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la rispetto al ricordo! Succede a tutti, da
bambini ci sembra ogni cosa più grande
di quello che in realtà è. La mia passione
per la pesca è iniziata proprio lì, alla
Matteotti, dove al centro del cortile c’era
una vasca con dei pesci rossi che io
cercavo inutilmente di catturare durante
la ricreazione utilizzando delle molliche
di pane. Le medie le ho fatte alla Poliziano
che allora era in cima a via Massaia
dove oggi c’è la Facoltà di Ingegneria,
in una classe di tutti maschi. Come dimenticare
la professoressa Cipollaro di
Italiano e, soprattutto, la inflessibile professoressa
Spada di Matematica che ci
faceva tenere un quadernetto dove dovevamo
appuntare tutto in maniera maniacale,
dai voti alle motivazioni fino agli
errori fatti. Ai Cappuccini ho fatto Comunione
e Cresima, c’erano padre Ottavio,
padre Flavio e padre Stanislao che allora
era il parroco. Facevo il chierichetto e
c’era un medagliere con le presenze: non
ho mai vinto anche se mi sono sempre
piazzato bene. La chiesa dei Cappuccini
è stato il luogo che ho frequentato più
assiduamente. Andavo alla Casina a giocare
a pallone e anche al Poggetto dove
giocavamo nel campo dove negli anni
Settanta fu costruito l’attuale parcheggio
per le auto. Al Poggetto c’erano la
piscina e la pizzeria dove facevano una
pizza squisita. In casa i soldi erano pochi
e quando la mamma mi ci portava,
era quasi un evento… anzi, non quasi, era
proprio un evento! Per giocare alla Casina
dovevo portare il pallone perché, non
essendo un campione, non avrei giocato
mai. Nonostante ciò, talvolta venivo relegato
ugualmente a bordo campo e allora
ne approfittavo per fare delle improvvisate
radiocronache degli incontri. Si può
dire che la mia carriera è iniziata lì. Quella
zona era vissuta da persone che si
conoscevano, si salutavano, si frequentavano
e, all’occasione, si aiutavano. Era
una quotidianità fatta di riti che si ripetevano
ogni giorno come la colazione al
bar Vannucchi o l’acquisto del latte dal
Baroncini oppure il conto aperto dal panettiere
e dall’ortolano. Di quel meraviglioso
micromondo oggi è rimasto poco,
ma per chi ha vissuto quegli anni in quel
quartiere basta chiudere gli occhi per ricordare
con nostalgia perché erano anni
sicuramente fatti di cose più semplici e
povere, ma forse migliori.
Lolette, mamma di Carlo Conti, affacciata sul terrazzo della casa di via Vittorio Emanuele
Il piccolo Carlo mentre fa una linguaccia davanti al negozio dell'ortolano di piazza Tavanti
CARLO CONTI
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