. Gli ultimi dipinti di
Panciroli, presentati di recente al “San Marco”, rappresentano
il punto di arrivo di un lungo percorso artistico fatto
di categorie, alcune riferibili a forme pittoriche classiche –
figurativo, concettuale, astratto, paesaggistico, materico –,
altre a quella sperimentazione, sia estetica che etico-sociale,
che è stata tanta parte del suo impegno: i manifesti, le
donne fumetto e soprattutto le inserzioni di fil di ferro e spaghi
che, con le loro evidenti simbologie, per un certo tempo
sono state una sorta di marchio di fabbrica e che, nei loro
grovigli, esprimono emozioni e riflessioni difficili da rendere
col linguaggio parlato. Racconta Panciroli che la sua passione
per l’arte risale alla frequentazione – siamo nel 1966
– di corsi serali di disegno, pittura, nudo, ritratto e alla bravura
dell’insegnante di storia dell’arte. I collegamenti tra forme
di espressione artistica e momento storico, di cui si parlava
in quelle lezioni, accesero all’epoca il suo interesse. Si
studiavano i pittori, e, tra quelli che conobbe in quel periodo,
Panciroli cita in primis William Turner, artista che, come
sappiamo, amava riprodurre la natura al massimo della
sua forza, quindi ben diversa dalle sue composizioni pae-
Nei tempi passati, acrilico su tela, cm 50x50
Nei tempi passati, acrilico su tela, cm 50x70
saggistiche così intime e frutto di una visione fortemente individualista.
Eppure nella cifra caratteristica di Turner, e in
particolare in quel disorientamento che accompagna il piacere
della visione delle sue opere, si ritrova una parte della
poetica di Panciroli, quella che, a parere di chi scrive, è bene
rappresentata dalla smorfia della prostituta messicana (e in
genere dagli sguardi e dalle espressioni dei personaggi che
ha ritratto) oppure dall’essenzialità dei paesaggi, con le case
strette le une alle altre. È il suo modo di raccontare il mondo,
disciplinato, civilissimo ma, in definitiva, non privo di una
certa disincantata amarezza. Le opere recenti appaiono un
compromesso tra rigore compositivo, gesto trattenuto e libertà
di un linguaggio personalissimo che adopera una sintassi
inedita che spetta all’osservatore fare propria. Sono,
forse, composizioni. Certamente rappresentazioni di visioni,
emozioni, riflessioni e di tutto quell’invisibile che la pittura,
al pari dei nostri sogni, della nostra immaginazione, è
chiamata a riprodurre. Su tutto domina il colore: scelto e dosato
da una mano sapiente, sfrutta la forza evocativa degli
accostamenti, conferisce profondità e personalità all’insieme
dei segni. Panciroli a volte costruisce, altre destruttura.
I suoi soggetti, anche quando hanno forme definite, non sono
riconducibili a qualcosa che conosciamo: sono creazione
allo stato puro. Eppure se riuscissimo a liberarci dei nostri
pregiudizi, non solo ottici, in queste campiture di colore potremmo
vedere tanto, anche più di quello che rintracciamo
nella figurazione che ci è tanto agevole. A guidare il gesto
pittorico è la sensibilità dell’autore: Panciroli chiede di essere
ascoltato, a noi trovare il coraggio di avventurarci per strade
sconosciute. I panorami più belli sui quali aprire gli occhi
richiedono di affrontare nuove sollecitazioni.
lorenza.guastalli@gmail.com
GIANNI PANCIROLI
37
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Gisela Kentmann
La bellezza dell’impermanenza nel batter d’ali di una farfalla
di Daniela Pronestì
Aleggio nell’etere leggera creatura / Aleggio
ovunque ci siano mani aperte all’Amore /
Sosto, sono capace di attesa paziente, metamorfosi
di ascolto / Riecheggia in me l’alito della
sofferenza ma non ho timori, sorvolo acquietandomi
di fiore in fiore, bacio ogni pistillo velato di armonia
celeste. Questi versi della poetessa bresciana
Adriana Rinaldi introducono con parole dense di
suggestioni visive l’opera artistica di Gisela Kentmann,
e in particolare il progetto Butterfly che
quest’ultima ha realizzato cimentandosi nella tecnica
incisoria del monotipo. Come spesso accade,
anche in questo caso il dialogo tra poesia e pittura
serve a fare emergere aspetti che né la parola
né l’immagine da sole riuscirebbero a comunicare.
Proprio grazie alla “collaborazione” tra questi due
linguaggi possiamo quindi cogliere con più immediatezza
alcuni dei concetti sottesi al progetto
sulle farfalle e più in generale alla ricerca artistica
della Kentmann, la quale da sempre imbastisce i
propri racconti visivi ambientandoli nel paesaggio
naturale o rendendo protagoniste forme ispirate
alla natura. In entrambi i casi, ad interessarla sono
soprattutto gli aspetti simbolici del mondo naturale,
l’insieme di riflessioni che emergono da una
lettura attenta e non consueta delle cose. La Kentmann
subisce inoltre il fascino dei miti classici e
delle epopee nordiche, delle narrazioni intessute
di atmosfere fiabesche, di tutte quelle situazioni
in cui il fantastico orienta il pensiero verso nuovi
percorsi di senso. Nel progetto Butterfly, la figura
della farfalla viene rappresentata alla luce
dei tanti significati che, dal mondo antico ad oggi,
ne confermano la forte valenza simbolica, rendendola
emblema allo stesso tempo dell’eterno e
dell’impermanente, in un ciclo infinito di morte e
rinascita, dissoluzione e liberazione. La metamorfosi
della crisalide è il volo dell’anima affrancata
dai vincoli del corpo, la trasmutazione alchemica
della materia vile nella preziosità dell’oro: così la
vediamo rappresentata nell’atmosfera rarefatta e
sognante di un notturno illuminato dalle ali dorate
di una farfalla in volo sulla città che ancora dorme.
Opporsi al cambiamento equivale ad inibire il percorso dell’anima,
ad intrappolarla “sotto vetro”, come accade alla farfalla
che nell’opera Under glass non può più librarsi in volo perché
ingabbiata sotto strati di colore. Quando la potenza del sentimento
trionfa sul rigore della logica, il volo solitario della farfalla
si apre alla schermaglia amorosa di un “passo a due”,
Pas de deux, monotipo, acquarello e disegno a penna, cm 30x40
all’estasi di una gioia tanto effimera quanto necessaria alla vita
stessa. I versi della Rinaldi suggeriscono ulteriori chiavi di
lettura descrivendo la farfalla come una creatura gentile, capace
di amare e di riconoscere l’amore intorno a sé, nelle persone
e nelle cose, sospesa nell’attesa del nuovo che verrà pur
conservando la memoria di ferite recenti; un essere spirituale
38
GISELA KENTMANN
Under glass, monotipo e disegno a penna, cm 30x40
Farfalla blue, monotipo con disegno a penna, cm 20x30
che sorvola leggera la realtà, catturando ovunque frammenti
di bellezza. Quanto basta ad offrire un ventaglio di significati
a partire dai quali anche l’osservatore sarà chiamato ad offrire
la propria interpretazione. E nel farlo sperimenterà, a sua volta,
la condizione della farfalla, la libertà mentale che è necessario
avere per accostarsi all’opera d’arte senza schematismi
né convenzioni ma con l’animo aperto alla sorpresa, all’emozione
che nasce improvvisa, all’incanto di una bellezza capace
sempre di rinnovarsi.
Farfalla in blu, monotipo, acquarello e disegno a penna, cm 40x40
Fragile, monotipo, acquarello e disegno a penna, cm ––
GISELA KENTMANN
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
Il futuro del viaggio è in dialogo con
i residenti
Non più solo vacanze, ma esperienze di integrazione con il territorio
di Stefania Macrì
Non chiamiamoli più turisti, ma costruttori di relazioni
sociali per divenire residenti temporanei dei
luoghi: The World in Florence, primo festival internazionale
delle espressioni culturali del mondo, che si è
tenuto dal 25 al 28 novembre a Firenze, traccia una linea
sul turismo di domani. Il futuro è il viaggio di dialogo e re-
lazione: è quanto è emerso da decine di speech a cura di
esperti del settore, accademici, rappresentanti delle istituzioni
di mezzo mondo riuniti, in presenza e online, da
Fondazione Romualdo Del Bianco, Movimento Life Beyond
Tourism – Travel to Dialogue e Centro Studi e Incontri Internazionali.
«Con la pandemia – afferma Mounir Bouchenaki, archeologo di
fama internazionale, già consigliere speciale del direttore generale
dell’UNESCO, da poco nominato presidente onorario della
Fondazione Romualdo Del Bianco – il turismo di prossimità
è diventato la prima e talvolta l’unica scelta da perseguire. Ma
questo costituisce anche un’opportunità: quella di attrarre visitatori
interessati a conoscere i valori sociali e culturali delle
comunità locali, in una logica che si sposa con le esigenze
di sostenibilità e rispetto per l’ambiente, che sono e saranno
sempre più pressanti per la salvaguardia del Pianeta». «Abbiamo
superato il punto di non ritorno – ribadisce Giovanni Ruggieri,
presidente OTIE (Observatory on Tourism in the European
Islands) e professore in Economia del Turismo e Hospitality
Management all’Università di Palermo, uno dei keynote speaker
della manifestazione –, le nostre abitudini e il nostro approccio
al viaggio sono definitivamente cambiate. I viaggiatori cercano
e cercheranno maggiore autenticità ed esperienze più genuine.
Ciò vuol dire interagire con le comunità locali e il loro territorio
apprezzandone la specificità». Un passaggio che trasforma il
turista consumatore in esploratore che cerca l’incontro reale,
non artificioso, con altre persone trasformandosi in residente
temporaneo del territorio. «Questo modello di turismo “relazionale”
– spiega Ruggieri – deve però essere accompagnato e
supportato da un nuovo modello economico basato sul recupero
delle produzioni locali, sulla valorizzazione dei prodotti tipici
e la loro promozione. Il turismo relazionale può creare nuove
opportunità di lavoro con nuove piccole imprese, nel rispetto
del territorio». «La pandemia – sottolinea Carlotta Del Bianco,
presidente del Movimento Life Beyond Tourism-Travel to Dialogue
– ci ha spinto a ripensare modi e obiettivi del viaggio: in
questo contesto nasce l’idea dei Luoghi Parlanti ® , uno strumento
per ampliare la comprensione dei territori del mondo, attraverso
il dialogo interculturale e l’incontro di identità diverse, per
un modo di viaggiare nuovo, più consapevole e profondo, grazie
all’interpretazione e presentazione delle destinazioni da parte
dei residenti. I Luoghi Parlanti ® sono dei pannelli interattivi integrati
con tecnologia NFC che dialogano con il visitatore semplicemente
avvicinando lo smartphone.
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
La rete dei Luoghi Parlanti ® conta già su diverse città d’arte in
Italia, strutture alberghiere e interi comuni che hanno aderito al
progetto installando più di un pannello in posti significativi. Tra
questi, i dieci comuni dell’Unione Montana dei Comuni del Mugello,
la Fondazione Francesco Saverio Nitti di Maratea, il Comune
di Pratovecchio Stia e Palazzo Coppini di Firenze. «Abbiamo
bisogno di visitatori sinceramente interessati a capire la nostra
terra, persone che torneranno più volte e con pernottamenti ripetuti.
Le nostre bellezze – dichiara Donatella Turchi, assessore al
Turismo del Comune di Dicomano, in rappresentanza dell’Unione
dei Comuni del Mugello – vanno scoperte a piedi e in bicicletta,
sono necessarie iniziative che recuperino la nostra storia e le nostre
tradizioni per attrarre visitatori non solo per ragioni economiche,
ma anche e soprattutto per creare interazioni personali più
profonde». «Molte delle nostre strutture ricettive italiane hanno
aderito al progetto – aggiunge Valerio Duchini, responsabile B&B
Hotels Italia – coinvolgendo cinque destinazioni diverse: Bolzano,
Verona, Firenze, Roma, Napoli. Il viaggio di scoperta della destinazione
inizia infatti dall’hotel, dove sono installati i pannelli
fotografici con brevi didascalie e tag NFC da cui si possono anche
ricavare contenuti virtuali di approfondimento. L’hotel diventa
così fonte delle prime informazioni per il viaggiatore che a sua
volta può contribuire con foto, impressioni e consigli personali,
così da implementare il pannello di informazioni della città visitata,
secondo un’interazione dinamica fra luoghi e persone».
Il futuro è nella relazione: «Il genere umano – fa notare Giacomo
Lorandi, collaboratore presso il dipartimento di Storia Moderna
e Contemporanea dell’Università Cattolica di Milano – è sempre
stato minacciato da catastrofi e pestilenze e ha acquisito consapevolezza
dei pericoli agendo di conseguenza per preservarsi,
con strategie di difesa sanitarie, logistiche e relazionali. Oggi
come ieri, nessuno può salvarsi da solo ma solo attraverso la cooperazione
sociale».
Il viaggio di The World in Florence continua
Da adesso le attività di Life Beyond Tourism saranno
al centro dei più importanti eventi nel settore del
viaggio per ritornare ancora a Firenze nell’arco del
quinquennio (2021-2025) con l’obiettivo di coinvolgere 100
paesi, ciascuno con i propri territori, entro il 2025. La seconda
edizione del festival The World In Florence è prevista per
il 24 e 25 novembre 2022. Già dal 17 al 19 dicembre il Movimento
LBT-TTD ha portato la mostra internazionale The World
in Florence e i Luoghi Parlanti ® a TourismA, il palcoscenico
globale del Salone dell’Archeologia e del Turismo Culturale
tenutosi a Firenze presso il Palazzo degli Affari. Modernità
e tecnologia digitale si fanno quindi veicolo di conoscenza e
esplorazione dei tesori del passato e di un patrimonio storico-culturale
da riscoprire nella sua interezza.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,
ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme
alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che
custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle
identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e
i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE 41
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Flod
Piccola come una cellula, grande come l’universo
di Daniela Pronestì
«
Come in alto così in basso» recita la legge di
analogia di Ermete Trismegisto, leggendario
padre della dottrina ermetica e dell’alchimia. Il
senso di questa legge è rimarcare come dimensioni opposte
dell’universo – l’alto e il basso, il cielo e la terra, il microcosmo
e il macrocosmo – si corrispondano tra loro in
quanto partecipi dello stesso mistero alla base della vita.
L’infinitamente grande rimanda quindi all’infinitamente piccolo
e viceversa, proprio come i pianeti del sistema solare
ricordano per analogia gli atomi di una cellula o la catena
del DNA la forma spiraleggiante delle galassie. Le opere
di Flod – nome d’arte della pittrice francese Flo Doucende
– alludono a queste segrete corrispondenze mettendo
in rapporto il piccolo con il grande, la singola parte con
la totalità dell’insieme, la concentrazione con la dispersione
degli elementi compositivi. L’artista sceglie come unità
grafico-visiva una forma circolare, dalla cui ripetizione
trae origine una complessa texture che copre per intero la
superficie dell’opera, suggerendo la sensazione di un corpo
vivo, pulsante, dinamico, come se stessimo osservando
il brulicare di particelle all’interno di una cellula oppure
il moto perpetuo dei pianeti nello spazio cosmico. L’intento
è ribadire come tutte le cose dentro e fuori di noi, in alto
nel cielo e in basso sulla terra, siano intimamente collegate
tra di loro e in risonanza l’una con l’altra, secondo un
ordine universale che tutto abbraccia e comprende, dalla
La grande fuga, pittura acrilica su legno e pietra
Cellula - L'inizio, pittura acrilica su legno e pietra
42
FLOD
La grande fuga (particolare)
forma di vita più elementare a quella più evoluta. Emblematica,
a questo proposito, l’opera Cellula / L’inizio, nella quale,
volendo rappresentare il legame di necessità che esiste
in natura tra l’uno e il molteplice, l’artista immagina un crescendo
di cerchi colorati che dalla cornice del quadro, dove
appaiono più radi, procedono verso l’interno aumentando
di numero e ricoprendo totalmente il sasso posizionato al
centro: mentre gli elementi circolari simboleggiano la forza
generativa delle singole cellule all’origine della vita, il sasso
indica il fulcro in cui l’energia vitale si concentra e dal
quale ogni cosa ha inizio. Anche la scelta dei colori in questa
composizione risponde ad un preciso significato: l’oro
richiama la luce, elemento essenziale alla vita; il verde
la speranza insita in ogni creatura; il bianco l’armonia alla
base dell’universo. Nell’opera intitolata La grande fuga
l’osservatore è chiamato ad essere testimone di un viaggio
verso una dimensione spazio-temporale ancora mai sperimentata,
un nuovo mondo da conquistare con l’auspicio di
scoprire una realtà migliore di quella già conosciuta. Tutto
è pronto per la partenza: il sasso-navicella sta per spiccare
il volo oltre la grande fessura sulla destra, mentre le
forme coniche ammassate tutte intorno suggeriscono la
concitazione di chi si affretta a salire a bordo. Quello che
sta per iniziare, tuttavia, non è un viaggio come gli altri, ma
è un passaggio interiore dall’abitudine di certezze ormai
consolidate all’acquisizione di una nuova consapevolezza.
Un’esperienza che richiede, insieme a determinazione
e coraggio, la capacità di guardarsi dentro, di scrutare nelle
profondità della coscienza, alla ricerca di tesori ancora
del tutto inesplorati. Un percorso che l’artista francese porta
avanti da tempo, supportata dalla convinzione che l’atto
creativo debba servire anzitutto per conoscere meglio sé
stessi, e da questo orizzonte interiore osservare il mondo
celebrando la vita in ogni sua espressione.
FLOD
43
La tutela
dell’ingegno
A cura di
Aldo Fittante
Chattare con il David di Michelangelo
Da oggi è possibile alla Galleria dell’Accademia di Firenze
di Aldo Fittante / foto Gino Carosella e courtesy ufficio stampa Galleria dell’Accademia
Dal 15 dicembre scorso, andando sul sito web della
Galleria dell’Accademia a Firenze, gli internauti
possono chattare con il David. È proprio così. Grazie
al nuovo progetto Chatta col David – che ha preso forma
direttamente da un’idea di Cecilie Hollberg, direttrice della
galleria fiorentina – la celebre scultura simbolo della città
di Firenze si racconta in prima persona, fornendo on line,
agli utenti desiderosi di approfondire in modo interattivo
la conoscenza della scultura di Michelangelo, informazioni
artistiche e storiche ma anche curiosità ed aneddoti. «Benvenuto
nel mio chatbot – son l’alter ego virtuale del David,
scultura di Michelangelo, considerata una delle opere d’arte
più belle nella storia dell’umanità. Vuoi chiedermi qualcosa?».
È con queste parole che la chat si presenta agli
utenti – siano essi studiosi o semplici curiosi – offrendo loro
un’inedita conversazione virtuale con quello che, a buon
diritto ed unanimemente, viene considerato tra i più grandi
capolavori della scultura mondiale. La nuova ed interessante
opportunità viene presentata dalla direttrice come
strumento finalizzato a rendere fruibile il David attraverso
modalità che siano al passo con i tempi: «L’idea del chatbot
nasce dalla volontà di portare questo museo nella modernità,
in quanto per essere aggiornati bisogna rivolgersi
ai giovani che, con la freschezza del loro approccio dettato
da uno spirito libero, sono in grado di comunicare curiosità
verso l’opera d’arte». L’innovativa opportunità è resa
Particolare della scultura
Il David di Michelangelo alla Galleria dell’Accademia di Firenze
possibile da un chatbot – software capace di interagire con
gli utenti in forma di chat – sviluppato da Querlo, società
newyorkese specializzata nello sviluppo di applicazioni
tecnologiche tramite l’intelligenza artificiale, che risponde
appieno alle linee guida del Ministero della Cultura nel senso
della progressiva implementazione dell’uso del digitale
come leva per la promozione del patrimonio culturale italiano.
Nel caso di specie, per la produzione dei contenuti,
la Galleria dell’Accademia ha avviato una collaborazione
con l’Accademia di Belle Arti di Firenze, anche attraverso la
partecipazione di un gruppo di studenti che – seguiti dalla
professoressa Federica Chezzi, docente di Didattica per
il Museo e Didattica della Multimedialità – hanno cercato
di immaginare cosa un turista vorrebbe sapere dal David di
Michelangelo. Realizzato grazie al sostegno dell’Associazione
degli Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze,
il sistema del chatbot dedicato alla celeberrima scultura
di Michelangelo funziona tramite un sistema di deep learning
che consente – attraverso l’elaborazione delle sempre
nuove richieste poste con l’andare del tempo dagli utenti
– un progressivo e sempre più profondo accrescimento
della capacità di comprensione e risposta del sistema,
e con essa una sempre maggiore capacità di intercettare i
desideri e le aspettative dei visitatori virtuali del David. Il
progetto è dunque divenuto realtà grazie a prestigiose ed
44
DAVID DI MICHELANGELO
L’ingresso alla Galleria
autorevoli collaborazioni che hanno colto questa opportunità
con grande slancio. Ed infatti il vicepresidente dell’Associazione
Amici della Galleria dell’Accademia di Firenze,
Nicola de Renzis, ha dedicato al progetto parole molto appassionate:
«Non potevamo non cogliere con entusiasmo
questo progetto proiettato nel futuro, considerato che il nostro
intento è quello di risvegliare l’interesse della città verso
la Galleria e al contempo avvicinare questa istituzione
alla società ed al territorio, in modo che ci sia un costante
e continuo confronto; pertanto siamo stati felici di collaborare
operativamente e dare il nostro sostegno». Allo stesso
modo, l’innovazione della chat del David è stata presentata
in modo molto entusiastico dal direttore dell’Accademia di
Belle Arti di Firenze Claudio Rocca, che a questo proposito
ha dichiarato: «È stato molto stimolante per i nostri studenti
partecipare a questo progetto e siamo grati alla Galleria
per aver offerto loro questa possibilità. Come istituzione
di formazione artistica ci siamo posti l’obiettivo di favorire
sempre di più un approccio multidisciplinare alla produzione
e divulgazione artistica, perciò crediamo molto nel connubio
tra arte e tecnologia. Continueremo a favorire questo
fortunato incontro attraverso nuovi progetti formativi e di
ricerca, un primo passo è stato compiuto proprio quest’anno
con l’attivazione di un corso triennale in Nuove Tecnologie
dell’Arte». In effetti l’intelligenza artificiale – frutto di
ricerca e innovazione tecnologica e giuridicamente tutelabile
con l’istituto del brevetto per invenzione o attraverso
il diritto d’autore – è divenuta ormai strumento utilizzato
in molteplici e variegati settori, trovando una concreta e
proficua applicazione anche nel campo dello sviluppo della
cultura e della conoscenza artistica. In tale settore l’applicazione
a scopo divulgativo delle nuove tecnologie digitali
può addirittura svolgere un ruolo privilegiato, come sottolinea
la stessa direttrice della Galleria dell’Accademia di
Firenze, Cecilie Hollberg: «Questa esperienza con l’intelligenza
artificiale può essere considerata un primo approccio
oltre che un modo giocoso per attirare l'attenzione di
chi non è solito avvicinarsi all’arte».
Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale
all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista
iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo
Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni
scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie
in materia di Diritto Industriale e d’Autore.
www.studiolegalefittante.it
DAVID DI MICHELANGELO
45
Lorenzo Querci
Il cavallo gigliato, olio su tela, cm 70x100
lore.querci1968@gmail.com
A cura di
Alessandra Cirri
L’avvocato
risponde
L’assegno di mantenimento dei figli maggiorenni
Il principio dell’autoresponsabilità come condizione per corrisponderlo
di Alessandra Cirri
Il mantenimento del figlio maggiorenne è un obbligo che
grava su entrambi i genitori e si protrae fino al raggiungimento
della condizione di autosufficienza economica.
Tra i diritti del figlio maggiorenne rientra anche il mantenimento
diretto, laddove non conviva con un genitore. La legge
non stabilisce un limite di età e quindi l’obbligo persiste
in astratto per tutto il tempo in cui risulti necessario assicurarlo.
L’art. 337 septies cod. civ. stabilisce che “il giudice,
valutate le circostanze, può disporre a favore dei figli maggiorenni
non indipendenti economicamente il pagamento di un
assegno periodico”. In tal modo il legislatore ha previsto che
l’obbligo di mantenimento del figlio maggiorenne non perduri
all’infinito, ma la sua durata deve essere valutata caso per
caso. La questione è stata molto dibattuta in dottrina e in
giurisprudenza, dato che fino ad oggi non c’era un’età oltre la
quale cessava l’obbligo di mantenimento dei genitori. In altre
parole, il genitore separato o divorziato non convivente
con il figlio doveva continuare a corrispondere l’assegno di
mantenimento all’altro genitore anche dopo che il figlio aveva
compiuto i 18 anni e ciò perdurava fino al raggiungimento
da parte del figlio della sua indipendenza economica. Il genitore
obbligato a corrispondere l’assegno, per poter ottenere
l’esonero da tale obbligo, doveva dimostrare che il figlio
era diventato economicamente autonomo, oppure che il figlio
non era diventato autonomo per colpa sua (ad esempio perché
aveva rifiutato un lavoro, ritardato il conseguimento del
corso di laurea prendendosela comoda, abbandonato il lavoro
senza un valido motivo). Con la recente sentenza n. 17183
del 14.08.2020, la Corte di Cassazione ha ribaltato la relazione,
in termini di diritti e obblighi tra genitori e figli, intervenendo
e modificando anche quest’altro versante familiare (come
ebbe a fare con la famosa sentenza Sez. Unite n. 18287 del
11.07.2018 per l’assegno divorzile). Questa volta la Suprema
Corte lo ha fatto anche in maniera ancor più esplicita e decisa,
proponendosi di dettare “in coerenza al proprio compito
di nomofiliachia ex art. 65 ord. giud., alcuni parametri di riferimento
ai fini di uniformità, uguaglianza e più corretta interpretazione
ed applicazione della norma”. La Cassazione
anche questa volta ha sottolineato “il mutamento dei tempi”
e il peso del “principio dell’autoresponsabilità”, onde evitare
forme di parassitismo ai danni dei genitori, sempre più avanti
con l’età. L’autoresponsabilità del figlio si rivela già al mo-
mento della scelta del percorso da compiere: “ex ante, sin
dagli esordi del corso di studi che ha l’onere di ponderare, in
comparazione con le proprie effettive capacità personali, di
studio e di impegno, oltre con le concrete offerte e opportunità
di prestazioni lavorative”, nonché con “le condizioni economiche
dei genitori”. Autoresponsabilità significa che non è
più concepibile il “diritto ad ogni possibile diritto”, il ricorso
all’assistenzialismo, slegato dal dovere, “man mano che l’evoluzione
dei tempi induce ad accentuare i legami tra pretesa
dei diritti e l’adempimento dei doveri, indissolubilmente legali
già nell’art. 2 della Costituzione”. La Cassazione ha ridisegnato
i rapporti fra genitori e figli, orientando i primi verso
processi educativi che valorizzino l’importanza del sacrificio
come mezzo per ottenere una conquista. L’autoresponsabilità
non può che essere frutto, infatti, di un percorso educativo.
La funzione educativa del mantenimento è nozione idonea a
circoscrivere la portata dell’obbligo di mantenimento, sia in
termini di contenuto sia di durata, avendo riguardo al tempo
occorrente e mediamente necessario per l’inserimento nella
società. I genitori hanno l’obbligo di educare, istruire e mantenere
i figli, ma lo specifico obbligo di mantenimento trova
come limite la conclusione del percorso educativo-formativo
che rende esigibile l’utile attivazione del figlio nella ricerca
di un lavoro. La qualità del lavoro, la retribuzione, la stabilità
dell’occupazione non dipendono dal genitore e, come opportunamente
osservato, “non può il figlio di converso, pretendere
che a qualsiasi lavoro si adatti soltanto il genitore”.
Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università
di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione
di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto
di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista
dal 2006.
Studio legale Alessandra Cirri
Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze
+ 39 055 0164466
avvalecirri@gmail.com
alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it
ASSEGNO DI MANTENIMENTO
47
Personaggi
Gualtiero Sbardelli
Poeta e commediografo tra Roma e la Toscana
di Roberto Della Lena
Senza avere la pretesa di tracciare una biografia esaustiva
di Gualtiero Sbardelli, quest’articolo si propone di ricordare
e ricostruire per quanto possibile qualcosa della
sua figura e della sua opera esaminando alcuni testi disponibili
e rileggendo la corrispondenza che tenne con alcuni miei familiari,
in particolare con mia nonna Irma Illuminati Della Lena
(1892-1979), che di Gualtiero era cugina. Sbardelli amava molto
scrivere a parenti, amici e colleghi; purtroppo gran parte di
questa corrispondenza è andata persa. Nacque a Sarteano da
Pietro e Maria Frontini il 24 giugno 1884. Ebbe due sorelle: Ida
e Clorinda. Scrisse fin da giovanissimo numerose poesie in romanesco,
ma anche in italiano formale, commedie, monologhi
e canzoni. Fu artista poliedrico nel mondo del teatro: autore,
attore e persino truccatore, direttore della scuola di recitazione
sarteanese Ars e Labor (ex Nuova Italia). Diresse la rivista
Rugantino e successivamente Lo strillo. Rimasto orfano in tenera
età, fu ospitato presso l’Istituto Tata Giovanni di Roma, dove
restò fino al diciottesimo anno apprendendo la professione
di compositore tipografo. Affezionato e riconoscente per tutta
la vita, presenziò ai convegni degli ex alunni dell’istituto declamando
poesie appositamente scritte come Ricordi de “Tata Giovanni”,
La nostra Sede, Martelliani, Ner V° Annuale de la nostra
Associazione. Queste poesie saranno poi pubblicate nel 1930
nella raccolta Core de “Callarelli”: versi romaneschi. Gualtiero fu
definito “poeta dei callarelli” dal famoso Ceccarius, giornalista
e studioso della romanità. Callarello deriva da “callaro”, ovvero
il grosso recipiente che stava al centro della tavola dei collegiali.
Già nel 1906, venne nominato redattore de Il Rugantino,
rivista che successivamente diresse; molti anni dopo, nel 1937,
scrisse alla cugina Irmina Illuminati Della Lena: «Cara Cugina
[…], a Ilio ho spedito il Rugantino, come avevo promesso. Curioso
che a Sarteano dei giornali che spedisco ne arrivino solo la
metà». Nel 1911 pubblicò il volume di poesie Voci di Roma insieme
ad Augusto Canini e Giuseppe Micheli. Il 1923 fu l’anno
della raccolta di poesie romanesche ed italiane intitolata Sorrisi
e lacrime, con la prefazione di Giggi Pizzirani. Nel 1924 una
sua composizione ottenne la medaglia d’argento al concorso
La notte di San Giovanni. Nel 1930 pubblicò la raccolta di poesie
Core de Callarelli con la prefazione di Giuseppe Colecchi.
Ancora un premio letterario gli fu attribuito nel 1930; lo si legge
in una cartolina postale spedita in quell’anno alla cugina Irma Illuminati
Della Lena: «Cara Cugina, ho molto notato ed apprezzato
il tuo gentile pensiero di inviarmi il telegramma di auguri
nel giorno che Roma mi festeggiava. Il tuo augurio, graditissimo,
mi è giunto proprio nell’immenso ed aristocratico Salone
delle Tre Venezie al momento che le autorità e i giornalisti mi
offrivano il “Callarello d’onore”. Leggerai il resoconto sui giornali.
Ieri stesso ti ho spedito come stampa il volume mio dei
versi in dialetto che ho scritto per l’associazione. Fammi sapere
se lo hai ricevuto. Grazie di nuovo. Saluti a tuo marito e figli.
Gualtiero Sbardelli
Da parte anche di Ida e Clorinda. Un abbraccio dal tuo affezionatissimo
cugino Gualtiero». Nel 1932 pubblicò La Sora Lalla
ha fatto bucia: brillantissima Commedia romanesca in due atti,
probabilmente già rappresentata anche prima della pubblicazione
a stampa in varie città, sicuramente a Roma e a Sarteano
nel 1938. Gualtiero fu sempre legato al suo paese natio Sarteano.
Si ricorda che dopo la rappresentazione al teatro locale Arrischianti,
declamò una simpaticissima poesia in quindici strofe
parafrasando la Divina Commedia. Questo l’incipit: «Nel mezzo
del cammin di nostra vita / ci ritrovammo a cena qui a Sarteano
/ dove una compagnia era riunita / col piatto pieno e la forchetta
in mano». E la conclusione: «Fummo lieti tra amici tra
pulzelle / e poi tornammo… a riveder le stelle». Tra l’incipit e la
fine una serie di strofe ricche di piacevolissime ironia. Ancora
un tributo al suo paese con un sonetto dedicato a due temi cari
ai paesani: una poesia dedicata a La ripresa della Giostra del
Saracino a Sarteano e una Alla campana di Sarteano, perita in
guerra. Quest’ultima recita: «Vecchia e bella campana di Sarteano
/ fusa col bronzo puro e rame e argento, / … / E ti sentiva
ognuno dal Poggione, / Solaia, Baccaciano e Cappuccini, / … /
Suona l’ora e la replica. Per via / quando la sento, in me si ripercuote
/ e mi riempie il cor di nostalgia!». Del 1946 è un sonet-
48
GUALTIERO SBARDELLI
Il sonetto dedicato agli sposi Ilio Della Lena e Delia Rossetti
to su carta pergamena vergato a mano dall’autore per le nozze
dei miei genitori, con la dedica “ai giovani sposi Ilio Della Lena e
Delia Rossetti, benaugurando Gualtiero Sbardelli, zio dello sposo”.
Così recita il sonetto: «Veggo due rose al par di vaghe stelle
che per la via del ciel volgono insieme tra tutti i fiori le più pure
e belle ornan la stanza ove il dolor non geme / Guardar le veggo
il talamo ed in quelle due virtudi ravviso: una è la speme una
la fede. Innanzi ad esse imbella rimane il vizio e mal s’attenta
e freme / È fior la speme o virtuosa sposa nel cor la poni e non
avrai migliore per ingemmarti il sen candida rosa / È fior la fede
e sa il desio brevi ore regna nel cor ov’è la fe’ ritrosa dov’essa vive
non ha morte Amore». Gualtiero Sbardelli scomparve dopo
breve malattia il 10 febbraio 1949. Queste righe sono un modesto
tributo al poeta che sicuramente ben altro e ben più merita,
e sono quindi da considerarsi un punto di partenza per ulteriori
articoli di approfondimento della sua opera.
GUALTIERO SBARDELLI
49
La voce
dei poeti
Le liriche di Isabella Cipriani
di Isabella Cipriani
Squarci netti di cielo e livide rocce
a rammentare fragranza.
Contengo il mare quest’oggi
e quando la luna profuma di Dio,
io trabocco.
isabella.cipriani@yahoo.it
Testi tratti dalla silloge àmina; menzione speciale Premio Internazionale di Poesia e Letteratura Kalos 2021.
50
ISABELLA CIPRIANI
I libri del
mese
Caffè
Il viaggio narrativo di Luca Mazzuoli alla ricerca del senso della vita
di Erika Bresci
Il viaggio (narrativo) alla scoperta dei segreti celati all’interno
di un castello irlandese – inaspettata eredità per
la giovane Sole, bella ragazza segnata da un misterioso
e doloroso passato e da una particolarissima macchia
a forma di “caffè” che le prende quasi tutta una guancia –,
dà vita a un intreccio complesso, ricco di suspense, capace
di unire con un sottile filo rosso-sangue personaggi legati
ad ambienti degradati dominati da criminalità e droga, anime
perse, madri violate nell’essenza stessa della maternità,
uomini che si ritengono falliti da sempre, rampolli di una società
bene che covano in sé tarli di perversione cui si è incapaci
di porre limiti, amici che condividono la semplicità di
un progetto in comune, sogni infranti, morte e possibilità di
riscatto. Chi è Sole? Perché proprio a lei viene “regalato”
un castello? Da dove derivano i suoi frequenti attacchi
di panico? Che cosa la sconvolge nel leggere
su un arco semi diruto del maniero il nome “Glenda”?
La risposta è un vortice infernale che risucchia e forgia
e fa riemergere dagli abissi, racchiuso nelle pagine
di un diario che Sole scova nella parte più infima e
buia del castello, all’interno di uno strano camper nascosto
dietro un muro di mattoni. Il diario appartiene
a Luke, che sembra condividere proprio con lei un
passato di dannazione e orrore, la mostruosità di una
storia che ha allungato i suoi tentacoli fino a coinvolgere
e trascinare all’inferno uomini e donne del tutto
estranei, vittime inconsapevoli di un destino beffardo.
Ma la trama del romanzo ricomposta solo nelle
ultime appassionanti battute – e che qui, ovviamente
non s’intende svelare –, orchestrata in quasi seicento
pagine di continui colpi di scena e in un’infinità di
personaggi minori, vale solo in parte a giustificare il
gusto della lettura – destinata a un pubblico rigorosamente
adulto, per la presenza di un erotismo esplicito,
a tratti morboso, e di scene di violenza da pulp
fiction. Se proviamo a seguire dappresso le vicende e
gli stati emotivi dei protagonisti di questa inquietante
storia – soprattutto Luke, il suo amico “di sangue” James
e Glenda – sembra di percorrere più e più volte i
gradini della scala di Escher: si sale, si scende, si torna
da capo. La spirale esistenziale che li intrappola
ruota su un proprio e singolare fulcro che li imprigiona:
l’inutilità-fallimento (Luke), la perversione-possesso
(James), l’amore-maternità (Glenda). Spirali
che girano a vuoto, a volte così veloci da prendere alla
gola il lettore, altre volte poste sapientemente in
stasi, lasciando la speranza di un varco cui tendere,
fino al nuovo giro, al nuovo precipizio. E quando ormai
il ritmo della giostra pare entrato nelle vene, ecco
la catarsi. Ultimo giro, si scende! Ciascuno a suo modo –
Luke, James, Glenda, la stessa ormai adulta Sole – ritroverà
se stesso nello specchio invertito dell’essere, e darà un senso,
una fine al proprio e diverso romanzo. Una lettura multistrato,
quella di Caffè, che certo può esaurirsi nel semplice,
avvincente incalzare degli eventi narrati, ma che è anche capace
di regalare a chi è disposto a scendere all’inferno per
poi risalire infiniti semi, indizi di una riflessione profonda sul
senso della vita, sul destino, sulle maschere che ci portiamo
addosso, sui lati oscuri e sull’esile fiamma di Bene che cova
come un’araba fenice pronta a cogliere l’occasione di rinascere
presenti in ciascuno di noi, sull’acqua, che purifica e
lava e rende silente il dolore di esistere.
CAFFÈ
51
Personaggi
Edoardo Adacher
Dalla rivista FLOP al Personaggio del Giorno: le sagaci invenzioni di uno
dei massimi esponenti della goliardia a Firenze
di Andrea Cafaggi
Tempo fa ho messo insieme un libretto con certi articoli
che ho scritto nell’arco di vent’anni sui più disparati
argomenti: cronaca, politica, costume, cultura.
Siccome sono un oste, non mi sogno neppur lontanamente di
credermi un vero autore o un giornalista di vaglia. Questi articoli
erano destinati ad un forum gestito e diretto da un mio
amico dei tempi dell’Università, di qualche anno più giovane
di me, Edoardo Adacher. Il forum aveva il nome di FLOP, che
nelle intenzioni del suo fondatore era l’acronimo di Forum Libere
Opinioni Politiche. Simbolicamente invece era, ab ovo,
una profetica presa d’atto di come a questo mondo ogni cosa
prima o poi sia destinata a finire. Per me collaborare al FLOP
rappresentò un’utile palestra di scrittura e, prima ancora, di riflessione
su tanti temi e su tanti aspetti della nostra società.
Ma Edoardo la scrittura ce l’aveva nel DNA e l’aveva coltivata
molto prima e molto meglio di me: lui è forse una delle penne
migliori uscite incolumi dal Liceo-Ginnasio Galileo, che io
stesso avevo frequentato un quinquennio prima di lui, riportandone
seri danni alla mia autostima. Quella di Edo era già
allora, ed è rimasta a mezzo secolo di distanza, una scrittura
da bravo giornalista: concisa – quasi stringata – nella forma
ma ricca nella sostanza grazie ad una estrema precisione
morfologica e semantica. Dunque uno strumento ideale per
descrivere obiettivamente cose e persone, per fotografare la
cronaca e la storia, per investigare le remote premesse di
quel che oggi vediamo in atto ed il seme odierno di quel che
domani sarà. Un linguaggio forse poco incline ai sentimentalismi,
ma intellettualmente e moralmente onesto come il suo
autore. Le cogitazioni di Edoardo, sin dal 2001, hanno trovato
forma e sostanza in una lunga collana di libretti, originali
nella forma e nei contenuti, che ci accompagnano ormai da
vent’anni: oltre che a me sono stati infatti destinati soltanto
ad una piccola cerchia di amici fedeli, e ci sono stati donati,
con cadenza annuale, puntualmente a luglio dell’anno successivo
a quello in cui sono stati composti. Infatti, questi
pamphlet sono nati come diari agostani, cioè scritti nel mese
in cui Edoardo da anni annorum osserva il più assoluto riposo
in un gazebo sugli scogli di Mazara del Vallo e limita le proprie
attività fisiche a respirare e a scrivere. Si dice che gli unici
avvenimenti capaci di scalfire la sua totale concentrazione
sui suoi diari si verifichino, in ordine di importanza: 1) quando
nel suo bicchiere il Negroni scarseggia; 2) quando la grigliata
serale di calamari e gamberoni imperiali tarda ad
arrivare. Ma il materiale per ogni pagina (una per ogni giorno
di agosto) se lo porta dietro dal settembre dell’anno precedente,
sotto forma di appunti vergati con la sua scrittura angolosa
su decine di agende Moleskine con tanto copertina
semirigida nera ed elastico per tenerle chiuse. Un po’ alla He-
Le copertine di alcune delle invenzioni letterarie di Adacher
mingway, se vogliamo trovare illustri predecessori ad ogni
costo; però un Hemingway “de noàntri”. Così, giorno per giorno
e per un solo giorno al giorno, Edo ci conduce, dipanando
un suo filo d’Arianna fatto di ricordi e di pensieri, lungo labirinti
di cui lui solo conosce in anticipo l’uscita: la quale si
concretizza, spesso a sorpresa e proprio all’ultimo rigo, nella
nomina honoris causa di un Personaggio del Giorno, una specie
di santo eponimo ma laico che incorona di sé quella data
particolare. Non vi nascondo che a volte la curiosità mi ha indotto
a barare, leggendo per primi gli ultimi righi proprio per
sapere chi sarebbe stato il P.d.G. di un dato giorno. Siccome,
fra i Personaggi del Giorno e le persone pubbliche o private
(che anno dopo anno compaiono a vario titolo e con diverso
grado di importanza nel libretto) si tratta di quasi duecento
nomi, ecco che Edo li riassume in un indice apposito in fondo
al libretto, con l’indicazione non della pagina, ma del giorno
in cui se ne fa menzione. Talvolta, qualcuno un po’ vanitoso
fra gli Edo-reader va subito a cercare nell’indice il proprio nome
per sapere se quell’anno è stato citato nel libretto, ma si
tratta di casi sporadici. In realtà ogni giornata di quel piccolo
triplice-decamerone è godibile proprio perché imprevedibile,
con la sua carica di suspense che non può e non deve abbandonare
il lettore fino da ultimo. Del resto, anche in un giallo,
52
EDOARDO ADACHER
La piscina del Leone Passante, il b&b di Adacher e di sua moglie in Sicilia
che senso avrebbe leggere subito il finale? Poc’anzi ho detto
vent’anni, ma i P.d.G. che fino ad oggi hanno visto la luce sono
solo 19. Il primo, relativo all’agosto 2001, è stato presentato
a luglio nel 2002 e così via, anno dopo anno, con lo
stesso iato temporale col quale si presenta all’Agenzia delle
Entrate la dichiarazione dei redditi dell’anno precedente. Il
P.d.G del 2019 ha dovuto aspettare il luglio 2021 per poter essere
presentato e distribuito a causa della pandemia che nel
2020 ha imposto la chiusura dei luoghi della tradizione edoardiana
a ciò deputati. Pare che il P.d.G 2020 ancora non sia
stato sottoposto al correttore di bozze, un altro amico intimo
di Edo, al quale, per il suo fisico tutt’altro che minuto, qualcuno
ha affibbiato l’ironico soprannome di Scricciolo. Quando
lo Scricciolo entrerà in possesso delle bozze del P.d.G. 2020,
speriamo che questo ottimo amico
e fine letterato si sbrighi a fare
lo spulcio prima che gli Edo-reader
vadano in crisi d’astinenza …
Altro punto di forza del P.d.G. sta
nelle strepitose copertine del Cece,
a colori fin dal 2009. Il Cece, al
secolo F.S., già pittore ufficiale del
nostro Ordine Goliardico PODVS
(Placido Ordine Della Vacca Stupefatta),
da sempre accompagna
il libretto di Edo con i suoi disegni,
illustrazioni e perfino strisce a fumetti,
che nulla hanno da invidiare
a quelle dei comics più famosi: le
tavole del Cece sono un ulteriore
e lauto valore aggiunto alla prosa
edoardiana. Ma sul Cece torneremo
in un’altra occasione. Quel
che preme dire adesso è che i pri-
Edoardo Adacher con la moglie Cinzia
mi numeri del P.d.G. sono ormai introvabili: il 2001 fu stampato
in bianco e nero in sole 50 copie, il 2002 in 70, il 2003 in
100: una sfida per i collezionisti! Per uno di questi numeri
posso offrire, come cambio alla pari, un numero di ETUD
(Eterno Tema Uomo/Donna), altro divertente opuscolo edoardiano
altrettanto introvabile: per soprammercato aggiungo di
mio una bottiglia di Chianti Classico Villa Calcinaia Riserva
2017 dei Conti Capponi, di cui l’ottimo amico Conte Sebastiano
Capponi, i.G. “Zeba”, mi ha graziosamente locupletato: se
non funziona neanche questo incentivo dovrò concludere che
i possessori dei primi P.d.G. ci tengono più a Edo che a Bacco…
Ora Edoardo risiede per lo più a Mazara con sua moglie
Cinzia, della antica e nobile stirpe degli Adamo, giunti a Mazara
nel 1317 con Giacomo, Cavaliere Gerosolimitano. Edo e
Cinzia hanno profuso ingenti risorse di tempo e di lavoro per
trasformare la residenza di campagna del padre di lei, Quintino,
in un bellissimo bed & breakfast con piscina, idromassaggio
e solarium a disposizione degli amici. Il Pala-Quintino ora
reca il suggestivo nome di Leone Passante (araldica creatura
di cui si fregia lo stemma degli Adamo) e si distingue per l’arredamento
classico e ricercato, per la minuziosa cura di ogni
particolare e per la diffusa presenza al suo interno di opere e
pezzi unici del M.A., il Museo Adacher, frutto di anni di appassionata
ricerca di Edo: sculture, ceramiche, dipinti, libri e rari
cimeli. La cucina, curata personalmente da Cinzia è il più bel
fiore all’occhiello di cotanta bontà e bellezza, densa dei sapori
e ricca dei colori della sua terra. Ideale per grandi e piccini,
il Leone è in posizione ottimale per scoprire le bellezze naturali,
artistiche e storiche di quella parte così affascinante
dell’isola. E, vivaddìo, anche del suo mare, prodigo di delizie
a chilometri tre, ché tale è la distanza fra il Leone ed il porto
peschereccio di Mazara ed il suo lungomare dove si affacciano
i migliori ristoranti di pesce fresco a prezzi sorprendentemente
convenienti. E quale migliore scenografia del gazebo
sugli scogli del mitico Funduq per scrivere, un agosto dopo
l’altro, un nuovo ed atteso capitolo della saga dei Personaggi
del Giorno? Dalla Trinacria è tutto: a voi, Firenze!
EDOARDO ADACHER
53
Il cinema
a casa
A cura di
Lorenzo Borghini
Arancia meccanica
Il capolavoro di Kubrick compie cinquant’anni
di Lorenzo Borghini
A
dicembre 2021 è stato celebrato, un po’ ovunque,
il cinquantesimo anniversario del più scandaloso,
controverso e affascinante film di Stanley Kubrick,
Arancia meccanica. Per l’occasione Warner Bros ne ha autorizzato
un ritorno sul grande schermo come si fa solo
per i film che segnano la storia del cinema. Il film si apre
con lo sguardo di Alex, l’antieroe kubrickiano, il protagonista
del romanzo Clockwork Orange di Burgess, che ci guarda,
con ghigno malefico, da cane rabbioso, quasi a dirci
che assisteremo a qualcosa di tremendo. Siamo in Inghilterra,
in un futuro non troppo lontano; Alex e i suoi drughi
se ne stanno al Korova Milk Bar, con facce interdette e stomaci
pieni di Lattepiù – un mix di latte e mescalina – così
da poter irrobustire corpo e anima per il tanto amato esercizio
dell’ultraviolenza. Alex e i suoi compagni si dilettano
in pestaggi continui, stupri, torture fisiche e psicologiche;
il mondo che li circonda strabocca di violenza da tutti i pori
e loro ne fanno parte, sono figli del dolore della
società che li circonda. Il film di Kubrick è perfetto
dal primo all’ultimo minuto, lo spettatore non ha un
attimo di pausa, tutto si muove a ritmo di musica e
la spirale di ingiustizia e violenza parte da Alex che
commette i crimini più efferati a cuor leggero, felice
e pienamente consapevole di ciò che sta facendo. È
un personaggio spietato ma onesto, non nasconde
mai il piacere che prova nel far star male il prossimo,
pensare e agire sono quindi strettamente legati
da un nodo di purezza e autenticità. La musica,
oltre che da accompagnamento, funge pienamente
da linea conduttrice del film, sarà addirittura un input
scatenante reazioni e azioni da parte di Alex, come
nella fantastica scena lungo i bordi del Tamigi, in
cui il nostro antieroe Alex, sentendosi tagliato fuori
dalla leadership del gruppo, ci confessa in un monologo
interiore che la musica udita da una finestra,
la Gazza ladra di Rossini, gli ha aperto gli occhi: ora
sì che sa cosa fare e allora ciak, azione... ed ecco
partire un ralenti mozzafiato in cui Alex ristabilirà le
posizioni, picchierà i suoi drughi, li ferirà con bastone
e coltello, quasi a marchiare col sangue un segno
indelebile firmato Alex DeLarge. A circa metà film la
spirale si interrompe, arriva ad un punto critico, tutta
l’energia negativa assimilata fino a quel momento
verrà coagulata sul povero Alex che, finito in prigione
e condannato a quattordici anni di reclusione, si
offrirà volontario per la cura Ludovico, un nuovo metodo
studiato dallo Stato, dai medici delle alte sfere,
che sembrerebbe “guarire” i delinquenti dagli impulsi
di violenza. La personalità di Alex verrà annienta-
ta tramite la privazione del libero arbitrio che, come ci dice
il prete, è l’unica cosa che fa di un uomo un uomo. Alex
non potrà più produrre violenza, ma neanche ribellarsi alla
violenza stessa, non avrà più capacità di autodifesa in un
mondo che si dimostra più violento di Alex stesso. E allora
eccoci arrivare al momento catartico, al ritorno della forza
sprigionata da inizio film che, come un fulmine, piomberà
sul nostro “affezionatissimo” trascinandolo in un vortice di
soprusi a cui non potrà opporsi. Kubrick nel 1971 – quasi
dieci anni dopo il magnifico romanzo di Burgess – si prende
sulle spalle il peso di trasporre un testo complesso, dal
linguaggio immaginifico e sperimentale, consegnandoci
un film dalla potenza disarmante, una sinfonia in immagini
con protagonista una perfetta arancia meccanica, un frutto
morbido all’esterno – perché costretto ad esserlo – ma duro
all’interno, meccanizzato e composto da ingranaggi che
nessuno vorrebbe avere, perché difficili da digerire.
54
ARANCIA MECCANICA
Mostre in
Italia
Passo a due
A Borgo Valsugana il dialogo artistico tra Cristina Moggio e Riccardo Schweizer
di Barbara Santoro
Conosco Cristina Moggio da qualche anno. La sua
solarità mi ha subito conquistato. Poi ho scoperto
anche la sua sensibilità pittorica ed ho scelto per
questo di esserle amica. Nata a Borgo Valsugana, in Trentino,
Cristina Moggio custodisce dentro di sé tutta la bellezza
di quelle vallate che in un giorno di sole le hanno disegnato il
bel viso. Cresciuta lungo il Moggio, da cui ha preso il cognome,
da bambina giocava con le limpide acque del torrente,
manipolando sabbie e pescando pietruzze colorate rese lisce
dall’acqua. L’amore per la natura e la sensibilità giovanile si
sono poi rafforzati col tempo, fino a renderla l’ottima pittrice
di oggi. Negli anni Ottanta, conosce l’artista trentino Riccardo
Schweizer, pittore, scultore, fotografo e designer, autore,
tra l’altro, del dipinto San Lorenzo in gloria realizzato nel 1945
per il Comune di Borgo Valsugana. Schweizer, assistente di
Bruno Saetti, frequentava le avanguardie veneziane e conosceva
molte personalità di quel periodo. Nel 1950, decide
di recarsi in Francia dove incontra Picasso, Chagall, Léger,
Cocteau, Campigli e Le Corbusier. Nel 1958 il Museo Picasso
di Antibes gli dedica una mostra personale insieme a David
Orler. Dal 1960 si stabilisce in Costa Azzurra e comincia
a realizzare grandi opere murali per l’Istituto Editoriale di Milano
e per due alberghi di San Martino di Castrozza. Con un
pannello in ceramica progettato per le Terme di Levico, inizia
la sua collaborazione con la ceramica Pagnossin di Treviso
con la quale lavorerà fino al 1977. A San Michele all’Adige si
trova il famoso ristorante “Da Silvio” interamente decorato da
lui e considerato un gioiello del patrimonio culturale del Tren-
tino. La sua vita,
costellata di mostre,
premi e riconoscimenti
come
il titolo di Cavaliere
della Repubblica
conferitogli da
Azeglio Ciampi,
si è conclusa nel
2004, all’età di settantanove
anni. A
distanza di molto
tempo, Cristina
Moggio ha voluto
omaggiare questa
amicizia con una
mostra che l’ha
vista esporre insieme
a Riccardo
Schweizer a Bor-
Opera in mostra eseguita a quattro mani dai due
artisti nel 1999
Cristina Moggio con Riccardo Schweizer
go Valsugana. Intitolato Passo a due, l’evento si è svolto dal
5 dicembre 2021 al 9 gennaio 2022 allo Spazio Klein del comune
trentino. Seppure assai diverse, le loro visioni artistiche
si rivelano affini nella ricerca cromatica. Cristina Moggio
racconta un suo diario personale, in cui riaffiorano motivi e
sentimenti di un vissuto sereno ma con pulsazioni e frenate,
accelerazioni e pause che non possono lasciare indifferenti.
Superbi i suoi totem coloratissimi: frammenti di alberi
abbandonati che avrebbero finito col marcire e che invece riacquistano
nuova vita nei suoi quadri. Riccardo Schweizer fa
vedere, invece, come i ricordi trasferiti nel suo lavoro, sia su
tela che nella ceramica, siano legati ad emozioni del passato
vissuto tra varie esperienze pittoriche, cubismo, surrealismo,
espressionismo. Nessun schema preordinato ma sensazioni
interiori che rivelano una padronanza da grande artista. Un
sodalizio che vede la presenza in mostra anche di lavori eseguiti
a quattro mani, con opere pittoriche, gioielli, progetti e
interventi di entrambi i protagonisti su capi di abbigliamento
e tessuti.
PASSO A DUE
55
Civita Centola
I volti della storia
Ritratto di Cosimo de’ Medici, olio su tela, cm 60x40
civitinacentola@gmail.com
Ritratti
d’artista
Bruno Becattini
Scomparso di recente, ha raffigurato in pittura la bellezza
della natura incontaminata
di Doretta Boretti
Non puoi smettere
di dipingere,
il mondo
ha ancora bisogno
della tua arte. Questo
il pensiero che all’improvviso
è nato nelle
nostre menti alla notizia
dell’addio di Bruno
Becattini. Seduto
ad un tavolo, da poco
sparecchiato, accanto
ai suoi cari, con un
blocco bianco di carta
da disegno tra le mani,
in un attimo, prima
di lasciarci, ha tracciato
uno stupendo
volto di Gesù. È stato
l’ultimo saluto all’arte
che lui ha così tanto
amato. Quella natura
dipinta in centinaia
di quadri, quelle straordinarie
conchiglie,
quella frutta così viva,
così vera, lievemente
appoggiate su una
spiaggia finalmente
“incontaminata”,
e quel quieto mare
che continua a scorrere,
indisturbato, ma
adesso, “eternamente
nuovo”, solo per lui.
Bruno vive e vivrà oltre
il presente, le sue
opere continueranno
a raccontare la sua
bravura, ma anche la
sua grande umiltà, la
sua incredibile generosità
e la sua infinita
bontà. Arrivederci
caro amico del “per
sempre”, in quell’immenso
universo che
non potrà mai finire.
BRUNO BECATTINI
57
Concerto in
salotto
A cura di
Giuseppe Fricelli
Rubinstein racconta un concerto
davvero speciale…
di Giuseppe Fricelli
Una volta, il famoso pianista Arthur Rubinstein raccontò
un divertente episodio capitato durante la sua
lunga carriera artistica. Quando era giovane il maestro
fu invitato in una meravigliosa villa di una nobildonna a
tenere un concerto per una serata musicale privata. Il cachet
che gli era stato offerto era ottimo. Giunto nel grande e lussuoso
salotto dove si doveva svolgere il recital, Rubinstein
vide che il pianoforte era stato collocato di fronte a pesantissime
tende di broccato chiuse. Nell’ambiente non vi era
nessuno ed il maggiordomo pregò il pianista di dare inizio al
concerto. Mentre l’esecutore suonava pagine di Chopin, Rubinstein
sentiva giungere da dietro le tende mugolii insistenti
e felici. Il concerto si svolse solo alla presenza del cameriere
che al termine di ogni brano riempiva all’esecutore un calice
di ottimo champagne. L’artista suonò con impegno. Terminata
l’esibizione, il maggiordomo tirò le tende di broccato. Dietro
vi era la nobildonna sdraiata su un letto con un giovane ed
aitante amante. Rubinstein raccontò: «Avevo inconsapevolmente
fatto sì, con la mia esecuzione, che la padrona di casa
raggiungesse le più alte vette della felicità sessuale».
Arthur Rubinstein
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
58
ARTHUR RUBINSTEIN
Ritratti
d’artista
Gloria Campriani
L’arte di annodare il filo per dare forma ai pensieri
di Serena Gelli
L’artista certaldese Gloria Campriani usa il filo nelle
sue opere per dare forma ai propri pensieri. Per
lei il filo è simbolo di connessione, contaminazione
e legame tra gli eventi. La sua ricerca si basa spesso
sull’interazione fra l’individuo e il gruppo, con risvolti
nell’ambito della psicologia sociale. Formatasi nel laboratorio
artigianale tessile di famiglia, ha collaborato per anni
con i migliori marchi dell’alta moda internazionale. I suoi
primi maestri vanno cercati infatti fra i designer con i quali
è entrata in contatto durante la sua attività professionale,
inclusi stilisti come Versace ed Ermanno Scervino. Queste
esperienze sono state determinanti nella scelta del filo come
uno degli strumenti principali del suo percorso artistico.
La sua formazione multidisciplinare passa attraverso
lo studio delle lingue, la pedagogia, il teatro e l’arte, frequentando
corsi presso varie accademie. Il suo riferimento
è la corrente della Fiber Art, alla quale si ispira per la
tecnica off loom, ovvero l’annodamento a mano del filo,
senza l’uso del telaio. La Campriani, infatti, non si serve di
alcuno strumento per creare le sue opere, ma soltanto delle
mani, come dimostra in molte performance. Le sue col-
laborazioni con critici, direttori artistici e curatori hanno
dato luogo a mostre personali e collettive presso sedi istituzionali,
gallerie d’arte, università e musei. Si ricordano
in particolare: Magazzini del Sale (Siena); Museo Marino
Marini (Pistoia); Museo Nazionale di Palazzo Reale (Pisa);
Museo Archeologico Nazionale (Firenze); Museo Piaggio
(Pontedera); Museo degli Innocenti (Firenze); Biblioteca
Nazionale Centrale (Firenze); Fortezza da Basso (Firenze);
Institut Culturel Italien (Marseille); Consiglio della Regione
Toscana; Galleria Foyer (Firenze); Galleria 3D (Mestre);
Chiesa di Santa Maria Novella (Firenze); Palazzo Medici
Riccardi (Firenze); Basilica di San Francesco (Siena); Santa
Chiara (Siena); Palagio di Parte Guelfa (Firenze); Palazzo
Vecchio (Firenze); Palazzo Ca’ Zanardi (Venezia);
Museo Benozzo Gozzoli (Castelfiorentino); Palazzo Pretorio
(Certaldo); Istituto Italiano di Cultura a Praga; Palazzo
Ducale (Genova); Museo MART (Rovereto); Centro per l’Arte
Contemporanea “Luigi Pecci” (Prato); Museo Novecento
(Firenze), Museo CAMEC (La Spezia).
www.gloriacampriani.com
Gloria Campriani con una sua opera
GLORIA CAMPRIANI
59
Bria Marilinda scultrice
Home
Stylist
Con il termine Home Styling
si intendono tutti quegli interventi
che, attraverso l’uso di
colori, materiali, luci e arredi,
ridanno nuova vita agli spazi
abitativi, coniugando funzionalità
e personalizzazione
degli ambienti.
www.marilindabria.com
gioiello1962@gmail.com
+ 39 339 4614511
La voce
dei poeti
Le liriche di Gabriella Gentilini, poetessa
e storica dell'arte
di Lucia Raveggi
Nata a Firenze, Gabriella Gentilini è laureata in Lettere. In
qualità di storica dell’arte si occupa dell’organizzazione
e presentazione di mostre. Ha collaborato con importanti
istituzioni ed ha seguito molti artisti curandone mostre
e cataloghi. Innumerevoli le pubblicazioni realizzate, tra volumi,
monografie, articoli per riviste, saggi, prefazioni e racconti. È Accademico
d’Onore dell’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze,
dove ha curato diverse mostre. Nel 2015 ha costituito il
Centro Studi Leda e Gabriella Gentilini in memoria della mamma
Leda che le è sempre stata al fianco e del padre Giulio. Ha
realizzato uno spazio (lo Studiolo) adibito a biblioteca e ad ospitare
mostre ed incontri, dove fino al 2019 sono state allestite
Pioggia d’inverno
Esili rami spogli
protesi al cielo
la pioggia lieve
veste di perle.
Tesoro d’un giorno.
numerose mostre personali e
collettive di importanti maestri.
Nel 2019 al Centro Studi Leda e
Gabriella Gentilini è stato conferito
il Premio Toscana TV Incontri
con l’arte. In rari, particolari momenti,
Gabriella affida alla poesia
stati d’animo, ricordi, sguardi critici
o ironici sulla realtà.
www.centrostudigentilini.it
info@centrostudigentilini.it
Al tempo
Assopita vaga la mente
e stanco il corpo l’accompagna.
I giorni compiuti
spargono
un velo di ricordi.
Sorrisi inattesi
spengono
il fuoco dei rimpianti.
Ruba il vento
nella notte
al tempo definito.
Gabriella Gentilini
Vita di web
Beati voi
che non avete niente da fare
e state giorno e notte
a spippolare.
Se uno vi parla
non lo state ad ascoltare,
se vi chiama
non lo andare ad aiutare.
Perché... perché...
Perché dovete ciattare
perché dovete postare
perché dovete sparare
minchiate planetarie.
Ma
la lavatrice chi ve la fa...
lavare i piatti: ci pensa mammà
fare la spesa: chissà chi la fa...
Vita di web... vita di web... vita di web!
Chinàti verso i ginocchi
nessuno vede i vostri occhi,
non vede il vostro viso
né la luce di un sorriso.
Siete del tutto assenti
persino nei sentimenti.
Non vi staccate mai
finché non avete un like.
Perché... perché...
Perché dovete ciattare
perché dovete postare
perché dovete sparare
minchiate planetarie.
Ma
le commissioni chi ve le fa...
a cucinare: ci pensa mammà
a lavorare: chissà chi ci va...
Vita di web... vita di web... vita di web!
GABRIELLA GENTILINI
61
I libri del
mese
Terra e Segni
Emilio Carvelli e Lucio Bussolini sulle tracce dell’uomo nel
grande libro del creato
di Erika Bresci
Con le sue trentaquattro pagine di parole e immagini
fotografiche, Terra e Segni è un libro da decantare
con calma, sorbendone a piccoli sorsi il senso,
permettendo all’occhio e all’orecchio di assaporarne il
gusto del particolare prima di procedere oltre. Un canto
ancestrale si leva piano seguendo le cicatrici della terra
immortalata nel bianco e nero dei suoi ricami di linee incomprensibili
e misteriose, dilaga nelle ombre e nei contrasti
di luce di un terreno a riposo, nel quale la presenza
dell’uomo manca in forma fisica ma si percepisce nelle
forme modellate delle zolle, dei filari, delle siepi, finanche
dei tralicci della luce, delimita confini e si apre all’infinito,
coniuga profondità e altezza, morbidezza e ruvidità, geometrie
e elementi inattesi. E all’armonia essenziale delle
linee e dei chiaroscuri fa da controcanto – tempo che
si sposa allo spazio – la voce del poeta, figlia anch’essa
di cicatrici e confini e forme e luci e ombre millenari, che
ambisce a recuperare quell’attimo primigenio e puro, a riconoscere
di nuovo «i rapporti spirituali dell’universo creato».
La rivelazione di ciò che da sempre è nudo, sotto i
nostri occhi, ci svela Bussolini, può avvenire solo liberandoci
dagli orpelli e dalle incrostazioni che ci impediscono
di vedere. Nel quotidiano svolgersi degli eventi occorre allora
ritrovare una lente diversa
– come può essere una
lama di ghiaccio attraverso
cui si osservano le figure –
per scoprire la sostanza vera
dell’universo creato. Ma non
è solo il riconoscere il creato,
osannarne la perfezione,
mi sembra, l’intento di Terra
e Segni. Non è riscoprire una
semplice – nel senso di pura
non di superficiale, è ovvio –
contemplazione adamica di
un Paradiso terrestre ormai
definitivamente perso. Perché,
così come la terra silenziosa
e priva della concreta
presenza dell’uomo lascia
intravedere nelle immagini
fotografiche la sua operosa
attività, così in Suggestioni,
che apre lo scandire del discorso
lirico, l’uomo è colto
nel suo essere parte del cre-
ato, nel gioco di scambi, nella reciprocità delle rispettive
caratteristiche e identità in cui è possibile leggere metaforicamente
l’universo, gli elementi, gli esseri animati.
L’uomo è il creato. La terra è l’uomo. Le stesse cicatrici,
le stesse ombre, i medesimi tempi di attesa, gli identici
orizzonti da esplorare, lo stesso anelare alla vita. E anche
la stessa luce, nata dal contrasto con il buio, con le ombre.
Perché solo attraverso la notte si può raggiungere la
luce. Scrive Carvelli nel breve testo a conclusione del libro:
«Nel tempo qualcosa mi ha spinto ad andare oltre
la rappresentazione oggettiva di una scena e così ho iniziato
a cercare dentro di me qualcosa che mi rappresentasse.
Quello che cercavo l’ho trovato nei campi e sulle
colline del pisano, Santa Luce e Orciano Pisano, mi sono
entusiasmato nel vedere la lavorazione della terra e quei
segni che i contadini fanno sul terreno. Un vero interesse
hanno suscitato in me quei solchi e quei segni, io non
so bene perché li fanno, ma per me va bene così». Un po’,
questo, vale anche per le cicatrici e i solchi che ci portiamo
sulla pelle: pur non comprendendone spesso il senso,
fanno parte di noi, della nostra storia, dei nostri giorni. Se
siamo quello che siamo, lo dobbiamo anche ad essi. E va
bene così.
62
TERRA E SEGNI
A cura di
Antonello Venticinque
Andar per
mare
Andar per mare
Al via una nuova rubrica per conoscere
meglio il variegato mondo della nautica
di Antonello Venticinque
Obiettivo di questa nuova rubrica è consentire a chi legge
di potersi districare meglio nel variegato ed articolato
mondo della nautica da diporto e non solo,
ponendo anche quesiti ai quali cercherò di rispondere. Meglio
orientarsi su una barca a motore o a vela? Natante piuttosto
che imbarcazione? Con bandiera italiana o straniera? Barca
marcata CE o non CE? Con scafo in legno o vetroresina se non
in altro materiale (lega leggera, composito in carbonio, in sandwich
o addirittura in fibrocemento)? Sono queste alcune delle
domande che mi vengono rivolte da chi è intenzionato ad acquistare
una barca per trascorrere qualche ora spensierata sul
mare o un lungo periodo di vacanza. E ancora, nel caso di “barca
a motore”, meglio con propulsione ad eliche subcavitanti o
di superficie o con gruppi entrofuoribordo, se non proprio con
motori fuoribordo amovibili? O addirittura più raramente con
idrogetti? Mentre invece, quando si tratta di una “barca a vela
con motore ausiliario”, meglio la trasmissione con l’ormai tanto
di moda saildrive o i più tradizionali asse ed elica a pale pieghevoli?
Insomma, tanti gli interrogativi che possono nascere,
anche se nelle costruzioni nautiche, e più in generale nell’intero
comparto dell’ingegneria navale, non esistono verità assolute.
La risposta è una sola: dipende. È tutto un compromesso,
un insieme di pro e contro che vanno attentamente esaminati,
studiati e posti tra loro in correlazione per le diverse esigenze
di ciascun acquirente-utilizzatore. Sarà solo alla conclusione
dell’intero processo di analisi (possibilmente supportato da
consulenti ed esperti di fiducia che sapranno scoprire eventuali
“vizi occulti” talvolta presenti anche nelle barche con marchio
più prestigioso ed in apparente ottimo stato di conservazione
per ottenere il giusto “sconto” dall’iniziale prezzo di vendita)
che ciascuno potrà infine dire: «Ecco, ho trovato finalmente la
barca perfetta per le mie esigenze, pagata il giusto prezzo e
che comporta i giusti costi di esercizio, manutenzione e rimessaggio
futuri». Va detto che nel mondo della nautica è invalso
il seguente motto: «Il più bel giorno fu quando la comprai ma
mai ci fu più bel giorno di quando finalmente la rivendetti». Le
barche sono come le donne (o gli uomini se il diportista appartiene
al gentil sesso): dispensano gioie e dolori. Non per nulla
gli inglesi, che indubbiamente di barche se ne intendono, attribuiscono
a questi bellissimi “oggetti del desiderio” (alias “giocattoli
da adulti”) il pronome personale femminile “she” (“lei”
in inglese) e non il neutro “it” perché le considerano come delle
persone dotate di un’anima. Ecco perché cambiare nome ad
una barca è pericoloso: potrebbe prendersela a male e vendicarsi,
proprio come potrebbe fare un essere umano. E vi assicuro
che la “vendetta” di una barca in navigazione, magari con
condizioni meteo avverse, è una cosa da non augurare neanche
al peggior nemico.
Ingegnere navale e meccanico, Antonello Venticinque è esperto
nautico e perito di varie compagnie assicurative italiane ed
estere, consulente e progettista di rinomati cantieri navali della
Toscana, oltre che ispettore e tecnico qualificato RINA (Registro
Italiano Navale) in operatività all’ispettorato RINA di Livorno.
ANDAR PER MARE
63
Sapori di
Toscana
A cura di
Filippo Cianfanelli
Ristorante Retrò
All’interno del Gran Caffè San Marco
la storia incontra l’alta cucina
Testo e foto di Filippo Cianfanelli
A
Firenze tutti conoscono il Gran Caffè San Marco, luogo
di ritrovo fondato nel 1870 come Caffè Fanti, dal nome
del generale Manfredo Fanti la cui statua campeggia al
centro di piazza San Marco. Non appena questa statua, realizzata
da Pio Fedi, venne inaugurata, con il generale avvolto nel
mantello ma a testa scoperta, un anonimo fiorentino scrisse
una curiosa poesia paragonandola alla statua di Pirro sotto la
Loggia dei Lanzi, opera dello stesso autore: «Col vento che qui
spira tutto l’anno / lei, generale, piglierà un malanno; / per evitare
un raffreddor di testa / guardi se Pirro un po’ l’elmo le presta.
/ E lei, per far le cose da cristiano, / gli presti un pezzettin del
suo pastrano». A quei tempi lì vicino si trovava il Ministero della
Guerra quando Firenze viveva il suo ultimo anno come capitale
d’Italia e il locale era la meta preferita dei ministeriali come
poi lo sarà dei militari della Regione Tosco Emiliana e naturalmente
di tutti coloro che si recavano alla Corte d’Appello di via
Cavour. Oggi i frequentatori sono soprattutto i tanti professionisti
che hanno gli uffici nella zona, oltre ai numerosi turisti che
si fermano per una prima colazione o un veloce pranzo. Proprietario
del locale Gualserio Zamperini, console generale della
Tunisia a Firenze, da decenni nel campo della ricezione alberghiera
e della ristorazione. Dal novembre 2021, all'ora di cena, i
locali del Caffè si trasformano, cambia l’intero staff della cucina
e il locale diviene come per magia un ristorante di alto livello,
il Ristorante Retrò. Numerose sale e salette sono arredate in
stile eclettico, con curiosi oggetti d’epoca molti legati al mondo
della musica o alla cucina delle bambole, oltre a stupende
porcellane Ginori Art Decò. Un grande Giardino d’Inverno è la
sala più spaziosa del ristorante, con una gradevole mescolanza
di grandi piante esotiche e le pareti coperte da un mosaico
di piante artificiali che rendono l’ambiente veramente unico. Gli
altoparlanti diffondono in tutte le stanze una gradevole musica
swing anni Quaranta, in perfetta sintonia con il nome del ristorante.
Il locale si presta anche a prestigiose cene aziendali e
Fassona al coltello con insalatina e pane croccante
Il Giardino d’Inverno
talora vengono anche organizzate delle cene a tema o vi si svolgono
eventi artistici accompagnati da degustazioni. Il maître è
Francesco Altomare, un grande professionista che avevo avuto
già modo di conoscere anni fa in un altro ristorante fiorentino
e che in passato ha lavorato in prestigiosi ristoranti italiani
e stranieri. La scelta dei piatti è piuttosto ampia e anche il rapporto
qualità prezzo è veramente ottimo. Interessante anche
il menù degustazione con cinque portate al prezzo di 45 euro.
La carta dei vini permette di scegliere bottiglie per tutte le tasche,
con etichette molto particolari, talora davvero di nicchia.
Preziosi i consigli del maître per i corretti abbinamenti. Ho voluto
assaggiare soprattutto i piatti che più mi incuriosivano e
l’aspettativa non è stata certo delusa. Fra gli antipasti ho particolarmente
apprezzato l’ottimo salmone marinato con fave di
cacao, accompagnato da maionese al ginger e sottili verdure
croccanti. A tavola anche l’occhio vuole la sua parte e il massimo
è stata la presentazione di una battuta di fassona al coltello,
presentata su uno strato di insalata di puntarelle alla romana
e accompagnata da artistici crostini di pane croccante con insalatina.
Ottimo anche il flan di carciofi morelli accompagnato
da una fonduta di parmigiano reggiano di 36 mesi. Fra i primi
piatti nessuno è stato banale e anche dei semplici cappellacci
al sugo sono stati resi unici dal ripieno di cavolo nero con
ricotta di pecora e dal condimento costituito da un ragù di anatra.
Coraggioso l’accostamento fra porcini e mirtilli come condimento
di un pregiato risotto Carnaroli, come pure una crema di
zucca con code di gamberi e olio al nero di seppia. Veramente
ottime le linguine di Gragnano con bottarga di muggine e squisito
Katsuobushi, il tipico ingrediente della cucina giapponese
a base di tonnetto essiccato e finemente grattugiato. I numerosi
secondi spaziano dalla classica bistecca cotta su brace d’ulivo
ad un’originale guancia di manzo cotta a bassa temperatura
accompagnata da patate mascè, un contorno ormai introvabile.
Ho voluto provate il curioso accostamento fra delle crocchette
di baccalà e una piccante salsa alla carrettiera. Come pure un
delicato coniglio porchettato con castagne e salsicce accompagnato
da una riduzione al Chianti. Confesso che una volta
giunto al dessert ho voluto provare solo il tiramisù, nella versione
classica e in una versione rivisitata con guarnizione di
marron glacé, e anche questa è stata all’altezza di tutto il resto.
Veramente un locale dove tornare in compagnia di amici,
una gradita sorpresa nel vasto panorama dei ristoranti cittadini.
64
RISTORANTE RETRÒ
I libri del
mese
Solo con te mi sento viva
L’amore come percorso introspettivo nel romanzo di Elena Marceddu
di Erika Bresci
Azzurra e i suoi sedici anni che valgono una vita intera.
E una solitudine profonda che nasce dal sentirsi
non amata. Né dalla madre, con cui divide casa
e spazi vitali ingombrati dalla presenza di ospiti sgraditi –
il nuovo compagno di lei e i suoi piccoli, pestiferi figli –,
né dal padre, presenza assente da sempre. Azzurra, che
ha imparato presto a “fare da sé”. Tanto che, per mantenere
una sua autonomia, dopo la scuola si rimbocca le maniche
e lavora nel ristorante di Giulio e Caterina, due care
persone, genitori, loro sì, di un ragazzo ormai grande che
ha da tempo spiccato il volo fuori dal nido. Azzurra, che ha
una amica sola ma speciale, con la quale condivide sogni
e progetti, e anche la famiglia, quando il dolore di sentir-
si soli si fa troppo grande. Poi, un giorno, casuale, l’incontro
con due occhi verde smeraldo… occhi di un angelo di
carne, caduto in terra per restarle accanto, per farle vedere,
proprio attraverso quegli occhi, verità altrimenti coperte
dalla foschia del rancore e della rabbia, per farla sentire
importante, vera, unica, bellissima nella sua perfetta imperfezione.
Gli occhi di Leo, il suo cuore che nasconde un
dolore immenso, che solo Azzurra, per altre vie, in altro
modo potrà in parte sanare. Solo con te mi sento viva è un
romanzo che intreccia con la leggerezza di una storia d’amore
temi di estrema profondità. Quello della genitorialità,
ad esempio, vissuta – e non vissuta – nelle sue tante
diverse sfaccettature, problematicità, prospettive. Quanto
è difficile essere genitori! L’essere padre, madre
si può imparare? Basta il cuore, il sangue?
Esistono “schemi” che permettono un reciproco
comprendersi oppure il rapporto genitori-figli è
un qualcosa da costruire, da rinnovare, reinventare
ogni giorno? E poi l’adolescenza, in tutta la
sua fragile bellezza e sofferenza. Più volte, nel
corso della storia, Azzurra dice di se stessa “sono
sbagliata”, si chiede “in cosa ho sbagliato?”,
concentrando in questo nocciolo di frustrazione
una sostanziale incapacità di muovere un passo
in avanti, chiudendosi in una trappola di insicurezza
e testardaggine che spesso la lascia
senza respiro, precludendole sostanzialmente
una via d’uscita. Età di passaggio, di crisi – nel
senso greco di “separazione”, “scelta” –, l’adolescenza,
che spoglia la crisalide e la rende farfalla
dalle ali d’oro o povera, triste falena, età mai
come adesso difficile da vivere, quando anche
la bussola delle comuni certezze sembra impazzita.
L’amicizia, anche. Che “è un rapporto d’amore”,
quando è vero. Importantissimo sempre,
indispensabile nell’età difficile. Infine il destino.
Che nel romanzo prende le metaforiche sembianze
di un treno. Su cui si sale ogni mattina,
dal finestrino del quale si intravedono paesaggi
e case altrui, vite che scorrono, binari che si
perdono all’infinito, dal quale niente si pretende
di diverso da quanto scorto il giorno prima ma
che in un istante è invece capace di sconvolgere,
procurando quell’incontro che cambierà l’intera
esistenza. Un romanzo, Solo con te mi sento
viva, che proprio per la molteplicità dei punti di
vista, dei temi, dei protagonisti raccontati può
toccare il cuore e entrare nel profondo di un vasto
ed eterogeneo pubblico di lettori.
ELENA MARCEDDU
65
Romano Dini
Scultura esposta al Grand Palais di Parigi in occasione di Art Capital 2018
www.diniromanosculture.it
info@diniromanosculture.it
A cura di
Franco Tozzi
Toscana
a tavola
Zuppa inglese: un dolce dalle origini misteriose
di Franco Tozzi
Molte sono le leggende popolari che circolano sull’origine
della zuppa inglese, famoso dolce che venne
codificato da Pellegino Artusi nel suo intramontabile
ricettario. Un dolce versatile che viene adattato a seconda
dei gusti, conservando sempre lo stesso nome. Alla fine
dell’Ottocento la sua presenza è nota in Toscana, Emilia-Romagna
e Marche. I marchigiani la chiamavano così perché i
biscotti ben intrisi di liquori o vini aromatici o dolci erano paragonati
agli inglesi, conosciuti come forti bevitori di questi
alcolici. Per i fiorentini, il dolce ed il nome derivano dall’uso
degli inglesi di prendere il tè o degustare vini dolci o aromatizzati
accompagnandoli con pasticceria secca: le donne a servizio
recuperavano i biscotti non consumati, i liquori avanzati e
La ricetta: zuppa inglese
Ingredienti:
- latte 5 dl
- zucchero 85 gr
- farina 40 gr
li mischiavano con cioccolato o crema, mangiando quindi una
zuppa con gli avanzi degli inglesi. Altri riferimenti storici si rifanno
addirittura a dolci presenti sulla mensa dei reali inglesi
fin dal Seicento,
dove veniva servito
un dolce a
base di un particolare
pan di
Spagna bagnato
con vini liquorosi
e coperto con
crema, panna ed
altri ingredienti.
- 4 uova
- pavesini 140 gr
- 1 bustina di vanillina
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
Mischiare lo zucchero con i rossi d’uovo, aggiungere
la farina ed infine il latte a “filo” (lentamente). Quando
il miscuglio è pronto, metterlo a fuoco medio, girando
con un mestolo di legno, sempre nello stesso verso
e con lo stesso ritmo: ogni variazione può creare dei
bozzoli di farina che rovinano la crema. Girare fino a
farla assodare, poi levarla e lasciarla raffreddare. Per
quanto riguarda il “supporto”, in tante ricette si parla
di savoiardi. In questo caso, invece, utilizzeremo i pavesini,
sia perché, anche se bagnati nel liquore, restano
rigidi quando vengono composti per creare la base,
sia perché, essendo più sottili, lasciano maggiore spazio
alla crema. Munirsi di uno stampo alto e scannellato,
ungerlo con il burro e creare la base, inzuppando
i pavesini nell’alchermes e foderando con questi anche
tutto lo stampo. Iniziare poi stendendo un primo
strato di crema alternato ad uno di pavesini, sempre
inzuppati nel liquore, fino a riempire lo stampo; la chiusura
sarà sempre con i pavesini inzuppati. Lo stampo
“scannellato” può favorire la fantasia perché consente
di alternare, nelle scanalature e negli strati, pavesini
inzuppati nell’alchermes a pavesini inzuppati nel caffè,
nello strega, nel maraschino, etc., dando così una colorazione
variegata alla zuppa una volta tolta dallo stampo
e servita in tavola. Per rendere ancora più goloso il
tutto, è possibile unire alla crema delle gocce di cioccolato
fondente, altra alternativa ad un dolce eccezionale
per semplicità e gusto.
ZUPPA INGLESE
67
Rita Brucalassi
Le suggestioni del paesaggio
Tramonto su Punta Ala, acrilico su tela, cm 60x80
Rita Brucalassi
Via Emilio Bicocchi 1 / 58022 Follonica (GR)
+ 39 3331612980
rita.brucalassi@libero.it
A cura di
Stefano Marucci
Storia delle
religioni
La cacciata degli angeli dal Paradiso
di Stefano Marucci
Su questo numero la pittrice Maria Lorena Pinzauti
Zalaffi, già protagonista di altri articoli della stessa
rubrica, presenta l’opera La cacciata degli angeli
ispirata alle parole del profeta Isaia: «Come mai sei caduto
dal cielo, Lucifero, figlio dell’aurora? Come mai sei
stato steso a terra, signore di popoli? Eppure tu pensavi:
salirò in cielo, sulle stelle di Dio innalzerò il trono, dimorerò
sul monte dell’assemblea, nelle parti più remote
del settentrione; salirò sulle regioni superiori delle nubi,
mi farò uguale all’Altissimo. E invece sei stato precipitato
negli inferi nelle profondità dell’abisso». Dalla Bibbia
sappiamo che Dio ha creato prima gli angeli e poi il
cosmo. Il mistero della creazione giunge al culmine con
la creazione dell’uomo che, in quanto essere intelligente
e libero, è in grado di attribuire significato al mondo
materiale. Gli angeli, invece, creati da Dio al vertice della
perfezione, sono dotati di bellezza, bontà e splendore.
Nonostante questo, alcuni di loro si sono ribellati a Dio,
com’è avvenuto con Satana. Ma chi è Satana? La tradizione
rabbinica asserisce che era lo spirito di maggior importanza
davanti al trono di Dio, dotato di dodici ali, ossia
del doppio di quelle degli stessi serafini. Dio non ha creato
Satana, perché egli, infinitamente buono, non poteva
creare un essere malvagio. Satana è divenuto tale per
scelta propria, perché, «non
avendo perseverato nella verità»,
come afferma Gesù nel
Vangelo di Giovanni, ha pervertito
se stesso. «Il diavolo
e gli altri demoni sono stati
creati da Dio naturalmente
buoni, ma da sé stessi si
sono trasformati in malvagi»
(San Giovanni Damasceno).
Il grande drago, il serpente
antico, colui che chiamiamo
il Diavolo o Satana, fu precipitato
sulla terra e con lui furono
precipitati anche i suoi
angeli. Che cosa significa?
San Tommaso d’Aquino scrive
che Satana desidera essere
simile a Dio e partecipe
della sua beatitudine, non
per dono di grazia, ma appropriandosene
con la forza.
Geloso di Dio, vuole ottenere
lo splendore della divinità,
non accogliendolo con
umile sottomissione, ma rapinandolo
con orgogliosa
Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, La cacciata degli angeli dal Paradiso
presunzione. Il suo peccato è la brama di avere di più e di
possedere di più. Si tratta quindi di un peccato di superbia,
col quale l’angelo ha tramutato se stesso in un demonio.
In origine, quindi, Satana era la creatura principale
creata da Dio, il principe di tutta la creazione. Una volta
che si è ribellato a Dio, con tutta la pienezza del suo essere
e della sua volontà, con una rivolta totale e perfetta,
senza ritorno, è diventato l’essere più lontano da Dio.
Quali le conseguenze di questa ribellione? Satana, per
il primato e l’autorità che godeva, ribellandosi all’ordine
morale e spirituale di Dio, si è trascinato dietro non solo
quegli angeli che hanno voluto seguirlo, ma anche molti
uomini sedotti dalle sue lusinghe. Dio non rinnega mai le
sue creature: sarebbe come rinnegare se stesso. Così la
potenza che Satana aveva, la possiede ancora: ecco perché
è stata necessaria l’incarnazione del Verbo, venuto
a distruggere le opere di Satana e a riscattare il mondo
col sangue della sua croce. Questa prefazione per meglio
comprendere l’opera di Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, che
interpreta la lotta tra bene e male, tra Dio e Satana senza
rappresentare alcuna figura ma soltanto servendosi del
contrasto tra colori tenui, “paradisiaci” e colori accesi che
scandiscono la trasformazione degli angeli in demoni e la
caduta di questi nell’abisso.
LA CACCIATA DEGLI ANGELI
69
Ritratti
d’artista
Franco Curvo
Pittura digitale tra algoritmi e
citazioni del passato
di Jacopo Chiostri
Franco Curvo, matematico appassionato d’arte, è un
“pittore digitale algoritmico”, non artista digitale, come
vengono comunemente definiti coloro che si servono
del computer per la propria espressione artistica, bensì appunto
“pittore”. Del resto è lui che così si autodefinisce perché
– spiega – le sue opere non sono realizzate con uno degli innumerevoli
dispositivi di “computer graphic” confezionati e utilizzati
per l’arte digitale, ma con uno strumento da lui creato, che,
detto in parole semplici, consiste nell’utilizzo di algoritmi con i
quali istruisce il computer a colorare in modo corretto le singole
celle che compongono l’immagine e alle quali, una per una,
è assegnato un colore. In pratica, è come se il video del computer
sul quale dipinge fosse un foglio quadrettato composto
da celle, non decine o centinaia, ma decine di milioni di celle da
colorare, operazione che per un umano ovviamente non sareb-
Natale in pandemia, pittura digitale algoritmica, cm 50x100
Guardando in libertà il telegiornale, pittura digitale algoritmica, cm 75x94
be possibile, mentre lo è per un computer che la completa in
tempi ragionevoli. L’abilità consiste nell’avere chiaro il dipinto
da realizzare ed essere capace di dialogare fattivamente con
la macchina: mentre in genere l’arte digitale consiste nel “prendere”
forme già esistenti, magari deformarle, lui le crea ex novo.
Curvo non nasconde che vi è ancora molta diffidenza nei
confronti dell’arte digitale, considerata dai puristi superficiale,
facile, fredda e che il “nuovo” sbrigativamente si liquida come
frutto di un approccio approssimativo, privo di profondità
e spessore. «Non è così» replica e, anzi, ricorda come gli ci siano
voluti sette anni prima che quello iniziato come un percorso
personale – siamo attorno al 1998 – nato dal suo amore
per l’arte, sfociasse nella decisione – nel 2005 – di “uscire allo
scoperto” e partecipare a manifestazioni ed eventi. Con i suoi
algoritmi, dipinge oggetti, più o meno reali, spesso antichi per
accentuare il collegamento tra contemporaneità e classicità, e
altrettanto frequentemente replicati allo scopo di creare ambientazioni
surreali e metafisiche che sono caratteristiche salienti
del suo lavoro. I temi che indaga, e che animano la sua
ricerca, sono essenzialmente la classicità, la donna, l’amore, la
stessa arte e il tempo; la sua qualità più evidente è la capacità
di bypassare l’impassibilità impersonale di tanta arte digitale,
che sembra contentarsi del proprio aspetto inconsueto, per
creare invece immagini coinvolgenti, ricche di pathos, meditate
e pregne di suggestioni offerte all’osservatore. Di sé, del suo
lavoro, spiega che la sperimentazione, che porta avanti ormai
da anni, è la direzione che segue e che intende seguire; la realtà
che propone è solo a prima vista fedele a quanto conosciamo,
mentre, a ben vedere, questi lavori ci propongono un’altra
possibile interpretazione, un nuovo punto di vista. Particolarmente
corposo il numero di riconoscimenti e di partecipazioni
a mostre: tra i premi si ricorda la medaglia di bronzo da poco
conseguita nell’ambito del XXXVIII Premio Firenze 2021.
frcurvo@tin.it
www.circoloartisticasadante.com/franco-curvo
70
FRANCO CURVO
A cura di
Manuela Ambrosini
I segreti del tema
a natale
Rigore e determinazione: le caratteristiche
dell’eroe “saturniano”
di Manuela Ambrosini
IIn astrologia definiamo i tipi umani riferendoci ai pianeti.
Grazie alla lettura del proprio assetto planetario, ogni
persona può conoscere le tipologie eroiche che gli appartengono
e riconoscere se stesso nel disegno astrologico. Ne
è un esempio il tema natale di Salvatore Sardisco, il nostro
eroe, artista d’eccellenza, di cui oggi prendiamo in considerazione
gli aspetti saturniani, collegati con il mese di gennaio.
Utilizzerò ogni mese questo tema natale per descrivere, man
mano, quello che emerge in una lettura individuale prendendo
Sardisco, in arte StYluS, come esempio. Salvatore, ha una
Luna in Capricorno, congiunta a Saturno in Capricorno. Ricordiamo
che il Capricorno è governato da Saturno che è il suo
signore. Il lato saturniano del carattere di StYluS emerge benissimo
nella cura da perfezionista che mette nel delineare
gli sguardi e i particolari dei suoi ritratti. L’eroe saturniano, infatti,
è rigoroso e determinato. La definizione dei dettagli lo
fa sentire al sicuro. Come se potesse trovare il proprio spes-
Anche Marco, il parrucchiere unisex, crea nella minuzia delle sfumature
del taglio di capelli il profilo saturniano, quando definisce senza
errori la testa del cliente.
Il suo salone di parrucchiere unisex si trova in Piazza del Popolo
209 a Monsummano Terme
+39 340 779 9202
Marco Parrucchiere Unisex
@marcoparrucchiereunisex
Il tema natale di Salvatore Sardisco
Salvatore Sardisco, Autoritratto
sore attraverso la rigidità di una disciplina continua del sé, il
saturniano, ha un temperamento militare. Le abitudini cadenzate
assicurano un assetto interiore ordinato e calmo. L’uscita
dagli schemi provoca tensione. Il saturniano è anche
il signore del tempo ed è collegato con la ciclicità naturale.
Tutto ciò che ha continuità è conforme, le anomalie vanno
corrette. Così, chi è fortemente segnato dai valori di Saturno
eccelle in quelle arti che implicano disciplina, austerità,
determinazione e continuità. In particolare, quando è la Luna
ad essere interessata da Saturno, e nel tema di Sardisco lo è
in modi molteplici: infatti la Luna è in Capricorno, che è il segno
di cui Saturno è il governatore, e inoltre è congiunta a Saturno
stesso, anche questo in Capricorno. Possiamo cogliere
la capacità di disciplinare e dirigere le proprie emozioni verso
un flusso ordinato e ciclico. StYluS dimostra di saper fare
questo sia nelle opere artistiche che nelle arti marziali cui si
dedica per quarant’anni insegnando, ma anche nella professione
di specialista in riabilitazione: a lui capitano casi che
vengono dati per incurabili dalla medicina. La capacità che
Sardisco possiede, e che lo rende così abile nel perfezionare
ciò che ha difetti definendo minuziosamente i particolari, viene
proprio da quella Luna che gli permette un distacco emotivo
notevole, nonostante il suo appassionato sole in Cancro.
È così che cura, è così che insegna arti marziali, è così che
dipinge, canalizzando il flusso delle proprie disordinate emozioni
in un territorio saturniano, dove l’emozione non interrompe
ma prende un ordine calmo e diventa eccellenza.
Astrologa, professional counselor, facilitatrice in costellazioni
familiari, è fondatrice del metodo di crescita personale Oasi di
Luce e insegnante di Hatha Yoga. Vive e lavora a Monsummano
Terme, effettua incontri individuali di lettura del tema natale astrologico
e di counseling ed è insegnante del corso online di astrologia
umanistica Eroi di Luce.
+ 39 3493328159
www.solisjoy.com
manuela.ambrosini@gmail.com
Solisjoy
Manuela coccole per l’anima
EROE “SATURNIANO”
71
Mauro Mari Maris
Mauro Maris con un suo quadro
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
A cura di
Michele Taccetti
Eccellenze toscane
in Cina
L’importanza per le aziende italiane
di avere una sede in Cina
di Michele Taccetti
Molte piccole e medie imprese che guardano a mercati
lontani e difficili come la Cina si preoccupano
principalmente di capire se il proprio prodotto sia
vendibile su quel mercato e cercano di promuoverlo spendendo
il meno possibile. Così una delle prime azioni che programmano
è la partecipazione ad una fiera di settore che ritengono
utile per trovare un partner con cui sviluppare una strategia di
approccio al mercato. Questo purtroppo è un errore che spesso
conduce al fallimento dell’iniziativa, esponendo l’azienda a
costi maggiori di quelli che avrebbe sostenuto con un’azione
più diretta e mirata. Il rischio è quello di essere indebolita nei
confronti dei concorrenti stranieri e locali mal posizionando
il proprio brand. Le aziende dovrebbero quindi programmare
un’azione a medio e lungo termine e cercare di capire, oltre ai
feedback sul prodotto, gli aspetti culturali, macroeconomici,
burocratici e soprattutto doganali del paese di destinazione
scegliendo poi gli strumenti più idonei. L’azione di penetrazione
nei mercati esteri non può essere tarata in base alle dimensioni
aziendali, ma deve essere pianificata in base alle
regole di marketing internazionale con la specifica personalizzazione
che i diversi mercati richiedono. Una delle prime
azioni da svolgere è la formazione: è importante, infatti, conoscere
tutto del paese che s’intende affrontare, sia che si
voglia acquistare che produrre o soprattutto vendere. L’altro
step necessario è la tutela della proprietà intellettuale con la
registrazione dei marchi e dei brevetti, conditio sine qua non
che un’impresa deve considerare se decide di essere presente
nel mercato internazionale con il proprio marchio e know-
how. Spesso le aziende vedono questa necessità solo come
conseguenza di un’azione di export, poche si preoccupano di
tutelarsi nei paesi dove delocalizzano la produzione di linee
dei propri articoli. È fondamentale, invece, difendere i propri
marchi e brevetti anche soltanto per partecipare ad una fiera,
unendo a questo un’adeguata azione di marketing. Dal primo
gennaio 2022 la Cina richiede nuove regole per l’importazione
dei prodotti alimentari e si rende necessario per le imprese
straniere procedere alla registrazione della propria azienda
presso gli uffici statali cinesi competenti. Questa politica rivela
la sempre maggiore attenzione del Governo di Pechino nel
limitare l’importazione di prodotti qualitativamente non elevati
o provenienti da aziende che non hanno un’alta reputazione
e adeguate certificazioni. Da queste normative si evince come
l’importanza del marchio e del know-how sia un elemento
di selezione per l’ingresso nel mercato più importante del
mondo. Tutte queste considerazioni sottolineano la necessità
di avere una presenza stabile e professionale in Cina, con
una propria sede per la promozione e la vendita dei prodotti
Made in Italy oppure un ufficio acquisti per selezionare e controllare
i fornitori cinesi. Questa strategia non è realizzabile
solo dalle grandi imprese ma anche da quelle piccole e medie
qualora queste riescano ad aggregarsi in gruppi di acquisto
o gruppi di vendita. Aggregazione e dialogo sono la vera sfida
del futuro. Creare alleanze e sinergie nei propri territori con
realtà complementari che si propongono e si rendono visibili
nei mercati di destinazione, è determinante per aprirsi alla cooperazione
tecnica, commerciale e culturale internazionale.
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
Michele Taccetti
Michele Taccetti
SEDE IN CINA
73
B&B Hotels
Italia
Vacanze in Italia tra natura e arte con B&B Hotels
di Chiara Mariani
L’inverno porta con sé l’arrivo di giornate più corte, del
freddo e della frenesia lavorativa. Uno dei modi per
combattere lo stress quotidiano e dare un impulso
positivo alla settimana è l’organizzazione di un week-end alla
scoperta delle eccellenze italiane. Approfitta dell’aria natalizia
che ancora si respira o preparati per un San Valentino
romantico: B&B Hotels, catena internazionale con oltre 580
hotel in Europa e Brasile e 49 in Italia, ti aspetta per accoglierti
in totale sicurezza e flessibilità in più di 30 destinazioni
sul territorio. Per chi desidera invece passare qualche giorno
tra natura e svago, il B&B Hotel Affi Lago di Garda si rivela
la scelta perfetta. Situata a soli 10 km dal Lago di Garda, la
struttura è circondata da tantissime attrazioni turistiche che
lo rendono perfetto anche per le famiglie: Parco Natura Viva,
le Grotte di Catullo, la Pieve di San Giorgio di Valpolicella, il
sentiero panoramico Busatte-Tempesta, la Funivia Monte Baldo.
Da non perdere anche i parchi termali di Aquardens e Terme
di Colà. Il B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina, incastonato
tra le vette ampezzane, a 1.858 metri di quota, fra le pendici
del Monte Cristallo a nord e dei monti Sorapiss e Faloria a
sud, si trova in una posizione ideale per partire alla scoperta
del territorio patrimonio dell’Unesco. Da scoprire il ristorante
dedicato e il B&Bistrot, nuovo concept della catena e location
ideale per sorseggiare cocktail o cenare con piatti tipici
della tradizione, una moderna area laundry/ironing, una ski
room a disposizione di tutti gli ospiti e un’area shop targata
B&B Hotels che, oltre a fornire prodotti strategici ed essenziali
per ogni viaggiatore, presenta una ricca selezione di snack,
barrette energetiche, bevande e prodotti per la cura della persona.
Tra i gioielli fiorentini dove regalarsi un momento da favola,
un posto d’onore è riservato allo splendido Hotel Firenze
Laurus al Duomo, immerso nel centro storico cittadino, circondato
dai più famosi simboli della città, a due passi dai migliori
negozi e ristoranti. Tra le possibilità offerte dal gruppo
B&B Hotels,, anche il suggestivo Hotel Firenze Pitti Palace al
Ponte Vecchio, situato nella duecentesca Torre Rossi, e a soli
5 metri dal Ponte Vecchio, punto di partenza ideale per visitare
Firenze e scoprire il suo patrimonio artistico e culturale.
B&B Hotel Affi Lago di Garda
74
B&B HOTELS
Su B&B Hotels
Dal design moderno e funzionale, con bagno spazioso privato
e soffione XL, le camere B&B Hotels dispongono di Wi-Fi
in fibra fino a 200Mb/s, Smart TV 43” con canali Sky e satellitari
di sport, cinema e informazione gratuiti, nonché Chromecast
integrata per condividere in streaming contenuti audio e
video proprio come a casa. Per un risveglio al 100% della forma,
B&B Hotels propone una ricca colazione con prodotti dolci
e salati per tutti i gusti.
B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina
Hotel Firenze Pitti Palace al Ponte Vecchio
B&B HOTELS
75
A tavola
con...
A cura di
Elena Maria Petrini
Marco Masini
Intervista al celebre cantautore fiorentino innamorato
della musica e della buona cucina
di Elena Maria Petrini / foto Luca Brunetti e Luisa Carcavale
Fiorentino doc, Marco Masini sperimenta
l’amore per la musica fin da
piccolo, ereditandolo sia dalla madre,
che da giovane cantava con piccole orchestre
nelle aie delle campagne, che da uno zio
emigrato in Argentina dove suonava e lavorava
nel mondo degli strumenti musicali. Nel
1969, a soli quattro anni, per Natale gli viene
regalato un “organetto” giocattolo a due
ottave, giusto per cominciare a familiarizzare
con le note. Più avanti i suoi genitori decidono
di mandarlo a scuola di musica. Un
passaggio importante anche se la più grande
scuola per lui – afferma – sono state la
musica stessa e la continua voglia di sperimentare.
Come nasce la tua passione per la musica?
Le passioni non nascono, esistono di già. Credo
conti molto la predisposizione naturale verso
alcune cose che fin da piccolo senti già che
fanno parte di te. Io avevo tre anni quando fischiettavo
e canticchiavo le musiche che sentivo
in giro. Mia madre mi portava spesso alle
giostre lungo il Mugnone a Firenze dove mettevano
una canzone che s’intitolava Luglio,
della fine degli anni Sessanta, di Riccardo del
Turco, cantautore, e Giancarlo Bigazzi, produttore,
compositore e paroliere. Quest’ultimo,
poi, è diventato il mio produttore e mi ha seguito
anche nel percorso di cantautore.
A cosa ti ispiri per scrivere i testi delle
canzoni?
Non scrivo mai da solo, ma sempre con altri
autori. L’ho fatto con Giancarlo Bigazzi, Beppe
Dati, il primo con il quale ho cominciato a scrivere,
Marco Falagiani e Mario Manzani. In seguito
ho iniziato a collaborare con autori più
giovani come Daniele Coro, Federica Camba,
Tony Iammarino, Virginio Nero, Diego Mancino,
Emiliano Cecere e Veronica Rauccio. Con
questi ultimi due ho scritto la canzone vincitrice
della 64ª edizione dello Zecchino d’Oro intitolata
Superbabbo.
Marco Masini
76
MARCO MASINI
Che esperienza è stata quella dello Zecchino d’Oro?
È stata una grande soddisfazione. Ho avuto a disposizione
l’Antoniano di Bologna, con il suo coro diretto da Sabrina
Simoni, e lavorare con tutti i bambini e soprattutto con la
bambina in gara, Zoe Adamelli che ha vinto con la canzone
Superbabbo, è stato davvero un enorme piacere. Stare a contatto
con i bambini permette di riscoprire la parte di sé stessi
più pura ed ingenua. Spesso nel nostro settore siamo obbligati
a lavorare con tempi e budget molto stretti e ci si deve
confrontare in modo anche perentorio con la casa discografica.
Allo Zecchino d’Oro, invece, ci sei tu col bambino e la maestra,
e quindi tutto assume un valore diverso, lontano dai
rigidi parametri del settore discografico.
(Sul podio dello Zecchino d’Oro al secondo posto Veronica
Marchese con la canzone Ci sarà un po’ di voi, testo di Maria
Francesca Polli e musica di Claudio Baglioni, e al terzo posto
Vittoria Spedaliere con la canzone Potevo nascere gattino,
testo e musica di Lodovico Saccol. ndr)
Quale musica ascolti con più piacere?
La musica non ha tempo e non ha genere, quando è bella,
è bella. Ci sono musiche che vanno ascoltate in alcuni
momenti ed altre in altri. La musica pop è il genere che più
mi appartiene e che ascolto anche per rimanere aggiornato
sulle costanti evoluzioni di questo stile. Ascolto anche
un po’ di jazz, di rock e qualcosa di trap che oggi è diventato
il nuovo pop.
Pensando al tuo “cibo della memoria” quale ricordi con più
emozione?
Ripensando alla mia infanzia, ricordo quando con mio cugino
escogitavamo strategie di distrazione per rubare i
crostini col fegatino alla nonna. Andavamo il fine settimana
ad Empoli perché di lì era originaria la famiglia di
mio padre. Al momento di andare a tavola, dei dieci crostini
preparati ne rimanevano solo tre e mia nonna li doveva
rifare tutte le volte. È un aneddoto che ricordo con particolare
emozione perché mi lega a mio cugino, un fratello
maggiore per me, e, dopo la scomparsa di mio padre,
anche un secondo babbo. In generale, penso che prestare
attenzione all’alimentazione sia importante. Io lo faccio,
seguo una dieta, ma ammetto che se dovessi andare
in trattoria in centro a Firenze non rinuncerei ad una buona
bistecca.
Hai anche altre passioni?
Sì, mi piacciono l’astrofisica, sulla quale leggo libri di Stephen
Hawking e di Margherita Hack e guardo documentari, e
la pesca. Sono anche appassionato di calcio.
MARCO MASINI
77
Ritratti
d’artista
Luciano Faggi
Fino al 14 gennaio protagonista di una personale allo
Spazio Espositivo San Marco
di Jacopo Chiostri
Lo Spazio Espositivo San Marco ospita, dal 4 al 14
gennaio 2022, la personale di Luciano Faggi che,
con l’occasione, espone anche i suoi lavori più recenti.
In effetti la mostra è una retrospettiva in cui, a fianco
dell’ultima produzione, l’artista ripropone opere di varie
epoche, testimonianza di un percorso artistico che ha toccato
forme di espressione ben diverse tra loro. Così nelle
sale del San Marco spazia dalla pittura astratta (con evidenti
incursioni nell’informale) alle composizioni geometriche,
alla paesaggistica. Il successo dell’esposizione è decretato
non solo l’affluenza di pubblico, ma ancor più il record
di vendite, che specie in un’epoca di “vacche magre” come
questa non sarà facilmente replicabile. Ed è questo dato, a
parere di chi scrive, la più evidente conferma che, alla lunga,
la coerenza paga. Faggi, pittore di lungo corso, pittore innamorato
della sua arte, nei tanti anni di lavoro, infatti, non
è mai venuto meno alla propria indipendenza intellettuale,
evitando di abdicarvi per seguire la moda del momento,
senza, per questo, rinunciare a seguire nuove suggestioni.
Dicevamo della sua produzione più recente. Intanto sono
opere che sorprendono chi da tempo segue il suo lavoro per
quanto sono distanti dai dipinti che conoscevamo. Pittura
astratta con incursioni nell’informale, dicevamo. Il segno è
più riconducibile alla libertà espressiva, al gesto libero, dissacratorio
dell’informale, la contenutistica con un’evidente
dose di substrato intimistico è invece ancora assegnabile
all’alveo della buona pittura astratta. Faggi per queste
opere ha usato molto poco il pennello, invece ha modulato
il colore, gli ha dato forma, lo ha arricciato e controllato
con l’uso di un semplice utensile: un phon! Sono opere che
emanano una grande forza, la forza che sprigiona l’armonia
quando si avverte che questa controlla il disordine. In un
precedente scritto definimmo Luciano Faggi un demiurgo,
colui che crea. E mai, come in questi dipinti, l’atto creativo
fa intendere che qualcosa si manifesta, inedito, davanti ai
nostri occhi, una nuova forma di vita, una nuova idea, una riflessione.
Magari non sono opere di facile lettura, ma, come
sempre per la pittura che propone un proprio linguaggio personale
quindi non già acquisito, la comprensione è affidata
alla familiarità con quelle che sono le peculiarità, universali,
del medium: composizione, colore, impatto visivo. Al San
Marco, la saletta Barbano ospita i quadri di paesaggi. Alcuni
noti ai lettori de La Toscana Nuova, che conoscono Faggi
da sempre, tutti all’insegna di una riproduzione fantastica
della realtà. Non ci sono figure in queste opere. Il loro significato
è piuttosto affidato a simbologie silenti, come accade
in una marina dove vediamo il mare che ghermisce la riva
con onde lenti, metodiche ma di grande potenza; sullo sfondo
appare un villaggio con tante piccole finestrelle cieche:
un’opera di chiaro significato metafisico. Luciano Faggi non
organizza i suoi dipinti, non disegna prima la propria scenografia,
si affida all’istintività del gesto strettamente connesso
ai comandi della mente, a sua volta messa in moto dai
meccanismi del suo io interiore, da quello che questi percepisce
nella vita che scorre imperturbabile al nostro fianco,
all’impossibilità di fermare il tempo, per noi umani, ma non
per il pennello di un artista cui spetta il privilegio di cristallizzare
l’attimo. Nei quadri della personale, compare una sola
di figura, di spalle, ma non per questo meno riconoscibile:
un Dante che s’intuisce crucciato, sdegnato, forse in procinto
di tornarsene volontariamente in esilio, sconfitto da un
mondo pieno di contraddizioni. Luciano Faggi lo propone
piccolo, emblematico, per dirci che dovremmo fare un uso
migliore dell’arte e dei suoi messaggi.
fagluc2006@libero.it
78
LUCIANO FAGGI
Franco Cappelli
Studio sculture: viale Vittorio Veneto, 35 - 51100 Pistoia
francocappelli@hotmail.it
+39 349 6849862
Una banca coi piedi
per terra, la tua.
www.bancofiorentino.it