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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 2 - Febbraio 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 2. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074
UFFIZI DIFFUSI
A MONSUMMANO TERME
Emozioni visive
a cura di Marco Gabbuggiani
Luci o ombre?
Testo e foto di Marco Gabbuggiani
Sembra lo stesso titolo del mese scorso ma le parole,
se pur le stesse, sono volutamente invertite nell’ordine.
Esattamente come lo è la realizzazione completamente
opposta a quella di gennaio, quando le ombre disegnavano
il corpo della modella che scaturiva dal buio.
Adesso sono le luci abbaglianti e morbide che fanno
apparire il soggetto. Anche in questo caso si fa leva
sull’immaginazione di chi osserva la foto nel tentativo
di voler quasi completare con un pennello mentale
la sinuosità del corpo della ragazza per ammirarlo in
tutta la sua sagoma perfetta. Di diverso c’è quindi che
le luci quasi abbaglianti lasciano solo intravedere parti
del corpo come se ci si ponesse davanti ad una vera
e propria celestiale visione che scaturisce dalla luce.
Meccanismo simile alla precedente uscita ma con le
ombre più o meno marcate che rappresentano il soggetto
principale e creano quella profondità e tridimensionalità
voluta e cercata con due lampade, un lenzuolo
bianco e facendo avvicinare solo alcune parti del corpo
della modella al telo. Quindi, ombre come soggetto
principale, mentre la luce è la protagonista del risalto
delle stesse in questa visione che suggerisce all’immaginazione
qualcosa di idilliaco e quasi soprannaturale
come in un abbagliante sogno.
marco.gabbuggiani@gmail.com
Da oltre trent'anni una realtà per l'auto in Toscana
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FEBBRAIO 2022
I QUADRI del mese
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Uffizi Diffusi a Monsummano con le opere di Giovanni da San Giovanni
Museo Marino Marini, luogo d’arte con la vocazione al futuro
La pittura di Sergio Nardoni fra tradizione e spiritualità
Nino Migliori, il poeta del “non visibile” nell’immagine fotografica
Chiara Samugheo, diva della fotografia tra le dive del cinema
La retrospettiva in ricordo di Luciano Borin alla Casa di Dante
Il Cassero, “tempio” della scultura a Montevarchi
Archeologia: dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra
Keith Haring “colora” Pisa con una mostra a Palazzo Blu
Tommaso Masini, novello Icaro con la macchina del volo di Leonardo
Dimensione salute: i progressi della scienza per vivere meglio
Psicologia oggi: il killer seriale di relazioni amorose
I consigli del nutrizionista: la dieta come “stile di vita”
I giganti dell’arte: Raffaello ne L’Incendio del Borgo in Vaticano
Arte e percezione: cosa succede quando osserviamo un’opera d’arte
Il paesaggio fuori, la natura dentro nelle opere di Lise Duun
Un ricordo di Anna Maria Biscardi, poetessa e scrittrice fiorentina
Ecologia e società: il rispetto degli animali, una conquista di civiltà
La tecnologia per la valorizzazione dei luoghi con Life Beyond Tourism
Ursula Schachschneider: scomposizioni cromatiche di una realtà dinamica
Innovazione tecnologica: gli eventi “phygital” tra reale e digitale
L’avvocato risponde: la validità giuridica del testamento orale
Il teatro, maestro di vita per i giovani nell’intervista a Gabriella Del Bianco
Panathlon Firenze: Maurizio Mancianti riconfermato presidente
Brevi storie: la grande stazione, luogo simbolo dell’incomunicabilità
Il cinema a casa: Nebraska, una storia di sconfitte, fallimenti e rinascite
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Riflessioni sulla fede: il giardino dell’Eden alle origini della storia umana
La bomboniera dell’Arte, uno spazio a Roma per la cultura
Fabrizio Morosi, artigiano della narrazione per immagini
Sapori di Toscana: I’porto di Neno, la bontà del pesce a Dicomano
Polvere di stelle: Wanda Osiris, mito dello spettacolo di rivista
La poesia dello sguardo nei ritratti pittorici di Nadia Brogelli
Aneddoti di vita quotidiana: l’ombrello, oggetto antico sempre di moda
Villa di Poggio a Caiano, la più iconica delle residenze medicee
Toscana a tavola: l’eccellenza del Ronchì Pichi da Livorno a Lastra a Signa
Eccellenze toscane: l’anno Italia – Cina, una possibilità per le aziende
Firenze mostre: Dante in digitale nella Cappella Pazzi a Santa Croce
L’ospitalità di B&B Hotels sbarca ad Arezzo
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Periodico di attualità, arte e cultura
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Anno 5 - Numero 2 - Febbraio 2022
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Eventi in
Toscana
Uffizi Diffusi a Monsummano Terme
Al Museo della Città e del Territorio approdano quattro gioielli di
Giovanni da San Giovanni
Ne parliamo con la sindaca Simona De Caro e la vicesindaca Elena Sinimberghi
Testo e foto di Maria Grazia Dainelli
Lo scorso dicembre il rivoluzionario progetto Uffizi Diffusi,
voluto dal direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt
per creare una sinergia tra il celebre museo e altre
località significative della Toscana, è approdato a Monsummano
Terme, in provincia di Pistoia, al Museo della Città e del Territorio
con quattro gioielli di Giovanni Mannozzi, meglio conosciuto come
Giovanni da San Giovanni, provenienti
dal Gabinetto dei Disegni e
delle Stampe degli Uffizi. Ne parliamo
con la sindaca di Monsumanno
Simona De Caro e con la vicesindaca
Elena Sinimberghi.
Sindaca, può dirci con quali opere
il Comune ha aderito all’iniziativa
Uffizi Diffusi?
Si tratta dei disegni preparatori di
Giovanni Mannozzi per le lunette
affrescate nei portici della basilica
cittadina, il santuario di Maria Santissima
della Fontenuova, che rac-
Comune di
Monsummano
Terme
Una delle opere in mostra a Monsummano: Giovanni da San Giovanni, Miracolo della Madonna che libera un ragazzo
dal demonio facendogli vomitare chiodi (1630-33), matita nera, penna e inchiostro su carta bianca, cm 16,4x22,1
L’inaugurazione della tappa del progetto Uffizi Diffusi a Monsummano: da sinistra, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani, la sindaca Simona De Caro, il
direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt e la vicesindaca Elena Sinimberghi
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UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME
contano le vicende della chiesa monsummanese. Negli anni
bui della peste, tra il 1630 ed il 1633, il Mannozzi (San Giovanni
Valdarno 1592 – Firenze 1636) fu attivo in Valdinievole e nel pistoiese,
terre nelle quali si rifugiò per scappare da una Firenze
devastata dal contagio. Oggi più che mai siamo vicini a questo
spirito artistico dato il periodo dell’emergenza Covid.
Perché è stato scelto quest’artista?
Ci siamo chiesti se Monsummano Terme, piccolo comune conosciuto
maggiormente per le sue terme, potesse ambire ad
ospitare opere degli Uffizi, e, a dimostrazione di come la passione,
la determinazione e le idee vincenti portino a risultati importanti,
il nostro sogno si è avverato. Non è stato semplice
superare la selezione perché la nostra proposta doveva essere
all’altezza delle aspettative. Abbiamo presentato un progetto
che avesse attinenza col territorio, verificandone la fattibilità e
le condizioni museali. Il direttore Schmidt è venuto a fare un sopralluogo
il 19 maggio 2021 insieme al suo staff che ci ha supportato
moltissimo in questo percorso. Dietro l’esposizione di
questi disegni c’è un lavoro importante anche a livello tecnico
perché, per la conservazione delle opere, occorre garantire un
giusto grado di umidità relativa, temperatura ed illuminamen-
to. Con questa iniziativa affrontiamo temi attualissimi come i
flussi turistici e il valore che le opere d’arte hanno per i cittadini,
sperando di valorizzare al meglio il nostro patrimonio artistico.
Quali altre opere importanti ospita il Museo della Città e del
Territorio di Monsummano?
Oltre alla mostra Arte in tempo di peste / Giovanni da San Giovanni
a Monsummano e oltre / 1630-1633 e alla famosa corona dei
Medici donata alla Madonna della basilica di Fontenova, questo
museo racconta la storia di tutta la Valdinievole con numerosi reperti
archeologici importanti per Monsummano, fino ad arrivare
alla suggestiva ricostruzione dell’ambiente del Padule di Fucecchio,
la più grande palude interna italiana. Vista la presenza di
fabbriche storiche sul territorio, soprattutto per quanto riguarda
Padule di Fucecchio (ph. Piero Corsetti)
UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME
7
il settore della calzatura, nelle collezioni del museo si trovano anche
alcuni esemplari dei primi mocassini, oltre a strumenti di lavoro
utilizzati nei secoli. C’è anche una sezione dedicata all’eccidio
del Padule di Fucecchio, avvenuto il 23 agosto del 1944, durante
il quale la barbarie tedesca sterminò centinaia di esseri umani.
Vicesindaca Sinimberghi, quali altri luoghi d’arte consiglierebbe
di visitare a Monsummano e nelle zone limitrofe?
Sicuramente il Museo d’Arte Contemporanea e del Novecento
di Villa Renatico Martini dove è da poco terminata una mostra
di grande successo su David Bowie realizzata dall’Associazione
A.I.R. (Aerografisti Italiani Riuniti) per ricordare l’artista scomparso
nel 2016. Attualmente lo stesso museo ospita la mostra
Di Vagare di quattro giovani artisti del territorio che propongono
la loro personalissima visione della natura e del paesaggio circostante
fino a tutto il mese di febbraio. A primavera ospiteremo
la mostra dal titolo Angeli e Demoni / Luci ed ombre personale
del pittore Rocco Normanno. Tra le bellezze del territorio, da non
perdere sono i borghi storici di Montevettolini e Monsummano
Alto, quest’ultimo con la famosa torre pentagonale, castelli da
Farmacia Grotta Parlanti s.r.l.
Via Francesca Nord, 556
51015 Monsummano Terme (PT)
Info: 0572387714
Monsummano Alto: la torre pentagonale
Lunette affrescate da Giovanni da San Giovanni nel portico della Basilica di Maria SS. della Fontenuova
8 UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME
Cave di Monsummano
visitare anche attraverso i percorsi CAI insieme alle Cave Rosse,
suggestive pareti per gli amanti delle arrampicate, che offrono
un percorso geologico tutto da scoprire. Luogo di grande attrazione
è, inoltre, la famosa Grotta Giusti, sede, dal 1853, di uno
stabilimento termale. Tra l’altro, proprio la Grotta Giusti sarà una
delle tappe del campionato italiano di E-bike Enduro che si terrà
il prossimo 3 aprile con un circuito che comprende anche Monsummano
Alto e Montevettolini. Degno di nota anche il Museo
Nazionale Casa Giusti, nato per tutelare e valorizzare la casa natale
di Giuseppe Giusti con un percorso sulla vita del poeta e sulla
storia del Risorgimento.
Questa amministrazione ha deciso che a Monsummano i
musei debbano essere ad accesso gratuito: come mai?
Vogliamo dare a tutti la possibilità di conoscere l’arte e l’importanza
educativa della bellezza. Per questo investiamo
molto anche nelle scuole, promuovendo visite ai musei e alle
chiese per consentire ai ragazzi di familiarizzare con l’arte.
Non si può lavorare sulla cultura come si farebbe con un prodotto
commerciale, i risultati non sono immediati, ma siamo
conviti che nel lungo periodo il nostro impegno verrà premiato.
Mi preme sottolineare inoltre che molti cittadini ci sostengono
economicamente in queste iniziative perché credono
fermamente nel valore dell’arte a beneficio della comunità.
Montevettolini
Rispetto alla promozione dell’arte e del territorio, quali
sono le iniziative in cantiere?
Abbiamo molte idee al momento solo a livello embrionale.
Vorremmo realizzare un progetto di studio sulle ville granducali
in Padule e sui casali di loro pertinenza, architetture apparentemente
minori che hanno segnato il territorio, anche
se oggi spesso sono ridotte allo stato di ruderi. In cantiere
anche la riqualificazione e rigenerazione di Montevettolini
e Monsummano Alto, antichi insediamenti di grande valore
storico ed artistico assolutamente da valorizzare. Tra i progetti
che l’amministrazione vorrebbe realizzare c’è anche la
creazione ed il potenziamento dei parchi d’artista, idea efficace
per abbellire e personalizzare gli spazi verdi. Infine,
puntiamo al potenziamento delle infrastrutture digitali per diventare
attrattivi anche per il mondo dei “nomadi digitali” e
per nuove forme di comunità.
UFFIZI DIFFUSI A MONSUMMANO TERME
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Claudio
Secciani
I volti della realtà
claudio.secciani@virgilio.it
A cura di
Rosanna Bari
Note dʼarte
Museo Marino Marini
Un luogo dʼarte con la vocazione al futuro
Testo e foto Rosanna Bari
Lo scultore e pittore pistoiese Marino Marini (1901-
1980) si formò allʼAccademia di Belle Arti di Firenze
con Galileo Chini e Domenico Trentacoste, divenendo
uno dei maestri italiani più famosi nello scenario artistico
internazionale del Novecento. Dal 1919, durante i suoi
soggiorni parigini, conobbe gli autori del fervente rinnovamento
artistico del tempo, che lo portarono ad adottare i
nuovi linguaggi dʼespressione che si andavano via via delineando
nella città capitale mondiale dellʼarte. Il dopoguerra,
però, vedrà il suo stile subire un ulteriore mutamento: la
forma, sotto il peso di una forte tensione, arriverà alla deformazione,
e le sue opere si tradurranno in echi di unʼevocazione
dolorosa. Inaugurato nel 1988, il museo fiorentino
occupa lo spazio dellʼex Chiesa di San Pancrazio che si affaccia
sullʼomonima piazza. La collezione, dopo la morte
dellʼartista donata alla città di Firenze, vanta unʼesposizione
di quasi duecento opere dove il cavaliere e la pomona sono
i due soggetti ricorrenti. Gli architetti Lorenzo Papi e Bruno
Sacchi, nel periodo 1982-1986, si occuparono di tradurre
in forme moderne lʼinterno della chiesa, realizzando un
Giocolieri, bronzo policromo
Cavaliere, gesso policromo
Veduta del piano superiore del museo
equilibrato dialogo tra lʼantica struttura e gli ampi e moderni
spazi, in un sapiente alternarsi di piani atti a dinamizzare
il percorso di visita, arricchito da una scenografica visione
dallʼalto. Infine, un elegante gioco di spazi aperti e ampie vetrate
amplifica la luce naturale esaltando le semplici forme
delle opere osservabili da più punti di vista, concretizzando
così la poetica dellʼartista. La presidente del Museo Marino
Marini, Patrizia Asproni, alla richiesta di esprimere un
pensiero sulla sua gestione
e visione del museo risponde:
«Da luoghi dedicati alla
contemplazione e al mero
“consumo” culturale, i tempi
sono maturi affinché le istituzioni
museali diventino spazi
di azione e interazione in cui
immaginare nuovi scenari e
coinvolgere le giovani generazioni.
Il Museo Marino Marini
ha da sempre una vocazione
al futuro, per questo abbiamo
creato il “Playable Museum
Award”, una sfida ai creativi
di tutto il mondo per sviluppare
unʼidea di museo del futuro
in cui la tecnologia sia di
supporto alla creatività».
Rosanna Bari, guida turistica qualificata, ha lavorato in progetti di catalogazione
presso la Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Siracusa e di Palermo, il
Museo Archeologico P. Orsi di Siracusa e il Centro del Catalogo di Firenze. Scrive
articoli dʼarte per il periodico “San Sebastiano” della Misericordia di Firenze e cura il
blog Arte: i tesori di Firenze per il quotidiano online FirenzeToday.
+ 39 339 1667051
rosannabariguida@gmail.com
MUSEO MARINO MARINI
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Incontri con
l’arte
A cura di
Viktoria Charkina
Sergio Nardoni
Una pittura in dialogo con la tradizione e la spiritualità
di Viktoria Charkina
Com’è nata la tua passione per l’arte?
Fin da bambino ho sempre disegnato. Mi ricordo
di aver dipinto il mio primo quadro ad olio all’età
di sette anni in casa della maestra elementare, pittrice
dilettante che mi insegnava a dipingere di domenica
quando suo marito andava allo stadio a vedere
le partite della Fiorentina. Anche se la mia formazione
artistica è nata presto, ha rischiato di interrompersi
poco dopo perché la mia famiglia era contraria alla
mia passione e preferiva che io conducessi la piccola
azienda paterna. Mi sono opposto e perciò ho dovuto
diventare indipendente, cominciando a fare svariati
lavori che mi hanno permesso di proseguire i miei
studi artistici. Così, dopo aver completato la maturità
artistica, mi iscrissi all’Accademia di Belle Arti,
compiendo poi ulteriori traguardi all’Università degli
Studi di Firenze, laureandomi al corso di Storia dell’Arte e arricchendo
in tal modo le mie conoscenze riguardanti gli artisti
del passato.
Nonostante fossi un artista legato all’arte figurativa, hai
deciso di dedicare la tua tesi a Giuseppe Chiari. Cosa ha favorito
questa scelta?
Ho scelto di dedicare la mia tesi ad un esponente del movimento
Fluxus perché non lo capivo e allora volevo approfondirlo.
Negli anni Settanta si viveva il clima dell’arte
Sergio Nardoni con Fabrizio Borghini in occasione della mostra dell'artista a Palazzo Malaspina
concettuale, ma io ero fra i pochi attratti da altre esperienze.
Ho cercato quello che ritenevo uno dei massimi esponenti
della nuova corrente artistica. Chiari si è dimostrato molto disponibile,
partecipando di persona alla discussione della mia
tesi. Nonostante tutto il lavoro di ricerca svolto, ho comunque
preferito non avvicinarmi all’arte concettuale che ritengo
di difficile interpretazione mentre per me è fondamentale
instaurare un dialogo con il pubblico che comprende le mie
opere.
Quali sono gli artisti che invece ti hanno maggiormente
ispirato?
I miei maestri, con i quali ho condiviso tante riflessioni artistiche,
sono stati Pietro Annigoni e Antonio Bueno, anche se
sono stato maggiormente ispirato dalle mie radici e dalla storia
del nostro paese. Cerco di donare ai miei quadri la luce divina
che incontriamo nelle opere di Beato Angelico, portando
lo spettatore in una dimensione superiore rispetto alla realtà.
Anche la metafisica di de Chirico ha contribuito alla mia visione
artistica e si è trasformata in vari omaggi nelle mie opere.
C’è anche un artista straniero al quale hai dedicato tanta
attenzione. Mi riferisco alla mostra A spasso con Edward
Nardoni al lavoro sulla volta della Chiesa di Santa Maria a Mare di Castellabate
www.florenceartgallery.com
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SERGIO NARDONI
I nottambuli di Grosseto - Omaggio a Edward Hopper, olio su tela, cm 50x70
Hopper per Grosseto e dintorni che si è svolta nel 2019 a
Grosseto presso la Galleria Ticci – Arte Moderna e Contemporanea.
Sì, ho dedicato una serie di dipinti all’artista statunitense,
tentando di sconfiggere l’incomunicabilità e la solitudine dei
suoi personaggi. Sono ambientati a Grosseto in pieno giorno
con la luce che conferisce speranza e nuova vitalità. Il prossimo
anno queste tele saranno esposte a New York, instaurando
così un vero e proprio dialogo fra Grosseto e la città
americana.
La tua passione e la conoscenza della storia dell’arte ti
hanno portato anche ad insegnare. Ci racconti di questa
esperienza?
Ho insegnato in varie istituzioni tra cui la scuola media statale,
la sede fiorentina della Rutgers University, la State University
of New Jersey e la Facoltà di Belle Arti della Sichuan
Rifornimento a Montemassi - Omaggio ad Edwar Hopper, olio su tela, cm 80x120
Caffetteria Hopper - Omaggio ad Edward Hopper, olio su tela, cm 100x120
University of China. In Cina ho insegnato tre mesi l’anno, dal
2011 al 2015. In Asia ho avuto delle bellissime esperienze
anche espositive, riscontrando tanto ammirazione nei confronti
della mia arte. Anche se le mostre che mi stanno più a
cuore si sono svolte nella mia patria…
Come la mostra attualmente in corso a Palazzo Malaspina a
San Donato in Poggio?
Proprio così. Si intitola Il non allineato e, oltre alla sala principale
con i miei lavori, ci sono delle sale dedicate alla mia
scuola, dove sono esposti lavori di miei allievi sia italiani che
stranieri. Al secondo piano del palazzo invece si trovano le
opere dedicate alla celebrazione di 150 anni dell’Unità d’Italia
nel 2011 e la serie dei quadri dedicati a Hopper di cui abbiamo
appena parlato.
Hai eseguito un ciclo di dipinti per la volta del Santuario
di Santa Maria a Mare a Santa Maria di Castellabate, definendolo
come “l’opera della tua vita”. Per te l’arte
sacra rappresenta un modo per avvicinarti alla
tradizione e alla classicità alle quali ti ispiri oppure
ti serve per avviare un dialogo con la spiritualità?
Il ciclo di dipinti per la volta del santuario, intitolato
Una Storia di Popolo e costituito da sei dipinti che
narrano la storia della statua della Madonna con il
Bambino, è stato uno dei più importanti della mia vita
perché, essendo una persona credente, mi è servito
per instaurare un discorso con la spiritualità. A
parte quel ciclo, ho anche eseguito un importante
ciclo pittorico sull’arcone absidale del quattrocentesco
duomo di San Miniato in provincia di Pisa, rivolgendomi
nuovamente a Dio. In ogni mia opera,
sia di soggetto sacro che profano, cerco di inserire
una carica spirituale che mi accompagna e guida da
sempre nella vita.
SERGIO NARDONI
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I grandi della
fotografia
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Nino Migliori
Poeta del “non visibile” nell’immagine, è uno dei più autorevoli ed eclettici
sperimentatori italiani nel campo della fotografia
di Maria Grazia Dainelli / foto Nino Migliori
Quando si è avvicinato per la prima volta alla fotografia?
Ho iniziato settant’anni fa inviando una mia foto
ad un concorso che dava in palio una macchina fotografica
perché non avevo i soldi per acquistarne una. Fortunatamente
vinsi il primo premio ed entrai nel mondo della
fotografia amatoriale partecipando a numerosi concorsi e
alla vita attiva del Circolo Fotografico Bolognese. Ho preso
parte a mostre personali e collettive sia nazionali che internazionali
e questo mi ha dato l’occasione di allargare le mie
conoscenze in ambito fotografico. Per questo motivo, dopo
un po’ ho abbandonato la lezione del maestro Giuseppe
Cavalli, uno dei miei riferimenti all’epoca che proponeva un
concetto di fotografia “pura”, essenziale, dal tono “alto” ma
con un’estetica fine a se stessa, e ho iniziato ad interessarmi
invece ad una fotografia più comunicativa.
Com’è nata l’esigenza di documentare un’Italia in piena ricostruzione
nel dopoguerra?
Era finita la guerra e anche tutte le sofferenze legate alla
mancanza di libertà e all’isolamento. Nacque in me l’esigenza
di descrivere la rinascita economica e culturale per
vivere serenamente persone e luoghi. La quotidianità era
di nuovo ricca di possibilità di incontri, di scoperte, e la fotografia
per me rappresentava il mezzo più idoneo per raccontare.
Partii per il Sud della nostra penisola con il sacco
a pelo: volevo entrare in contatto con gli abitanti di queste
terre che erano più poveri ma avevano un grande desiderio
di socializzare. È così che ho realizzato il progetto Gente del
Sud (1956), nel quale ho documentato la vita di queste persone
cercando sempre di non farle sentire a disagio davanti
all’obbiettivo.
C’è qualche fotografo del passato da cui ha tratto ispirazione?
Il primo è stato Cartier-Bresson che ha senza dubbio influenzato
la mia generazione e che io ho avuto la fortuna di
conoscere a Parigi quando mi recai da lui per fagli vedere i
miei lavori. Mi propose una forma di collaborazione esterna
con la Magnum che rifiutai perché capii che sarei stato
schiavo delle committenze e soprattutto perché i lavori erano
retribuiti con tempi lunghi ed io invece avevo l’esigenza
di mantenere la mia famiglia. In più, volevo fare quello
che mi piaceva, soddisfare la mia curiosità, sperimentare in
campo artistico e dare forma alle mie idee e ai miei sogni.
Milano (© Fondazione Nino Migliori)
Come nascono le sue sperimentazioni fotografiche?
La curiosità di conoscere più a fondo il mezzo fotografico mi ha
spinto a condurre sperimentazioni sulla carta, sullo sviluppo, sul
fissaggio, sulla luce e sul colore. Questa rivisitazione di pratiche
classiche in chiave contemporanea mi ha coinvolto così profondamente
da trasformarsi in una vera e propria progettazione. Ho
studiato tutto ciò che m’incuriosiva, come ad esempio i cambiamenti
dei cromatismi attraverso l’esposizione alla luce e l’ossidazione
della carta, oppure facendo scorrere gocce d’acqua
sulla pellicola che poi stampavo traendone i cosiddetti “idrogrammi”.
Con le Polaroid ho realizzato le “Polapressure” ottenute
facendo segni, pressioni o cancellazioni in fase di sviluppo.
Che rapporto ha con la pittura? Ci sono dei pittori del passato
o del presente che hanno esercitato un’influenza su di lei?
Negli anni Cinquanta ho conosciuto e frequentato molti artisti.
Mi recavo spesso a Venezia allo studio di Emilio Vedova, di Tancredi
e nella residenza di Peggy Guggenheim dove si disquisiva
d’arte e fotografia. Sicuramente la mia voglia di sperimentare è
stata influenzata dal fatto di aver conosciuto e frequentato diversi
artisti. Con loro ho creato un rapporto diverso, un dialogo più
costruttivo rispetto a quello dei circoli fotografici, dove invece ci
si compiace soprattutto degli aspetti estetizzanti dell’immagine.
Sono sempre stato attratto dalla possibilità di emancipare le mie
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NINO MIGLIORI
foto dagli aspetti “formali”, per così dire, perché mi interessa lasciare
una traccia della mia immaginazione e non solo un documento
della realtà. Oggi vengo considerato un artista ma io mi
sento più uno scrittore o un poeta che si serve della fotografia
per esprimere i propri pensieri e sentimenti.
Come nasce la serie fotografica dei Muri?
Da sempre, la figura umana è al centro del mio interesse anche
quando non si vede nell’immagine ma se ne avvertono le tracce.
L’altro tema che mi appassiona è il tempo. Con il progetto i Muri,
durato oltre vent’anni, dagli anni Cinquanta agli anni Settanta,
ho voluto raccontare un’epoca attraverso la matericità dei muri,
non solo perché, come una specie di diario collettivo, queste superfici
raccontano pensieri, emozioni e sentimenti delle persone
che vi ci scrivono sopra, ma anche perché il muro ci ricorda
in maniera evidente l’azione inesorabile del tempo, che sgretola,
corrode e trasforma ogni cosa. Successivamente ho iniziato
a scattare foto di manifesti strappati perché mi piaceva l’idea
di cogliere i tanti significati sottesi al gesto di “strappare”: disprezzo,
rabbia, noia e chissà che altro. Nel farlo, ho anticipato
di qualche tempo quello che sarebbe stato poi l’oggetto artistico
di Mimmo Rotella.
Potrebbe darci una definizione di fotografia?
La fotografia è una forma di scrittura per immagini del proprio
pensiero, un linguaggio che ci permette di trasformare stati d’animo
in racconti, un’interpretazione personale della realtà che
può suscitare nuovi interrogativi sulla percezione del reale.
In cosa consiste il progetto Lumen?
È nato nel 2006 quando Ivo Iori, preside della Facoltà di Architettura
dell’Università di Parma, mi ha chiesto di partecipare
con un mio lavoro alla collana editoriale Opere inedite di cultura.
Per l’occasione, mi è venuto in mente di fotografare le
formelle dello Zooforo dell’Antelami nella cattedrale di Parma
ricreando l’atmosfera del passato con l’illuminazione di candele.
Un risultato molto suggestivo, con i particolari del fregio
che, emergendo dal buio, creano forme inaspettate. In seguito,
il progetto è andato avanti con i leoni e le metope del duomo
di Modena, il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca a
Bologna, il Monumento funebre a Ilaria del Carretto nel duomo
di Lucca e il Cristo Velato della Cappella Sansevero a Napoli.
Portatore di pane (© Fondazione Nino Migliori)
È stata un’esperienza coinvolgente che mi ha permesso di apprezzare
da vicino queste meraviglie e di toccarle per verificarne
i cambiamenti al minimo movimento della fiamma.
Ritratti alla luce di un fiammifero può considerarsi un’evoluzione
del progetto Lumen?
La metodologia operativa è la stessa perché per me i volti
umani sono monumenti irripetibili che narrano storie, esperienze,
emozioni, gioie e dolori. Tra il 2016 e il 2021, ho fotografato
nel mio studio seicento volti di donne e uomini, per lo
più amici o conoscenti, alla luce di un fiammifero per cercare
nuovi stimoli visivi. Sono venuti fuori ritratti sorprendenti che
ho raccolto in un libro.
In cosa consiste il progetto Favole di Luce?
È un lavoro nato da un percorso didattico fatto con i bambini
dai 2 ai 4 anni del Nido Scuola Mast di Bologna. Per due anni
e mezzo, li ho fatti lavorare direttamente con lo sviluppo e il
fissaggio e ho insegnato loro ad utilizzare tecniche off-camera
come ossidazioni, cellogrammi, polarigrammi, lucigrammi,
etc.. Questo gli ha permesso di scoprire come attraverso la fotografia
si possa non solo osservare il mondo ma anche
trasformarlo con metodo e fantasia. E i bambini
sono stati capaci di creare racconti stupendi, piccoli
capolavori esposti nella mostra Favole di Luce al MA-
XXI di Roma nel 2018.
FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK
www.universofoto.it
Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164
Uno scatto della serie fotografica Muri (© Fondazione Nino Migliori)
NINO MIGLIORI
15
Carla Nelli
I colori del mare
Le barche di Milazzo, olio su tela, cm 50x70
hello.picture57@gmail.com
A cura di
Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli
Spunti di critica
fotografica
Chiara Samugheo
Una “diva” della fotografia tra le
dive del cinema
di Nicola Crisci / foto Chiara Samugheo
Claudia Cardinale
Nata a Bari nel 1935 e deceduta lo scorso13 gennaio,
Chiara Samugheo si trasferisce a Milano nel 1953 dove
comincia a lavorare come giornalista di cronaca nera.
Dopo l’incontro con Federico Patellani, uno dei fotografi più
importanti di quegli anni, decide di collaborare con lui immortalando
grandi protagonisti dello star system. Realizza inoltre servizi
fotografici per i maggiori periodici, copertine per importanti
riviste anche internazionali e pubblica diversi libri di fotografia.
«Con le mie foto – afferma la Samugheo – volevo contribuire a
fare rinascere il paese. Immaginavo che le botteghe diventassero
industrie di cui essere tutti orgogliosi e che le informazioni
potessero scorrere veloci, capaci di sfamare quanti avessero
bisogno di approcci culturali per proiettarsi verso vite importanti.
Copertine e servizi devono documentare la figura della “diva”,
della donna cinematografica come oggetto del desiderio». Le
sue foto contribuiscono ad alimentare il mito del cinema americano
ed italiano e nel suo archivio ci sono praticamente tutti
i ritratti delle dive della seconda metà del Novecento, come Liz
Taylor, Joan Collins, Monica Vitti, Sophia Loren e Claudia Cardinale.
Il suo stile, giocato soprattutto sulle forti cromaticità, sulle
essenzialità delle linee, su sontuose acconciature, diventerà
un modello per la successiva fotografia di moda e di cinema
degli anni Ottanta. Fotografa di fama internazionale – ha lavorato
ad Hollywood, in Spagna, Russia e Giappone –, dopo aver
vissuto a Roma per diversi anni si sposta a Nizza, per poi rientrare
in tarda età in Puglia, sua terra d’origine. Buona parte del
suo archivio fotografico – più di 165.000 scatti – è conservato
al Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università
di Parma. La sua ultima mostra con ritratti di Raffaella Carrà
si è tenuta ad Avellino l’autunno scorso. I libri più recenti sono
dedicati in particolare alla Sardegna,
ma anche a Lucca, all’architettura
del Palladio, alla squadra
azzurra delle Olimpiadi, alla città
di Rio de Janeiro e ai Nebrodi in
Sicilia. Con la morte di Chiara Samugheo
si perde una donna capace
di raccontare le altre donne
con naturalezza e libertà, senza
le rigide pose da set fotografico,
e di offrire uno spaccato sugli anni
della dolce vita romana nel secondo
dopoguerra.
Monica Vitti
Raffaella Carrà
CHIARA SAMUGHEO
17
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Luciano Borin
Una mostra retrospettiva per ricordarlo al
Circolo degli Artisti Casa di Dante
di Daniela Pronestì
Sulle spalle (1992), olio su tela, cm 80x80
Elisabetta (1975), olio su tavola, cm 80x105
Dal 22 gennaio al 3 febbraio 2022, il Circolo degli
Artisti “Casa di Dante” ha ospitato la mostra retrospettiva
dedicata all’artista Luciano Borin, scomparso
nel 2020 all’età di 69 anni. Per l’occasione sono state
riunite oltre trenta opere con l’intento di ripercorrere gli snodi
fondamentali della sua carriera dagli anni Settanta agli
anni Duemila, incluso il piccolo nudo realizzato poco prima
della scomparsa e scelto da Sonia Toncelli, moglie dell’artista
e curatrice della mostra, come immagine dell’evento. Lo
sguardo retrospettivo ha consentito di individuare, insieme
ai passaggi di stile, ai temi e ai cambiamenti espressivi avvenuti
negli anni, i valori rimasti sempre costanti in tutta l’opera
di Borin, a partire dal legame, di fatto mai sciolto, con
il linguaggio figurativo e con il disegno come elemento fondante
della rappresentazione pittorica. A questo si aggiunge,
fin dagli esordi, una forte quanto profonda fascinazione
per il colore inteso non come semplice strumento subordinato
al dato oggettivo ma come fattore capace di dare un
proprio fondamentale ed autonomo contributo all’armonia
dell’opera. Tutto il percorso di Borin sembra in effetti rivolto
a far dialogare figura e colore quali elementi che, seppur
dotati ciascuno di proprie specificità formali ed espressive,
concorrono insieme a determinare sia gli equilibri strutturali
che l’assetto narrativo del dipinto. In altre parole, nelle sue
opere il colore da un lato disciplina alcuni aspetti costruttivi
e valori percettivi dell’immagine, suggerendo ad esempio
una sensazione di profondità luminosa e di tensione dinamica
della scena, dall’altro aggiunge spessore emotivo al soggetto
rappresentato. I primi indizi di questa sintesi tra il dato
figurale e il significante cromatico si riscontrano in alcuni
studi di figura dei primi anni Settanta, nei quali le suggestioni
derivate da una riflessione sulle avanguardie d’inizio
Novecento – cubismo e futurismo in particolare – portano
Borin, allora da poco diplomato all’Accademia di Belle Arti,
a tagliare i ponti con certi schematismi della tradizione figurativa
– in primis con l’idea di uno sfondo prospetticamente
costruito – per adottare soluzioni che da lì a poco sarebbero
divenute centrali nella sua cifra stilistica. Tra queste la più
significativa è senza dubbio la compenetrazione di figure,
oggetti e forme astratte attraverso raffinati effetti di trasparenza
delle stesure pittoriche o dei passaggi chiaroscurali
nei disegni. L’obiettivo, in questa fase, sembra essere quello
di “smaterializzare” volumi e corpi non solo per azzerare la
tradizionale distinzione tra figura e sfondo, interno ed esterno,
vicino e lontano, ma soprattutto per creare una struttura
compositiva fluida, dinamica, con piani e livelli che, intersecandosi,
animano l’immagine di un’intensa vitalità. L’opera
intitolata Elisabetta (1975) ritorna su questo concetto con
la sovrapposizione di due elementi figurali (una bambina ed
una macchina) che amalgamandosi formano una terza unità
visiva – quella generata appunto dalla fusione della figura
e dell’automobile –, una presenza “misteriosa” nel quadro
che spiazza e disorienta le attese dell’osservatore. Durante
gli anni Novanta il rapporto tra figura e colore viene nuovamente
ripensato con il ciclo degli “strappi”, nel quale la
compresenza di due testi pittorici all’interno della stessa
opera – uno figurativo, l’altro astratto – crea una dialettica
più centrata sull’accentuazione del significato. In questo
caso, infatti, il colore può intendersi come una trascrizione
“astratta” della carica espressiva della figura, rispetto alla
quale le pennellate aggiungono non solo intensità emotiva
ma determinano anche l’atmosfera generale dell’opera. Con
18
LUCIANO BORIN
Riflessioni (2003), olio e foglia oro su tavola, cm 52x60
gli anni Duemila si arriva alla sintesi stilistica per la quale
Borin è maggiormente conosciuto, non senza però un passaggio
intermedio che lo vede coniugare il genere del ritratto
con uso ancora una volta libero e anticonvenzionale del
colore puro. Quest’ultimo, difatti, assolve il compito di isolare
le figure nello spazio dipinto, a significare una condizione
di incomunicabilità tra i soggetti della rappresentazione.
Le opere degli ultimi decenni portano a compimento una
sintassi visiva caratterizzata da colori saturi – soprattutto
i primari giallo, rosso e blu –, strati sovrapposti, accensioni
tonali, equilibri lineari e griglie geometriche che incorniciano
e talvolta inglobano la figura proiettandola in uno spazio
ormai del tutto mentale e simbolico. La sensazione è che la
ricerca di Borin in questi anni sia orientata a rendere protagonista
non tanto, o non solo, la figura, quanto invece la pittura
stessa e le istanze che questa pone non solo all’artista
ma più in generale ad una società in cui l’eccesso di codificazione
dei linguaggi spesso complica la comunicazione
anziché favorirla. Proprio a questo sembrano rimandare, nei
lavori grafici e pittorici di questo periodo, le lettere dell’alfabeto
e i numeri che incrociano i campi cromatici e le figure
come indizi di una scrittura nascosta all’interno dell’opera.
Merito della mostra è stato anche consentire una riflessione
sugli ideali e sui valori culturali che hanno orientato nel
tempo le scelte tematiche di Borin, portandolo a raccontare
la contestazione sociale e la protesta operaia degli anni Settanta,
l’emancipazione femminile, il fenomeno dei consumi
nell’era post-moderna e le “presenze” che all’interno del paesaggio
urbano – si pensi al ciclo dei turisti e a quello dei
viaggiatori in metropolitana – simboleggiano lo stile di vita
contemporaneo. Un ruolo particolare hanno sempre avuto le
donne e i bambini, soggetti entrambi depositari di una visione
tanto bonariamente ironica quanto convintamente ottimistica
dell’essere umano. Figure che hanno accompagnato
Borin nel costruire, anno dopo anno, la straordinaria eredità
pittorica documentata dalle opere in mostra e proiettata
– nonostante tutto – verso il futuro, in nome di valori umani
ed artistici incancellabili.
Le amiche (2017), grafite su carta, cm 50x70
In metropolitana (2017), olio su tavola, cm 97x130
LUCIANO BORIN
19
Davide Sigillò
Immagini senza tempo
Mercato in Piazza Santo Spirito, olio su tavola, cm 20x20
www.davidesigillo.eu
sigi78@libero.it
Davide Sigillò - Artist
davidesigi_artist
A cura di
Ugo Barlozzetti
Percorsi d’arte
in Toscana
Il Cassero a Montevarchi
Un museo esemplare per la scultura italiana dell’Ottocento e del Novecento
di Ugo Barlozzetti / foto courtesy Il Cassero
Montevarchi è indubitabilmente un luogo ricco di occasioni
culturali significative e di un’antica tradizione,
come l’Accademia Valdarnese del Poggio
dimostra, e quindi non sorprende che nel Cassero vi sia un
museo esemplare per molti aspetti, sia per le opere che per
i criteri espositivi. Le collezioni, che annoverano soprattutto
opere di scultura di maestri italiani dal 1895 al 1940, sono integrate
da adeguate schede di catalogo e fonti di documenti e
foto, frutto della ricerca di Alfonso Panzetta, una delle personalità
che più contribuiscono alla conoscenza di quel periodo,
e della validissima collaboratrice Federica Tiripelli, l’attuale
direttrice. Di Pietro Guerri (1865-1936) sono esposte tredici
sculture tra bronzi, terrecotte e gessi e sei grandi acquarelli,
di Odo Franceschi (1879-1958) sedici opere in gesso, di Ernesto
Galeffi (1917-1986) è documentata una produzione più
recente, dal 1957 al 1986, consistente in sessantacinque sculture
tra bronzi, legni e gessi e duemila disegni, oltre al materiale
documentario. Timo Bortolotti (1884-1954) ha centootto
sculture tra marmi, bronzi, terrecotte e gessi, oltre a centonovantadue
disegni. Di Michelangelo Monti (1875-1946) è esposta
la Gypsoteca con centosessantaquattro opere. Di Arturo
Stagliano (1867-1936) sono esposte sedici opere tra gessi,
bronzi e disegni, di Mentore Maltoni (1894-1956) quattro sculture
in gesso e bronzo, di Mario Bini (1909-1987) sette opere
in gesso degli anni Trenta. Di Francesco Falcone (1892-1978)
sono esposte quattro opere in bronzo, legno e gesso, di Firenze
Poggi (nato nel 1925) dodici opere in gesso patinato
e della quasi coetanea Dodi (Donatella Bortolotti, del 1926)
sessantasette opere tra terrecotte, ceramiche dipinte o maio-
Sala Timo Bortolotti
licate, bronzi e disegni datati tra il 1950 e il 2009. Di Massimo
Sacconi due sculture in gesso alabastrino e una in alluminio.
Le opere relative agli artisti citati con la documentazione raccolta,
costituiscono un importante “strumento” per lo studio
di percorsi, committenze, monumenti, non adeguatamente
frequentati per avere un panorama dell’arte del XX secolo in
Italia. Non mancano al Cassero anche materiali di altre personalità:
Diana Baylon, Ferdinando
Brambilla, Elio Galassi, Valmore Gemignani,
Quinto Ghermandi, Antonio
Maraini, Mario Moschi, Oreste
Pizio, Raffaello Romanelli, Dante
Sodini, Umberto Tirelli, Felice Tosalli,
Venturino Venturi.
Casa della cornice
www.ilcasseroperlascultura.it
www.casadellacornice.com
Sala Donatella Bortolotti
IL CASSERO A MONTEVARCHI
21
Quando tutto
ebbe inizio…
A cura di
Francesco Bandini
Dai megaliti di Stonehenge ai percorsi sacri di Petra
Testo e foto di Francesco Bandini
Moltissimi altri esempi
mettono in evidenza gli
straordinari giochi di luce
ed ombre legati a strutture architettoniche
che si verificano in
determinati periodi dell’anno come
l’ombra gettata ai solstizi ed
equinozi, esattamente definiti grazie
all’Analemma di Vitruvio (l’uso
dello “gnomone”), rielaborato in
Piazza San Pietro a Roma dal genio
del Bernini. Ed ancora, sempre
applicando la teoria vitruviana
dell’Analemma, nelle architetture
realizzate da colui che fu definito
lo “stupor mundi”, l’imperatore Federico
II di Svevia (vedi al riguardo
lo splendido Castel del Monte
in Puglia), tutto un linguaggio che
il vero “cielo perduto”, per citare
l’interessante studio di Guido Gossard,
tende ad evidenziare la nostra
incapacità contemporanea di
saper guardare a queste architetture
in rapporto a quelle luminose
degli astri, liberi di squarciare
il cielo. Così oggi noi crediamo di
catturare l’attenzione di quei nostri
progenitori, ingiustamente definiti
“primitivi”, soprattutto se consideriamo
i criteri che hanno guidato
quelle forme “EL-AL” – verso il
cielo – per citare non casualmente
il logo di una nota compagnia di
navigazione aerea israeliana. Proprio
in uno di questi luoghi leggendari,
la mitica valle di Petra, nella
città di Wady Mousa in Giordania,
ho avuto la fortuna di documentare
personalmente un’altra prova
archeologica dei Nabatei (Archeological
Petra Projet 1992/2000).
Già in precedenza avevo avuto
modo di visitare, nella località di
Kirbet Tannur, un luogo alto nella Francesco Bandini)
regione di Showbak, più precisamente
fra la città bizantina di Kyriapolis, l’odierna Dhat
Ras, e l’antica Augustopolis (Tafileh), uno splendido tempio
nabateo-ellenistico dove sono rappresentate, su fregi
e metope, alcune figure antropomorfiche a soggetto zodiacale.
Ma è soprattutto a valle del castello crociato di
2^ parte
El Khasneh al Faroun ovvero “Il tesoro del faraone”, tagliato nel I secolo a. C., è un monumento d’ispirazione
alessandrina, la cui iconografia testimonia influenze greche ed egizie (disegno tratto dal Diario di viaggio di
al-Wu-Ayra, dove opera da anni la missione archeologica
dell’Università di Firenze, che ho potuto documentare per
la prima volta e quindi produrre la relativa prova scientifica
di uno strano andamento di rocce dalla particolare
conformazione mammellare con tracce di una necropoli
22
PETRA
Quando nel 931 a. C. Petra emerse agli occhi dell’antichità, con l’attacco dei Macedoni, i Nabatei vi si erano già installati da tempo o forse da una o due generazioni;
la mancanza di documenti archeologici di questo periodo non dipende solo dallo stato incompiuto degli scavi di Petra, ma soprattutto dallo stile di vita dei Nabatei
che, in quanto popolo nomade, dal IV al II secolo a. C. non ha lasciato tracce
preistorica. Si tratta di un percorso sacro, che potremmo
definire liturgico-processionale, che pone in stretta relazione
la devozione dei morti con il culto degli adoratori
del Sole e dell’intero sistema astrale. Infatti, delle montagnole
sono collegate fra loro da una serie di gradini scavati
nelle pareti delle rocce, alla cui sommità si alternano
piccole tombe che si presentano a grotticelle con pozzetto
centrale d’ingresso oppure, fatto questo ancor più
stupefacente, presentano numerose “coppelle” scavate,
la cui distribuzione geometrica sembra riprodurre composizioni
astrali, cioè vere e proprie costellazioni zodiacali.
Un’ulteriore conferma che i Nabatei si dedicavano ad
investigazioni astronomiche e cercavano di leggere e interpretare
i segni del cielo. Questo percorso fu opportunamente
utilizzato come “camminamento di ronda” durante
il periodo in cui divenne fortificazione crociata; infatti,
dopo la prima fase di incastellamento (1106/1142), la
struttura difensiva venne conquistata da truppe persiane,
cui fece seguito l’immediata riconquista da parte di
Baldovino di Fiandra, divenuto, dopo la morte del fratello
Goffredo di Buglione, re di Gerusalemme. Dovendo allora
potenziare la linea di difesa della Signoria di Transgiordania,
utilizzò, oltre al castello di al-Wu-Ayra, questo naturale
sbarramento roccioso, installandovi torrette di guardia
proprio sulla piattaforma utilizzata in precedenza dai suoi
primitivi abitanti per i loro culti magico-astrali. Dopo aver
raccontato, nel mio diario di viaggio Dall’Ararat alle sorgenti
del Nilo Azzurro (Alinea, 2002) di questi siti, da Stonehenge
ai nuraghi sardi e cananei, da Babilonia a Ur dei
Caldei e ai percorsi sacri nella Wadi Araba, tentiamo ancora
una volta di leggere quella parte del libro che esamina
gli aspetti dell’astronomia, considerando i criteri che
hanno guidato le loro architetture. Viene fatto di pensare,
infatti, che in realtà questi “primitivi” non fossero affatto
gente rozza ma individui capaci di seguire certi ragionamenti
e soprattutto fossero consapevoli di vivere in sintonia
con la natura e con il cielo, per cui, alla fine, verrebbe
da dire che i veri primitivi siamo noi, scoprendo che per
gli antichi il cielo “era soprattutto la strada più diretta per
arrivare a Dio”.
PETRA
23
Libuse Babakova
La danza del segno
259 Frammenti (2018), acrilico su metacrilato, cm 80x80
libuse.babakova@gmail.com
A cura di
Maria Grazia Dainelli
Grandi mostre
in Italia
Keith Haring
Le opere del writer americano “colorano” Pisa con una
mostra a Palazzo Blu
Testo e foto di Miriana Carradorini
Nella parte espositiva di Palazzo Blu, a Pisa, dallo
scorso 12 novembre 2021 e fino al 17 aprile 2022,
è possibile visitare la mostra Keith Haring che, attraverso
le opere del writer americano, offre una visione
completa dell’artista e della sua attività. Per la prima volta
più di centosettanta opere, provenienti dalla Nakamura
Keith Haring Collection, museo giapponese dedicato all’artista,
toccano il suolo europeo, e la scelta di Pisa come sede
espositiva è legata al murale di Haring realizzato nel 1989
su una facciata del convento pisano di Sant’Antonio e intitolato
Tuttomondo. Una serie di omini colorati, tipici di Haring,
guidano turisti, curiosi e gli stessi abitanti della città
tra il murale e Palazzo Blu, riempiendo di colore e “persone”
una Pisa invernale e apparentemente vuota a causa del
Covid. La mostra, divisa in nove sezioni, porta il visitatore a
viaggiare nella variegata produzione di Haring partendo dalle
metropolitane newyorkesi, dove ha realizzato i suoi primi
disegni, i cosiddetti Subway Drawings (1981-1983), fino ad
arrivare alla sua ultima opera, una serie di diciassette serigrafie
dal titolo The Bluprint Drawings, pubblicata un mese
prima della sua morte. Il visitatore, che già conosce gli omini
colorati di Haring grazie alla loro riproduzione seriale su
vestiti, borse e qualsiasi altro oggetto, si sorprenderà nel vedere
i retroscena della loro realizzazione, legata all’impegno
sociale e politico di Haring. Infatti con la sua fantasia colorata
Haring vuole sensibilizzare l’osservatore su temi come
l’energia nucleare, il razzismo, l’uso delle droghe, la prevenzione
dell’AIDS e moltissime altre tematiche, argomenti che,
Palazzo Blu a Pisa, sede della mostra dedicata a Keith Haring
insieme ai suoi omini, fanno di lui uno dei simboli indiscussi
della cultura anni Ottanta. Molte di queste opere sono
presenti nella mostra insieme ad altre realizzate su commissione
come le copertine di album di cantanti del calibro
di David Bowie (Without You, 1983) e pubblicità come quella
dell’Absolut Vodka (1986). Il visitatore scoprirà anche gli
aspetti più sconosciuti e privati dell’artista, come la sua produzione
di libri e laboratori per bambini e le opere realizzate
nel periodo finale della sua vita, caratterizzato dalla malattia.
La mostra a Palazzo Blu, piena di colori e significati, traduce
a pieno l’intento di Haring, ovvero far sentire a proprio agio il
visitatore all’interno di un museo e accompagnarlo nella vita
di ogni giorno, con tinte vivaci e simpatiche figure stilizzate,
rendendo l’arte vita e la vita arte.
Dr Matteo Berna
Consulente finanziario
338 5647067
matteoberna@mediolanum.it
Alcune delle opere esposte
KEITH HARING
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L’Agenda interventata
Un progetto d’artista per gli artisti
di Roberto Della Lena
Èla storia di una raccolta di disegni molto particolare,
a cui io e un gruppo di amici decidemmo di dare
il nome di Progetto agenda interventata, dove gli
interventi sono creazioni artistiche estemporanee. Ha una
data di inizio, il 25 giugno 1997, quando alcuni artisti accettarono
di buon grado di arricchire la mia agenda con propri
schizzi. Quell’agenda non ha terminato la sua esistenza
con il 31 dicembre 1997, ma è “sopravvissuta” ben più a lungo.
Infatti negli anni successivi i disegni sono andati via via
sempre aumentando; solo la mancanza di spazio ha di fatto
interrotto l’inserimento di ulteriori contributi. Sono più
di cento piccole opere, fatte da altrettanti artisti. Per motivi
di spazio, sono qui riprodotti solo una piccola parte. Tutti
sono per me importanti, ad ognuno di loro e al momento
che sono stati eseguiti è legato un ricordo. Sottolineo ancora
che vorrei nominarli e inserirli tutti. Lo farò sicuramente
in futuro; si consideri dunque il presente come un punto di
partenza per le prossime uscite.
A cura di
Luciano e Ricciardo Artusi
Curiosità storiche
fiorentine
Tommaso Masini
Novello Icaro con la macchina del volo progettata da Leonardo
di Luciano e Ricciardo Artusi
Tommaso Masini detto Zoroastro da Peretola, figlio di
un ortolano, era un giovane di belle speranze, allievo
del grande Leonardo da Vinci, impegnato ai primi del
Cinquecento a dipingere la famosa Battaglia d’Anghiari in
Palazzo Vecchio. Con il maestro, l’aitante giovane di bottega
peretolino contribuì anche alla realizzazione del “grande
uccello” che per primo al mondo tentò l’avventura del volo. Il
volo, volare: un’idea che assillava Leonardo da quando, dopo
aver osservato a lungo il volo degli uccelli con le differenze e
le affinità dei vari soggetti, l’utilizzo del vento contrario, studiato
e disegnato le loro ali ed i movimenti che le mettevano
in azione, pensò che anche l’uomo potesse avere quella
forza necessaria per sollevarsi e sorvolare campi, colline e
fiumi. Trascorse giorni e notti di intenso lavoro, curvo ed assorto
sui suoi disegni che andava perfezionando di momento
in momento. Così, col volgere del tempo, nella mente del
genio si fece strada il progetto sempre più chiaro ed esatto
di un apparecchio che potesse volare; era talmente convinto
della funzionalità della sua macchina volante che egli
stesso profetizzò: «Piglierà il primo volo il grande uccello
sopra del dosso del suo magno Cecero, empiendo l’universo
Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo
di stupore, empiendo di sua fama tutte le scritture, e gloria
eterna al nido dove nacque». Il fedele Zoroastro, lasciati
pennelli, mortai e colori, si dedicò ad aiutare il maestro nella
costruzione del prototipo, che alla fine venne realizzato
così perfetto da convincerlo di poterlo collaudare personalmente
senza alcun timore, anche in virtù della fiducia riposta
nel maestro. L’apparecchio dalle grandi ali, dal quale Zoroastro
sdraiato sul carrello avrebbe dovuto produrre con gli arti
quella forza motrice necessaria per alzarsi in volo, fu portato
sulla sommità del Monte Ceceri, vicino a Fiesole, per
essere spinto verso il baratro e quindi librarsi nell’aria. Una
fulgida luce avvolgeva la collina di Fiesole. Tutto era pronto
per il lancio: un’energica spinta e giù il salto verso il fondo
valle. Compiuta una breve traiettoria in planata con alcune
inclinazioni d’ala, il volo del grande uccello aveva termine
fracassandosi al suolo, fortunatamente senza gravi conseguenze
per l’affezionato ed intrepido discepolo. Dopo l’infelice
esperimento che aveva evidenziato come l’eccessivo
peso e la forza motrice degli arti umani non fossero commisurati
alla necessità per manovrare quelle grandi ali di cigno,
Leonardo e Zoroastro, stanchi e delusi, fecero i bagagli
e se andarono a Milano. Dal dosso di Monte Ceceri, il meccanico
apparecchio leonardesco tentò per primo di spiccare
il volo nell’azzurro cielo che lo accoglieva come un trionfatore;
non ci riuscì del tutto, ma certamente aprì le porte a serene
prospettive per l’avvenire. A cinquecento anni di distanza
dall’evento del “primo volo”, il 28 marzo 2006 in via di Peretola
è stata inaugurata una targa marmorea in ricordo dell’ardimentoso
assistente di Leonardo, con questa dicitura: “In
questo borgo nacque Tommaso Masini detto Zoroastro da
Peretola che – allievo di Leonardo – sul magno Cecero sperimentò
la macchina per volare”.
Cornici Ristori Firenze
www.francoristori.com
Via F. Gianni, 10-12-5r
50134 Firenze
La macchina per il volo di Leonardo da Vinci
TOMMASO MASINI
27
Dimensione
salute
A cura di
Stefano Grifoni
I progressi della scienza per vivere
meglio e più a lungo
di Stefano Grifoni
Invecchiando aumenta il rischio di soffrire, morire e
sviluppare delle malattie. Per ridurre la probabilità di
ammalarsi in età avanzata occorre intervenire sulla
disfunzione mitocondriale delle cellule perché è proprio
questa che ci predispone ad una serie di malattie come
la demenza, l’ipertensione e le patologie cardiovascolari.
Oggi grazie alle nuove terapie e tecnologie in medicina gli
anziani vivono di più, anche oltre dieci anni. Le persone
continueranno a morire perché i progressi della scienza
non potranno impedire incidenti stradali, omicidi o morti
a causa dei virus per i quali non esiste vaccino. Una cosa
è certa: prevenire è meglio che curare. Questo comporta
incrementare la ricerca scientifica particolarmente per
identificare nuove cure e nuovi vaccini per contrastare la
morte per malattia che ogni giorno miete centinaia di vite
umane. La morte non è la più grande perdita della vita.
La più grande perdita è ciò che muore dentro di noi mentre
stiamo vivendo.
Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso
dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi
e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale
della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione
per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico
dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.
28
PROGRESSI DELLA SCIENZA
A cura di
Emanuela Muriana
Psicologia
oggi
Terminator
Un killer seriale di
relazioni amorose
di Emanuela Muriana
Un paziente un giorno mi scrive una e-mail dicendo
di aver messo a fuoco il meccanismo alla base delle
sue sfortune amorose e del fallimento sistematico
di tutte le sue relazioni importanti del passato. In preda
all’ansia per il ripetersi di dinamiche simili al passato in una
relazione appena iniziata, conclude: «Sì, ho avuto le stesse
sensazioni in tutte le mie passate relazioni ed ho attuato
sempre la stessa strategia di difesa: mi metto in disparte,
comincio ad abbuiarmi finché alla mia partner non è chiaro
che qualcosa non va. La sua domanda di chiarimenti diventa
l’occasione per esprimere il mio bisogno di conferme
con richieste più o meno pressanti di rassicurazioni circa i
suoi veri sentimenti nei miei confronti, apparentemente poco
trasparenti a causa di comportamenti non in linea con l’ideale
amoroso che puntualmente metto a confronto con la
dura realtà». Il meccanismo funziona così: lei magari è distratta
perché ha un periodo di stress al lavoro, problemi
familiari oppure semplicemente ha una brutta giornata. Indipendentemente
dalle cause che generano l’apparente distacco
e disinteresse da parte della partner, “terminator”
– questo è il nome che il mio paziente si è ironicamente attribuito
– comincia a ruminare sui possibili scenari negativi
che vi si celano e riflette sui suoi stati d’animo attribuendone
la causa alla relazione stessa. «Se lei è così distaccata
e pensierosa e non mi manifesta amore allora significa che
tra noi c’è qualche problema: magari pensa all’ex oppure le
piace un altro ma non ha il coraggio di dirmelo, forse mi tradisce;
pensa solo al lavoro e di me non le importa nulla. È
una storia destinata a terminare, prima o poi mi darà il ben
servito». Lucide strategie di difesa fallimentari che producono
sempre lo stesso risultato catastrofico; lucida consapevolezza
che spesso non basta a cambiare le relazioni. La
paura, emozione naturalmente connessa alla sopravvivenza,
innesca altre numerose risposte emozionali secondarie
come l’ansia, per evitare il pericolo o il dolore; la rimuginazione
con la messa alla prova del partner serve per tenere
sotto controllo il pericolo pensato. La paura dell’abbandono
crea il ciclo della vittima aggressiva che cerca continuamente
conferme. A volte il vittimismo ha manifestazioni
quiete, come appunto l’isolamento silenzioso in attesa che
la partner venga in aiuto a risollevargli il morale con le sue
rassicurazioni. Altre volte invece si manifesta in modo aggressivo,
con richieste pressanti di chiarimenti o rassicurazioni
circa l’esistenza o meno di passate relazioni irrisolte
o di altre presenti. Tutto è oggetto di intervento di mirate
strategie psicoterapeutiche gestite da un terapeuta esperto,
pena rimanere intrappolati in un meccanismo che come
una ruota gira sempre uguale su se stessa. Ma attenzione:
«Nell’amore le rassicurazioni valgono come annuncio del loro
opposto», scrive Elias Canetti.
Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve
Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.
È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso
le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato
tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.
È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.
Studio di Terapia Breve Strategica
Viale Mazzini 16, Firenze
+ 39 055 242642 - 574344
emanuela.muriana@virgilio.it
TERMINATOR
29
Dora Pianezzola
I volti del tempo
pianezzola.dora@virgilio.it
+ 39 348 6562357
A cura di
Silvia Ciani
I consigli del
nutrizionista
La dieta come “stile di vita”
di Silvia Ciani
Le evidenze scientifiche confermano come lo stile
di vita sano e la dieta mediterranea siano essenziali
per promuovere la salute e mantenerla.
Nonostante questo, gli errati stili di vita ed il sovrappeso
costituiscono una delle principali problematiche di salute
pubblica in tutto il mondo ed inoltre, nell’attuale situazione
pandemica, le persone in sovrappeso hanno maggior
rischio di ospedalizzazione, ricovero in unità di terapia intensiva
e morte per Covid-19. La dieta rimane la risposta
predominante per far sì che la persona in sovrappeso o
obesa possa recuperare salute perdendo peso. Arrivare ad
un peso ragionevole e mantenerlo nel tempo dovrebbe essere
l’obiettivo da perseguire. Sembra facile, ma non lo è.
Uno dei motivi che ci allontanano dal risultato è il fatto
che non tutti riescono a stare a dieta. Cosa significa la parola
“dieta”? Dal greco antico “diaita” ovvero “stile di vita”,
non è un regime dietetico, piuttosto è un modo di vivere in
cui l’atto del cibarsi è denso di altri significati come gusto,
socialità, cultura e tradizione. Oggi invece l’alimentazione
è un dovere, una pausa, una necessità e, quando degenera,
una compulsione o una dipendenza. Superare questo stato
di cose non è banale e spesso
non basta una semplice prescrizione
dietetica. Offrire una dieta
ad una persona obesa può infatti
non sortire gli effetti desiderati
e può rischiare di divenire un fallimento
(anche se si perde peso
all’inizio, poi lo si recupera con
gli interessi, oppure, nel caso di
un disturbo alimentare, potrebbe
addirittura peggiorare la patologia).
È mio obiettivo capire e
comprendere quali siano le motivazioni
che perpetuano e aggravano
la condizione di sovrappeso
del paziente, analizzare la sua
storia, il suo vissuto, le difficoltà
che ha verso il cambiamento. In
altre parole, scegliere per quella
persona un metodo che può an-
che essere diverso dalla solita prescrizione dietetica, che
abbia una connotazione più intima, personale, più attiva e
consapevole, che faccia presa sugli aspetti cognitivi e razionali
e valorizzi i punti di forza facendo riconoscere e affrontare
le proprie debolezze. Spesso faccio compilare un
diario alimentare per capire a fondo il comportamento della
persona: la ritengo una strategia molto utile poiché rende
il paziente consapevole delle proprie azioni (mangiare
fuori pasto, assumere cibi troppo elaborati o calorici, avere
ritmi irregolari, fame emotiva) e mi consente di analizzarle
e cercare il modo di modificarle in meglio. Al diario
si possono poi aggiungere altri strumenti quali indicazioni
nutrizionali specifiche per singola patologia oppure
riferimenti (immagini, grammature, tabelle) per un’alimentazione
equilibrata. A volte, invece, può essere necessario
affrontare le problematiche che riguardano il comportamento
alimentare (ossessioni, ansie, dipendenze, disturbi
alimentari) attraverso percorsi integrati con lo psicoterapeuta.
Non si tratta quindi di personalizzare solo la dieta
ma di individuare un percorso, talvolta anche complesso,
calibrato e modulato sul singolo paziente.
Biologa Nutrizionista e specialista in
Scienza dell’alimentazione, si occupa
di prevenzione e cura del sovrappeso
e dell’obesità in adulti e bambini attraverso
l’educazione al corretto comportamento alimentare,
la Dieta Mediterranea, l’attuazione di
percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo
e personal trainer.
Studi e contatti:
artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas
14 d - Firenze / + 39 339 7183595
Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -
Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678
Istituto Medico Toscano - Via Eugenio
Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911
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silvia_ciani@hotmail.com
LA DIETA
31
I giganti
dell’arte
L’Incendio di Borgo
Uno dei capolavori di Raffaello nelle Stanze Vaticane
di Matteo Pierozzi
Anno 1508: papa Giulio II Della Rovere chiama a Roma
due grandi artisti. Uno è Raffaello Sanzio da Urbino,
l’altro è nientemeno che Michelangelo Buonarroti. Il
Papa commissiona a Raffaello, ragazzo di appena venticinque
anni ma già famoso, la pittura delle stanze del suo appartamento
privato. Uno di questi capolavori si trova nella
Stanza dell’Incendio di Borgo, che prende il nome da uno degli
affreschi che nella sala si ritiene interamente autografo
di Raffaello. Questa stanza aveva la funzione di triclinium,
ci dicono le fonti latine, cioè era la sala da pranzo del pontefice,
che qui riceveva i suoi più stretti collaboratori ed i suoi
ospiti più importanti. Nell’affresco di Raffaello si vede divampare
un terribile incendio che sta distruggendo il quartiere
di Borgo Pio e la Basilica di San Pietro, basilica costantiniana,
come ci appare prima degli interventi
cinquecenteschi. Incorniciata da architetture
classiche, è una scena drammatica in cui i
corpi che fuggono dalle fiamme contorti e disperati
sono i veri protagonisti. Papa Leone
X intanto dal fondo, invocato dai fedeli, ferma
l’incendio e benedice lo spettatore. Appare
limpida in questa parete ricca di figure
umane l’ammirazione provata dal maestro di
Urbino per Michelangelo.
L'Incendio di Borgo (1514), affresco, Musei Vaticani, Città del Vaticano
32
INCENDIO DI BORGO
A cura di
Maria Concetta Guaglianone
PsicHeArt
Psicologia e percezione visiva
Cosa succede quando osserviamo un’opera d’arte
di Maria Concetta Guaglianone
Ogni qual volta ci si trova davanti ad una rappresentazione
artistica si attiva un’esperienza soggettiva che
può avere impatti differenti in termini di intensità e
coinvolgimento e richiamare contenuti consci e inconsci. Per
comprenderne il vissuto vanno considerati processi psicologici
coinvolti nelle esperienze di produzione e di fruizione di
un’opera d’arte, l’attivazione e l’interconnessione tra aree e
funzioni del cervello, il sistema percettivo, visivo, cognitivo,
mnemonico, emotivo, di rappresentazione simbolica e di significato,
di immedesimazione e apprezzamento. Guardando
un’opera d’arte, come ad esempio un dipinto, si può avere
l’impressione di essere “catapultati dentro” la rappresentazione
artistica che diventa, per effetto dei neuroni specchio
e per l’attivazione di circuiti dopaminercigi, un’esperienza
emozionale e sensoriale. L’opera d’arte veicola stimoli che
provengono dall’esterno – visivi, olfattivi e uditivi – e dall’interno
come pensieri e sentimenti. A livello neurobiologico il
cervello si attiva richiamando due processi complementari:
il bottom-up, innato e riferito ai circuiti cerebrali dettati da re-
gole universali del sistema visivo che permette ad ogni persona
di estrarre le informazioni principali, come la forma, il
contrasto, il colore, la figura-sfondo, i contorni, la luce-ombra,
il volume, l’orientamento, la trama delle superfici; il topdown,
relativo a circuiti cerebrali che caratterizzano funzioni
mentali di ordine superiore come la memoria, l’attenzione,
le aspettative, le associazioni visive apprese nell’esperienza
psicologica soggettiva. In tal caso il cervello è impegnato
in un processo di integrazione di informazioni incomplete
o ambigue e richiama il sistema di significati propri della
persona. Considerando ad esempio l’arte figurativa, in modo
immediato si attiva un processo di riconoscimento, categorizzazione
e classificazione di elementi definiti; in caso di
arte astratta si attiva un processo “più creativo” con la produzione
di nuove associazioni in assenza di elementi riconoscibili.
E.R. Kandel, uno dei maggiori neuroscienziati, premio
Nobel per la medicina nel 2000, in Arte e Neuroscienze parla
della relazione tra creatività, razionalità e funzionamento
cerebrale. Proprio in merito all’arte astratta mette in evidenza
come l’astrattismo insegni a
guardare in modo nuovo, a cogliere
nuove prospettive e significati,
come da elementi indefiniti
si possa costruire un’immagine
rappresentativa sulla base della
propria esperienza. Il nostro cervello
elabora i segnali sensoriali
provenienti da un’opera d’arte
e, a partire da essi, costruisce significati,
come afferma lo stesso
Kandel: «Per l’artista il processo
creativo è anche interpretativo
e per chi guarda il processo interpretativo
è anche creativo».
Guardare, sentire e fare arte significa
creare, evocare e respirare
vita. E come una danza, tra
passi e figure, l’arte si muove e
smuove nel corpo, nella mente e
nelle emozioni.
Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta
Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia
di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di
Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e
Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali
di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).
+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com
PERCEZIONE VISIVA
33
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Lise Duun
Il paesaggio fuori, la natura dentro
di Daniela Pronestì
Di fronte ad un quadro di paesaggio poco importa
sapere dove si trovi esattamente lo
scorcio di mare rappresentato o se esista
davvero il tratto di campagna dipinto dall’artista: se
anche queste curiosità venissero soddisfatte, non
aggiungerebbero nulla all’emozione che scaturisce
da quelle immagini. Il senso del paesaggio si colloca
al di là del tempo e dello spazio, in una dimensione
in cui il visibile diventa anello di congiunzione tra
le cose della natura e lo sguardo interiore dell’artista,
tra ciò che l’occhio registra e ciò che il pensiero
di sé proietta in quegli scampoli di realtà. Può
accadere anche – ed è il caso delle opere dell’artista
danese Lise Duun – che paesaggi all’apparenza
reali siano invece il frutto di un esercizio d’immaginazione,
di un’interpretazione simbolica del mondo
naturale nella quale ciascun elemento incarna un
significato nascosto. Nei dipinti della Duun domina
un effetto di incantamento, di magia sottile, di
visione sognata, e in questa sospensione tra reale
e immaginario, l’aspetto “concreto” delle cose sfuma
per lasciare posto all’immaterialità dell’emo-
Forze del mare, olio su tela, cm 40x40
Lasciato indietro, olio su tela, cm 30x30
Finché il mare non ci separi, olio su tela, cm 40x40
34
LISE DUUN
La fine del mondo, olio su tela, cm 100x80
zione. Quando smettiamo di considerare la natura
come un contesto che lambisce le nostre vite senza
farne parte, scopriamo invece che niente più della
natura ci somiglia nel dare un volto al bisogno
dell’uomo di credere in qualcosa che duri oltre la
brevità dell’esistenza, di immaginare un altrove che
lo accolga alla fine dei tempi, di rimediare allo sgomento
generato dalla constatazione della propria finitudine
in confronto alla vastità dell’universo. Le
opere della Duun ci rammentano quanto importante
sia sperimentare questo profondo senso di unità
con la natura, con i segreti che la permeano, e al
medesimo tempo proiettare lo sguardo al di là del
contingente, superando cortine di nuvole, muraglie
d’acqua, filari d’alberi, decifrando il mondo come
una foresta di simboli. Non si tratta, quindi, soltanto
di contemplare lo spettacolo naturale avvertendo
tutto l’incanto che ci fa sentire “piccoli” di fronte
a tanta meraviglia, ma occorre anche “sfidare” questa
grandezza, entrarci dentro, attraversarla, con la
stessa forza che da sempre spinge l’essere umano
a superare i propri limiti. I paesaggi della Duun invitano
a vivere entrambe queste esperienze, chiamandoci
ad essere spettatori di un mondo magico
e allo stesso tempo fautori della “magia” che nasce
da uno sguardo capace di andare oltre le apparenze.
È importante saper predisporsi all’ascolto della
realtà, riconoscerne i segnali, decodificarne i significati,
per vedere apparire le cose sotto una nuova
luce. Tempeste marine, paesaggi ghiacciati, sentieri
di nebbia compongono un linguaggio cifrato, un modo
per rendere visibile ciò che di per sé non ha né
corpo né sostanza: stati d’animo, emozioni, pensieri.
Nulla è come sembra nei dipinti della Duun: l’acqua
non è acqua, il cielo non è cielo, gli alberi non
sono alberi. Il paesaggio stesso non è più paesaggio
ma un insieme di simboli che narrano storie, danno
forma a momenti di vita vissuta, interpretano la realtà
offrendone possibili chiavi di lettura. E insieme
a strade da percorrere, mari da solcare, morbide luci
dalle quali farsi avvolgere, l’artista ci consegna una
visione ottimistica del mondo, un racconto intessuto
di stupore verso tutto ciò che nella vita è mistero,
armonia e bellezza.
www.galleriduun.dk
La nebbia si sta alzando, olio su tela, cm 70x50
LISE DUUN
35
Scuola di Scrittura Creativa Ciampino
organizza la
3^ edizione del Concorso Letterario Nazionale
di Poesia e Narrativa per ragazzi e adulti
"LE PAROLE DEL GECO"
Tema 2022:
"UNA GOCCIA NEL MARE"
IL CONCORSO LETTERARIO
"Le parole del geco" è un concorso letterario che nasce nel 2019, con lo
scopo di far riflettere gli autori su argomenti di particolare interesse.
Le prime 2 edizioni sono state un omaggio ai genitori dell'organizzatrice.
Per quest'anno il tema è: "Una goccia nel mare". Questa volta si vuole
stimolare il "sentire" degli autori. Alla luce della stringente attualità
come ci si sente di fronte ai mutamenti climatici, alla crisi sanitaria ed
economica, ai problemi di inclusione o di bullismo? Una goccia nel mare
quale nullità in un'inarrivabile immensità o una goccia nel mare come
parte di immenso tutto?
PARTECIPAZIONE
La partecipazione è gratuita fino a 18
anni, per i maggiorenni invece
la quota è di 6 euro.
Bando e regolamento
www.concorsiletterari.net
Scadenza: 31 marzo 2022
I testi vincitori saranno inseriti in
un'antologia messa in vendita
per beneficenza a favore
dell'Associazione
"Il sorriso di Mok Italia",
impegnata da anni
nel sostegno di bambini in Africa.
GIURIA E PREMI
La Giuria è composta da
8 giurati:
4 esperti del settore
4 allievi della Scuola di Scrittura
Presidente di giuria
il poeta romano
Giovanni Gentile
Premi per i vincitori:
targhe e pergamene
Attestato di partecipazione
per tutti gli altri
La premiazione si terrà a
Ciampino all'inizio dell'estate 2022
Info e contatti
leparoledelgeco@libero.it
www.concorsiletterari.net
"Le parole del geco - concorso nazionale"
le_parole_del_geco_concorso
339/68.29.867
LA STORIA DELLA
"SCUOLA DI
SCRITTURA CREATIVA
CIAMPINO"
Ideatrice della scuola,
Elisabetta Piras vive e
lavora a Ciampino come
docente di scuola primaria.
Funzionario comunale per
32 anni, approda infine alla
scrittura e all'insegnamento,
sue grandi passioni.
Su richiesta scrive
fiabe e racconti "su misura"
da donare in occasione di
compleanni, nascite,
occasioni speciali.
Grazie alla sua esperienza di
scrittrice "on demand" ha
creato, nel 2012, i corsi di
scrittura per bambini e
ragazzi, con lo scopo di
appassionarli alla scrittura.
I suoi corsi si tengono nelle
scuole del territorio.
La voce
dei poeti
Anna Maria Biscardi
Poetessa e scrittrice, ha raccontato con raffinata sensibilità la vita e i sentimenti
di Mara Faggioli
Mi giunge inaspettata la triste
notizia della scomparsa
di Anna Maria Biscardi,
poetessa, scrittrice, musicista, molto
conosciuta e apprezzata dalla critica
e dal pubblico, tra i nomi più significativi
nel panorama letterario.
Raffinata, colta e sensibile, amante
della cultura, ha pubblicato ben undici
libri. In Passaggio a Mezzogiorno
(Guida Ed.), con la sua voce potente
e nello stesso tempo delicata, ha
raccontato con coraggio, forza e determinazione
i problemi e i drammi
vissuti dalle donne del Sud nel secondo
dopoguerra, libro autobiografico
dal quale scaturisce la forza di
volontà e la fierezza di Anna Maria, la
sua capacità di rialzarsi sempre anche
di fronte alle avversità della vita.
Particolare interesse rivestono le
biografie di personaggi illustri come
Mario Luzi, note di vita dall’archivio Anna Maria Biscardi
della memoria (Ed. Polistampa) con
la prefazione di Sergio Zavoli e Colloqui amichevoli con Geno
Pampaloni (Ed. Polistampa). Ha scritto, inoltre, saggi e poesie,
sempre con la sua innata eleganza, ed ha ricevuto molti
premi e riconoscimenti prestigiosi per la sua attività letteraria.
Le ultime due sue pubblicazioni sono dei veri e propri “atti
d’amore”, rappresentano un abbraccio alle persone più care:
nel 2016 esce una raccolta poetica insieme ai figli Marivana e
Patrizio Del Duca dal titolo Tre percorsi dell’anima (Ed. Masso
delle Fate) e nel 2018, sempre con Masso delle Fate, Lettere
di un innamorato. Questo libro potrebbe essere definito l’ultima
“fatica” letteraria ma in questo caso penso che la parola
“fatica” sia del tutto inappropriata dato che è scaturito dal
cuore di Anna Maria di getto, come una sorgente di acqua pu-
Ho imparato stasera
qualcosa importante,
gioire con te
delle cose del mondo,
scoprire che anche
il più piccolo istante
può essere eterno
se tu sei con me…
(da La luce dei ricordi di Anna Maria Biscardi)
ra e cristallina, e sono certa che le parole le siano sgorgate
prorompenti come un torrente, pagina dopo pagina, attraverso
le lettere del suo amato Sergio e i ricordi della loro intensa
storia d’amore. Dopo 25 anni di un amore così profondo,
la scomparsa della persona amata ha fatto perdere la voglia
di vivere ad Anna Maria e la stesura di quest’opera è stata catartica
perché l’ha aiutata a sopportarne la sofferenza. Era
desiderio di Anna Maria presentare questo libro nella città
dove viveva, Scandicci, ma gli ultimi due anni hanno frenato
molte attività e, purtroppo, non è stato possibile. Un’amicizia
di alcuni decenni mi lega ad Anna Maria, ricordi intrisi di poesia
nei salotti letterari e nei circoli culturali, i lunghi viaggi
per cerimonie di premiazione che rappresentavano il pretesto
per stare insieme, ma anche serate in allegria e spensieratezza
come le briose cene da Alfio Vanni, conosciuto come
“Moscerino”, lo showman di Signa al quale Anna Maria ha dedicato
un libro. Troppo spesso non ci accorgiamo che nella
vita tutto è precario: crediamo e desideriamo di possedere
sempre qualcosa e, invece, sono le cose che possiedono noi
ed alla fine, quello che di vero e reale ci resta, sono i sentimenti
d’amore e le emozioni vissute, sono gli attimi che erroneamente
credevamo “fuggenti” ma sono proprio quelli che,
invece, restano impressi indelebili per sempre nel nostro cuore.
Anna Maria lo sapeva ed è riuscita a descriverli perfettamente
con le sue parole, con i suoi versi e con la narrativa,
lasciandoci per sempre un’eterna testimonianza d’amore.
ANNA MARIA BISCARDI
37
Ecologia e
società
Dallo sfruttamento al rispetto degli animali:
una conquista di civiltà
di Moravio Martini
Mi piace molto leggere ma principalmente possedere
i libri. Ho la casa piena di libri e ciò mi gratifica
molto. L’ultimo libro che ho letto s’intitola Sorella
scimmia e fratello verme scritto da quel genio che si chiama
Piergiorgio Odifreddi per la casa editrice Rizzoli. Questo libro
ha accentuato e confermato il mio atteggiamento di sempre
in favore degli animali e il pessimo comportamento verso
di loro dell’umanità. Il libro comincia con il citare la creazione
dell’uomo e della donna – la Genesi –, ai quali Dio disse
di dominare sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sulle
bestie domestiche e quelle selvatiche e su tutti i rettili che
strisciano sulla terra. Di poi, aggiunge, che l’Occidente giudaico-cristiano
ha creduto a questo editto divino e ha legalizzato
le pretese di sfruttamento intensivo degli animali a
suo uso e consumo. Questo ha scritto Odifreddi e io concordo
pienamente. Non so se sia vero che mangiare carne abbia
permesso l’evoluzione dell’uomo, personalmente non ci credo.
Ma andiamo avanti trascurando tale ipotesi. Noi siamo
una comunità che vive grazie alla sopraffazione degli animali
e al loro sterminio. Uno sterminio, un genocidio giornaliero
che, in confronto, l’olocausto nazista è poca cosa. Il mondo,
per gli animali, è una eterna Treblinka! L’umanità, eppu-
re, conosce questa mattanza ma finge di non sapere da dove
vengono tutte le cose che quotidianamente usiamo. Tutto ci
sembra dovuto, normale, concesso, naturale; l’assuefazione
ci ha reso indifferenti allo scempio di cui siamo complici.
Dice ancora Odifreddi: sapete quanti animali, pesci, volatili
vengono uccisi? Oltre 1200 miliardi l’anno! E ogni anno, a ciascuno
di noi, toccano centocinquanta animali! Forse non ne
siamo consapevoli ma l’ignoranza è una giustificazione molto
comoda per la coscienza. Gli animali sono esseri viventi
capaci di sentimenti, capaci di avvertire il dolore e la morte,
che noi, sordi ai loro belati, torturiamo e uccidiamo (così come
facemmo ai nativi americani del sud e del nord). Eppure
è a loro che dobbiamo tutto: il cibo (i valori nutritivi), gli indumenti,
il lavoro, la compagnia, il divertimento, etc. . La macellazione,
dicono, deve avvenire subito, senza ritardi, onde
non sentire i belati dell’animale che vede morire gli altri e
ha la percezione del pericolo e della sua morte. Il loro istinto
di conservazione e quello di riproduzione è uguale a quello
dell’uomo, uguale a noi, ossia la paura della morte e l’istintivo
desiderio sessuale (sopravvivenza e riproduzione). L’interno
dei macelli è una fucina, una macelleria e un mattatoio.
Un insieme di belati e muggiti di animali che attendono il loro
38 RISPETTO DEGLI ANIMALI
turno. Odori forti come quello del sangue e dello sterco di cui
si insudiciano per premonitoria paura. L’animale viene stordito
con una pistola provvista di una punta di ferro di 6 centimetri
che nel cranio produce stordimento ma non la morte
(bovini ed equini). Oppure con l’elettronarcosi alla testa (sedia
elettrica?) che produce la mancanza totale di sensibilità,
perdita della coscienza (!), dei riflessi ma non la respirazione
e la circolazione sanguigna quindi il dissanguamento e
la relativa morte (suini). Per i volatili si ricorre a una vasca
d’acqua elettrizzata e l’immersione della loro testa. Lo stoccaggio
delle carcasse viene conservato in celle frigorifere a
meno 4 gradi centigradi al fine di frollare i nervi e renderli
morbidi. Si definisce carcassa un animale morto, carogna se
putrefatto. È oggetto di dispute se chiamare l’animale morto
anche cadavere. Indubbiamente tale voce sarebbe efficacissima
per ricordarci che cosa stiamo mangiando. Il filosofo
Lucrezio (vissuto prima di Cristo) diceva che gli esseri viventi
vivono grazie all’Animus, ossia la respirazione (soffio divino)
esercitata dalla psiche e dallo pneuma (inspirare ed espirare)
da cui deriva che gli esseri viventi che respirano sono “Animali”.
Siamo anche noi animali e si nasce come loro sporchi
del sangue vischioso delle mucosità della madre. Non è facile
cambiare questo stato di cose coinvolgenti investimenti
commerciali, finanziari, base della società mondiale fatta
di egoistici interessi, ma occorre rivedere questa triste situazione
prima possibile ascoltando il nostro senso di giustizia
e di pietà. Iniziativa non facile se ricordiamo che alla fine
dell’Ottocento e i primi del Novecento furono pensati e realizzati
gli “zoo umani” dove impresari bianchi esibivano gente
di colore (catturata ed esportata dalla loro terra natia) come
attrazione per soddisfare la curiosità degli europei. Ospitati
in recinti, venivano comandati come animali da circo. Sintomatico
il cartello “non dare da mangiare ai neri, sono nutriti”.
Ancora atrocità, questa volta perpetrate da singole persone o
in gruppo, sono quelle contro gli animali domestici, oggetto
di spregi quali picchiarli, abbandonarli sulle autostrade o nei
cassonetti. Oggi la caccia dovrebbe essere soppressa perché
si uccide per soddisfare il malvagio che è in noi e non per
bisogno alimentare. Attualmente, in Europa, ci sono iniziative
tendenti a regolare e cambiare gli atteggiamenti verso gli
animali. Auguro l’affermazione di tale iniziativa, in segno di
riparazione e civiltà.
RISPETTO DEGLI ANIMALI
39
Movimento
Life Beyond Tourism
Travel To Dialogue
The World in Florence e Luoghi Parlanti®:
due strumenti a servizio dei territori
L’interazione tecnologica per la valorizzazione dei luoghi del
mondo con Life Beyond Tourism
di Stefania Macrì
A
seguito del successo del primo festival internazionale
delle espressioni culturali del mondo The World in
Florence, tenutosi nella Galleria delle Carrozze e nelle
sale dell’ex circolo ricreativo di Palazzo Medici Riccardi nei
giorni 25-28 novembre 2021, il Movimento Life Beyond Tourism
- Travel to Dialogue e la Fondazione Romualdo Del Bianco
stanno già lavorando alla seconda edizione della manifestazione
in collaborazione con il Centro Studi e Incontri Internazionali.
È stata, infatti, da poco pubblicata e diffusa la Call
for Participation 2022 per coinvolgere realtà territoriali
italiane e internazionali in un esercizio di narrazione
dei propri luoghi, attraverso immagini evocative e descrizioni
testuali emozionanti, per immergere il visitatore
nello spirito del luogo, alla scoperta del sapere e del
saper fare che ogni territorio custodisce e preserva. The
World in Florence fa parte di un programma quinquennale
di attività internazionali di promozione e comunicazione
dei territori che parte da Firenze, viaggia per il
mondo e torna a Firenze arricchendosi di nuovi racconti
e nuovi contenuti. Per conoscere i dettagli della nuova
edizione del Festival ecco il sito ufficiale dell’evento:
www.theworldinflorence.com. Il territorio si racconta grazie
all’unione della narrazione fotografica e testuale alla tecnologia
di interazione NFC (Near Field Communication) che, attraverso
l’utilizzo del proprio smartphone/tablet, consente al
visitatore di scoprire il territorio che sta visitando; al contempo
il viaggiatore può pianificare i propri itinerari in anticipo
sul sito www.lifebeyondtourism.org dove troverà le informazioni
che i locals hanno definito, di concerto con l’ente locale
di riferimento.
40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE
Luoghi Parlanti ®
Questo principio di storytelling interattivo dei luoghi ben si
inserisce all’interno dei piani di marketing dei territori che il
Movimento LBT-TTD ha sviluppato attraverso il prodotto a
servizio dei territori Luoghi Parlanti ® . I luoghi “parlano” attraverso
una cartellonistica dotata di tag NFC. Il viaggiatore
dovrà semplicemente avvicinare il proprio smartphone alla
segnaletica per essere reindirizzato a contenuti interattivi
che raccontano il luogo di interesse con cenni storici, culturali,
di folklore o artigianato locale. In questo modo i territori
si possono raccontare in modo più approfondito, immediato
e veloce, aumentando la consapevolezza del viaggiatore
sulla cultura locale e incentivandolo a scoprire ulteriori punti
di interesse, a volte meno noti e difficili da trovare. Diventa
inoltre possibile suggerire itinerari o prodotti tipici per indirizzare
il flusso dei viaggiatori e dare un impulso alle attività
artigianali e commerciali dell’area. I Luoghi Parlanti ® attualmente
presenti su www.lifebeyondtourism.org sono: Unione
Montana dei Comuni del Mugello, la Fondazione Francesco
Saverio Nitti di Maratea, il Comune di Pratovecchio
Stia e Palazzo Coppini di Firenze. A questi si aggiungono
gli hotel della catena B&B Hotels Italia che hanno aderito
al progetto, vale a dire: Bolzano, Firenze, Napoli, Roma,
Verona. La sfida che il Movimento LBT-TTD ha avviato con
questi progetti è avvincente e ricca di spunti per poter realizzare
il viaggio dei valori Life Beyond Tourism che metta
le espressioni culturali dei luoghi al centro dell’attenzione
dei viaggiatori, coinvolgendoli e trasformandoli in residenti
temporanei dei territori.
Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società
benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism®,
ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere
e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme
alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che
custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle
identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e
i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.
Per info:
+ 39 055 290730
info@lifebeyondtourism.org
www.lifebeyondtourism.org
MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE 41
Occhio
critico
A cura di
Daniela Pronestì
Ursula Schachschneider
Scomposizioni cromatiche di una realtà dinamica
di Daniela Pronestì
Uno dei principali meriti delle avanguardie d’inizio
Novecento è stato introdurre un nuovo modo di
rendere in pittura concetti come il movimento, la
tridimensionalità di un corpo nello spazio, la rifrazione
della luce e, più in generale, tutti quegli aspetti che restituiscono
il senso di una visione mai statica – come l’immagine
dipinta in sé suggerisce – ma soggetta invece a
incessanti cambiamenti. Nei pastelli dell’artista tedesca
Ursula Schachschneider, la scomposizione degli elementi
visivi prendo spunto dalla lezione cubista – incrociandola
con quella raggista e futurista – per trasferire sulla
tela l’idea di un mondo dinamico, caleidoscopico, percorso
da forze ed energie sottili. Un mondo fatto soprattutto
di luce, con raggi che deformano, scompongono, suddividono
figure, oggetti e spazio, generando griglie geometriche,
giochi lineari, accordi cromatici. Viviamo in una
realtà in perenne trasformazione – sembra dire l’artista
– nella quale la luce determina il nostro modo di percepire
le cose, distinguere una forma dall’altra, orientarci
nello spazio, interagire con gli altri; cosa non meno importante,
la luce ci permette di godere dello spettacolo
della natura così come delle bellezze dell’arte. Se potessimo
vedere la luce sotto forma di raggi che si propagano
nello spazio, si riflettono sulle cose o le attraversano,
la nostra percezione del reale cambierebbe: vedremmo il
cielo trasformarsi nella vetrata di una cattedrale, i palazzi
vestirsi di mille colori, le strade intersecarsi o moltiplicarsi
come i lati di un prisma; noi stessi saremmo diversi,
con fasci di luce a disegnarci i volti, a scolpirci i corpi.
Oltre ad essere un valore formale da cui dipendono gran
parte delle scelte compositive, in questi dipinti la luce
assolve anche una funzione narrativa, ponendosi come
strumento di una “rivelazione” grazie alla quale è possibile
conoscere non soltanto il mondo ma anche sé stessi in
maniera autentica. Lo scopo è anche quello di far convivere
nell’opera figurazione e astrazione geometrica, cercando
da un lato di semplificare lo spazio, ridurre tutto a
forme bidimensionali, accentuare il dinamismo con linee
Sailing, pastello, cm 38x50
Downtown, pastello, cm 32x50
42 URSULA SCHACHSCHNEIDER
curve o oblique e dall’altro lato mantenendo
la rappresentazione sempre nella
sfera del visibile, con temi che vanno
dalla città – intesa sia come spazio di
vita che depositaria di memorie antiche
– al paesaggio naturale. Il risultato è un
ritmo cadenzato, quasi musicale della
composizione, che induce lo sguardo
a muoversi di continuo da un punto
all’altro dell’immagine, rimbalzando dalla
guglia di una cattedrale all’albero maestro
di una nave, calandosi giù nelle
profondità marine o percorrendo strade
del centro urbano. In questa danza di linee,
forme e colori non manca la sensazione
che tutto improvvisamente possa
cambiare, gli equilibri compositivi e cromatici
scombinarsi e ricomporsi in una
nuova immagine. E se anche accadesse
non sarebbe un capriccio, ma un’espressione
di libertà; un modo per ricordarci
che, in pittura come nella vita, l’avventura
della conoscenza si rinnova sempre,
perché è la conoscenza l’unica opera
che non può mai avere fine.
Waterbuck, pastello, cm 53x50
www.u-schachschneider.de
Saints Peter and Paul Greven broich, pastello, cm 38x50
Quirinus Münster Neuss, pastello, cm 35x50
URSULA SCHACHSCHNEIDER
43
Innovazioni tecnologiche
post Covid
A cura di
Aldo Fittante
L’era del “phygital”
Un modo nuovo di organizzare eventi tra reale e digitale
di Aldo Fittante
L’emergenza Covid ha senza dubbio messo a dura prova
il mondo degli eventi, ma ha allo stesso tempo
permesso una vera e propria accelerazione alla digitalizzazione,
con la possibilità di ampliare l’offerta convertendo
tutti gli eventi fisici in digitali. Per questo motivo la parola
d’ordine diventa “phygital”, la soluzione che ha permesso a
molte aziende di vari settori di organizzare eventi anche di
grandi dimensioni in un periodo in cui il rispetto delle regole di
sicurezza rappresenta un’assoluta priorità. I “phygital” – parola
derivata dall’unione di “physical” ovvero fisico e “digital” digitale
– sono veri e propri eventi ibridi, all’interno dei quali vi
è una parte di pubblico presente fisicamente in sala e un’altra
collegata online da remoto. Questa modalità innovativa raggiunge
un duplice risultato: evitare gli assembramenti, assicurarsi
che gli ospiti indossino la mascherina e rispettare i limiti
imposti sulle capienze delle sale, permettendo però allo stesso
tempo la partecipazione di un pubblico molto più ampio.
In Italia, il 68% delle aziende ha dichiarato di aver aumentato
i propri eventi grazie alla soluzione phygital, e sempre più numerose
stanno diventando le location che offrono questo innovativo
servizio, con tanto di team di professionisti che si
occupa delle riprese video e dello streaming. Una di queste si
trova proprio in Toscana, nella zona nord della città di Firenze,
a soli 3 km dall’Aeroporto Amerigo Vespucci. Si tratta della
Florence Learning Center, una location tecnologicamente
avanzata e all’avanguardia pensata per piccoli e grandi eventi
aziendali che mette a disposizione ben quindici spazi, tra
cui un auditorium da duecentoquattro posti, varie sale meeting
modulabili e piccole aule per incontri più intimi. L’auditorium
è senza dubbio lo spazio più tecnologico, dotato di
schermi LED da cento pollici e sistema di traduzione simultanea:
proprio da qui è possibile video-riprendere l’evento in HD
e trasmetterlo in diretta streaming ai partecipanti connessi
da casa. Sono molti i settori che già nel 2021 hanno realizzato
eventi phygital. Ad ottobre 2021 a Pisa si è tenuto l’Internet
Festival, evento che mette al centro il Web e le sue declinazioni,
con più di dieci aree tematiche scandagliate in numerosi
incontri e dodici sedi sparse per la città. Per la Milano
Fashion Week di settembre molti stilisti hanno optato per questa
nuova modalità che fonde l’esperienza digitale con quella
reale. La celebre White Milano, ad esempio, collaborando con
Velvet Media, nota azienda veneta specializzata in marketing,
non si è fermata a causa dell’emergenza sanitaria e, oltre alla
storica location di via Tortona nella città meneghina, ha cre-
44
PHYGITAL
ato una vera e propria aula virtuale in grado di ospitare più di
quaranta brand internazionali, totalmente in diretta, con talk,
speaker e più di dodici ore di presentazioni e interviste online.
Alessio Badia, direttore di Velvet Fashion, afferma: «Superando
ogni barriera di distanziamento sociale, abbiamo attuato
una fruizione delle nuove collezioni superando ogni limitazione
spaziotemporale. Al di là delle soluzioni di connessione
fisico virtuale, abbiamo curato tutta la parte della diretta
streaming, con le presentazioni dei brand e i talk. L’obiettivo
è creare giuste occasioni per ciascuno di avere contatti diretti
e, attraverso le chat attivate, di sviluppare le opportunità di
networking. Il tutto per dare il necessario impulso all’intera
filiera della moda per un rilancio dopo i complessi mesi del
lockdown». Come in tutte le innovazioni, gli aspetti riguardanti
l’organizzazione di eventi necessitano di modifiche poiché
influenzati dal fatto che il pubblico presente fisicamente ha
esigenze e comportamenti diversi rispetto a quello connesso
da remoto. Per questo motivo sta diventando sempre più richiesto
il digital event creator, una nuova figura professionale
nata proprio per soddisfare al meglio le esigenze degli eventi
ibridi, quali la scelta della piattaforma streaming dove realizzare
l’evento online, la scelta della location, la creazione dei
contenuti prima durante e dopo l’evento, tutti i supporti tecnici
e tanti altri elementi necessari per ottenere il successo
sperato. Oltre ad offrire un’esperienza completamente diversa
rispetto alla partecipazione fisica, la tecnologia ha molti
altri vantaggi legati alla promozione delle interazioni digitali,
basti pensare all’abbattimento dei costi di organizzazione
e alla risoluzione dei problemi logistici. Può anche aiutare gli
organizzatori di eventi a raggiungere un pubblico più ampio
che prima del Covid-19 magari non partecipava a causa dei
costi di viaggio significativi. Il futuro degli eventi? Proprio come
ci siamo adattati alle chiamate Zoom, alle riunioni in Microsoft
Teams e, su scala più ampia, alle conferenze virtuali, il
settore degli eventi e delle fiere si sta adattando al mondo virtuale.
Con i giusti accorgimenti, questa modalità può riempire
il vuoto mentre aspettiamo di poter tornare a partecipare dal
vivo. Se è vero che l’emergenza Covid ha dato l’impulso per un
importante salto tecnologico in avanti, fornendo l’occasione
di ripensare le attività sulla base delle numerose opportunità
offerte dal mondo del Web, forse questo è un primo passo
verso una nuova èra tutta all’insegna del digitale.
Avvocato, docente di Diritto della Proprietà Industriale
all’Università degli Studi di Firenze e giornalista pubblicista
iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, Aldo
Fittante è promotore di molti convegni e autore di numerose pubblicazioni
scientifiche, articoli in riviste prestigiose, saggi e monografie
in materia di Diritto Industriale e d’Autore.
www.studiolegalefittante.it
PHYGITAL
45
Vince
Guardar fuori, guardar dentro
di Andrea Sala
Senza titolo (2022), tecnica mista, cm 70x100
Notoriamente gli artisti sono persone che prestano
un’attenzione diversa dagli altri al mondo in cui sono
immersi: con un occhio guardano fuori, con l’altro
osservano dentro sé stessi. Il principio è un po’ quello cui inneggiava
lo psicologo Carl Jung (seppur riferendosi a tutt’altra
disciplina): «Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si
sveglia». È ormai chiaro come le opere di Vince traggano origine
da quei materiali, umili e largamente diffusi, che sono
le “fondamenta” del nostro tempo. Quello di cui però non si
è ancora parlato è che cosa comporti il processo di trasformazione
e assemblaggio. L’impulso artistico di Vince ha anzitutto
una finalità estetica. Fedele al mantra per eccellenza
dell’arte, ossia che fare arte significhi prima di tutto creare cose
belle, il suo intento primario è quello di ottenere un risultato
che sia gradevole agli occhi dell’osservatore. I materiali
che lui utilizza sono prodotti dell’industria, grezzi e antiestetici
per loro natura. Il primo passo della creazione artistica
consiste quindi nel privare questi elementi della loro origine
industriale e della loro valenza edile, per trasferirli in una sfera
diversa da quella per cui sono stati creati. Soltanto dopo
aver fatto ciò può avere inizio la ricerca di un assemblaggio
che soddisfi esigenze di armonia visiva. Dato questo proposito,
si può quindi asserire che nelle opere di Vince la forma
precede l’idea. Dietro l’ostinatezza di questa ricerca estetica,
si nasconde però un sottobosco di significati e di scopi ulteriori
della sua arte. Se quindi per certi versi si può pur affermare
che l’arte di Vince coincide essenzialmente con la sua
forma, dall’altro bisogna essere cauti nel conferire tanta leggerezza
apparente alle sue creazioni. Anche perché di leggero,
qui, non c’è un bel niente.
vinceart60@gmail.com
A cura di
Alessandra Cirri
L’avvocato
risponde
La validità giuridica del testamento orale
di Alessandra Cirri
Nel nostro ordinamento giuridico la successione è regolata
da due modalità: legittima o testamentaria.
Si tratta di successione legittima, in assenza di un
testamento e, pertanto, disciplinata dalle norme del codice
civile, dove l’interesse privato è mitigato dall’interesse pubblico.
Ovvero, la libertà dell’individuo per tale istituto trova
un limite dettato da norme di natura garantistica, che impediscono,
a differenza di altre legislazioni straniere, che si possano
derogare le norme del codice civile. Il formalismo ha
sempre rivestito un ruolo importante nella fenomenologia dei
negozi giuridici sia inter vivos che mortis causa ed ha rappresentato
un elemento di netta differenziazione tra i sistemi di
“common law” e sistemi di “civil law”. In questi ultimi (come il
nostro) si è passati da un intransigente formalismo, tipico del
diritto romano, ad una concezione di libertà di forma, più vicina
ai sistemi di “common law”, per poi ultimamente approdare
ad un nuovo tipo di formalismo: quello informatico della
firma digitale. Nel nostro ordinamento esistono negozi in cui
la ratio risiede proprio nella forma, come nel testamento che
consiste nella manifestazione dell’autonomia negoziale mortis
causa; ogni norma prevista dagli artt. 601-623 cod. civ,
nonché dalla L. 387/1990, è finalizzata a guidare l’interprete
nella ricerca delle intenzioni del testatore. Il testamento
difatti viene definito un negozio solenne, poiché per redigerlo
sono necessarie forme stabilite dalla legge. La ragione del
formalismo risiede nell’importanza sociale dell’atto e nell’intento
di salvaguardare la genuinità e spontaneità nell’interesse
generale; tali norme sono di ordine pubblico. Le analisi di
questi rilievi sul formalismo testamentario hanno consentito
di ricondurre nella norma codicistica molte fattispecie incerte,
quali la lettera testamentaria, la bozza di testamento,
l’olografo scritto su materiale non cartaceo, etc. . Tra queste
fattispecie rientra il testamento nuncupativo, che è sempre
stato oggetto di studi dottrinali e pronunce giurisprudenziali,
foriere di teorie più disparate. Il testamento “nuncupativo” altro
non è che un testamento orale che sussiste non sulla carta,
ma nella memoria dei testi, da ciò ne deriva la nullità, ma
non l’inesistenza del testamento. A differenza della normativa
contrattuale (ex art. 1423 c.c.), in materia testamentaria
è l’art. 590 c. c. che tratta esplicitamente della conferma
delle disposizioni nulle, mediante dichiarazione o esecuzione
consapevole e volontaria da parte di eredi o legatari. Ne
consegue che, pur inficiata da una causa di nullità e quindi
astrattamente non meritevole della tutela della legge, la
volontà testamentaria è fatta salva attraverso l’esecuzione
dell’erede, che, nonostante l’anomalia, abbia eseguito la disposizione,
palesando il proprio incondizionato ossequio ad
essa. La ragione ispiratrice dell’art. 590 c. c. consiste nel salvare
le volontà che il de cuius non seppe o non poté esprimere
in modo efficace e valido secondo l’ordinamento; da qui la
possibilità di convalidare le disposizioni testamentarie nulle,
da qualunque causa di nullità dipenda, cioè da ragioni di
forma che di sostanza. Per tali ragioni la dottrina attribuisce
unanimemente la valenza di favor testamenti a tale norma,
sottolineando il carattere liberale del testamento e l’esigenza
della conservazione dell’atto. In conclusione, la tesi della
confermabilità del testamento nuncupativo si basa, oltre che
sull’esigenza pratica di ordine etico-sociale, sulla necessità
di rispettare la volontà liberale del de cuius, quali che siano
le modalità giuridiche attraverso cui quella volontà si è manifestata.
Inoltre, in ottica internazionale, è opportuno ampliare
la visuale ad ordinamenti vicini, sia in senso geografiche
che giuridico; Germania e Austria prevedono la figura del testamento
nuncupativo.
Laureata nel 1979 in Giurisprudenza presso l’Università
di Firenze, Alessandra Cirri svolge la professione
di avvocato da trent’anni. È specializzata in diritto
di famiglia e minori, con competenze in diritto civile. Cassazionista
dal 2006.
Studio legale Alessandra Cirri
Via Masaccio, 19 / 50136 Firenze
+ 39 055 0164466
avvalecirri@gmail.com
alessandra.cirri@firenze.pecavvocati.it
TESTAMENTO ORALE
47
Dal teatro al
sipario
A cura di
Doretta Boretti
Il teatro, maestro di vita per i giovani
Ne parliamo con la scrittrice, regista ed attrice Gabriella Del Bianco, fondatrice di una
scuola di recitazione per bambini e ragazzi nel quartiere di Coverciano a Firenze
di Doretta Boretti / foto courtesy Gabriella Del Bianco
Ci troviamo nel retro della chiesa fiorentina di Santa
Caterina da Siena, nel quartiere di Coverciano,
dove, da molti anni, grazie all’impegno del parroco
don Luciano Genovese e della comunità parrocchiale,
si erge un teatro stabile. Gabriella Del Bianco, scrittrice,
regista e attrice, ha dato vita ad una scuola di teatro per
adulti e successivamente per ogni fascia di età.
Gabriella Del Bianco è un nome che ricorre spesso nelle
pagine dei quotidiani, nella sezione spettacolo, e tra
gli abitanti di Firenze. Sono molti anni che ti “occupi” di
teatro?
La passione per il teatro è stata sempre una costante della
mia vita. Più di trent’anni fa ho desiderato approfondirla
a trecentosessanta gradi conseguendo il diploma
triennale di recitazione e regia. La mia prima messa in
scena, La Nemica di Dario Nicodemi, vinse il Premio “Progetto
Donne alla Regia” in collaborazione con l’assessorato
alla Cultura della Provincia di Firenze. Scoprii così
anche il fascino magico se pur faticoso della regia.
Quando ti è venuto il desiderio di aprire la tua scuola ai
giovani?
Stavo occupandomi di molti progetti e varie collaborazioni
quando venni chiamata da don Luciano così appassionato
di teatro da volerne uno, all’interno del centro
parrocchiale, bello, attrezzato e completo. Mi espresse
il desiderio di far nascere un corso di teatro per bambini
e così, a novembre del 1998, iniziai la bella avventura
del Laboratorio Ludico con un piccolo gruppo. Subito
dopo, nel 1999, fondai anche Labad (Laboratori Teatrali
Adulti) con corsi di vari livelli per tutte le età e specializzazioni
come il “potere della parola” e la “lettura drammatizzata”
a una o più voci e in coro col metodo mimico di
Orazio Costa.
È faticoso lavorare con i bambini?
I bambini sono una ricchezza inesauribile per chi ha la fortuna
di lavorare con loro. Si riceve sempre di più di quello
che si dà, basta mettersi al loro livello, dimenticare che
In questa e nelle altre foto, una galleria di immagini degli spettacoli di Gabriella Del Bianco con i ragazzi della scuola di Coverciano
48
IL TEATRO
Il teatro ha delle basi tecniche, imprescindibili nell’insegnamento,
che valgono per tutte le età: respirazione corretta,
uso della voce, postura, movimenti e relazione con
il gruppo. La differenza sta solo nelle modalità dei giochi
teatrali che si adottano, a seconda dell’età,
per perseguire ed ottenere un buon risultato
finale. Per questo ho immaginato tre
percorsi: Ludico baby (4-5 anni) che ho affidato
a Cristina e Maria Bica, “tate maestre”
adorate dai piccolissimi che con loro
cantano, ballano e creano storie; Ludico
elementari (dai 6 agli 11 anni) per il quale
ho ideato uno speciale iter ludico- pedagogico
personalizzato e rivolto a ciascun
bambino per favorire un’armonica crescita
emotiva e tanta sicurezza nel recitare;
Ludico adolescenti, infine, coincide con il
momento di affrontare l’analisi del testo e
lo studio sul personaggio ma la priorità per
loro è il lavoro di gruppo per crescere, confrontarsi,
aiutandosi e divertendosi reciprocamente.
È fondamentale la scelta del
testo che permetta loro di sperimentare un
lavoro corale e coinvolgente e allo stesso
tempo di arricchirlo
con la propria personale
vena creativa.
Ritieni che imparare a
recitare sia un percorso
utile alla formazione
di un giovane?
Assolutamente fondamentale:
vorrei scriverlo
a caratteri cubitali! A
mio avviso dovrebbe diventare
materia scolastica
curricolare a tutti
gli effetti: è un percorso
formativo continuo
e permanente utilissimo
per lo studio, per
la socializzazione tra i
giovani nonché per la
futura vita lavorativa e
per le loro quotidiane
relazioni.
stiamo insegnando, scendere dalla cattedra, stimolare e
gratificare la loro autostima: in una parola tornare bambini
e giocare “seriamente” con le loro energie, creatività e fantasie
che li faranno salire poi con gioia sul palco.
Che differenze ci sono nell’insegnare agli adolescenti
rispetto ai piccoli?
Dei numerosi allievi che hai avuto in questi anni di attività
alcuni hanno poi intrapreso la carriera artistica?
Sicuramente sono stata ringraziata moltissime volte per
aver trasmesso loro l’amore per il teatro e la passione a
proseguirne lo studio. Il mio primo allievo aveva 14 anni
e so che ha poi insegnato e diretto molti spettacoli in una
buona compagnia fiorentina. Altri hanno scelto di iscriversi
ad una accademia teatrale o al Dams di Bologna. La cosa
però che mi gratifica maggiormente è quando mi viene
detto, da uomini e donne ormai adulti, che il più bel ricordo
della loro infanzia è l’esperienza vissuta con me a teatro.
IL TEATRO
49
Hai scritto e adattato molti testi teatrali sia per bambini
che per adolescenti. Cosa stai preparando in questo momento
che ci vede purtroppo ancora “contingentati” ?
La scelta del testo è molto impegnativa: bisogna tener
presente l’età e il percorso fatto da ciascun bambino, oltre
alle specifiche peculiarità per comporre un armonico
puzzle dove ogni attore si incastri perfettamente nello
spettacolo, e sottolineo spettacolo: completo di luci, suoni,
scenografie, costumi trucco e parrucco per far vivere
al massimo la magia del teatro. Ho scritto, adattato e
tradotto molti testi ad hoc per bambini e adolescenti: Sogno
di un litigio di mezza estate, Il giro del mondo in 80
giorni, Il fantasma di Canterville, I Menecmi, Sisters Attack,
Le signorine omicidi, e tanti altri, ben più di sessanta
spettacoli ad oggi. Abbiamo aderito a rassegne teatrali
al Teatro Lumiere e al Teatro Rifredi e ad un evento commemorativo
speciale al Teatro Dante Carlo Monni che ha
visto la numerosa partecipazione dei miei allievi junior di
ogni età. Purtroppo questo periodo ci ha rallentati ma non
certo bloccati, e ottimisticamente sto lavorando con loro
su due testi per la prossima primavera: una favola senza
tempo e un giallo comico. Quindi, incrociamo le dita e viva
il teatro sempre!
50 IL TEATRO
Eventi in
Toscana
Panathlon Firenze
Maurizio Mancianti confermato nel ruolo di presidente dell’associazione a
servizio della cultura sportiva
Testo e foto di Jacopo Chiostri
L’assemblea dei soci dello
scorso 25 gennaio ha confermato
Maurizio Mancianti nella
carica di presidente del Panathlon
Firenze. Mancianti, dottore commercialista,
è al secondo mandato dopo
essere subentrato nel 2019 ad Andrea
da Roit, ora governatore dell’area
“sei” di Panathlon Italia. È stato
dunque Mancianti, lo scorso anno, a
celebrare i settant’anni di Panathlon
Italia, la cui nascita avvenne a Venezia
il 14 giugno del 1951. I club Panathlon,
la cui struttura organizzativa
ricorda quella dei Lions e Rotary, sono
associazioni no profit e di “servizio”.
La missione, secondo anche il
riconoscimento ufficiale del CIO, è
approfondire, divulgare e difendere i
valori dello sport e la diffusione della
cultura e dell’etica sportiva. «Un tema
quest’ultimo – ricorda Mancianti
– di particolare attualità stante gli
ultimi spiacevoli episodi di cui hanno
dato conto le cronache e che riguardano
non solo gli atleti ma anche i genitori». Interlocutori di
Panathlon sono le società sportive, le scuole, le amministrazioni
locali oltre che, naturalmente, i cittadini ai quali è indirettamente
rivolta l’azione sociale dei club. Nel primo biennio
del suo mandato, con gli inevitabili “stop and go” legati all’emergenza,
Maurizio Mancianti ha messo in atto una serie
d’iniziative di grande respiro su temi di attualità. Così il 24
febbraio 2020, presso l’Hotel Rivoli, si svolse una cena sociale
nel corso della quale fu presentato, presente l’autore Luca
Giannelli, il libro I lungarni fiorentini si raccontano. Nel luglio
dello stesso anno, lunedì 20, il grande convegno sull’annosa
questione dello stadio, al quale presero parte il Comune di Firenze,
i sindaci di Campi Bisenzio e Bagno a Ripoli, il sovrintendente
Andrea Pessina, l’Ordine degli architetti, Maurizio
Francini, direttore del Centro tecnico di Coverciano, il presidente
del Quartiere Due, Michele Pierguidi. Le conclusioni del
convegno, durante il quale emerse l’indicazione di restyling
del Franchi, sono quelle poi recepite tra i quattordici progetti
inseriti dal Comune nell’utilizzo delle risorse del PNRR. A settembre,
mercoledì 9, a Scarperia, si tenne l’iniziativa Il Gran
Premio di Formula 1 nel Mugello, cui parteciparono, tra gli altri,
il sindaco di Scarperia, Nicola Armentano in rappresentanza
della Città Metropolitana, l’assessore regionale Stefano
Ciuoffo, il presidente dell’autodromo del Mugello, il presiden-
Un momento dei festeggiamenti per i 70 anni di Panathlon nella sede dell’assessorato allo Sport del Comune di
Firenze: da destra, il vicepresidente di Panathlon Calogero Cirneco, il presidente di Panathlon Maurizio Mancianti,
l’assessore allo Sport Cosimo Guccione e Salvatore Vaccarino, membro del direttivo Panathlon e presidente
regionale dell’Associazione Stelle al Merito
te di Aci Firenze. Fu poi il Gran Caffè San Marco ad ospitare
la ripresa degli incontri conviviali del club, il 24 maggio del
2021, con ospite Antonio Cincotta, all’epoca allenatore della
Fiorentina Woman’s. Sull’onda delle prestazioni dei vari Sinner,
Berrettini e di Camila Giorgi, al Circolo del Tennis alle Cascine,
il 20 ottobre scorso si discusse de Il risveglio del tennis
italiano, relatori il giornalista Ubaldo Scannagatta, lo scrittore
Luca Giannelli e il presidente del CT Carlo Pennisi. Nel settecentesimo
della morte del sommo poeta non poteva mancare
una riflessione sulla “Commedia”, e fu la volta dell’incontro
Dante e lo sport nella Divina Commedia. Infine, il 21 dicembre
scorso, la tradizionale Festa degli auguri presso il Centro
Tecnico Federale di Coverciano, massima sede sportiva a Firenze.
Quella sera, la città fece sentire la sua vicinanza al Panathlon
con tante e qualificate presenze di autorità cittadine,
sportivi, imprenditori, nomi della moda e dell’arte, come il vicepresidente
di Panathlon International Leno Chisci, Marcello
Marchioni presidente Assi Giglio Rosso, rappresentanze
di USSI (Unione Stampa Sportiva Italiana), di Stelle al Merito
Sportivo, dell’Unione Nazionale Veterani dello Sport. Nei
programmi del biennio che si apre, si terranno incontri con le
società sportive per un’informazione aggiornata su questioni
fiscali e gestionali e sui benefici dagli investimenti pubblici,
aspetti fondamentali per la crescita e la tenuta.
PANATHLON FIRENZE
51
Marco Da Campo
Teorie dell’albero
marcodacampo@gmail.com
+ 39 348 2831584
marcodc_arte
Brevi storie da
raccontare
La grande stazione
Il luogo per eccellenza dell’incomunicabilità
di Fabrizio Borghini / foto Maria Grazia Dainelli
Una grande stazione è la summa della nostra esistenza.
Nella grande stazione si incrociano, ma non
s'incontrano, migliaia e migliaia di persone. Nella
grande stazione si concentrano tutte le contraddizioni della
società dei consumi, gli estremi convivono senza contaminazioni.
Il grande lusso, le grandi marche, le luminose e
ricche vetrine sono distanti pochi centimetri dalla disperazione,
dall’accattonaggio, dall’emarginazione sociale, dal degrado
ambientale. E come nella vita di tutti giorni questi estremi
si sfiorano rimanendo estranei gli uni agli altri. Le classi sociali
possono convivere pacificamente, ma non sempre, perché
la stazione è strutturata come la società, ha un posto per
tutti, una collocazione per tutti. Chi vuole il comfort non ha
che da scegliere: Italo, Freccia Azzurra, Freccia Rossa, Freccia
Argento… Chi non se lo può permettere ha un cartone in
terra o una panchina… Chi se lo può permettere può pranzare
o cenare in un ristorante di gran lusso, chi ha meno soldi disponibili
può andare al Mac Donald… Chi non ne ha per niente
può rovistare nei cassonetti dell’immondizia. La società
dei consumi non nega niente a nessuno… Nella grande stazione
si va di corsa se si deve prendere un treno (ma si va
di corsa anche quando si scende da un treno perché gli impegni
ci aspettano) ma si può anche stazionare perché non
si ha nulla da fare, perché non si sa dove andare, perché bene
o male la grande stazione offre un tetto ai senzatetto, offre
affetto ai senzaffetto, offre una compagnia virtuale a chi
è solo. Se vai da solo alla grande stazione, puoi essere sicuro
che rimarrai da solo, che ti sentirai ancor più solo perché
la grande stazione è il luogo della solitudine in mezzo
alla moltitudine. La grande stazione è il luogo per eccellenza
dell’incomunicabilità: non comunichi con le migliaia di persone
che incroci, non comunichi con gli addetti ai lavori perché
tutto è automatizzato, non c’è più un referente umano; perfino
la voce dello speaker è computerizzata. Se una persona
non corre frettolosamente verso una qualsiasi meta e ti viene
incontro è per chiederti se hai una moneta, una sigaretta oppure
se vuoi comprare un ombrello, delle salviette, un accendino
o un paio di calzini. E se rifiuti l’offerta ti manda a quel
paese dimostrando che a lui, come a tutti gli altri, di te non
gliene frega assolutamente nulla. Per questo la grande stazione
ti può offrire tutto ma di questo tutto non ti rimane assolutamente
nulla.
LA GRANDE STAZIONE
53
Il cinema
a casa
A cura di
Lorenzo Borghini
Nebraska
Una storia di sconfitte, fallimenti e rinascite
di Lorenzo Borghini
Alexander Payne è un regista che è passato spesso
inosservato dalla critica, ma dal 2005 in poi, con
il suo primo grande centro Sideways, ha iniziato un
trend positivo degno di nota. In quasi tutti i suoi film Payne
ci mette davanti ad un passato che riemerge lentamente
da angoli bui, quasi dimenticati, un passato che riaffiora solo
per far prendere coscienza ai protagonisti di quanti fallimenti
si siano lasciati alle spalle, di quanti rimpianti avranno
per sempre, lo stesso meccanismo attanaglia e stritola Nebraska
fino a rilasciare una forza mai così ben espressa in
nessuno dei suoi film precedenti. Una strada lunga, un vecchietto
cammina con passo sciancato verso lo spettatore,
quasi in cerca di aiuto, la polizia lo troverà e chiamerà il figlio
perché vada a riprenderlo. Il vecchio scontroso Woody Grant
(uno straordinario Bruce Dern) ha vinto un milione di dollari,
o meglio pensa di averli vinti, attratto dall’inganno spietato
di una pubblicità per allocchi, ma Woody crede
nella vincita, è deciso a raggiungere Lincoln, il Nebraska,
partendo dal Montana e attraversando ben
cinque stati a piedi se necessario. La moglie e l’altro
figlio Ross (un ottimo Bob Odernkirk) lo prendono
per pazzo, affermano in continuazione che
se continua così dovranno rinchiuderlo in una clinica,
ma il figlio David (Will Forte) no, si rende conto
che non conosce affatto suo padre e che i giorni
che potrà passare con lui non saranno infiniti, per
questo decide di accompagnarlo in macchina nella
sua sgangherata odissea. Payne sceglie il bianco e
nero per raccontare un’America che ha ormai perso
i colori e lo smalto di un tempo. I due si fermeranno
ad Hawthorne, piccola cittadina di provincia,
paese natio di Woody e culla dei suoi ricordi, ricordi
che stanno ormai scomparendo insieme ai pochi
momenti di lucidità che gli sono rimasti. Payne
ci mostra una provincia addormentata in un sonno
primordiale, inebetita dalla scatola parlante che
per molti è diventata un surrogato di quello che ci
sta intorno. I parenti di Woody lo accoglieranno a
braccia aperte, come i pochi amici che gli sono rimasti,
e le apriranno ancora di più non appena la
notizia da un milione di dollari sarà di dominio pubblico.
Verranno fuori scheletri dall’armadio, tenuti
nascosti per tantissimo tempo e l’avidità circonderà
il povero Woody che, con il volto traumatizzato
di chi ha sofferto, non si renderà conto di molte
delle situazioni che lo circondano. Woody ha capito
di non aver fatto abbastanza, oltre ad aver sperperato
soldi bevendo a più non posso; per questo
vuole il milione, per ridare senso alla sua esisten-
za, ma vuole anche un furgone e riacquistare dignità, perché
il passato – come ci dice Payne – è passato, ma il presente,
quello sì che è a portata di mano. Dopo essersi sentito dire
che non è il vincitore, Woody, sguardo duro, scolpito nel tessuto
della vecchiaia e del dolore, accetterà di tornare a casa.
Di ritorno avrà la sua rivincita sulla vita, su una provincia anchilosata
dal tramonto del sogno americano, senza il suo milione
in tasca, ma con un pick-up sotto al sedere. Payne ci
racconta una storia di sconfitte, fallimenti, rinascite, facendo
parlare molto i suoi personaggi; ma i momenti più belli restano
i silenzi, quello strato di non detto che abbozza sentimenti,
che lascia la libertà allo spettatore di immaginare storie, passati
solo affiorati, legami apparentemente flebili che si dimostrano
forti come catene, catene che uniscono padri e figli,
facendoli sbattere contro le difficoltà della vita ma tenendoli
saldi, incatenati l’uno a l’altro fino alla fine del viaggio.
54
NEBRASKA
Firenze
mostre
Enrico Bandelli
Protagonista al Palagio di Parte Guelfa di una mostra omaggio a Dante e a Firenze
di Ugo Barlozzetti / foto Roberto Della Lena
Enrico Bandelli ha offerto, con la recente
esposizione al Palagio di Parte Guelfa, un
sorprendente, coerente, esempio sul tema
del rapporto con Firenze anche attraverso il ricordo
di Dante Alighieri. La mostra, aperta il 10 gennaio, ha
il titolo La mia Firenze ed è accompagnata da un bel
catalogo ricco di illustrazioni a colori che riproducono
particolari delle opere. I testi, sia pur sintetici, sono
di Luciano Artusi e dell’abate di San Miniato al
Monte padre Bernardo e introducono la mostra con
un contributo di attenta capacità critica. Grazie a una
ricerca che ha approfondito gli aspetti più originali
della propria produzione artistica, Bandelli ha realizzato
un vero e proprio percorso con le tele organizzate
e realizzate con la tecnica del rilievo. I monumenti,
emblematici di Firenze, come le facciate delle basiliche
e dei luoghi connotati storicamente e artisticamente,
sono in rilievo e riconducibili nei particolari
in un bianco che è quello della memoria e del loro
ruolo nella civiltà. Tali bassorilievi sono fissati su un
fondo blu scuro che ne esalta le qualità. In qualche
caso riemerge la citazione della natura sotto forma
del volatile, segno “bandelliano”. Il nesso con Dan-
te è proposto, con leggerezza calviniana, nell’interruzione
d’una linea rossa, anch’essa in rilievo e di spessore minimo.
Questa linea, l’unica appunto interrotta, è una di quel-
le, di vari colori che, a distanza regolare e con inclinazioni
diverse, dialogano con il candore delle facciate, riportandoci
alla contemporaneità, risolta in una sintetica e razionale
trama che può essere interpretata come simbolo
delle presenze di grandi personalità nella costruzione
dei capolavori che hanno reso Firenze
punto di riferimento universale, quasi integrazione
dei monumenti citati come risultato e
contenitori. Opere dense, quindi, queste nuove
tele di Bandelli, intense nell’ordine intellettuale
testimoniato dall’astrazione rigorosamente
geometrica dell’andamento e angolazione, sia
pure diversificata, delle linee, a seconda delle
singole tele. Non posso sottrarmi nel percepire
come opera unitaria tutto il materiale esposto,
un’opera di poesia epica perché di memoria
e d’orgoglio civico. Insomma, Bandelli, che ho il
privilegio di frequentare al Gruppo Donatello, ha
capito come la radice dell’Umanesimo e del Rinascimento
sia in Dante Alighieri e nel doloroso
paradosso del suo esilio. Un omaggio e un’indicazione
al tempo stesso del rischio del consumismo
e della riduzione a vulgata di aspetti
fondanti come la ragione e il rapporto tra le generazioni,
per il futuro e con, al tempo stesso,
l’arte, quella che tramuta con il “saper fare” la
poesia nel pensiero forte delle opere.
ENRICO BANDELLI
55
Franco Carletti
Racconti tra realtà e fantasia
Il cielo in una stanza (2022), smalti su policarbonato alveolare, cm 80x80
francocarletti54@gmail.com
A cura di
Stefano Marucci
Riflessioni
sulla fede
Il giardino dell’Eden
Le origini bibliche della storia dell'umanità
di Stefano Marucci
Il giardino dell’Eden, qui rappresentato nel quadro di Maria
Lorena Pinzauti Zalaffi, è il primo grande dono che Dio ha
fatto all’uomo e alla donna. Questo luogo, descritto nella
Bibbia, rappresenta il cambiamento nella relazione con Dio;
sappiamo infatti che, dopo il peccato originale, l’uomo ha perso
il privilegio di poter vivere nel Paradiso terrestre. Nel libro
della Genesi, il giardino dell’Eden viene descritto come un luogo
che Dio creò per tutti gli esseri viventi; tra questi vi erano
anche Adamo ed Eva, la prima coppia fatta a sua immagine e
somiglianza. Questo giardino si trovava ad Oriente, nell’attuale
striscia di Gaza, e da esso usciva un fiume che si divideva
in quattro rami: il Tigri, l’Eufrate, il Ghihon e il Pishon. Eden è
una parola sumera che significa “campagna”, in ebraico invece
significa “paradiso”, ed è proprio dall’unione di questi due
significati che deriva la particolare simbologia di questo giardino.
Una delle principali caratteristiche dell’Eden era l’assoluta
felicità: qui l’uomo poteva godere di pace e armonia e
convivere in equilibrio con tutte le altre creature. La sofferenza,
la malattia e la fatica erano bandite così come la morte e
tutti i sentimenti negativi; al suo interno si trovavano “l’albero
della vita”, simbolo del legame tra cielo e terra, e “l’albero
della conoscenza del bene e del male”. Adamo ed Eva potevano
cibarsi di ogni pianta e di ogni frutto presenti nel giardino
e godersi l’immortalità, l’immunità dallo scorrere del tempo,
dalle malattie e dalla vecchiaia. Nel corso dei secoli sono state
avanzate diverse ipotesi sull’origine del giardino e sul fatto
che potesse trovarsi in un’area geografica reale. La domanda
che ci poniamo ora è: dove si trovava il giardino? Una risposta
a questo quesito può venire dal libro della Genesi: «E
l’Eterno Iddio piantò un giardino in Eden, in Oriente, e quivi pose
l’uomo che aveva formato… E un fiume usciva d’Eden per
adacquare il giardino, e di là si spartiva in quattro bracci. Il nome
del primo è Pishon, ed è quello che circonda tutto il paese
di Havila, dov’è l’oro; e l’oro di quel paese è buono; quivi si
trovano pure il bdellio e l’onice. Il nome del secondo fiume è
Ghihon, ed è quello che circonda tutto il paese di Cush. Il nome
del terzo fiume è Hiddekel (Tigri), ed è quello che scorre a
oriente dell’Assiria; il quarto fiume è l’Eufrate». Si tratta di una
descrizione molto precisa con riferimenti che, con ogni probabilità,
sono simbolici e non geografici. Ad una prima analisi, si
può pensare che l’Eden fosse situato in una valle fluviale, forse
in Mesopotamia. In effetti questa regione era attraversata
dai fiumi Tigri ed Eufrate, luogo in cui oggi si trovano l’Iran, la
Turchia, la Siria e l’Iraq. Qui la vegetazione era rigogliosa, anche
grazie alle inondazioni
dei fiumi, tanto da ricevere
il nome di “mezzaluna fertile”.
Altri studiosi ritengono
invece che il Paradiso terrestre
si trovasse più a nord,
Maria Lorena Pinzauti Zalaffi, Il giardino dell'Eden
considerando che dal giardino uscivano quattro corsi d’acqua
e la loro sorgente poteva trovarsi a nord rispetto al Tigri e
all’Eufrate. Ancora oggi molte persone credono che l’Eden si
trovasse in origine nella Terra Santa, in Israele. Secondo questa
teoria, il fiume che scorreva nel giardino era in realtà il
Giordano. Probabilmente questo fiume era molto più lungo e
poteva trovarsi a nord della Galilea, ai confini con la Samaria
e a sud del Lago Tiberiade. Secondo altri studiosi, invece,
il giardino coincideva con l’Egitto, identificando in quei fiumi
il Nilo che, grazie alle sue esondazioni, rendeva fertile la terra.
Infine, alcune interpretazioni escludono ogni possibile implicazione
geografica e considerano il giardino dell’Eden solo
una chiave di lettura nella cacciata di Adamo ed Eva. Questa
interpretazione colloca il giardino nella Terra Santa, luogo da
cui venne cacciato il popolo di Israele, perdendo così la comunione
con Dio. Al di là della sua reale esistenza e della sua
collocazione geografica, il Paradiso terrestre è un simbolo importante
per la storia dell’uomo non solo perché da questo
luogo tutto ha avuto inizio ma anche perché ci ricorda la bellezza
del creato e della vita.
IL GIARDINO DELL'EDEN
57
Spazi
dell’arte
La bomboniera dell’Arte
Nel cuore di Roma uno spazio dove la cultura è di casa
di Barbara Santoro
L’associazione culturale Spazio Mecenate ha sede
a Roma, a pochi passi dal Teatro Brancaccio, in un
piccolo spazio di 50 m quadri e ha lo scopo di promuovere
e divulgare la cultura proponendo mostre d’arte
e spettacoli dal vivo. Fra i tanti eventi realizzati dal 2016
al 2020 uno spettacolo in particolare è rimasto nel cuore
dei romani: Il miracolo della neve. Secondo la leggenda
era il 5 agosto del 358 d. C. quando Roma si svegliò
sotto una coltre di candida neve. La Vergine era apparsa
in sogno a Papa Liborio e al patrizio Giovanni chiedendogli
di costruire una basilica nel luogo che avrebbe indicato.
Al risveglio, il pontefice, trovando l’Esquilino coperto
di neve, comprese il messaggio e fece
erigere la basilica di Santa Maria
Maggiore dedicata alla Madonna proprio
in quel luogo. Dal 2016 al 2020 si
è ricordato questo miracolo con proiezioni
di luci e immagini sulla grande
basilica, scenografie stellari e fluorescenza
lunare sulla piazza. Le statue
della facciata sono state illuminate in
modo da ruotare nell’incanto e nella
suggestione scenica del prodigio, circondate
da musiche classiche. Alla
mezzanotte bianchi fiocchi sono scesi
dal cielo e hanno coperto il suolo
con uno spettacolo davvero unico ed
imperdibile, che solo tecnici preparati
riescono a realizzare per galleristi
esigenti. La sede dell’associazione ha
preso il nuovo nome de La bomboniera
dell’Arte per le piccole dimensioni
ma non per la qualità. Infatti, qui
arte e cultura sono di casa grazie ad
un titolare che da sempre ne ha fatto
le proprie ragioni di vita. L’associazione
vuole promuovere il dialogo fra
arte e storia contemporanea, attraverso
pittura e scultura e testimonianze
della più sincera ricerca espressiva
e formale. Fondamentale fino ad oggi
è stato l’appoggio della rivista FSM
che ha riscosso successo e grande
entusiasmo nel mondo degli artisti
e dei collezionisti. L’arte non svolge
una funzione decorativa ma si propone
come strumento fondamentale per
rappresentare, testimoniare e interpretare
il proprio tempo e, con esso,
i più significativi autori, pittori e scul-
tori. All’alba del 2022 trovare chi ancora investe sull’arte,
cenerentola da tempo bistrattata, quando non vessata
e derisa, è una scelta degna di persone valorose, proprio
come il responsabile de La bomboniera dell’Arte Gianni Erriani
de Nosto, che offre agli amici artisti fiorentini la possibilità
di esporre, sia pittori e scultori già affermati che
giovani e valide promesse. Dopo il lungo periodo di pandemia
dobbiamo credere in questi personaggi coraggiosi
che hanno deciso di riaprire le loro gallerie nonostante
il momento non facile. Saranno gli artisti fautori e sostenitori
di questa nuova crociata? C’è da augurarsi che sia
davvero così.
L'ingresso dello spazio culturale ed espositivo
58 LA BOMBONIERA DELL’ARTE
Ritratti
d’artista
Fabrizio Morosi
Un artigiano della narrazione per immagini
di Jacopo Chiostri
Per parlare della sua arte, Fabrizio Morosi, pittore,
fumettista, scultore, usa una definizione invero
suggestiva: «Sono un artigiano della narrazione
per immagini. Racconto storie, talvolta vissute, altre inventate».
Morosi coglie l’attenzione di chi guarda le sue
opere con la simbologia di cui le dota, ed è così che da
vicende personali, vicende a lui familiari oppure costruite
sulla spinta della propria interiorità, magari frugando
nella memoria, il racconto si fa universale, e, anche se
ci entriamo in punta di piedi per non svilire quella grazia
velata spesso di malinconia che caratterizza la rappresentazione,
lo riconosciamo come nostro. Pittura ricca di
simbologia, dicevamo. Vi sono più elementi che concorrono
a suggerire la giusta lettura dei dipinti: intanto un’attenta
e convincente rappresentazione dello stato d’animo
dei personaggi affidata alle loro posture e agli sguardi;
poi inconfondibili ambientazioni oppure, come nel caso
di una bambina con in braccio un peluche o di un’anziana
alla macchina da cucire, l’elemento scenico forte che
tutto definisce e controlla. E non è solo questo. La pittura
di Morosi è pittura attuale, e, come tale, chiede allo spettatore
di non restarsene passivo ma di impegnarsi nella
comprensione del significato recondito del lavoro. E allora,
nel caso per esempio dei bambini, soggetto ricorrente,
occorre non fermarsi ad una prima chiave di lettura.
Perché, se ci pensiamo bene, il bambino rappresenta tante
cose; anzitutto, ovvio, il tempo che è passato, ma an-
che una riflessione sui mutamenti avvenuti attorno a noi,
nel mondo nel quale abitiamo, e infine, non ultimo, l’invito
a recuperare un po’ di quella spensieratezza che abbiamo
lasciato assieme alla fanciullezza, quella spensieratezza
e quel non prendersi troppo sul serio che Morosi richiama
inserendo nei dipinti una carta da gioco. Una seconda
firma che rappresenta il caso: a ognuno la carta che
pesca. La pittura di Morosi propone atmosfere molto particolari;
per definirle si serve della luce, discreta, ma ciononostante
densa, e della colorazione, monocromatica o
particolare, forse in ragione anche della sua daltonia. Le
suggestioni, i rimandi sono tanti: dalla grande lezione del
cinema neorealista a certi racconti di Rigoni Stern e, per
quanto riguarda la fotografia, ad artisti “pescatori d’immagini”
come il francese Robert Doisneau, il lituano Izis. È
senza dubbio pittura figurativa che del figurativismo schiva
però l’essenza stessa laddove la presenza della figura
non è l’intento primario, bensì necessario. Non si tratta
di istantanee, piuttosto di fotogrammi, di accenni, sufficienti
però a immaginare un prima e un dopo, che tengono
dietro ad un impulso della memoria oppure a un percorso
della psiche che da un frame costruisce una storia ricca
di forza. A colpire l’osservatore è la similitudine coi murales
che bene si sposa ad un senso di antico, di vissuto.
Morosi, oltre che grazie ad effetti luminosi, la ottiene con
un’attenta preparazione della tela per cui si serve di garze
per gessi usati in ortopedia; il segno su quella superficie
così trattata simula la graffiatura
su di un intonaco. I lavori
di Morosi spaziano dal fumetto
alla pittura, alla scultura;
di recente si è cimentato nei
videosocial. Al disegno si è
appassionato fin da giovanissimo;
nel 2005 si è diplomato
con il massimo dei voti alla
Scuola Comics di Firenze, e
in questo campo ha tenuto diverse
mostre e vanta una serie
di collaborazioni con case
editrici francesi. L’approdo alla
pittura è successivo e nel
2015 comincia ad esporre alla
galleria ArtShopGallery di
Pistoia, ancora oggi la sua
galleria di riferimento.
L’attesa (2021), tecnica mista con gesso ortopedico, cm 70x50
La bambina dagli occhi azzurri (2018), tecnica mista su
cartone applicato alla tela, cm 100x70
fabrizio.morosi@yahoo.it
FABRIZIO MOROSI
59
Maria Grazia Fusi
La pittura della realtà
Salvi per un attimo, olio, cm 100x100
eno.graziella@gmail.com
A cura di
Filippo Cianfanelli
Sapori di
Toscana
I’ Porto di Neno
La bontà del pesce a Dicomano
Testo e foto di Filippo Cianfanelli
Dicomano è una cittadina della Valdisieve che conta poco
più di 5000 abitanti. Oggi fa parte della Comunità
Montana del Mugello e da sempre è stata il punto di
partenza per i viaggiatori che dovevano recarsi in Romagna, tra
questi il più famoso è stato sicuramente Dante Alighieri dopo
l’esilio da Firenze. La fluitazione del legname dai boschi dell’Appennino
Tosco-Romagnolo in passato è stata una delle principali
attività degli abitanti di questa zona, oltre naturalmente
all’agricoltura collinare. L’ansa del fiume Comano all’interno del
paese nel secolo scorso prese il nome di Porto di Neno: da qui
transitavano i grandi tronchi d’albero che, attraverso la Sieve e
poi l’Arno, giungevano a Firenze per costruire i palazzi cittadini.
Il nome deriva da un certo Neno che svolgeva un’altra attività
tipica dei paesi lungo i fiumi, quella di renaiolo. A Dicomano,
a pochi passi dal palazzo comunale, si può trovare un ristorante
di pesce che non sfigurerebbe sul lungomare di Viareggio.
Un ambiente raffinato, con due ampie sale tutte sui toni del grigio,
dove i bellissimi, e ottimi, piatti di pesce nei loro accostamenti
cromatici sembrano vere opere d’arte. All’ingresso del
locale si fanno notare due grandi tele dell’artista Carlo Ciucchi
raffiguranti proprio l’ansa del Comano che dà il nome al locale:
I’ porto di Neno. Sebastian Modafferi, proprietario del ristorante,
ha coraggiosamente aperto questo locale nel novembre
2021, durante la pandemia, a pochi metri da un suo altro locale
dove invece si possono trovare ottime pizze, schiacciate ripiene
e il re della cucina di strada fiorentina, il lampredotto. Il menù
de I’ porto di Neno si apre con un ottimo gran piatto di crudités
di pesce: ostriche, alcune tartare, carpaccio di salmone e gamberi
freschissimi. Anche gli antipasti cucinati sono altrettanto
buoni e bellissimi all’occhio, come i gamberi racchiusi in pasta
kataifi con riduzione di soia o il polpo piastrato servito su un letto
di crema di patate al tè macha. La carta dei vini comprende
circa venticinque etichette sapientemente scelte per associarsi
ad ogni portata di pesce. Fra i primi piatti, oltre alla paella o agli
spaghettoni alle vongole veraci e scorza di limone, da segnalare
un originale minestrone di calamari, gamberi e ostriche con
cardi in brodetto di cozze. Molto buoni anche gli gnocchetti di
patate allo zafferano serviti con polpa di dentice e burro di erbe.
Originali i ravioli di baccalà su vellutata di ceci. Dopo uno squisito
sorbetto al limone, ci sono stati proposti i secondi di pesce.
Abbiamo provato la frittura di calamari e gobbetti con verdure
croccanti, oltre ad un medaglione di tonno con impanatura di pistacchi,
il tutto servito su un letto di rucola. Nel menù anche l’astice
con gratinatura di agrumi servito con insalatina e cipolle
di Tropea marinate, oltre alla classica grigliata mista con chips
di patate. Anche i dolci sono tutti preparati in cucina e spaziano
dal classico tiramisù alla crema bruciata al caffè, fino a proposte
più originali come il delicato budino di latte di mandorle con
composta di prugne fatta in casa, veramente originale e delicato.
Un’esperienza davvero piacevole da ripetersi in compagnia
di amici, ricordando che il locale è aperto a cena solo da merco-
La sala del ristorante
Le crudités di pesce
L’antipasto
ledì a sabato, mentre la domenica è aperto anche a pranzo. La
prenotazione è sempre consigliata.
Per prenotazioni: + 39 055 003 0175
I’ PORTO DI NENO
61
Polvere di
stelle
A cura di
Giuseppe Fricelli
Wanda Osiris
Un mito dello spettacolo di rivista
di Giuseppe Fricelli
Wanda Osiris fu la soubrette numero uno del teatro
di rivista italiano. Dal 1942 apparve in una serie di
spettacoli famosi riscuotendo successi trionfali.
Dal 1960 recitò in vari lavori teatrali impersonando ruoli minori
ma significativi. Ebbi modo di ammirarla in scena due volte
e ricordo l’eleganza con cui scendeva lunghe scalinate. L’artista
indossava abiti affascinanti, usava profumi conturbanti che
giungevano in platea inebriando l’olfatto del pubblico. La signora
Osiris aveva un personalissimo modo di cantare canzoni
scritte da ottimi musicisti come Frustaci, Mascheroni, Trovajoli.
Voglio ricordare brani come Sentimental, A Copa Cabana, Ti parlerò
d’amor, Luna d’Oriente che potrete riascoltare in vecchie incisioni.
Il grande attore fiorentino Renzo Ricci disse dell’Osiris:
«Ha tanto mestiere e tanta classe da insegnare qualche cosa
anche a noi attori». Indro Montanelli la descrisse come l’ultima
regina d’Europa. Andreina Pagnani disse: «Quando le donne
parlano di charme dovrebbero vedere Wanda e rassicurarsi che
con la classe ed uno stile proprio si può essere sempre attraenti».
Wanda Osiris è stata unica, il suo modo di muoversi, cantare,
parlare, recitare era molto personale ed irripetibile. Wanda:
un vero mito indimenticabile dello spettacolo di rivista.
In questa e nella foto sotto, Wanda Osiris in due momenti della sua carriera
Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi
in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e
camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche
di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso
i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.
62
WANDA OSIRIS
Ritratti
d’artista
Nadia Brogelli
La poesia nascosta in uno sguardo
di Jacopo Chiostri
Nadia Brogelli, pittrice autodidatta, racconta di avere
preso in mano un pennello la prima volta ormai
mezzo secolo fa. Ha imparato da sola ed è andata
avanti smentendo, col lavoro, con l’impegno e con l’esercizio,
quell’insegnante di disegno che, con molto poco garbo, ai
tempi della scuola media, decretò che per la pittura la vedeva
irrimediabilmente negata. La storia di quest’artista è esemplare
prima di tutto per il racconto che ella stessa fa della sua
vicenda personale. Ed è una storia dove l’elemento che primeggia
è la passione. Ed è anche la storia di una donna che
ha iniziato a lavorare a quattordici anni, senza particolari titoli
di studio, che ha lavorato quarantadue anni come “amministrativa”
e in tutto questo lungo tempo si è trovata, tra impiego
e famiglia, ad avere pochissimo tempo per coltivare l’amore
per la pittura, amore però che è poi riesploso dopo la pensione.
Inizialmente l’artista ha frequentato per un paio di mesi lo
studio di una pittrice, ha preso anche qualche lezione col maestro
Renzo Regoli, insegnamenti utili che gli sono però serviti
per capire che quello che intende esprimere non può insegnarglielo
nessuno. D’altra parte le scelte su “cosa le piace dipingere”,
cosa vuole trasmettere con le sue opere, la Brogelli le
ha compiute da tempo, fin dai suoi inizi, quando, ancora giovanissima,
dopo aver dipinto alcuni paesaggi, capì che non
era quello il soggetto che le permetteva di esprimere la pro-
Donna con bambina, olio su tela, cm 40x50
Arabo, olio su tela, cm 30x40
pria visione sul mondo, e, forse proprio per questa ragione,
si rese anche conto che il risultato era lontano da quello che
aveva in mente. Così ora che ha ripreso la sua strada, si è affidata
a reinterpretare immagini che l’hanno interessata soprattutto
per uno sguardo particolare, intenso, espressivo dei
personaggi. Il suo soggetto, questo l’ha capito da tempo, sono
i volti, senza preclusioni: persone di tutte l’età e di qualsiasi
etnia. «Quando inizio un quadro – spiega la pittrice – la
prima cosa che dipingo sono gli occhi, è da questi che capisco
se riuscirò ad esprimere quell’espressività che vedo nel
soggetto e che voglio trasmettere. Dopo gli occhi, cerco le rughe,
le vene, insomma tutti quei particolari che ci distinguono
gli uni dagli altri». Sul mondo che ruota attorno alla pittura,
la Brogelli dà un giudizio disincantato: troppe gelosie, troppe
invidie. Ora invece è approdata al mondo di Toscana Cultura,
conscia dell’importanza di avere nella sua “navigazione”
un riferimento su cui contare. Dopo qualche mostra nella zona
di Poggibonsi dove è nata e risiede, di recente, a metà gennaio,
ha partecipato allo Spazio Espositivo San Marco ad una
delle collettive periodicamente organizzate da Toscana Cultura.
Nello spazio di via San Zanobi erano presenti quattro sue
opere; naturalmente volti, ciascuno con quella specie di calamita
che è la cifra caratterizzante della sua arte: lo sguardo
del soggetto, occhi espressivi, occhi che raccontano storie,
che catturano l’osservatore e sembrano seguirlo. «Oggi – dice
– sono consapevole delle mie capacità, sono orgogliosa di
quello che ho fatto recentemente, ora si tratta di acquisire uno
stile tutto mio, sto lavorando per questo».
mmancianti@alice.it
NADIA BROGELLI
63
Mariella Rossi Tonelli
I colori delle stagioni
Volto di donna, olio su tela, cm 25x35
mariellatonelli@live.it
Aneddoti di vita
quotidiana
L’ombrello
Un oggetto dalla storia antica mai passato di moda
di Doretta Boretti
In una giornata di pioggia intensa vi è
mai capitato di chiedervi quanto sia
utile l’ombrello e chi abbia inventato
questo oggetto così indispensabile? Se vi
metterete alla ricerca scoprirete che l’ombrello
per ripararsi dal sole esisteva in Cina
già nel XII secolo a. C. . Se poi cercherete
l’ombretto parapioggia, quella è una notizia
di cui non siamo certi. Sembra che nel Settecento
in Francia fosse già in uso, mentre
in Italia sia comparso un secolo dopo. Fino
ad alcuni anni or sono è stato un oggetto
duraturo nel tempo, riparabile e quasi impensabile
da gettare e ricomprare. L’attività
di ombrellaio era anche un mestiere piuttosto
diffuso; fino ad una ventina di anni fa si
poteva ancora sentire la voce di un ambulante
che gridava a squarcia gola: «Ombrellaio!».
Oggi l’ombrello è diventato per lo più
un prodotto di consumo, lo si può perdere
con facilità, rompere e quindi gettarlo via,
per poi ricomprarlo frequentemente con pochissimi
euro. Ma se si tornasse a conservare
di più le cose, e in caso di rottura di un
ombrello per la pioggia a cui teniamo particolarmente
ci mettessimo alla ricerca di un
artigiano che lo riparasse, lo troveremmo?
Sul Web si scoprirebbe come ci sia un outlet
della riparazione ombrelli, ci siano calzolai
che riparano anche ombrelli e a Firenze, in
particolare, alcune botteghe storiche, riconosciute
come attività storica locale, oltre
a venderli li riparano anche. Ma quello che
forse non sapete è che in Italia, sul Lago
Maggiore, c’è un paese storico di ombrellai.
Il paese si chiama Gignese, ha luogo in Piemonte,
ad una altezza di circa 700 metri sul
livello del mare, ed è una località turistica rinomata.
A Gignese si trova un museo unico
al mondo: il museo dell’ombrello e del parasole.
Al piano terra si trova una collezione
di circa trecento ombrelli prodotti dall’artigianato
del Vergante dagli inizi dell’800, e al
secondo piano numerosi documenti, anche
fotografici, che narrano la storia di questo
straordinario oggetto che non è mai passato
di moda.
Cielo di Catania fra gli ombrelli (ph. Samuele Becattini)
L’OMBRELLO
65
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale
Silvana Cipriani
Fiorentina di nascita, da anni Silvana Cipriani
abita a Sesto Fiorentino. Autodidatta, inizia
a dipingere negli anni Ottanta. Predilige
la tecnica ad olio ed acrilico. Ha realizzato esposizioni
personali e partecipato a numerose collettive.
Alla sua passione per la pittura si aggiunge
anche l’interesse per la poesia e la narrativa. È
Silvana Cipriani, Invasione globale
presente in varie antologie
e ha ricevuto importanti
premi e riconoscimenti
in entrambi gli ambiti.
In campo letterario, inoltre,
dopo lunghe e accurate
ricerche d’archivio, ha
scritto e pubblicato due
saggi relativi a due chiese
del territorio comunale di
Rufina: Per grazia ricevuta
/ Il Santuario della Madonna
dei Fossi, ricerca storica
su di una robbiana datata
1510-20 (Servizio Editoriale
Fiesolano, 2012); La
Pieve di Pomino, brevi note,
antiche testimonianze
storico artistiche relative
alla pieve stessa (Tipografia
Pegaso).
silvana.cipriani@gmail.com
Silvana Cipriani
Ho ritrovato la vita
Uscito di casa
distacco
lunga degenza
isolato
svaniti contatti
paura
dolore
persone sconosciute
attente alla mia ripresa…
nell’incoscienza
vedo altri portare via
non torneranno più…
forza… coraggio…
fievole in me
luce della speranza…
giunge il sorriso del vicino…
sono salvo.
Invisibile
Mi sono infiltrato
fra tutti i popoli del mondo…
assetato di spargere terrore…
ho preso le vostre vite
tormentandovi, ho riempito
di lacrime i vostri cuori…
ho portato via belli e brutti
piccoli e grandi
ricchi e poveri…
con il mio talento
vi ho privato di tutto
privato della libertà…
sopravvivrete …
provati imparerete
ad essere persone nuove
a non sprecare niente
dando valore alla vita…
un giorno me ne andrò…
senza saluto.
66 SILVANA CIPRIANI
Stefania Salti
Centro Espositivo Culturale
San Sebastiano
Stefania Salti
Libera
Nata a Barberino
del Mugello
nel 1959,
Stefania Salti si è avvicinata
alla poesia
da pochi anni, dopo
un passato da pittrice.
Adesso cerca
di dipingere pagine
con le parole, mettendo
la propria anima
in ciò che scrive.
Niente trucco...
Nessun artefatto...
La mia anima è nuda
Pronta a mostrarsi nella sua vera natura...
Sono così...
Sono io...
Libera da maschere inutili...
Libera da atteggiamenti falsi
Solo per compiacere il pubblico pagante
Per compiacere te
Che mai hai voluto vedere
Quella che ero nella realtà
Nella mia anima
La mia essenza
È questa...
Altri occhi mi guarderanno
Felici di vedermi così
Felici di guardare
Quella che sono realmente...
La donna bambina
Che per la mano
Si avvia verso una nuova luce...
Un orizzonte diverso...
Una nuova scoperta
Di quello che
Non ho mai saputo di me
Troppo cerone
Celava il mio volto
Perché andavo in scena
Ogni giorno...
Il bacio
Baciami...
e ancora fallo.
Bacia i pensieri
che affollano la mente,
facendola traboccare
come un vaso
messo sotto la fonte.
Bacia i miei occhi
che troppo hanno visto e pianto.
Sanali
con le tue labbra
così da farli tornare limpidi,
trasparenti
come un tempo ormai lontano.
Bacia la mia bocca,
serrata da troppe amarezze.
Di nuovo,
falla aprire
al nuovo luminoso sorriso,
innocente,
come quello di bimba,
che guarda un cucciolo.
Baciami,
e fallo ancora.
Baciami
per scacciare
così,
la solitudine,
che come edera,
ha profonde radici,
e fronde tanto spesse
da non far entrare più luce.
Baciami,
e fallo ancora.
Baciami,
e non smettere,
mai più.
Pur di compiacerti...
Adesso sono libera...
Mi guardo riflessa
Sono davvero io
E mi piaccio...
Grazie a te
Che hai tolto tutte le maschere...
Non lasciare mai la mia mano...
STEFANIA SALTI
67
Diario di
un’esploratrice
A cura di
Julia Ciardi
Villa di Poggio a Caiano
La più iconica tra le residenze medicee in Toscana
di Julia Ciardi
Tra le mie ultime letture, mi sono imbattuta in un libro-intervista
del giornalista Giuseppe Zois all’architetto
Mario Botta e allo psichiatra Paolo Crepet.
L’argomento di cui si parla è progettare le emozioni nei luoghi
che scandiscono il tempo della vita: l’ospedale, la casa,
l’asilo, le scuole, l’università, il posto di lavoro, una località
di vacanza, il solito ristorante dove ci troviamo con gli amici.
Sono costruzioni perfette in cui i ricordi si cristallizzano
e se ne creano di nuovi. I Greci dicevano che la libertà inizia
con la recinzione di uno spazio incolto. L’uomo si differenzia
dagli animali di altre specie perché si è costruito
un sistema sociale pressoché perfetto scandito da luoghi
che creano ordine ma anche emozioni. Per questo l’architettura
è importante nella vita delle persone – lo sapevano
bene nel Rinascimento – perché non è semplicemente
una costruzione o un edificio ma è un’opera d’arte. Le emozioni
che proviamo dinanzi ad una chiesa, ad una facciata
Villa medicea di Poggio a Caiano
Franco Gizdulich, modello della villa di Poggio a Caiano secondo il progetto originale di Giuliano da Sangallo, conservato in una sala della villa
68
VILLA DI POGGIO A CAIANO
La villa nel 1599 nella lunetta dipinta da Giusto Utens
Pontormo, La Pomona (particolare), affresco, Salone di Leone X
o ad un palazzo per vedere i quali facciamo ore e ore di volo,
ci fanno capire quanto l’essere umano sia capace di toccare
in profondità le corde dell’anima. L’architettura è anche
equilibrio, come quello che cerchiamo interiormente e che
ci insegna l’architettura rinascimentale. A questo proposito,
voglio parlare di una villa che ho tanto studiato per un
esame universitario e che mi sta particolarmente a cuore.
Si tratta della Villa di Poggio a Caiano, la più iconica delle
residenze campestri dei Medici dal 2013 Patrimonio dell’Unesco.
Fu progettata da Giuliano da Sangallo per Lorenzo
il Magnifico come esempio di architettura rinascimentale
secondo i trattati dell’Alberti ispirati dagli antichi scritti di
Vitruvio. La struttura è perfettamente inserita nel paesaggio
e si distingue per l’armoniosa facciata classicheggiante
ispirata ad un tempio antico; è abbellita da logge, colonne,
una scalinata a due bracci e un frontone che reca in alto
lo stemma mediceo in terracotta invetriata. Non fu solo
possedimento dei Medici ma divenne anche residenza della
sorella di Napoleone, Elisa Baciocchi,
come numerose altre ville
in Toscana. Sorprendente è il ciclo
di affreschi che si trova al piano
nobile nella Sala di Leone X, con
interventi di Pontormo, Andrea del
Sarto, Alessandro Allori e Franciabigio.
Ma cosa ancora più bella è la
presenza di un Museo della Natura
Morta al secondo piano della dimora,
di cui fanno parte dipinti provenienti
dalle collezioni fiorentine dei
Medici. Qui possiamo intrattenerci
a scoprire illustrazioni scientifiche
e le opere di Bartolomeo Bimbi
che riproducono sulla tela innumerevoli
vegetali coltivati proprio nei
giardini delle residenze medicee.
Splendidi fiori e frutti con i quali
“deliziarci” gli occhi in attesa che
arrivi la bella stagione…
VILLA DI POGGIO A CAIANO
69
Toscana
a tavola
A cura di
Franco Tozzi
Ronchì Pichi
Da Livorno a Lastra a Signa, una storia
che continua nel segno dell’eccellenza
di Franco Tozzi
La prima etichetta depositata presso l’archivio della Camera di Commercio
Questa volta non tratteremo solamente di una ricetta
di cucina, ma scriveremo la storia di un liquore di altri
tempi che, nato a Livorno nel 1934, è tornato ad allietare
le mense grazie ad un imprenditore di Lastra a
Signa. Siamo nel 1923, quando Armando Pichi fonda la Casa
Vinicola Armando Pichi. Questo vermut (così è classificato come
prodotto commerciale) che al gusto appare come uno stupendo
passito, vede la luce ufficialmente nel settembre 1934
con il nome “Ronchì”, e quindi con l’accento come risulta dalla
documentazione presente nell’archivio storico della Camera di
Commercio livornese. Perché questo nome? Tantissime sono
le ipotesi più o meno avvalorate dalla tradizione popolare e dai
vari detentori del marchio; sulla scorta di alcuni e rari elementi
documentati, fusi con la storia del periodo e dei suoi personaggi,
proverò a raccontare una versione che credo sia la più vicina
alla realtà. “Ronchi” è un nome che oggi dice poco alla maggior
parte delle persone, qualcuno più appassionato di storia lo potrà
collegare al Comune di Ronchi dei Legionari (fino al 1925 si
chiamava Ronchi di Monfalcone), in provincia di Gorizia, località
che nel 1919 vide partire la spedizione di D’Annunzio per il
tentativo di conquistare Fiume e che causò solo il cambio del
nome del comune. Una prima traccia di questo possibile colle-
L’etichetta del “vino tipico speciale Ronchi dei Legionari” del 1935 (archivio Camera
di Commercio di Livorno)
L’etichetta del “vino liquoroso Ronchi degli Eroi” del 1936 (archivio Camera di
Commercio di Livorno)
70
RONCHÌ PICHI
gamento ci è data dalla presenza, nell’archivio della Camera di
Commercio, di due marchi di vini liquorosi depositati, a distanza
di uno, due anni, da due case vinicole livornesi concorrenti:
nel 1935 abbiamo il “vino tipico speciale Ronchi dei Legionari”
della ditta Razzaguta e nel 1936 il “vino liquoroso Ronchi degli
Eroi” della ditta Pentassuglia, a dimostrazione di come il prodotto
avesse preso piede nei gusti cittadini e non solo (entrambe
le case vinicole falliranno nel 1939). In ogni caso si nomina
sempre “Ronchi”, quindi è un chiaro riferimento al fatto che il
nome di questo particolare vino/passito/vermouth abbia avuto
origine per commemorare un evento preciso legato a personaggi
che avevano importanza nella città labronica. Come
spiegare il collegamento tra il comune giuliano e Livorno? Per
risolvere questo dilemma dobbiamo far entrare in gioco alcuni
personaggi di quel periodo di storia italiana. A Livorno nasce
nel 1876 Costanzo Ciano, padre di quello che sarà il genero di
Mussolini. Costanzo era un grande amico di Gabriele D’Annunzio
(avevano progettato e partecipato alla Beffa di Buccari nel
1918) ed il vate era un assiduo frequentatore del litorale toscano
(basti pensare alla celebre poesia La pioggia nel pineto),
ospite particolare quando Ciano (soprannominato “Ganascia”)
organizzava le famose “cacciuccate”, storica quella di Piazza
La ricetta: scaloppine al Ronchì
Ingredienti:
- ½ Kg di noce di vitello tagliata a fettine
- 2 bicchieri di Ronchì Pichi
- 70 gr di burro
- farina
- sale e pepe quanto basta
Mischiare sale e pepe, battere le braciole e condirle con il misto,
infarinandole leggermente. In una padella scaldare metà
del burro e sistemare le braciole, alzando il fuoco e facendole
dorare da entrambe le parti. Versare il Ronchì Pichi e farlo
ritirare del tutto, fino ad avere una crema. Levare la carne e
disporla sul vassoio di portata; sciogliere il fondo di cottura
con acqua calda, a filo, ed unire il burro rimasto; incorporare
bene il tutto e versare la salsa calda sulle scaloppe.
Accademia del Coccio
Lungarno Buozzi, 53
Ponte a Signa
50055 Lastra a Signa (FI)
+ 39 334 380 22 29
www.accademiadelcoccio.it
info@accademiadelcoccio.it
Mazzini del 1936. Quindi l’ipotesi è che alla fine di queste mangiate
fosse necessario avere un liquore sobrio e dal gusto unico
non è poi così campata in aria. Un inciso sulla versatilità di
D’Annunzio: vi è un’ampia documentazione che attesta come il
liquore Aurum sia una creazione del vate, come gusto, nome e
forma della bottiglia, quindi perché non pensare che tra amici
“camerati” ed in collaborazione di qualche gerarca si sia cercato
di fare un liquore che richiamasse le imprese dell’ospite e
del padrone di casa da gustare convivialmente. La ditta di Armando
Pichi, grazie anche ad altri prodotti, ma soprattutto per
il Ronchì Pichi, si espande, e figura tra i principali produttori di
vermut nella Gazzetta Ufficiale del 1942, al pari della Martini e
Rossi, con una produzione di ben 2.000 ettolitri, con esportazione
e rappresentanze anche in America, nonché nelle colonie.
Poi, nel dopoguerra, avviene un radicale cambio di gusti
ed abitudini, ma il Ronchì Pichi rimane la bevanda tradizionale
per il brindisi dei laureati all’Università di Pisa. Tuttavia, i nuovi
beveraggi portarono il Ronchì Pichi – che intanto cambierà
il marchio avvicinandosi al gusto del periodo – ad una lenta e
costante decadenza ed alla fine degli anni Ottanta, dopo essere
passato da altre due ditte, la produzione cessò e la bottiglia
con la sua inconfondibile etichetta la si poteva trovare ancora
in qualche casa come cimelio storico. Ma, come accade per
le cose di valore, per le tradizioni che dormono ma non muoiono,
il lungo periodo di oblio finisce quando Alessandro Cicali,
il titolare della ditta Sparla e Gerardi, primaria azienda nella
produzione ma soprattutto nella valorizzazione dei vini liquorosi
tradizionali, rileva marchio e “ricetta” e inizia a produrre il
Ronchì Pichi mantenendo l’etichetta tradizionale ancora viva
nella memoria dei nostri “vecchi”. Grazie ad una capillare presentazione
nei più disparati ambienti
e alla curiosità che ogni cosa del
passato, anche recente, esercita nella
fantasia e nei gusti delle persone,
il Ronchì Pichi non è più solo un tradizionale
vino liquoroso da dessert, ma
è diventato anche l’interprete principale
di due cocktail. L’azienda ha indetto
inoltre un premio annuale, vinto
nella prima edizione da una studentessa
dell’Istituto Alberghiero Vasari
di Figline Valdarno. Quindi il nostro
vermut torna in grande stile e forma
a farsi degustare nella sua “beva” tradizionale,
essendo oramai presente a
tutti i livelli della distribuzione, anche
nei cocktail più ricercati. Da Livorno
a Lastra, e, come ogni bella storia…
la storia continua.
La ricerca della documentazione e
delle notizie è stata resa possibile dalla
disponibilità del personale della Camera
di Commercio della Maremma e
del Tirreno e da quello della Biblioteca
Comunale Labronica; un ringraziamento
particolare a Boreno Borsari,
amico e collega di tante ricerche.
RONCHÌ PICHI
71
Mauro Mari Maris
La vita segreta del colore
www.mauromaris.it
mauromaris@yahoo.it
+ 39 320 1750001
A cura di
Michele Taccetti
Eccellenze toscane
in Cina
L'anno della cultura e del turismo Italia - Cina
Una possibilità di crescita anche per le aziende toscane
di Michele Taccetti
Il 2022 è l’anno della cultura e del turismo Italia - Cina (inizialmente
previsto per il 2020, è stato poi rimandato al 2022
a causa della pandemia). Il programma, date le mille incertezze
legate all’emergenza sanitaria, dovrà adattarsi alle limitazioni
tuttora in vigore – la Cina è ancora chiusa al turismo sia in
entrata che in uscita – benché rimanga una priorità per entrambi
i governi portare avanti il dialogo istituzionale, così come
emerso anche in occasione del colloquio telefonico tra il primo
ministro Mario Draghi e il presidente Xi Jinping l’8 settembre
scorso. L’anno italo-cinese sarà segnato da importanti occasioni
di scambio e cooperazione; ci saranno mostre in Cina e in Italia
con l’esposizione di capolavori dell’arte di entrambi i paesi.
Di sicuro interesse sarà la mostra in Italia di una parte delle ottocento
statue che compongono il famoso Esercito di Terracotta
che il primo imperatore di Cina, Qin Shi Huangdi, volle porre
a simbolica difesa del suo mausoleo presso Xi’an nel III secolo
a. C. . In programma anche iniziative di gemellaggio tra i siti
Patrimonio dell’Umanità Unesco di ambedue le nazioni, oltre
all’elaborazione di un ponte digitale tra Italia e Cina che migliori
ed acceleri lo scambio di contenuti. La pandemia rende incerto
il calendario dei programmi culturali e complica ancora di più
l’attuazione delle iniziative legate al turismo viste le restrizio-
ni agli spostamenti di persone non solo a livello internazionale
ma anche all’interno dei rispettivi paesi. Questo anno, tuttavia,
assume grande importanza per le relazioni tra Italia e Cina e
soprattutto per il rilancio del post-Covid. Se è vero, infatti, che
le iniziative risultano penalizzate dalla pandemia, è altrettanto
vero che questo periodo deve essere un momento di riflessione
e programmazione su come rilanciare il turismo di qualità
con l’aiuto degli eventi culturali. La cultura, infatti, aiuta il dialogo
e la comprensione reciproca perché è una lingua internazionale
che non ha né barriere né pregiudizi ed è alla base dello
sviluppo dei rapporti commerciali solidi e duraturi fra il bel paese
e il gigante cinese. Il turismo rappresenta il veicolo principale
attraverso il quale concretizzare questo dialogo. Italia e Cina
hanno grandi differenze culturali, linguistiche, religiose e sociali,
ma hanno alcuni punti in comune che rende il loro rapporto
unico rispetto ad altre realtà internazionali. Entrambe le società
si basano su di una cultura millenaria, considerano la famiglia
tradizionale come nucleo centrale della società e danno importanza
alla cucina come elemento culturale ed identificativo dei
territori. Questi elementi, seppur messi in crisi dalla globalizzazione
e dalle criticità internazionali, rappresentano le radici
culturali che rendono entrambi i paesi reciprocamente attraenti
e “diversamente uguali”.
Auguriamoci che questo
anno della Cultura e del
Turismo Italia- Cina possa
segnare il tempo del
rilancio dei rapporti fra i
due paesi, e quindi anche
della Toscana, meta turistica
ambita dalla nuova
classe media cinese.
Un capolavoro dell’arte cinese: l’Esercito di Terracotta, una parte del quale sarà esposto in Italia in occasione dell’anno della
cultura e del turismo tra i due paesi
Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il
Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici
Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di
marketing ed internazionalizzazione.
michele.taccetti@china2000.it
China 2000 srl
@Michele Taccetti
Michele Taccetti
Michele Taccetti
ANNO DELLA CULTURA E DEL TURISMO
73
Firenze
mostre
Dante, il Poeta eterno
Prorogata fino al 13 febbraio la mostra immersiva di Felice Limosani nella
Cappella Pazzi a Firenze per celebrare l’autore della Divina Commedia
di Elena Maria Petrini / foto courtesy Felice Limosani e Opera di Santa Croce
Èstato prorogato fino al prossimo
13 febbraio il progetto
Dante, il Poeta eterno che,
dall’inaugurazione lo scorso 13 settembre,
ha visto la presenza di oltre
100 mila visitatori nella Cappella
Pazzi all’interno del complesso della
Basilica di Santa Croce a Firenze.
Promosso in sinergia tra l’Opera
di Santa Croce, il Comune di Firenze,
il Fondo Edifici di Culto del Ministero
dell’Interno e l’artista Felice Limosani,
autore della video installazione,
il progetto propone un’esperienza immersiva
per celebrare il sommo poeta
in occasione del settimo centenario
della morte. Attraverso la tecnica
del video mapping viene raccontata
la Divina Commedia e il suo messaggio
universale con 135 incisioni (75
dell’Inferno, 42 del Purgatorio e 18
del Paradiso) del grande artista e litografo
francese Gustave Doré (1832
Felice Limosani
- 1883) digitalizzate e reinterpretate dall’artista Felice Limosani
in modo totalmente innovativo. Le incisioni, proiettate
sulle quattro pareti interne e nella cupola della
Cappella Pazzi, prendono letteralmente vita e coinvolgono
gli spettatori in un’esperienza sensoriale emozionante
e suggestiva. Molto evocativa anche la partitura sonora,
Una panoramica della dell’installazione immersiva di Limosani nella Cappella Pazzi
Un’altra immagine della mostra
74
DANTE, IL POETA ETERNO
ben correlata ad una narrazione della Divina Commedia
che dialoga armoniosamente con il contesto. Foggiano
e con una lunga esperienza come dj, Felice Limosani è
un artista noto in ambito internazionale, innovatore e profondo
conoscitore delle Digital Humanities ed esperto in
avanguardie espressive e linguaggi emergenti. Nelle sue
opere integra le discipline umanistiche con la cultura digitale
ed attraverso l’arte e il design crea un nuovo concetto
di percezione. Ciò lo porta ad ottenere un inedito livello di
comunicazione e nuovi modelli di valorizzazione del patrimonio
culturale, anche a supporto di diversi contesti
sociali e della sostenibilità ambientale. Tra i suoi progetti
fiorentini, ricordiamo l’installazione nel parco urbano
di San Donato di cinquanta querce-salice realizzata con
la consulenza scientifica del professor Stefano Mancuso,
del ricercatore del CNR Alberto Giuntoli ed il patrocinio
del Comune di Firenze. Le querce, disposte a forma di
stella, sono state donate dall’azienda Il Bisonte Spa come
lascito alla comunità e all’ambiente della città di Firenze.
Un’opera di landscape art in cui Limosani si è ispirato alla
parola “stelle” che chiude le tre cantiche della Divina
Commedia: Inferno (e quindi uscimmo a riveder le stelle),
Purgatorio (puro e disposto a salire alle stelle) e Paradiso
(l’amor che move il sole e l’altre stelle).
La Cappella Pazzi, capolavoro del Rinascimento
La Cappella Pazzi, considerata il capolavoro dell’architetto
e scultore fiorentino Filippo Brunelleschi (1337-1446),
si trova nel chiostro della Basilica di Santa Croce a Firenze
ed è una delle prime e più significative opere del Rinascimento.
Lo spazio architettonico brunelleschiano è
basato su precisi rapporti di proporzioni matematiche e
geometriche: il modulo centrale, infatti, è un cubo sormontato
da una cupola semisferica ad ombrello. Tutti gli
elementi compositivi interni – archi, trabeazioni e lesene
– sono realizzati in pietra serena, di colore grigio chiaro,
che ben risalta sul bianco avorio dell’intonaco.
L'installazione di Limosani nel Parco di San Donato a Firenze con le querce-salice
disposte a forma di stella
Gustave Doré, il maestro delle immagini dantesche
L’esterno della Cappella Pazzi in Santa Croce
Paul Gustave Louis Christophe
Doré, nato Strasburgo
nel 1832 e morto
a Parigi nel 1883, pittore,
disegnatore e litografo, è
noto soprattutto per le incisioni
che illustrano la Divina
Commedia di Dante.
La sua produzione artistica
lo ha visto impegnato
anche nella realizzazione
di incisioni per opere di
altri autori della letteratura
classica, come Balzac,
Gautier, Cervantes, Milton,
Poe ed altri.
Gustave Doré in una foto di Nadar (1867)
DANTE, IL POETA ETERNO
75
B&B Hotels
Italia
L’ospitalità di B&B Hotels sbarca ad Arezzo
di Chiara Mariani
B&B Hotels, catena internazionale con oltre 600 hotel
in Europa, amplia ulteriormente la sua presenza
in Italia con una nuova apertura nella parte orientale
di una delle più belle regioni italiane, la Toscana. Il gruppo
accoglie infatti nel portfolio il nuovo B&B Hotel Arezzo, ex
AC Hotel Arezzo by Marriot, situato a pochi chilometri dal
centro della città d’arte toscana dalla storia antichissima e
dalle origini etrusche tutte da scoprire. Il nuovo B&B Hotel
Arezzo vanta una posizione invidiabile. Si trova, infatti, a soli
15 minuti a piedi dal centro, a 5 minuti a piedi dalla Fiera
di Arezzo e a pochi minuti dai principali punti di interesse
della città d’arte, come la Fortezza Medicea e Piazza Grande.
La struttura si trova inoltre a pochi minuti di auto dalla
stazione di Arezzo, che permette collegamenti veloci con le
meravigliose località vicine di San Gimignano, Chianti, Siena,
Montepulciano e Montalcino. Una location ideale sia per
viaggi di lavoro che di piacere, comoda anche per vacanze
in famiglia, veloci city break ma anche soggiorni più lunghi.
Il B&B Hotel Arezzo dispone di 79 camere spaziose e confortevoli
nella tipologia singola, doppia e matrimoniale. La
struttura offre tutti i servizi smart che caratterizzano l’ospitalità
della catena, tra cui connessione Wi-Fi a 200 Mb/s illimitata
e gratuita, climatizzazione autoregolabile, minibar
e cassaforte elettronica, Smart TV 43" con Chromecast integrata.
A questi si aggiunge un servizio davvero esclusivo
Una camera del B&B Hotel Arezzo
della catena: un centro fitness aperto tutti i giorni 24 ore su
24 per un’esperienza di totale relax. A completare la vasta
offerta del B&B Hotel Arezzo, il ristorante Lo Zafferano dove
viene servita la prima colazione e la cena con un menù
tipico della tradizione toscana. L’hotel offre, infine, 2 sale riunioni
fino a 50 posti, completamente modulabili e attrezzate;
e un parcheggio esterno gratuito.
La sala riunioni
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B&B HOTELS AD AREZZO
Su B&B Hotels
Dal design moderno e funzionale, con bagno spazioso privato
e soffione XL, le camere B&B Hotels dispongono di Wi-Fi
in fibra fino a 200Mb/s, Smart TV 43” con canali Sky e satellitari
di sport, cinema e informazione gratuiti, nonché Chromecast
integrata per condividere in streaming contenuti audio e
video proprio come a casa. Per un risveglio al 100% della forma,
B&B Hotels propone una ricca colazione con prodotti dolci
e salati per tutti i gusti.
Il ristorante Lo Zafferano all’interno dell’hotel
Il centro fitness
B&B HOTELS AD AREZZO
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Benessere e cura
della persona
A cura di
Antonio Pieri
Proteggi le tue mani dal freddo in maniera naturale
di Antonio Pieri
Dice un vecchio detto su febbraio: «Se di Febbraio
tuona, l’annata sarà buona». Noi speriamo vivamente
che sia un anno migliore dei precedenti, ma allo
stesso tempo dobbiamo pensare a proteggere la nostra pelle
dal freddo di questo periodo. In particolare le nostre mani
soprattutto in questo periodo sono esposte al freddo e a forti
sbalzi di temperature tra l’esterno e l’interno.
Utilizziamo prodotti naturali e biologici
Prendersi cura della pelle delle nostre mani in maniera adeguata
e soprattutto utilizzare prodotti naturali e biologici
senza SLS,SLES o parabeni, può migliorare non di poco la bellezza,
ma soprattutto la salute della nostra pelle. Come abbiamo
detto più volte, un alleato essenziale per contrastare
gli effetti del freddo sulla nostra pelle è l’olio extravergine di
oliva toscano IGP biologico che, grazie a sostanze come lo
squalane e i polifenoli, idrata, nutre e protegge la pelle.
Il passo successivo alla detersione è quello di idratare, nutrire
e proteggere la pelle regolarmente con creme idratanti,
nutrienti e protettive naturali: l’utilizzo regolare di questi prodotti
è importante anche per mantenere integro il film idrolipidico
ed evitare di alterare la naturale funzione di barriera
della pelle. Si consigliano prodotti arricchiti con olio extravergine
di oliva e vitamina E che aiutano a prevenire lo sgradevole
fenomeno della secchezza cutanea, mantenendo a
lungo la pelle delle mani morbida e compatta. Anche i principi
attivi come gli oli essenziali naturali di rosa damascena e
centifolia hanno un potere idratante e rinfrescante ed aiutano
a contrastare e prevenire la secchezza della pelle. La rosa
canina, lenitiva e dal potere elasticizzante, aiuta a prevenire
efficacemente l’invecchiamento cutaneo. Questi principi attivi
sono presenti nella linea mani Prima Fioritura di Idea Toscana
in prodotti come il Burro Mani e la Maschera Unghie e
Cuticole. Cosmetici naturali capaci di nutrire e idratare anche
le mani più secche senza appesantirle. Ma soprattutto
non ungono e hanno un effetto benefico immediato: pelle subito
più vellutata, distesa, compatta e profumata, proprio come
un petalo di rosa.
Detersione
Mai come in questo periodo è importante detergere le mani
nella maniera giusta. Durante la fase di lavaggio, si tende
a non fare caso alla composizione del detergente, rischiando
così di utilizzare prodotti fortemente sgrassanti ed irritanti
per la pelle delle mani, già di per sé sensibile. Così facendo,
il naturale film idrolipidico che ricopre l’epidermide viene via
via danneggiato e le mani si trovano ad essere indebolite e
particolarmente sensibili alle aggressioni esterne, poiché la
loro naturale barriera difensiva è stata compromessa. Questa
situazione, in aggiunta alla scarsità di fattori d’idratazione
naturali, rende la pelle delle mani soggetta a screpolature
e rossori. Alla luce di questo, possiamo dire che la cura delle
mani ha inizio già con la detersione, per questo è essenziale
l’utilizzo di saponi naturali che hanno come principio attivo
principale l’olio extra vergine di oliva “toscano IGP” biologico
che idrata e protegge la pelle.
Idratazione, nutrimento e protezione
Ti aspettiamo nel nostro nel nostro punto vendita in Borgo
Ognissanti 2 a Firenze o sul sito www.ideatoscana.it . Insieme ci
prenderemo cura della tua pelle in maniera naturale e biologica.
Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl
e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici
naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.
Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,
ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.
antoniopieri@primaspremitura.it
Antonio Pieri
78 PROTEGGI LE MANI
Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere
Protect your skin from the cold
IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |
Tel. 055.7606635 |info@ideatoscana.it | www.ideatoscana.it
Una banca coi piedi
per terra, la tua.
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