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La Toscana Nuova - ottobre 2022

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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 9 - Ottobre 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

Il vino fa buon sangue

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Adoro fotografare la vendemmia. Una passione che per me

non è mai cambiata, nonostante adesso le macchine abbiano

sostituito gran parte del fascino che questo rito aveva ai tempi

in cui, ragazzino, mi “incerottavo” le galle alle dita dopo una

giornata di tagli con forbici forniteci dagli adulti di proposito

poco taglienti per salvaguardarci da ferite accidentali. Ricordo

come fosse adesso l’allegria quando, a fine serata, saltavamo

dentro le “bigonce” piene di grappoli per pesticciarli. Un

divertimento concessoci dagli adulti come una sorta di ringraziamento

dopo la fatica della giornata. E poi tutti riuniti a mangiare

in un’enorme tavolata piena di cibo, fiaschi di vino e tanta

allegria. A quei tempi era l’unico premio che ricevevamo per

l’aiuto dato al contadino. Una cosa meravigliosa! Questi ricordi

sono rimasti talmente vivi dentro di me che, ancora oggi, non

manca vendemmia che io non prenda la mia Nikon e vada a

documentare questo affascinante evento che ha quasi del sovrannaturale,

un rito che spalanca le porte ad un nuovo ciclo

di vita donandoci l’uva. Quell’uva che, una volta raccolta, subiva

un tempo la “pigiatura” con i piedi, quasi a rappresentare il

forte legame con la terra, col potente significato simbolico del

piede che richiama l’idea del “cammino” e del passaggio della

vita. Questo prezioso nettare dà nutrimento e vitalità; è inoltre

considerato la bevanda degli amanti e della sensualità. Proprio

l’accostamento alla sensualità e alla vitalità esplosiva del

vino, paragonato al sangue e alla passione, mi ha ispirato nel

realizzare la foto qui pubblicata. Rappresenta la bellezza della

natura e la sensualità della modella Carmen Benfari che si integra

perfettamente nel “calore” di questo frutto, simbolo di un

nutrimento eccezionale anche nella più remota antichità. Non

a caso il primo miracolo Gesù lo compì proprio con il vino (vita/sangue),

tanto che si usa dire che il vino “fa buon sangue”.

E allora godiamoci un buon bicchiere di vino che, oltre a darci

energia e nutrimento, ci rammenta il magico rito della vendemmia

e la bellezza unita alla passione che ho cercato di trasmettere

con la mia foto scattata nella vigna dell’agriturismo Corte

di Valle a Greve in Chianti.

marco.gabbuggiani@gmail.com

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realtà per l'auto in Toscana

www.faldimotors.it



OTTOBRE 2022

I QUADRI del mese

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Percorsi d’arte: le pievi di Sant’Appiano e San Pietro in Bossolo

Piergiorgio Branzi, attento narratore dell’Italia in fotografia

Fotografia contemporanea: le immagini surreali di Michela Goretti

Intervista a Pietro Bartolini, fondatore e direttore dell’Accademia Teatrale di Firenze

Philippe Halsman, fotografo visionario e sorprendente

La vita nascosta sotto il colore nella pittura di Letizia Pecci

Scuola e formazione: al via i corsi di MITA Academy per lavorare nella moda

Archeologia: Haghia Sophia, la sapienza divina

Riflessioni sulla fede: il valore della spiritualità secondo l’abate Bernardo Gianni

Dimensione salute: la silenziosa vita dei virus

Psicologia oggi: quando preoccuparsi diventa una malattia

Consigli del nutrizionista: gli ingredienti immancabili nella dieta mediterranea

I giganti dell’arte: Fidia, il più grande scultore del mondo classico

Psicologia e arte: i murales, gallerie “a cielo aperto” per donare emozioni

Curiosità storiche: il braccio fiorentino, antico sistema di misurazione

Grandi mostre: l’Italia “in scala diversa” nelle foto di Luigi Ghirri a Reggio Emilia

Firenze mostre: a Palazzo Strozzi la retrospettiva record sull’opera di Olafur Eliasson

Vacanze in agriturismo: Corte di Valle, un angolo di paradiso a Greve in Chianti

L’eterna “attualità” del vizio nei collage di Adriana Setter

Cinema a casa: I vitelloni, un malinconico ritratto di una realtà provinciale

Pioggia di premi per il film su Leonardo da Vinci di Alessandro Sarti

Movimento Life Beyond Tourism: arte e innovazione con i tabernacoli “parlanti”

Premio Le Fonti Awards come avvocato dell’anno 2021 ad Aldo Fittante

Ritratti d’artista: Riccardo Salusti, attento osservatore del vivere quotidiano

Eventi in Toscana: a San Piero a Sieve, il Lions Club Mugello presenta il programma 2022-23

I libri del mese: il “sapore” del mare nell’esordio letterario di Domenico Russello

Scienza e società: l’importanza di stare insieme per conoscersi e vivere meglio

Patrizia Tummolo, artista dal caos all’ordine attraverso il colore

Firenze mostre: la “poesia del vero” protagonista al Circolo Artisti “Casa di Dante”

Turismo e innovazione: il progetto etico e slow di Crocus Trip per scoprire la Toscana

L’antica tecnica della tarsia lignea nell’originale rilettura di Riccardo Lolli

Italia e Cina dialogano con il progetto Italy Lifestyle and Culture

Firenze mostre: le sculture di Antonio Signorini alla Oblong Contemporary Art Gallery

Sabrina Seck, pittrice di un femminile iconico e senza tempo

Eventi in Toscana: la presentazione del nuovo Club Panathlon Firenze Medicea 488

La personale di Odara a Firenze per celebrare la magia della luna

Ritratti d’artista: Rita Susini, scultrice e raffinata medaglista

Centro San Sebastiano: i ritratti di Gualtiero Risito alle “moschettiere” dell’estetica

L’esplosione delle emozioni nella potente pittura di Rosella Giorgetti

Polvere di stelle: Ave Ninchi, indimenticabile caratterista di cinema e teatro

Itinerari del gusto: Trattoria Baldini, il meglio della tradizione toscana a Firenze

“A tavola con” Daniela Morozzi, attrice in note fiction e maestra nell’improvvisazione

Toscana a tavola: arista, un nome toscano per un piatto adatto a tutti i palati

Vacanze in bicicletta godendo dell’ospitalità di B&B Hotels

Cura della persona: olio extravergine di oliva toscano, alleato numero uno della pelle

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Periodico di attualità, arte e cultura

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Filippo Manzini

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Umberto Visintini

Sandro Zagli

Raffaella Zurlo

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Anniversary 2022

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Facebook: Instagram: Atelier ateliergiuliacarlacecchi

Giuliacarla Cecchi

Instagram: ateliergiuliacarlacecchi


Annunciazione

Cinzia Pistolesi

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cinzpistol@virgilio.it


La pieve di Sant’Appiano si trova nell’omonima località

del Comune di Barberino Val d’Elsa - Tavarnelle.

è uno dei rari edifici del contado fiorentino che conservi

resti di un battistero autonomo rispetto alla chiesa come

la vicina pieve di San Pietro in Bossolo. Del battistero

restano solo quattro pilastri, testimoni della pianta centrale

dell’edificio. La pieve conserva le tracce di due fasi costruttive:

le archeggiature che dividono la navata sinistra

appartengono al decimo-undicesimo secolo, come l’abside

decorata a fornici e sopraelevazione della navata ritmata da

archetti lombardi. Le archeggiature di destra sono state ricostruite

in cotto dopo il crollo del campanile avvenuto nel

1171. All’interno, oltre all’urna con le reliquie di Sant’Appiano,

vi è la lastra tombale con figura di cavaliere di Gherarduccio

Gherardini morto nel 1331: si tratta di un importante

documento dello sviluppo dall’armamento all’armatura studiato

da Lionello Giorgio Boccia. Nei locali annessi alla

chiesa sono stati ricavati, dal 1991, gli spazi per un antiquarium

con la raccolta di reperti archeologici emersi durante

gli scavi condotti dalla fine dell’Ottocento nelle zone

di Sant’Appiano, San Martino ai Colli e Semifonte, territori

fertili e densamente popolati sin dall’VIII secolo a. C. L’importanza

del museo è dovuta alla qualità dei reperti esposti:

nella prima sala è ospitata una parte dei corredi funebri delle

numerose tombe magnatizie etrusche rinvenute nel 1907

nella zona di San Martino. Gli oggetti esposti coprono il periodo

dal VII al II secolo a. C. facendo intendere la ricchezza

dei committenti che potevano permettersi beni di lusso

come ceramiche attiche (VI-IV secolo a. C.) e urne in alabastro

più diffuse che in centri come Volterra. Nella seconda

sala si trova il pezzo più curioso della collezione, una sculdi

Ugo Barlozzetti

Percorsi d’arte in Toscana

A cura di Ugo Barlozzetti

Tesori d’arte sacra alle pievi di Sant’Appiano

e San Pietro in Bossolo

Pieve di Sant’Appiano: veduta della navata sinistra con i quattro archi protoromanici

e sullo sfondo tre riquadri affrescati

tura in pietra arenaria

con un putto a

cavallo di un cane.

L’epoca medievale

e rinascimentale è

rappresentata da ceramiche

provenienti

anche da Semifonte.

Il Museo di Arte

Sacra di Tavarnelle

è ospitato nella canonica

della pieve di

San Pietro in Bossolo

che risale, forse,

alla II metà dell’XI

secolo e, grazie ai

restauri, ha recuperato

il suo aspetto angeli (1270-1280 ca.), tempera su tavola, Museo

Meliore di Jacopo (attr.), Madonna col Bambino e

originario. Durante di Arte Sacra, Tavarnelle

le campagne di scavo

negli anni Sessanta furono ritrovate le fondamenta del

battistero che era posto di fronte alla chiesa. Il museo conserva

in alcune vetrine oggetti liturgici tra il XV e il XIX secolo

provenienti da chiese vicine oltre che da San Pietro in

Bossolo. Due croci astili, di grande qualità, sono databili al

XIII secolo e provengono dalla pieve stessa. Importanti sono

le opere pittoriche come la tavola a fondo d’oro attribuita

a Meliore di Jacopo, uno dei pochi pittori fiorentini del Duecento

testimoniati in documenti perché aveva preso parte

alla battaglia di Montaperti. Meliore cooperò con Coppo di

Marcovaldo nella decorazione musiva del battistero fiorentino.

Vi è poi un trittico attribuito a Ugolino di Nerio (Siena

1280 c. -1330/35), uno dei più fedeli seguaci di Duccio

di Buoninsegna. La Madonna con il Bambino di Rossello di

Jacopo Franchi (Firenze 1376/77-1456), oltre ad essere ritenuta

miracolosa, è il capolavoro di questo allievo di Lorenzo

Monaco. Della fine del Trecento è una Madonna con il

Bambino di Lorenzo di Bicci (Firenze 1350-1427), fondatore

di una fortunata dinastia di artisti tra cui il nipote Neri di

Bicci (Firenze 1418/20-1492) che ha proprio in questo museo

diverse opere su tavola degli anni Settanta. Vi è anche

una tavola della fine del XV secolo della discussa personalità

definita il Maestro di Tavarnelle. Del XVII secolo è esposta

una tela di Jacopo Chimenti da Empoli, detto appunto

l’Empoli (Firenze 1551-1640), uno dei più significativi maestri

del suo tempo. E infine una tela con i santi Pietro e Paolo

che rivela le qualità e la cultura di un pittore protetto dai

marchesi Riccardi, Francesco Conti (Firenze 1682-1760).

TESORI D’ARTE

7


I grandi della fotografia

A cura di Maria Grazia Dainelli

Piergiorgio Branzi

Scomparso lo scorso agosto a 93 anni, è stato uno dei più attenti

narratori dell’Italia del secondo dopoguerra

Lo scorso 28 agosto, all’età di 93 anni, è scomparso

Piergiorgio Branzi, grande fotografo

ed interprete della modernità. Nato a Signa,

in provincia di Firenze, terzo di sette fratelli, nasce in

una famiglia cattolica integralista e impegnata politicamente.

Suo padre entra nella Resistenza come

rappresentante dei cattolici nel CLN (Comitato di Liberazione

Nazionale); nel dopoguerra intraprende la

carriera politica a livello nazionale come consigliere

di De Gasperi. Successivamente apre a Firenze una

libreria ed una piccola casa editrice in via del Corso

dove a turno i figli vanno ad aiutarlo. In quegli anni il

capoluogo toscano è una “piccola Atene” per la presenza

di numerose gallerie d’arte, di importanti case

editrici come Vallecchi, Sansoni, La Nuova Italia e di

tanti scrittori e pittori che popolano la città. Crescendo

in questo ambiente intellettuale, Branzi è stimolato

ad avvicinarsi alla fotografia, soprattutto dopo la

“folgorazione” ricevuta visitando la mostra di Hen-

ri Cartier-Bresson a Palazzo Strozzi nel 1953. Compra subito

la Ferrania Condor, una buona macchina fotografica prodotta

dalle Officine Galileo di Firenze, e inizia a scattare. Sia le sue

radici toscane che il forte impegno civile maturato lavorando

nel mondo dell’informazione si riflettono nel suo stile fotogra-

di Maria Grazia Dainelli / foto Piergiorgio Branzi (courtesy Fondazione Forma per la Fotografia)

Piergiorgio Branzi

fico, definibile come “realismo-formalista”. Nel suo percorso

di crescita apprezza le immagini di autori americani come Weston,

Adams, Smith, e subisce anche il fascino di alcuni fotografi

della rivista Life, come Walker Evans, Bourke-White, Paul

Strand e Robert Frank, del quale ammira la grande capacità

nel raccontare la società americana. Comincia un’assidua frequentazione

con alcuni maestri della fotografia e nei primi anni

Cinquanta conosce Vincenzo Balocchi, uno dei membri del

gruppo La Bussola, associazione creata nel 1947 con l’obiettivo

di promuovere la fotografia come forma d’arte. «Fotografare

è un’operazione compromettente – afferma Branzi – perché

quel lampo di luce racchiude un frammento di realtà, ma l’immagine

proviene dal nostro intimo più profondo e nascosto,

ci racconta e ci smaschera. La fotografia diventa un tramite

per approfondire. Le foto buone, infatti, vengono dall’interazione

e dal coinvolgimento del fotografo con ciò che sta fotografando.

Non importa quale sia il soggetto, ogni fotografia è

un romanzo, è pur sempre un intervento dell’occhio, cosciente

o non cosciente, colto o non colto, quindi il risultato è inesorabilmente

truccato. Dopo tutto riprodurre la realtà non avrebbe

senso. Poi c’è la fase di stampa. Berengo Gardin parla male

del digitale, ma quando sei in camera oscura non fai le ma-

FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK

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PIERGIORGIO BRANZI


schere? Non scegli la carta, la pellicola, lo sviluppo adatto, la

luce, i secondi di esposizione?». Collabora con il settimanale

Il Mondo di Mario Pannunzio, registrando con l’occhio della

sua fotocamera la nascita della società di massa, il formalismo

nei comportamenti della nuova borghesia, il graduale

processo di omologazione consumistica. «Il giro dell’occhio

in cui ci conduce Piergiorgio Branzi con le sue fotografie –

scrive Alessandra Mauro nell’introduzione al volume Il giro

dell’occhio pubblicato nel 2015 – è un turbine d’immagini e

memorie, di ricordi, impressioni e scelte meditate». Nel 1955,

Branzi realizza un grande reportage percorrendo in lambretta

l’Italia del sud: parte da Firenze verso l’Abruzzo, arrivando

poi in Puglia, Basilicata e Campania. In questi scatti cerca

di coniugare, all’interno dell’inquadratura, la figura umana e il

suo ambiente di vita. Un viaggio importante

anche perché gli fa venire voglia

di diventare giornalista. E infatti all’inizio

degli anni Sessanta viene assunto

in RAI. Nell’Italia della tivù a canale unico

e in bianco e nero, il nuovo direttore

del telegiornale, Enzo Biagi, invia il

videoreporter Branzi, allora trentaquattrenne,

a Mosca. Un primato per la RAI,

l’unica al mondo in quel momento –

era il 1962 – ad avere un corrispondente

nel cuore dell’impero sovietico. Biagi

gli dice: «Vai e vedi cosa si può fare, resta

una, due settimane». Branzi rimane

in Unione Sovietica quattro anni come

corrispondente RAI scattando numerose

fotografie in quella parte di mondo

della quale l’Occidente allora conosceva

soltanto l’ideologia politica ma non

possedeva molte immagini. Il grande

fotografo riesce, con il suo obbiettivo,

ad entrare nel vivo della società sovietica

e a realizzare degli scatti che espone

poi a distanza di vent’anni. Rientrato da

Mosca nel 1966, diventa corrispondente

RAI da Parigi. Qualche anno dopo,

nel 1968, torna a Roma come conduttore

e inviato speciale del telegiornale.

Verso la fine degli anni Sessanta accantona la fotografia

per dedicarsi unicamente alla professione di giornalista. Sperimenta

la pittura, l’incisione, fino a quando, a metà degli anni

Novanta, ricomincia a fotografare immortalando i luoghi pasoliniani.

Nel 2007 comincia a cimentarsi anche nella fotografia

digitale. Nel corso della sua carriera, ha tenuto numerose

mostre personali e molte delle sue immagini sono ospitate in

gallerie private, sedi istituzionali e importanti musei come il

Guggenheim di New York. Ha realizzato inchieste e documentari

in Europa, Asia e Africa. È stato inoltre direttore della sede

RAI di Firenze negli anni Settanta e Ottanta. Tra le sue pubblicazioni

si ricordano: Piergiorgio Branzi (Alinari - Fiaf, 1997);

Diario moscovita (Il Ramo d’Oro, 2001); Piergiorgio Branzi (Istituto

Superiore per la Storia della Fotografia, 2003).

PIERGIORGIO BRANZI

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Ombretta Giovagnini

Senza titolo, collage fotografico su tela, cm 30x40

ge75ge@yahoo.it


Fotografia contemporanea

A cura di Alberto Desirò

Michela Goretti

Immagini surreali per far scaturire emozioni

di Alberto Desirò / foto Michela Goretti

Michela Goretti è una fotografa professionista

con base a Firenze dove

ha conseguito il diploma di laurea

in Fotografia presso la Fondazione Studio Marangoni.

La sua formazione è sia in ambito commerciale

che artistico grazie ad un profondo

lavoro nella strutturazione e sperimentazione

del linguaggio visivo. Suoi progetti fotografici

di natura artistica sono stati esposti in mostre

personali e collettive in gallerie d’arte nazionali

ed internazionali; ha inoltre conseguito riconoscimenti

e premi. «Io non fotografo la realtà

– dichiara Michela – ma ciò che essa fa scaturire

in me. Non realizzo un’immagine che ne sia

la semplice mimesi, sarebbe di per sé una presunzione

in cui non vorrei mai cadere, ma creo

un’immagine che trasudi le emozioni che il reale

mi trasmette. Il mio lavoro fotografico inizia

con gli occhi chiusi, lascio agli altri sensi l’arduo compito

di assimilare sensazioni, emozioni, paure, malinconie». Ne

conseguono immagini oniriche, astratte, surreali, visionarie,

risultato dell’impatto che la realtà che la circonda esercita

su di lei. Lo scopo è confrontarsi con il fruitore, capire in

che modo le sue fotografie lo influenzino e quali riflessioni

ne derivino, creando così un dialogo con l’osservatore. Una

Rebirth

conferma di come la fotografia contemporanea consista nel

saper vedere la realtà con occhi diversi, più attenti e sensibili,

cogliendo istanti altamente significativi che emozionano

o spingono alla riflessione.

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Introspectio

Soul

MICHELA GORETTI

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Dal teatro al sipario

A cura di Doretta Boretti

Pietro Bartolini

Attore e regista in compagnie primarie nazionali e internazionali, è socio

fondatore e direttore artistico dell’Accademia Teatrale di Firenze

di Doretta Boretti / foto Chiara De Luca, Filippo Manzini e courtesy Pietro Bartolini

Pietro Bartolini al Meta 2017 (ph. Chiara De Luca)

Prosegue la ricerca, iniziata a gennaio 2022, di artisti

che hanno creato una scuola di teatro in Toscana. In

questo nostro viaggio non poteva mancare un grande

personaggio della scena teatrale fiorentina: Pietro Bartolini.

Attore, regista, scrittore, docente, Bartolini ha calcato palcoscenici

nazionali e internazionali e ha trasmesso la sua arte

a migliaia di allievi.

Sono trascorsi alcuni anni da quando lei ha iniziato a insegnare,

impresa non facile e piuttosto faticosa. Che cosa

l’ha spinta a farlo?

Il desiderio di imparare dagli altri, soprattutto dai miei allievi,

di andare più a fondo nella comprensione del mistero dell’essere

umano, di abitare l’altro. Un modo efficace per soddisfare

questo desiderio è quello di condividere le esperienze e le

tecniche con chi, come me, è alla ricerca di una conoscenza

sempre più profonda, purché si tenga l’ironia come compagna

di viaggio e non si dimentichi che interpretare è sempre

gioco e gioia.

Tra ieri e oggi cosa è cambiato nelle sue tecniche di insegnamento?

Le prove di Con l’abito bianco di Paola Bonazzi

All’inizio la mia applicazione delle tecniche di insegnamento

era segnata dal contagio della tradizione viva che mi hanno

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PIETRO BARTOLINI


Bartolini mentre tiene una lezione di teatro online

trasmesso i maestri Orazio Costa e Vittorio Gassman insieme

all’amore per l’arte. Fondamentale il sostegno dei miei giovani

compagni di viaggio Renato Condoleo e Marco Giorgetti nella

scoperta di quello che per me era un mondo totalmente nuovo

e inaspettato e nel quale sono entrato in modo del tutto accidentale.

Sono tanti gli artisti con cui ho vissuto una felicissima

stagione di tournée pluriennali, “veri animali” da palcoscenico

capaci di passare da latrati cavernosi a delicatezze angeliche

nel soffio fra due sillabe, come Roberto Herlitzka e Mariangela

Melato, troppo presto scomparsa. Questi titani della scena mi

hanno iniziato al culto nel sacro tempio della phoné, fra cassa

toracica e velo molle, teso a raggiungere una tecnica a volte

dolorosa, sempre faticosa, spesso sorprendente. Nel 1985

inizia la mia esperienza di assistente e di insegnante con Orazio

Costa: il metodo mimico da allora è rimasto come un marchio

rovente nella carne viva. Qualche anno più tardi affronto

un'esperienza professionale che mi segnerà profondamente

come teatrante e da cui ho ricevuto un forte impulso verso

una conoscenza approfondita delle teorie drammatiche e della

regia: due anni di lavoro con Peter Stein nel Tito Andronico

di Shakespeare e nella sua tournée europea in cui ho conosciuto

altre realtà teatrali. In Germania, durante una prova al

Staattheater di Braunschweig, ho finalmente compreso quale

fosse l’impalcatura metodologica di realizzazione della scena

e come questa si origini nell’intimo del performer per poi

estendersi a determinare il funzionamento di tutti i sistemi

scenici e il loro integrarsi. Da quel momento i miei interessi si

sono ampliati, ho percepito la mia professione di attore come

limitante per quello che il teatro può offrire ed è iniziato uno

studio dissennato ripartendo dal testo, dalla sua analisi profonda,

dall’origine della parola, dal logos. Questo studio poteva

trasformarsi in pratica solo all’interno di un laboratorio i cui

programmi fossero il consolidamento delle conoscenze della

tradizione e l’apertura alla metodologia di ricerca e alla sperimentazione.

Così, insieme a l’event manager Ludovica Sanalitro,

ho fondato a Firenze, nel 1992, il primo laboratorio, che

poi si è strutturato nel corso degli anni diventando una scuola

stabile di teatro: l’Accademia Teatrale di Firenze. Con il nuovo

team di docenti, tra i quali Saverio Contarini, Tiziana Acomanni

e Antonella Cellai, applico un sistema che mira alla valorizzazione

delle caratteristiche individuali di ogni singolo allievo

Sul palco durante le prove a teatro (ph. Filippo Manzini)

PIETRO BARTOLINI

13


con programmi di studio personalizzati.

Scomparsi i maestri, davanti al vuoto incolmabile

che hanno lasciato, dovevo ritrovare

la sacra fiamma fra gli ignari. Oggi credo

di avere unito la tradizione pedagogica con

le nuove tecnologie digitali. Per questo ho

riorganizzato le tecniche di insegnamento

coinvolgendo nella mia ricerca teorici,

studiosi, scienziati, ingegneri, tecnici. Con

loro sviluppo approcci di derivazione neuroscientifica,

applicazioni dei sistemi emergenti

delle nuove tecnologie digitali nella

didattica e nella performance, con l’utilizzo

di avatar, robot, sistemi di visualizzazione

immersiva, di intelligenza artificiale. Per

condividere questo lavoro a livello europeo,

con il supporto fondamentale del Comune

di Firenze, della Regione Toscana e della

Fondazione Teatro della Toscana, abbiamo

organizzato il META, un meeting internazionale

giunto alla sesta edizione sulle metodologie

teatrali applicate nelle più importanti accademie del

mondo, dove sono organizzate tavole rotonde, performance,

discussioni e sessioni di lavoro con i maggiori teorici e insegnanti

esistenti e dove verifichiamo lo stato dell’arte della

pedagogia teatrale e i programmi di studio con gli allievi dei

diversi paesi. È questo il cambiamento, questo è il nostro contributo

al teatro del futuro.

Consegna dei diplomi d’attore

Il percorso che l’ha portata a dare vita ad un’accademia teatrale

è stato difficile? Si è sentito supportato dalle istituzioni

oppure c’è stata quella “solitudine” che avvertono

tutti i “numeri primi”?

Dietro le quinte al Teatro la Pergola per la prima edizione nel 2015 del Meeting delle Accademie Teatrali Europee

Lavorare in questo settore rappresenta sempre una sfida, soprattutto

per i giovani comʼero io quando ho cominciato. Gli

inizi sono stati duri, la continuazione anche, i livelli di difficoltà

per chi si applica alla ricerca scientifica sono costantemente

alti, ma gli ostacoli mi spronano a fare sempre di più e

con maggiore impegno, a trovare nuove soluzioni per realizzare

i progetti. Se così non fosse, dove sarebbe il divertimento?

La strada è ancora lunga ma grazie ai miei collaboratori,

agli allievi, all’amministrazione comunale e a diversi enti privati

e pubblici che mi hanno supportato fino ad oggi e non

mi hanno mai lasciato da solo, ho la possibilità di sviluppare

programmi e condurre ricerche fondamentali in partenariato

con istituzioni accademiche internazionali e centri di ricerca

universitari di eccellenza.

In questi anni di insegnamento le è mai capitato di sopravvalutare

un allievo oppure viceversa di sottovalutarlo?

Nell’insegnamento cerco sempre di tenere un equilibrio fra lo

sviluppo della tecnica e il rispetto della spontaneità istintiva.

Non è possibile all’inizio prevedere quale potrà essere la curva

di evoluzione artistica di una persona, la sua disponibilità ad

essere altro da sé; ci vuole tempo, studio, pazienza. Questa è

un’arte il cui unico strumento è la vita stessa e i docenti devono

prestare la massima attenzione alle sfumature espressive,

a quello che il corpo effettivamente

comunica. Il nostro compito è accompagnare

l’allievo che si affida a noi nel

travaso dalla persona al personaggio.

Dobbiamo anche operare un continuo

discernimento per capire la genuinità

della vocazione e assecondare gli

obiettivi reali della persona, che non

è detto siano totalmente incentrati nel

teatro. Mi occupo di formare, consigliare,

capire, le valutazioni deve farle

il pubblico ed è lui che decide se abbiamo

sul palco una vera attrice e un

vero attore. L’accademia accoglie tutti

e a tutti cerco di dare un congruo tempo

scenico in cui possano crescere ed

essere creativi.

14 PIETRO BARTOLINI


Per chi volesse iscriversi ai corsi dell’Accademia

Teatrale di Firenze, sono ancora

aperte le iscrizioni? Per quale fascia di età?

C’è una prova preliminare da superare? Chi

fosse interessato a chi deve rivolgersi?

Una lezione all’Accademia Teatrale di Firenze (ph. Chiara De Luca)

Immagino abbia avuto allievi che hanno scelto il teatro come

professione. Che ricordo conserva di alcuni di loro?

Li ricordo come persone molto speciali a cui devo gratitudine

perché riempiono di senso il mio lavoro. Sono certo che

avrebbero raggiunto quei livelli anche in altro modo, ma mi

piace pensare che in qualche forma ho collaborato anch’io a

farli diventare quello che sono oggi.

Le iscrizioni al corso base propedeutico sono

aperte fino ad esaurimento posti. Alla conclusione

del corso propedeutico annuale, è possibile

accedere al corso triennale per attori.

Abbiamo corsi di regia, teatro in inglese, dizione

e public speaking, drammaturgia, laboratorio

cinematografico, con preparazione di

spettacoli di fine corso. I corsi iniziano a ottobre

e novembre, accogliamo allievi dai 14 anni

fino all’età adulta, abbiamo anche un settore

per ragazzi che va dalla terza elementare alla

terza media diretta da Saverio Contarini e Lorenzo

Belli con l’associazione I Sognambuli.

www.accademia-teatrale.it

segreteria@accademia-teatrale.it

+ 39 335 5204807

Accademia Teatrale di Firenze

accademiateatralefi

Lo spettacolo Donne attente alle donne di Thomas Middleton (Teatro della Pergola - META 2022)

PIETRO BARTOLINI

15


Rocco Rusiello

• Visioni metafisiche •

rocco.rusiello@gmail.com

Frutto magico, olio su tela, cm 50x70

Oltre la realtà, olio su tela, cm 50x70

Entrambi i quadri sono stati in mostra a Castrocaro Terme


Spunti di critica fotografica

A cura di Nicola Crisci

Philippe Halsman

Un punto di vista sul mondo visionario e sorprendente

di Nicola Crisci / foto Philippe Halsman

Nato nel 1906 a Riga da una ricca

famiglia ebrea, a 15 anni Philippe

Halsman si appassiona alla

fotografia. Espulso dall’Austria, passa

un periodo a Parigi, dove entra in contatto

con i fotografi surrealisti che lo influenzano

notevolmente. Abbandona gli

studi di ingegneria e si dedica completamente

alla fotografia, privilegiando

soprattutto il ritratto. A questo proposito

dice: «Ai miei occhi il soggetto più

interessante della fotografia era il volto

umano, speravo di poterlo scoprire

proprio come i miei autori preferiti,

Tolstoj e Dostoevskij, avevano indagato

la natura umana, con la stessa profondità

psicologica». Realizza i ritratti di

molti personaggi famosi, tra cui il duca

e la duchessa di Windsor, Marilyn Monroe

e Richard Nixon, e lavora per Vogue.

Le sue foto sono dirette, incise, con luci

sorprendenti e angolazioni particolari.

Dopo l’invasione nazista, si rifugia negli

Stati Uniti, dove diventa famoso realizzando foto pubblicitarie

tra cui Un profilo americano. Nel 1941 inizia a collaborare

con l’artista surrealista Salvador Dalì, un sodalizio che

Cocteau (1949)

Dalì Atomicus (1948)

dura trentasette anni producendo opere immaginifiche, tra

cui spiccano Voluptas mors (1951) e Dalì Atomicus (1948).

Negli anni Cinquanta viene incaricato di fotografare le donne

più belle del mondo fra le quali diverse dive italiane come

Gina Lollobrigida, Anna Magnani, Sofia Loren e Claudia

Cardinale. «Non esistono limiti all’invenzione – afferma

–, nessuno scrittore si vergogna per avere scritto di cose

che esistono solo nella sua immaginazione e nessun fotografo

dovrebbe essere biasimato quando, invece di catturare

la realtà, cerca di mostrare cose che ha visto solo

nella sua immaginazione. La fotografia ha smesso di imitare

le altre arti, il suo scopo è documentare nel modo essenziale,

con chiarezza e precisione, e tuttavia essere più

di una registrazione, di essere

un’opera d’arte proprio in virtù

della verità e della bellezza

delle sue immagini». Di fondamentale

importanza, per conoscere

meglio il suo lavoro, è il

libro del 1961 da lui pubblicato

con il titolo Halsman on the

Creation of Photographic Ideas.

Nel 1958 una giuria di fotografi

lo colloca tra i dieci più grandi

fotografi di tutti i tempi. Muore

a New York nel 1979.

PHILIPPE HALSMAN

17


Occhio critico

A cura di Daniela Pronestì

Letizia Pecci

La vita nascosta sotto la “pelle” della pittura

di Daniela Pronestì

Pensare che la tecnica in pittura sia soltanto tramite

e non parte integrante dell’espressione artistica

significa concentrarsi soltanto sulla “pelle”

dell’opera, sugli aspetti percettivi, tralasciando invece la

“sostanza” che vive sulla superficie della tela, nella combinazione

di colore, segno e materia. Se applicassimo

questo schema interpretativo alle opere di Letizia Pecci,

soffermandoci quindi unicamente sui soggetti che queste

raffigurano – siano essi volti, paesaggi o fiori –, andremmo

incontro ad un totale travisamento delle finalità dell’artista,

il cui obiettivo è appunto quello di invitare lo sguardo

ad attraversare la “pelle” del dipinto, ad andare oltre il naturale

istinto dell’occhio a riconoscere ciò che osserva, per

entrare nella “carne” della pittura, nella densità degli strati,

dove l’inchiostro unito alla carta genera un caleidoscopio

di forme e di altrettante suggestioni visive. La comprensione

di queste opere passa infatti attraverso un continuo

gioco di rimandi tra quello che la superficie rivela al primo

sguardo – e quindi scorci di paesaggi, elementi figurali

o rimandi al mondo vegetale – e quello che invece si nasconde

sotto gli strati di pittura lasciandosi soltanto intravedere.

Ed è proprio in questo contenuto “nascosto”, negli

indizi della sua presenza, nel suo esserci senza mai manifestarsi

del tutto, che risiede il valore poetico – e dunque

anche espressivo – di una tecnica artistica che all’inizio

procede aggiungendo materia e colore sulla tela e poi interviene

sottraendo allo sguardo quella stessa sostanza,

quella stessa stratificazione di elementi, lasciando visibile

soltanto ciò che progressivamente acquista importanza

nell’armonia generale dell’opera. Un processo creativo

fondato quindi sulla dialettica tra profondità e superficie,

e in senso simbolico anche tra l’interiorità chiusa e segreta

dell’artista e le parti che di questo mondo intimo si palesano

all’esterno, senza tuttavia mai farsi completamente

raggiungere. In questo caso, sottrarre non significa cancellare

l’inessenziale, perché tutto in queste opere ha valore,

anche e, in certi casi, soprattutto quello che non vediamo

ma intuiamo esserci e vivere sotto gli spessori cromatici.

Una profondità insondabile, un nucleo irraggiungibile che

fa sentire la sua presenza ogni volta che lo sguardo, incontrando

l’opera, non si appaga di ciò che vede, ma avverte

il desiderio di scoprire cosa davvero si celi sotto la pelle

del dipinto. E così come la pelle del corpo nasconde fibre,

terminazioni nervose e vasi sanguigni, allo stesso modo la

pelle della pittura nasconde colori, gesso e carta che, come

fossero vene e nervi, irrorano di vita il corpo dell’opera,

lo fanno respirare, in uno scambio osmotico tra le varie

stesure, tra il primo e l’ultimo strato. Aspetto tutt’altro che

Homeland I, II e III, tecnica mista su tela, cm 50x70

18

LETIZIA PECCI


Cornfield flower, tecnica mista su tela, cm 100x100

Crystal stones, tecnica mista su tela, cm 80x100

inessenziale è infatti il legame o, come l’artista

stessa ama dire, la connessione fra tutti

gli elementi compositivi, la rete di rapporti

che viene a crearsi tra forme e colori, stesure

piane e rilievi materici, ma anche tra i vari

passaggi che lo sguardo compie nel procedere

dalla visione d’insieme, che lo rimanda

ad un soggetto realistico, alla visione di un

singolo particolare che, osservato da solo,

diventa invece del tutto astratto. In questa

ambiguità percettiva risiede la doppia anima

di una pittura che non si propone di rappresentare

qualcosa, un paesaggio, una figura

o altro, o per lo meno, non ha questa come

unica finalità. L’atto del “rappresentare” viene

dopo, non è scopo ma conseguenza di un

iter creativo che si propone anzitutto di indagare

la vita “organica” del colore, la maniera

in cui questo si combina con la carta e

con il segno, il modo in cui genera e fa dialogare

tra di loro le forme creando una rete

che tutte le collega. Opere come Homeland

fanno leva proprio su questa duplice natura

dell’immagine proponendo un paesaggio

che, osservato da vicino e nel dettaglio, rivela

al suo interno la presenza di altri paesaggi,

questa volta però astratti e non reali:

un insieme armonico di segni e macchie di

colore che fanno pensare alla superficie di

un vecchio muro, alle nervature di una foglia,

agli atomi in una molecola. Allo stesso modo,

le opere con i fiori – si pensi ad esempio

a Cornfield flower e Magic flowers – trasformano

l’elemento vegetale in un tripudio di

forme astratte che, a loro volta, richiamano

la natura: fondali marini, venature del marmo,

impronte fossili sul terreno. Una chiave

di lettura valida anche in opere che, sebbene

concepite come astratte – la serie Crystal

stone ne è un esempio –, nascono dall’osservazione

di un sasso e si traducono nella

resa pittorica in un collage di forme che ricordano

la trasparenza di un cristallo o le ossidazioni

di un minerale. Queste immagini,

quindi, non hanno una sola chiave di lettura

ma tante quante è in grado di attribuirgliene

la sensibilità del singolo osservatore; occorre

avere uno sguardo vivace, dinamico, curioso,

pronto a “navigare” la superficie del

dipinto come si fa con un’onda. E, per tramite

di questa esperienza, rivivere la stessa

sensazione che l’artista per prima ha sperimentato,

la meraviglia che sempre si accompagna

alla nascita di un’opera: il gusto di una

scoperta ogni volta nuova grazie al colore.

www.letiziapecci.com

LETIZIA PECCI

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Scuola e formazione

MITA Academy

Ai nastri di partenza i corsi di formazione

professionale di una delle prime scuole

toscane di alta specializzazione per

lavorare nel settore moda

di Elisabetta Mereu

La specializzazione negli ITS apre le porte al mondo del lavoro:

è una certezza confermata dalle statistiche. E, nel

settore moda, un fiore all’occhiello del panorama nazionale

per la formazione di alti profili professionali è senza dubbio l’Accademia

MITA di Scandicci, una delle prime scuole di eccellenza

post diploma in Toscana, che ha registrato ottimi risultati anche

in periodo di pandemia. «In 12 anni abbiamo raggiunto percentuali

altissime di successo con il quasi totale inserimento lavorativo

dei nostri studenti in varie realtà imprenditoriali – dice Cristina

Bardazzi, coordinatrice didattica e progettista della Fondazione

con sede al Castello dell’Acciaiolo – perché oltre alle importanti

nozioni teoriche apprese nelle 1000 ore di didattica in aula e nei

laboratori con docenti qualificati, la formazione dell’ITS MITA comprende

anche 800 ore di stage pratici presso aziende prestigiose,

non solo nazionali. Ciò consente ai ragazzi di cimentarsi subito negli

ambiti in cui poi vorranno lavorare». In sintesi, Mita rappresenta

un ponte fra domanda e offerta creando un canale privilegiato per

poter lavorare in tempi molto brevi. «Sia chiaro – specifica Bardazzi

– noi non formiamo stilisti, ma ci interfacciamo con le aziende

che conoscono bene le istanze e le esigenze del mercato italiano e

mondiale del fashion che è sempre in evoluzione e così rispondiamo

alle necessità di tecnici per un turn-over professionale, e anche

generazionale, in un determinato distretto. D’altronde la Toscana

rappresenta un osservatorio privilegiato, in quanto la maggioranza

delle produzioni di alcune fra le più importanti filiere artigianali

italiane viene fatta nella nostra regione. Dunque è un luogo di elezione

per lo sviluppo di una serie di strategie sia produttive che

stilistiche». A fine ottobre partiranno sei nuovi corsi; abbiamo chiesto

alla coordinatrice Bardazzi di spiegarci chi vi può accedere e

quali saranno le specializzazioni per il biennio 2022/24. «Gli unici

requisiti sono l’età, fra 18 e 29 anni, ed il possesso di un diploma di

scuola superiore. Nessun’altra preclusione. I nostri candidati provengono

dai più vari settori di formazione liceale, dal classico allo

scientifico, dal socio pedagogico fino all’alberghiero. L’importante

è che manifestino curiosità di inserirsi nel settore moda. I nuovi

corsi in avvio sono cofinanziati da Regione Toscana POR FSE e dal

Ministero dell’Istruzione e si svolgeranno fra Scandicci, dove abbiamo

la sede principale (uno dei distretti produttivi più importanti

nell’ambito della pelletteria ndr), Prato e Grosseto. Proprio qui, in

collaborazione con il Polo Universitario della città e il neonato ITS

PRODIGI, effettueremo il corso DBMita Digital Brand Manager che

mira a creare alti profili professionali all’interno degli uffici marketing,

con competenze che attraverso strumenti digitali riescono a

gestire la corretta immagine e il posizionamento sul mercato di

brand e maison nel settore moda, ideare piani di sviluppo, così come

la promozione di nuovi prodotti o l’acquisizione di nuovi clienti,

Cristina Bardazzi, coordinatrice didattica del MITAcademy con alcuni studenti

ottimizzando le strategie di vendita anche tramite i social network

e il Web in generale. ALT è l’acronimo con il quale vogliamo indicare

la preparazione di tecnici esperti dell’accessorio leather anche

nelle fasi di controllo qualità delle imprese del lusso nel comparto

moda pelle. ARTIST è invece relativo al settore del tessile e si farà

a Prato, distretto con cui collaboriamo da quattro anni. Lo studente

acquisirà competenze specifiche di innovazione tecnologico/digitale

e di economia circolare che gli consentiranno di coniugare

la storia e la tradizione presente nel territorio con le novità in ambito

tessile. Con BEST gli studenti impareranno sia le classiche

tecniche di modelleria artigianale per la realizzazione di un oggetto

moda/lusso in pelle sia a traslare il disegno anche su grandi

software evoluti. E contestualmente affronteranno le tematiche

attuali della sostenibilità ed ecocompatibilità della materia prima.

Il TOP3D invece preparerà tecnici digitalmente evoluti nel settore

degli accessori metallici con realizzazione e stampa in formato

tridimensionale. Consentirà ai ragazzi lo studio della filiera moda

e dell’applicazione del complemento metallico all’accessorio in

pelle o al capo di abbigliamento. Il corso Mc.FASH mira a formare

personale tecnico manutentore di macchine tessili e di pelletteria

e si svolgerà fra Scandicci e Prato. Al termine di ogni biennio

– conclude Bardazzi – dopo un esame di Stato, si consegna un

diploma di V livello EQF (European Qualifications Framework), rilasciato

dal Ministero dell’Istruzione, valido in tutti i paesi della Comunità

Europea, che consente agli specializzati di lavorare subito,

anche fuori dei confini nazionali».

Fondazione MITA Made in Italy

Tuscany Academy

Castello dell’Acciaiolo, via Pantin, Scandicci (FI)

Dal lunedì al venerdì (ore 9/13)

+ 39 055 9335306

info@mitacademy.it

20 MITA ACADEMY


Haghia Sophia

La sapienza divina

Abbiamo avuto più volte l’occasione di parlare della

grande chiesa, Santa Sofia, quale progetto grandioso

che sposa la maestà e la ricchezza decorativa a

una nuova concezione dello spazio. Vogliamo riprendere questo

argomento, cogliendo in tal modo l’occasione di descrivere

oltre agli aspetti architettonici di questa stupenda basilica

anche quelli politici che attraverso i secoli ne hanno caratterizzato

usi e costumi. Il modello edilizio privilegiato per quell’edificio

era stato quello basilicale e l’imperatore Costanzo II si

era adoperato affinché quel tempio dedicato appunto al Cri-

sto in quanto Sapienza Divina risultasse magnifico.

Nella lunetta del portale di sud-est

visibile all’uscita di quello che oggi è un monumento-museo

all’interno del quale però

dal 2020, per volere del presidente Erdogan,

si sono ristabiliti i servizi e le funzioni di moschea

senza comprometterne gli aspetti artistici

e museali, un bel mosaico raffigura

Costantino e Giustiniano che, in vesti imperiali,

presentano alla Vergine in trono i loro

omaggi: il primo, Costantino, tiene tra le mani

la “maquette” della città in quanto fondatore

della Nova Roma; il secondo, Giustiniano,

quale costruttore della nuova cattedrale, tiene

tra le mani la “maquette” del santuario.

Dopo il 532 Giustiniano aveva intrapreso un

complesso di ristrutturazione che durò solo

cinque anni in quanto sostenuto da un colossale

finanziamento. Marmi e metalli preziosi

furono impiegati a profusione per l’edificio,

completamente rivestito all’interno di splendidi

mosaici. Il catalogo delle pietre e delle

colonne che, a quanto si diceva, erano state

utilizzate per costruirlo fa venire il capogiro:

a cominciare da quelle del tempio di Artemide

in Efeso. Una volta ridotta dopo il 1453

a moschea, privata dei suoi preziosi mosaici,

non mancò di causare delusione e indignazione

in molti visitatori occidentali fra i

quali Byron, Lamartine, Mark Twain che vollero

visitarla ed ai quali custodi avidi e guide

improvvisate venderono i preziosi tasselli

musivi strappandoli dalle pareti. Oggi, dopo

la museificazione voluta da Mustafà Kemal

e il restauro artistico-religioso promosso da

Erdogan, le cose sono molto cambiate. Una

parte del tempio è adibita a moschea e resta

di Francesco Bandini

2^ parte

Quando tutto ebbe inizio...

A cura di Francesco Bandini

visitabile da chiunque, salvo nei giorni e nelle ore di preghiera.

I mosaici ivi presenti sono velati da un sistema di tende leggero

e non invasivo, mentre lo spazio museale è rimasto intatto

e l’accesso dei turisti è gratuito in quanto la tassa d’ingresso

è stata abolita dal momento che l’edificio è formalmente tornato

a una funzione religiosa e dunque secondo le indicazioni

del diritto musulmano è vietato ogni tipo di lucro. Il vescovo

di Roma, titolare dell’unico patriarcato cristiano esistente nella

vecchia Pars Occidentis, aveva in qualche modo ereditato il

titolo della massima autorità cittadina dell’antico Caput mundi

e quindi del potere spettante all’ufficio imperiale derivante da

quel documento (peraltro nel Quattrocento svelato come falso

da Lorenzo Valla) la Donazione di Costantino secondo il quale,

alla vigilia della partenza per Costantinopoli, avrebbe ceduto le

pertinenze e i poteri imperiali al presule per garantire la continuità

dell’ordine costituito, cioè ai vescovi della città di Roma

chiamati familiarmente “papa”, termine di origine greco-siriaca

che significa “padre”. Tale termine, intendendo dotarlo di

un’immagine sempre più pregnante dal punto di vista religioso,

divenne tale da valorizzare al massimo il rapporto fra essa e il

principe degli apostoli, Pietro.

«Chiunque vi entri per adorare, si rende subito conto che questa opera è stata portata a termine non

per mezzo della forza o dall’abilità umana ma con il favore di Dio»: Procopio di Cesarea, VI secolo

d. C., Santa Sofia di Costantinopoli; disegno di Francesco Bandini

HAGHIA SOPHIA

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Lorenzo Senzi

Visioni tra storia e natura

Il sacro monte della Verna in Casentino

info@studiosenzilorenzo.it


Riflessioni sulla fede

A cura di Stefano Marucci

Il valore della spiritualità nel mondo contemporaneo

Ne parliamo nella seconda parte dell’intervista all’abate di San Miniato

Bernardo Gianni

di Stefano Marucci / foto Maria Grazia Dainelli

2^ parte

Qual è il suo legame con Firenze, città dove è molto

conosciuto ed apprezzato anche grazie alle iniziative

per i genitori che hanno perso i figli?

Dobbiamo sempre interrogarci sul luogo dove il Signore ci

chiama a vivere. Nel mio caso, diventare abate di San Miniato

a Firenze mi ha portato a confrontarmi con il dolore dei genitori

che vengono qui nell’attiguo cimitero sulle tombe dei loro

figli. Vedendo questa sofferenza mi sono detto che bisognava

trovare il modo di far incontrare questi genitori, per condividere

la loro drammatica esperienza e, così facendo, darsi

speranza l’un l’altro, avviando insieme un cammino di fede.

In abbazia accogliamo anche i senza fissa dimora dando loro

un supporto sia materiale che spirituale. La nostra attenzione

va anche ai giovani, sempre più soli, smarriti e senza guida

in un momento storico così difficile.

Che ricordi ha dell’incontro con Papa Francesco?

L’ho incontrato nel 2019 ad Ariccia, nella Casa del Divin Maestro,

in un momento importante per lui, l’appuntamento annuale

con gli esercizi spirituali che si protraggono per una

settimana. In quell’occasione ho avuto l’onore di presenziare

agli esercizi spirituali del Papa, riflettendo con lui su come

sia possibile oggi conciliare l’assolutezza di Dio con la

vita frenetica delle città contemporanee. Ammetto di essermi

sentito non all’altezza di questo compito, ma il Santo Padre

ha scelto la mia povera persona per questa esperienza

davvero straordinaria. Sono stati giorni molto intensi, durante

i quali abbiamo parlato tanto e ancora oggi, a ripensarci,

sento l’onore e il privilegio di quello che ho vissuto.

Come può la Chiesa oggi intercettare i bisogni dei giovani?

Qui a San Miniato vengono spesso gruppi di giovani o scolaresche

che cerchiamo di accogliere senza farli sentire giudicati.

È senz’altro vero che oggi le nuove generazioni sono

distratte da troppe cose, la vita quotidiana, gli amici, i social,

ma è altrettanto vero che siamo noi adulti, per primi, a

doverli comprendere ed accompagnare nel loro percorso di

crescita spirituale, fargli scoprire l’enorme bellezza che risiede

in Dio.

Padre Bernardo Gianni

Una bellezza che qui a San Miniato viene celebrata anche

attraverso l’arte…

Certamente, questo è un luogo straordinario, ma bisogna tuttavia

fare attenzione. La chiesa non è un museo dove andare

ad ammirare delle opere d’arte, ma deve essere un luogo

aperto alla cittadinanza, un luogo vivo che dialoga con la

contemporaneità. Per questo motivo nel 2018, in occasione

dei festeggiamenti per il millenario dell’abbazia, ho chiesto

al compianto maestro Luca Alinari di realizzare un manifesto

che commemorasse questa importante occasione. Nessuno

meglio di lui poteva incarnare l’arte del presente e i grandi valori

storici e culturali di Firenze.

LA SPIRITUALITÀ

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Dimensione salute

A cura di Stefano Grifoni

La silenziosa vita dei virus

di Stefano Grifoni

Ivirus si replicano e si riproducono, sono ladri di geni e

si modificano continuamente prendendo in prestito strutture

e materie prime dalle cellule che infettano per moltiplicarsi

e continuare ad esistere. Una caratteristica che li

contraddistingue dagli esseri umani è che il loro codice genetico

può mutare: ogni anno per esempio si parla di nuovi ceppi

di Covid derivati dai precedenti. Questo tipo di mutazione

rallenta la loro riproduzione permettendo al virus di rimanere

in vita il più a lungo possibile e quindi di poter infettare altre

persone. I virus si trasmettono silenziosamente per via aerea

o con una stretta di mano e prediligono le persone che hanno

più basse difese immunitarie come gli anziani. Le donne

si ammalano meno facilmente rispetto all’uomo perché sono

protette dagli estrogeni, ormoni che riducono il tasso metabolico

della cellula inibendo la capacità del virus di replicarsi.

La vita è, nella malattia, un avvicendarsi di probabilità.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

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LA VITA DEI VIRUS


Psicologia oggi

A cura di Emanuela Muriana

Quando preoccuparsi diventa una malattia

Preoccuparsi è una tendenza che tutte le persone hanno,

chi più chi meno, in base alla propria personalità,

all’ambiente che ci circonda, allo stato emotivo in cui

ci troviamo. Provare un sentimento di preoccupazione può aiutarci

ad agire, spronandoci a trovare la soluzione ad un particolare

problema. Tuttavia, le preoccupazioni, soprattutto se

presenti con una certa frequenza, non hanno un impatto positivo

sul nostro organismo e sulla qualità della vita: potenzialmente

possono esaurire la nostra energia emotiva, minando la

nostra serenità. Possono creare un’insonnia persistente, stanchezza

fisica, irritabilità e difficoltà di concentrazione. Quando

la preoccupazione per qualcosa di specifico diventa pervasiva

e incontrollabile può generare stati d’ansia, a volte anche molto

intensi. Preoccupazione per la paura di non poter far fronte

a ciò che potrebbe accadere; preoccupazione per la propria

salute fino a sviluppare la temibile ipocondria; preoccupazione

per i figli fino a limitarne il fisiologico sviluppo per eccesdi

Emanuela Muriana

so di controlli o precauzioni. E così via di seguito. Esiti molto

dannosi delle buone intenzioni! Oppure l’eccesso di preoccupazione

può virare in uno sforzo di razionalità per controllare i

timori per il futuro, per sé e per gli altri, dando luogo a pensieri

ossessivi pervasivi contro i quali la persona cerca di difendersi

di cercando di non pensarci, ma pensare di non pensare

è pensare ancora di più. Un paradosso logico che alimenta proprio

il pensiero che si vuole scacciare: il risultato è l’opposto

del desiderato sollievo della distrazione. Il timore preventivo,

accompagnato da uno stato d’ansia, finisce per tenere assorto

la persona impedendogli il rapporto con gli altri e la realtà

esterna. La preoccupazione allora è diventata una rimuginazione

ossessiva inarrestabile, ormai di qualità psicopatologica.

La psicoterapia breve strategica tratta questi disturbi limitanti

e pervasivi con un’efficacia documentata: disturbi fobici e ansiosi

(95% dei casi), disturbi ossessivi e ossessivo-compulsivi

(89% dei casi).

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

PREOCCUPARSI DIVENTA UNA MALATTIA

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Farmacia Mijno e

Farmacia Guandalini

Autunno: è tempo di supportare il sistema immunitario

Ogni anno, assieme ai primi freddi, arrivano puntuali anche

i malanni di stagione come mal di gola, tosse, raffreddore,

laringite… Si tratta di fastidi che colpiscono indistintamente

tutta la popolazione e che si risolvono di solito in pochi

giorni ma lasciano spesso spossatezza e calo di prestazioni fisiche

per tempi più lunghi, durante i quali, peraltro, si hanno spesso

ricadute. A differenza di cosa si pensi abitualmente, le basse temperature

sono collegate solo indirettamente all’insorgenza dei sintomi

influenzali; infatti, in inverno si passa più tempo in ambienti

chiusi con occasioni maggiori di assembramento e l’aria asciutta

dei riscaldamenti favorisce la disidratazione della mucosa nasale

rendendola più vulnerabile all’attacco degli agenti patogeni. Le

basse temperature, inoltre, rallentano il movimento delle ciglia che

rivestono le vie respiratorie. Viene così a mancare la fondamentale

azione di pulizia che tali ciglia esercitano spostando verso l’esterno

tutto ciò che è estraneo. Batteri, virus e allergeni hanno “via libera”.

Il nostro sistema immunitario è la squadra di difesa invisibile

che dobbiamo cercare di mantenere il più efficiente possibile per

evitare che questi microrganismi prendano il sopravvento! I pilastri

su cui si fonda il nostro sistema immunitario sono:

- sana e bilanciata alimentazione

- benessere psicofisico: elevati livelli di stress indeboliscono significativamente

le difese.

- benessere dell’intestino in cui risiede circa il 70% delle nostre difese

unitarie.

Stress, inquinamento e vita sociale senza mascherina fanno sì che

tutti possiamo trarre grande beneficio aiutando il nostro sistema

immunitario a rinforzarsi con integratori specifici. Esistono numerosi

attivi efficaci: vitamine, estratti vegetali, farmaci omeopatici.

Per la scelta raccomandiamo sempre di rivolgersi a professionisti

preparati e capaci di suggerire il giusto percorso di integrazione e

di NON ricorrere al “fai da te”. Un’efficace strategia di prevenzione

prevede l’alternanza di attivi che vadano ad agire in modo mirato

sui punti deboli di ciascuna persona, eventualmente modificati

o ulteriormente integrati e modulati nel tempo per accompagnare

il percorso di salute. Fondamentale è inoltre avere la garanzia della

qualità delle materie prime utilizzate. La farmacia Guandalini e la

farmacia Mijno si affidano ad aziende selezionate che prediligono

la filiera corta, l’ecosostenibilità del processo produttivo, l’utilizzo di

metodi di estrazione che permettono la massima concentrazione

degli attivi. Ascoltarti, orientarti, consigliarti e seguirti nel tuo percorso

di benessere è quello che facciamo ogni giorno.

Nelle nostre farmacie troverai personale costantemente aggiornato sempre pronto ad assicurarti un percorso di salute su misura

I professionisti della Farmacia Mijno

via Gramsci 5, Signa (FI), + 39 055 875639

Il team della Farmacia Guandalini

via 24 Maggio 3/5, Lastra a Signa (FI), + 39 055 8720090


I consigli del nutrizionista

A cura di Silvia Ciani

Gli ingredienti immancabili nella dieta mediterranea

La dieta mediterranea fa riferimento alle abitudini

nutrizionali storicamente diffuse tra le popolazioni

del bacino del Mediterraneo. Si tratta di

una dieta semplice e frugale basata prevalentemente

su alimenti vegetali. Laddove questa diventi parte dello

stile di vita, risulta essere un modello per la prevenzione

di molte malattie croniche oltre che per il mantenimento

e il recupero del peso forma, tanto che nel 2010

è stata definita patrimonio culturale immateriale dell’umanità

dall’Unesco. Per capire quali siano gli ingredienti

di questa dieta immaginiamo di essere in un centro

commerciale e di fare la spesa per una settimana. Poiché,

come già detto, alla base della dieta mediterranea

ci sono alimenti di origine vegetale, dobbiamo subito

aver cura di inserire nel carrello verdura fresca di stagione,

che non può mancare nei pasti principali. Abbondiamo

sulle quantità di quella da cuocere e cerchiamo

di pensare alla verdura non solo come un contorno (insalata

o bietole cotte) ma anche come una componente

del piatto di portata (per esempio zuppa di porri con

patate o pollo con peperoni), o addirittura come spuntino

o aperitivo. Poi dobbiamo pensare alla frutta di

stagione che deve essere presente almeno 2-3 volte al

giorno per completare un pasto o anche da sola come

spuntino o merenda. Ogni giorno e ad ogni pasto non

devono mancare i cereali, soprattutto quelli integrali e

quelli in chicco di varia origine: frumento, orzo, farro,

mais e avena. Bisogna mangiarli a colazione (pane, fette

biscottate, cereali), a pranzo e a cena (piatti asciutti

e minestre), ma anche negli spuntini e nelle merende

per i ragazzi o per chi fa sport. Dovremmo abituarci a

fare un uso più frequente dei legumi come condimento

dei primi piatti (pasta e fagioli, riso e lenticchie), come

contorno, in sostituzione del secondo piatto o in sosti-

tuzione del pane. Il condimento deve essere a base di olio extravergine

di oliva e la frutta secca oleosa (una manciata tutti

i giorni) non dovrebbe mai mancare. Gli alimenti di origine animale

devono essere invece più contenuti: latte (1 bicchiere),

yogurt (un vasetto) e un paio di cucchiai di parmigiano al giorno,

mentre carne, pesce, formaggio e uova dovrebbero ruotare

settimanalmente stando attenti alla frequenza e limitando

di Silvia Ciani

la quantità dei prodotti in scatola, i trasformati e i salumi. Dolci,

condimenti, salse, paste ripiene, alcolici, succhi, bibite,

snack e altro dovrebbero essere acquistati consapevolmente

e sporadicamente perché è facile abusarne: teniamo presente

che questi, insieme alle occasioni sociali, ai pasti fuori casa,

agli imprevisti potrebbero contribuire ad allontanarci dallo

stile mediterraneo. Ma questa è un’altra storia…

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -

Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

Istituto Medico Toscano - Via Eugenio

Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

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DIETA MEDITERRANEA

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I giganti dell’arte

A cura di Matteo Pierozzi

Fidia

Il più grande scultore del mondo classico nel fregio del Partenone

di Matteo Pierozzi

Fidia e aiuti, Hestia, Dione e Afrodite, particolare del frontone orientale del Partenone, 438-432 a. C., British Museum, Londra (ph. Marie-Lan Nguyen)

«

Qualcosa, nel suo carattere, doveva farne un

nemico degli uomini, visto che nessuno lo

amava. Eppure egli non fu soltanto un grande

scultore, ma anche un grandissimo maestro,

che, oltre ad aver creato uno stile, ne fece anche una scuola,

trasmettendone le regole ad allievi come Agoracrito e

Alcamene, continuatori del “classico”». Queste parole di

Indro Montanelli introducono il personaggio di Fidia, maggior

esponente della scultura del mondo antico e tra i più

grandi nella storia dell’arte. Nacque ad Atene intorno al

500 a. C.; in gioventù si cimentò nella pittura e nella scultura

in bronzo, per poi dedicarsi quasi esclusivamente alla

scultura in marmo. Alcuni studiosi gli attribuiscono la

realizzazione del frontone del tempio di Zeus ad Olimpia;

scolpì inoltre la statua del dio posta all’interno del tempio

stesso. La sua partecipazione ai lavori del tempio nel 450

a. C. è testimoniata dal ritrovamento di un vaso, riesumato

di recente, che reca la scritta “io appartengo a Fidia”. La

statua di Zeus, alta tredici metri, era una delle sette meraviglie

del mondo antico ma purtroppo la conosciamo solo

attraverso delle copie. Pericle affidò i lavori a Fidia per

la costruzione del tempio di Atena Parthènos, meglio conosciuto

come Partenone, di cui Fidia curò anche le decorazioni.

Utilizzò oltre alle sue mani anche quelle dei suoi

numerosi collaboratori. Le statue sono giunte a noi solo

ridotte in frammenti. La statua di Atena, che dominava il

tempio, segnò l’apice della gloria di Pericle e di Fidia. Lo

scultore qualche anno dopo fu incolpato di essersi ritratto

sullo scudo della dea, compiendo un atto sacrilego, e

di aver sottratto dell’oro destinato alla decorazione della

statua. Nonostante l’improbabile fondatezza delle accuse,

da quel momento non abbiamo più notizie certe del maestro

che probabilmente morì in esilio o in carcere tra il 430

e il 420 a. C. Fidia fu il primo a trasformare il duro e gelido

marmo in un morbido tessuto che avvolgeva perfette

anatomie; gli va inoltre riconosciuta la capacità di dirigere

numerose maestranze, riuscendo a realizzare nell’arte gli

ideali politici di Pericle.

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FIDIA


PsicHeArt

A cura di Maria Concetta Guaglianone

I murales, gallerie “a cielo aperto” per donare

emozioni ai passanti

Testo e foto di Maria Concetta Guaglianone

«

C’è ritmo in ogni arte, non importa che tu sia un pittore,

un musicista o un regista: il ritmo c’è, e la gente

ne sente il richiamo». Credo che in questa frase

del regista e produttore americano Felix Gary Gray sia racchiusa

una grande verità: quel desiderio e bisogno di espressione che dà

tempo e ritmo ad emozioni e pensieri, e il richiamo che ogni forma

d’arte attiva in ognuno di noi, l’arte che non si può separare dalla

vita. Tra le vie delle città o dei piccoli borghi ci si ritrova spesso a

passeggiare in “gallerie a cielo aperto”, nelle quali il passante dà

inizio ad un colloquio intimo con le immagini dipinte che sembrano

avere un’anima. Se si presta attenzione, se si entra in contatto

e in ascolto, si può sentire la voce di quel muro che racconta

una storia. Quest’estate mi sono ritrovata a passeggiare nella via

di un piccolo borgo calabrese, luogo delle mie origini in cui, quando

posso, faccio ritorno. Sant’Agata di Esaro, il nome del borgo,

Santa Lucia il nome della via. In questa via nasce la storia di una

donna, figlia d’arte e pittrice talentuosa, Laura Castellucci, in arte

Castellaura. Qui prende forma il suo progetto di arte urbana figurativa,

tuttora in corso di elaborazione che si andrà ad arricchire di

altre rappresentazioni. Passo dopo passo, s’incontra Totò e Peppino

che chiedono indicazioni, Stanlio e Ollio che salutano sorridenti

e, qualche passo più in là, lo sguardo di Charlie Chaplin e del

monello. La bravura dell’artista e il potere comunicativo delle sue

rappresentazioni hanno stimolato la mia curiosità. Ho chiesto cosa

l’avesse spinta a scegliere questa forma d’arte urbana e quale

messaggio volesse trasmettere. La sua risposta è stata ricca

di emozioni, significati e di un profondo senso di identità. È stato

coinvolgente conversare con lei per la passione che trasmette

con il suo lavoro e per la profonda gratitudine verso questo “dono”

che vuole, in un certo qual modo, lasciare alla collettività. Chi

incontra queste opere intraprende un viaggio immersivo in scene

di film che hanno contribuito a fare la storia del cinema e della

cultura nazionale e internazionale, e in quelle immagini ritrova

propri ricordi e vissuti emotivi. La sua arte cerca un vero e proprio

dialogo con il luogo e con i passanti-spettatori. Sono opere

che non colorano solo muri, non nascono soltanto dal puro piacere

di dipingere, ma dal desiderio di aprire la mente, stimolare

un nuovo punto di osservazione, valorizzare il territorio, promuovere

sentimenti di comunità, inclusione, identità e appartenenza.

Il suo progetto, oltre ad omaggiare la storia del cinema, si muo-

Laura Castellucci con uno dei suoi murales

ve sul desiderio di lasciare una sorta di “testamento culturale” alla

comunità, a quel luogo tanto caro e amato. Si tratta – spiega lei

stessa – di «parlare attraverso un muro» comunicando contenuti

facilmente accessibili al pubblico in modo incondizionato. Per

lei il murale è uno strumento di attivismo comunitario che può

assumere diversi significati: denuncia pacifica, solidarietà, sensibilizzazione,

rivalutazione di aree urbane, spazi abbandonati e

luoghi di aggregazione. Nel suo modo di raccontare si respira una

brezza soave che porta il passato ad incontrare il presente accogliendo

il futuro: un punto di incontro tra individualità e collettività,

realtà e fantasia. Racconta che i momenti più belli sono stati

mentre dipingeva, quando le persone si fermavano ed esprimevano

un senso di meraviglia davanti ai personaggi che prendevano

vita dai suoi pennelli. Rammenta lo stupore dei bambini, il loro interesse

e la curiosità e i ricordi evocati da quelle immagini negli

adulti. La sua voce vibra di emozione mentre mi parla e ripensa

al regalo che ogni passante le porge fermandosi davanti alle sue

rappresentazioni: il dono del “sentire”.

Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta

Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia

di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di

Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e

Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali

di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com

I MURALES

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Curiosità storiche fiorentine

A cura di Luciano e Ricciardo Artusi

Il braccio fiorentino, antico sistema di misurazione

Testo e foto di Luciano e Ricciardo Artusi

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

Il braccio fiorentino in via dei Cerchi

tuato di lato alla porta d’ingresso alla torre del Bargello, detta

Volognona, unitamente ad un pezzo di catena marina tolta

dai fiorentini dal porto di Pisa nel 1364. A tal proposito Emilio

Bacciotti, nel suo Il Fiorentino istruito (1845), scrive: «Il

campione della misura lineare fiorentina, che sta nel muro

fra la porta e la catena, è il passetto di bronzo diviso in 2

braccia (un’auna), che è la sola misura lineare prescritta dalla

legge in tutta la Toscana». Prima che venisse introdotto

il sistema metrico decimale con “l’annessione al Governo di

Sua Maestà il Magnanimo Re Vittorio Emanuele II”, tutte le

città d’Italia, compresa Firenze, avevano un proprio sistema

di misurazione. Questo creava non pochi problemi dato che

le varie unità di misura cambiavano da regione a regione e

perfino da città a contado. Pertanto si decise di uniformarsi

al nuovo sistema metrico decimale. Vincenzo Tantini nel

suo Ragguaglio del nuovo Sistema Metrico, così ci informa

sulla nuova misura del metro: «Il metro preso dal greco “me-

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

Il braccio fiorentino, detto anticamente

“braccio a panno”,

misurava 58,36 cm del contemporaneo

metro e si divideva in 20

soldi, il soldo in 12 denari, il denaro

in 12 punti. Tale dimensione, generalmente

applicata alla misurazione

dei tessuti di lana, seta e lino, corrispondeva

più o meno alla lunghezza

media dell’arto superiore di una

persona adulta, appunto, il “braccio”.

Infatti le prime misure adottate

dall’uomo facevano riferimento proprio

a specifiche parti dei suoi arti

come il pollice, il palmo, il piede e

il braccio. Nel granducato di Toscana

si usò la misura del braccio fiorentino

dal 1781, unificata a tutto

il territorio, fino a quando con l’annessione

al governo del re Vittorio

Emanuele II, “l’antiquato e incomodo”

sistema fu sostituito con quello

metrico decimale. Ritornando al

braccio fiorentino, sovente sorgevano discussioni circa la misurazione

delle stoffe fatte misurare furbescamente dai lanieri

a giovani garzoni – che avevano ovviamente il braccio

più corto – dando adito a contestazioni quando, controllate

e rimisurate dagli acquirenti, si riscontrava la difformità

della lunghezza. Affinché la corretta unità di misura venisse

rispettata, fu deciso di realizzare barre di ferro o di bronzo

della lunghezza di 58,36 cm (cioè del braccio) da affiggere

nei mercati e nei luoghi dove erano specialmente concentrate

le botteghe dei lanieri. Via dei Cerchi era una di queste, ecco

perché al numero civico 5 si nota ancora, all’altezza delle

braccia, una stretta scanalatura vuota lunga un metro che alloggiava

l’esatta misura metallica del braccio fiorentino usata

per gli opportuni riscontri. Il passetto misurava invece il

doppio del braccio cioè 116,72 cm e si usava sempre prevalentemente

per misurare le stoffe. Un autentico prototipo di

queste misure necessario per le opportune verifiche era sitron”

misura primordiale che ha dato

il nome al nuovo sistema, è la 10millionesima

parte di un quarto del meridiano

terrestre, base fondamentale

di tutto il sistema». Da quel periodo

si è iniziato a usare la voce “metraggio”,

specialmente gli artigiani e

i commercianti, per indicare le stoffe

vendute un tanto al metro o per significare

la quantità di tessuto che

occorre per un dato lavoro.

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IL BRACCIO FIORENTINO


Grandi mostre in Italia

A cura di Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli

Luigi Ghirri

L’Italia vista “in scala diversa” negli scatti del celebre fotografo in

mostra a Reggio Emilia

Testo e foto di Miriana Carradorini

Fino all’8 gennaio 2023, presso il Palazzo dei Musei a

Reggio Emilia, è in corso la mostra In scala diversa /

Luigi Ghirri, Italia in Miniatura e nuove prospettive, promossa

in occasione del trentesimo anniversario della prematura

scomparsa del fotografo. La mostra raccoglie le foto, alcune

delle quali inedite, del progetto In scala realizzato da Ghirri, uno

dei più importanti fotografi europei del Ventesimo secolo, tra

gli anni Settanta e Ottanta del Novecento all’interno del parco

Italia in miniatura, nato da un’idea di Ivo Rambaldi agli inizi degli

anni Settanta. Filo conduttore dell’esposizione è la fotografia

per come declinata da Ghirri e Rambaldi: mentre il primo analizza

il mondo e le illusioni ottiche che ne possono derivare, Rambaldi

utilizza la fotografia per catturare più dettagli possibili dei

monumenti italiani da riprodurre all’interno del parco. Inoltre,

Rambaldi, offrendo uno sguardo complessivo su tutta la penisola,

rendeva con i suoi modellini reali le illusioni tanto amate

da Ghirri. L’intento delle fotografie di Ghirri è quasi opposto

a quello di Rambaldi: immortalando scorci degli scenari italiani

riprodotti in piccolo nel parco, egli realizza queste cartoline

di un’Italia che non esiste, quasi surreale, immagini che proprio

per questo trasmettono un senso di straniamento. Nelle foto si

denota anche il suo interesse per l’elemento naturale che appare

in maniera strana e ambigua dietro i monumenti più importanti

d’Italia, come ad esempio una vetta innevata dietro Piazza del

Campo a Siena. In questa mostra dunque la fotografia diventa

punto di contatto tra Ghirri e Rambaldi e gli scatti realizzati da

entrambi si confrontano sottolineando la differenza tra copia e

modello. Per comprendere meglio gli scatti di Ghirri viene raccontata

al visitatore anche la nascita del parco, partendo dall’idea

di Rambaldi ispirata a Swissminiatur, ovvero la Svizzera in

miniatura. Vengono poi mostrati i progetti per la creazione del

parco e la modalità di realizzazione dei modellini. Si offre inoltre

una visuale più contemporanea su questo sito turistico attraverso

i progetti e le ricerche realizzati da ex studenti e studentesse

dell’ISIA di Urbino, con la supervisione di Joan Fontcuberta e

Matteo Guidi. Seguendo lo stile di Ghirri, gli studenti hanno proposto

nuovi modi di concepire il parco, analizzando ad esempio

i comportamenti dei turisti, il rapporto con le nuove tecnologie e

gli elementi naturalistici osservati con uno sguardo scientifico.

www.musei.re.it

Dr. Fabio Giannarini

Wealth Advisor

+39 347 3779641

fabio.giannarini@bancamediolanum.it

LUIGI GHIRRI

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Duilio Tacchi

Mondi lontanissimi

L’opera fa parte di un nuovo ciclo di lavori realizzati dall’artista

in preparazione di un importante evento espositivo a Firenze

duiliotacchi@msn.com

Duilio Tacchi

duiliotacchi


Firenze mostre

Olafur Eliasson

A Palazzo Strozzi la più ampia retrospettiva mai realizzata in Italia sull’opera

di un maestro dell’arte relazionale

Dal 22 settembre 2022 fino al 22 gennaio 2023 la Fondazione

Palazzo Strozzi ospita la mostra Nel tuo tempo

del celebre artista internazionale Olafur Eliasson. Curata

da Arturo Galansino in collaborazione con lo Studio Olafur

Eliasson, l’esposizione è la più grande mai realizzata in Italia

dall’artista e offre un’ampia panoramica di opere realizzate sia

nel corso della sua trentennale attività che pensate appositamente

per Palazzo Strozzi. Utilizzando spesso medium espressivi

“naturali” come luce, acqua e nebbia, Eliasson è diventato

celebre per un’arte che riflette sull’idea di percezione ponendo lo

spettatore al centro dell’esperienza di fruizione. Attraverso scultura,

installazione, pittura, fotografia, architettura e design, l’artista

danese di origini islandesi esplora il ruolo dell’arte nel mondo

contemporaneo intendendolo come un linguaggio che mette insieme

scienza, politica e ambientalismo. Questa mostra nasce

come un incontro tra le opere d’arte, i visitatori e il palazzo che la

ospita, non semplice contenitore, quindi, ma coproduttore di significati.

L’idea dell’esposizione ha avuto origine, non a caso, da

una riflessione di Eliasson sul valore artistico e architettonico di

Palazzo Strozzi, da lui visitato per la prima volta nel 2015. È iniziata

allora l’ideale conversazione dell’artista con il palazzo che

ha portato all’odierna esposizione e alla creazione di opere site

specific che dialogano con la sede espositiva occupandola interamente.

A cominciare dal cortile, dove il visitatore viene accolto

dall’opera Under the weather, una grande struttura ellittica sospedi

Barbara Santoro / foto courtesy Fondazione Palazzo Strozzi

Beauty (1993), ph. Ela Bialkowska

Under the weather (2022), ph. Ela Bialkowska

sa a 8 metri di altezza che genera interferenze visive simili allo

sfarfallio di uno schermo con un “effetto moiré”, in modo da destabilizzante

la rigida architettura ortogonale del palazzo. Nelle

prime tre sale del piano nobile l’artista si confronta con le finestre

della storica residenza mettendo insieme realtà e rappresentazione,

presenza e assenza, con un alternarsi di luci, colori e

ombre. Particolarmente suggestiva è l’opera Beauty (1993), uno

spettacolare arcobaleno in cui fasci di luce bianca sono scomposti

nei colori dello spettro visibile attraverso una cortina di nebbia.

Questa apparizione nasce dagli effetti di rifrazione della luce

generati dalle gocce d’acqua nelle quali il pubblico è chiamato

ad immergersi. A seconda dell’angolazione si ottiene una visione

soggettiva e personale che fa apparire l’arcobaleno ogni volta diverso.

Procedendo nelle altre stanze appare sempre più evidente

la ricerca di Eliasson sulla visione come azione di frammentazione

e complessità del pensiero. Qui alcuni caleidoscopi giocano

sul fatto che ciò che vediamo possa essere facilmente disorganizzato

o riconfigurato in base alle percezioni e alla storia personale

dell’osservatore. Un’altra tematica ricorrente è quella della

tutela ambientale e della denuncia da parte dell’artista dei devastanti

effetti dei cambiamenti climatici anche in rapporto a recenti

fatti di cronaca. Non mancano proposte in grado di coinvolgere

soprattutto un pubblico giovane come Your view matter, opera

in realtà virtuale fruibile gratuitamente anche sul Web indossando

un visore che consente di immergersi in sei diverse dimensioni

spaziali accompagnati da una musica composta dall’artista.

L’obiettivo – come chiarisce lo stesso Eliasson – è quello di disimparare

e imparare di nuovo ad usare il senso della vista coinvolgendo

non solo gli occhi ma anche il corpo e la mente.

www.palazzostrozzi.org

OLAFUR ELIASSON

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Vacanze in agriturismo

Corte di Valle

Un angolo di paradiso a Greve in

Chianti, tra prodotti caratteristici

e paesaggi mozzafiato

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Marco Mazzoni, proprietario dell’agriturismo Corte di

Valle a Greve in Chianti, ha una grande passione per

il suo lavoro. Dal 1989, seguendo la tradizione e l’esperienza

di famiglia, produce diversi vini (Chianti Classico

DOCG anche bio e riserva e tre IGT toscani Vindia, Vin Mazzoni

e Bianco Toscano) con uve – Sangiovese, Cannaiolo nero,

Trebbiano bianco di Toscana, Cabernet Sauvignon e Merlot

– provenienti da vigneti di 15-20 anni dislocati nel raggio dei

due chilometri intorno all’azienda, la cui estensione totale è di

20 ettari circa. La raccolta delle uve viene fatta a mano permettendo

un’ulteriore garanzia di qualità del prodotto che andrà

nei tini per la vinificazione. Prima dell’imbottigliamento, i

vini vengono fatti maturare in botti di quercia da 500 litri o in

barriques di rovere. Oltre al vino, a Corte di Valle vengono realizzati

anche diversi prodotti allo zafferano, antica spezia coltivata

nelle campagne fiorentine già in epoca medievale che

fiorisce annualmente in ottobre regalando gli stigmi rossi brillanti

che, una volta essiccati, sprigionano un aroma intenso,

caldo e avvolgente. Per gli amanti di questa spezia nell’agriturismo

di Greve è possibile acquistare un tipo di pasta di grano

duro allo zafferano, preparata in un pastificio artigiano locale,

Il Chianti Classico DOCG Riserva prodotto dall’agriturismo

miele toscano di acacia, arricchito anch’esso con lo zafferano,

una gustosa salsa di porri e zafferano, ottima per preparare

delle bruschette o come condimento, e biscotti allo zafferano,

preparati seguendo un’antica ricetta di famiglia utilizzando

esclusivamente olio extravergine di oliva di alta qualità di

produzione propria dal tipico gusto speziato. Ed è proprio l’o-

Marco Mazzoni, proprietario dell’agriturismo Corte di Valle a Greve in Chianti

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CORTE DI VALLE


Un momento della vendemmia

lio d’oliva la terza specialità prodotta da Corte di Valle sfruttando

le caratteristiche del clima, del terreno e le diverse altitudini

che rendono il territorio del Chianti una regione vocata alla produzione

di un eccellente olio d’oliva extravergine. L’offerta si arricchisce

con la possibilità di soggiornare nella villa e nei due

casali sede dell’agriturismo: nella villa le stanze sono ampie e

con i soffitti alti, mentre i due casali sono più tradizionali e in

stile country, con interni caratterizzati dai tipici soffitti con travi

in legno a vista. A disposizione degli ospiti sedici camere doppie,

ciascuna con bagno privato, arredate con mobili antichi in

stile classico che creano un’atmosfera accogliente e rilassante.

Ci sono inoltre due appartamenti – situati al piano terra e

con terrazze private – ognuno dei quali può ospitare fino a tre

persone e un bambino. È presente anche una piscina dove rilassarsi

godendo delle bellezze della campagna circostante.

Completa il servizio un ristorante con giardino dove gustare la

prima colazione con ampio buffet oppure deliziarsi a pranzo o

a cena con i piatti della migliore tradizione culinaria toscana.

Corte di Valle

SR 222 Chiantigiana km. 18,5 – Località Le Bolle

50022 Greve in Chianti (FI)

www.cortedivalle.it

cortedivalle@cortedivalle.it

Le vigne di Corte di Valle (modella Carmen Benfari)

CORTE DI VALLE

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Occhio critico

A cura di Daniela Pronestì

Adriana Setter

Un’affascinante riflessione sull’eterna

“attualità” del vizio

Tra le tante opere collezionate dal re di Spagna Filippo

II, I sette peccati capitali di Hieronymus Bosch

era una delle sue preferite perché, come scrive un

suo bibliotecario all’Escorial, «questo pittore fiammingo ha

il coraggio di dipingere gli uomini non per come appaiono

ma per come sono realmente». Si comprende quindi perché

il cattolicissimo ed intransigente sovrano custodisse

quest’opera nelle sue stanze private, nonostante il dipinto

fosse popolato di figure diaboliche e scene per niente edificanti.

Come per Bosch anche per un artista contemporaneo

dipingere un soggetto del genere significa confrontarsi

con la difficoltà di raccontare gli aspetti più oscuri dell’animo

umano, le debolezze impossibili da estirpare perché

legate ad istinti primordiali. Il ciclo sui sette vizi capitali

di Adriana Setter, artista italiana residente a Madrid, supera

questa difficoltà calando il tema nell’attualità, e in particolare

in quegli aspetti della società contemporanea che

maggiormente favoriscono l’inclinazione umana al peccato.

A conclusione di questa indagine sulle odierne “radici”

del vizio, l’artista ha analizzato alcune opere celebri – incluso

il capolavoro di Bosch – traendone spunto per l’udi

Daniela Pronestì

Superbia

so dei colori e dei simboli. Infine, ha scelto la tecnica, il

collage, che le ha richiesto oltre due anni di lavoro per la

ricerca le immagini. Il risultato sono sette composizioni

che rispondono in maniera del tutto originale al quesito

Lussuria

Ira

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ADRIANA SETTER


che lei per prima si è posta, ovvero capire in che modo

si manifestino oggi i vizi capitali, in quali contesti

e con quali protagonisti. Per quanto riguarda la

superbia, ad esempio, lo scenario in cui questo peccato

più facilmente attecchisce sono i regimi dittatoriali.

Non a caso, Putin – qui insieme alla presidente

argentina Cristina Fernandez de Kirchner – e Nerone

vestono i panni dei superbi al centro della scena,

mentre intorno a loro si muovono come pedine altre

forme di potere a loro volta colpevoli: il sistema economico,

la corruzione e persino la Chiesa. Non c’è superbia

peggiore di chi pensa di potersi sostituire a

Dio, e nessuno può dirsi esente da questo peccato,

neanche gli uomini di fede. Nel collage con l’avarizia,

il senso del possesso riguarda non solo il denaro

– con le monete applicate direttamente sul supporto

– ma anche vari “preziosi” – gioielli, gemme e orologi

– dal quale mai l’avaro si separerebbe. “Solo il denaro

è importante” recita una scritta, interpretando il

pensiero di chi sarebbe pronto a compiere qualunque

scelleratezza pur di accaparrarsi ricchezze; lo sanno

bene gli “avari” della finanza mondiale, quelli che nel

caveau della banca hanno rinchiuso, insieme ai soldi,

anche la propria anima. Facile chiedersi quanti tra

questi “campioni” del vizio siano inclini alla lussuria,

la quale, del resto, – ci ricorda l’artista – non riguarda

soltanto i piaceri della carne, ma qualunque azione

smodata e priva di ritegno. Quello che conta per i

lussuriosi è possedere “l’oscuro oggetto del desiderio”,

il frutto proibito di Adamo ed Eva, senza mai appagarsi

di una conquista alimentata dall’ossessione

del piacere. Se domani scoccasse l’ora del giudizio

universale, l’ira di Dio saprebbe con certezza chi colpire.

A questo proposito l’artista immagina una scena

apocalittica, con al centro lampi e fuoco dell’ira divina

pronti a scagliarsi contro chi calpesta la sua legge.

È una lotta tra il bene e il male, tra il volere di Dio e

il diavolo, quest’ultimo incarnato non solo dalla figura

di Lucifero ma anche dai potenti del mondo dispensatori

di guerra e morte. Diventare “verdi di invidia” è

molto facile in una società che giudica il valore delle

persone in base a ricchezza e successo. L’invidia

ha origine da questa errata percezione sia del proprio

“valore” che di quello altrui: gli specchi applicati

in superficie sottolineano l’interscambiabilità delle

due posizioni, l’invidioso e l’invidiato, lasciando a chi

guarda il compito di capire da quale parte stare. La

“gola” è un tripudio di piatti succulenti e bevande con

le quali inebriarsi, calandosi nei panni della strana figura

al centro – una sorta di Bacco o di Pantagruel

– dallo sguardo minaccioso e l’aria famelica. Quello

dell’accidia è un tempo fermo, immobile, congelato;

un tempo che gli orologi non possono misurare

– nell’opera infatti le lancette sono bloccate – perché

esiste soltanto nella mente dell’accidioso, che giace

inerte in fondo alla scena schiacciato dal peso della

sua inguaribile inconcludenza.

Gola

Accidia

ADRIANA SETTER

37


Il cinema a casa

A cura di Lorenzo Borghini

I vitelloni

Un malinconico ritratto di una realtà provinciale

Con Lo sceicco bianco (1952), Fellini inizia una collaborazione

con gli sceneggiatori Tullio Pinelli e

Ennio Flaiano che durerà fino a Giulietta degli spiriti

(1965), ma il suo riconoscimento come regista di rilievo

avviene solo quando, nel 1953, vince il Leone d’argento

al festival del cinema di Venezia con I vitelloni. La storia

è ambientata in una cittadina di provincia che ricorda vagamente

la Rimini tanto cara al regista e mette in scena

le vicende di cinque perdigiorno figli della piccola borghesia.

Gli scenari evocano luoghi cruciali della giovinezza

del cineasta e la vicenda si conclude con la fuga di uno

di loro proprio in quella Roma dove approdò Fellini a diciannove

anni. Non a caso la storia è narrata dalla voce

fuori campo di un anonimo “vitellone” che guida lo spet-

tatore in un mondo popolato da spettri che albergano

nella memoria del regista riconducendo

il film al genere dell’autobiografia. Questo spazio

del ricordo non è stato ricostruito a Rimini

ma ad Ostia, quasi a sottolineare che le immagini

a noi proposte non sono la realtà ma la sua

reinvenzione. Il regionalismo “vitelloni”, di origine

marchigiana, rende l’idea di personaggi che

non sanno che fare della propria vita e rimangono

in uno stato di attesa continua. I cinque

protagonisti sono in moto perpetuo per tutta la

durata del film, camminano per le strade della loro

cittadina senza mai fermarsi fino alle ore più

tarde della notte ma, paradossalmente, rimangono

intrappolati in un’immobilità statuaria proprio

come degli equilibristi che camminano su una

fune che non li porta da nessuna parte, con il rischio

continuo di poter cascare da un momento

all’altro nel baratro della vita, prigionieri nel loro

microcosmo e incapaci di uscire da quel piccolo

mondo che tanto canzonano. Ognuno di loro

incarna diversi aspetti della mediocrità provinciale.

Fausto (Franco Fabrizi) che possiamo considerare

il personaggio principale, collante della

storia e delle situazioni che la attraversano, è un

seduttore da quattro soldi, un ipocrita che ricorre

continuamente alla menzogna per occultare le

sue avventure. Si rende ridicolo, quando la moglie

lo lascia dopo esser venuta a conoscenza

della sua tresca con una ballerina, cadendo in

un panico patetico a lui solitamente estraneo.

Alberto (Alberto Sordi), nullafacente che vive in

famiglia, sorveglia in maniera ossessiva la sorella

Olga. Leopoldo (Leopoldo Trieste) insegue

i suoi sogni artistici facendosi mantenere dalle

zie. Riccardo (Riccardo Fellini), pur essendo par-

di Lorenzo Borghini

te del gruppo, rimane più in ombra rispetto agli altri, forse

proprio perché fratello del regista. Moraldo (Franco Interlenghi)

è la coscienza del gruppo, una sorta di spettatore

esterno che osserva e critica la condotta degli amici.

Tramite un insolito espediente tecnico, Fellini riesce a dare

un tono da falsa biografia calandosi nel gruppo con un

curioso sdoppiamento tra Moraldo e la voce fuori campo

che appare come un sesto “vitellone”. Film permeato da

una grande malinconia che si può riassumere nello sguardo

di Sordi – dopo il veglione di Carnevale – che vaga per

le strade inveendo contro i suoi amici, per restare da solo

abbracciato a quella maschera di cartapesta, l’unica che

forse può capirlo e con cui per una volta può smettere di

mentire a sé stesso e al mondo intero.

38

I VITELLONI


Premi nel cinema

Alessandro Sarti

Pioggia di premi in Cilento e a Firenze per il film del regista ed ex

assessore alla cultura sulla figura di Leonardo da Vinci

di Federico Berti / foto Umberto Visintini e Sandro Zagli

Pioggia di premi su Alessandro Sarti, regista,

scrittore ed ex assessore alla cultura del Comune

di Pontassieve. Soltanto pochi giorni

fa Sarti è stato uno dei premiati del Porcellino insieme

a Gigi Paoli, Lorenzo Paoli, Stefano Mancuso

e Marco Bacci. Già quel riconoscimento da solo

è un’ennesima affermazione di prestigio, con la seguente

motivazione: “per aver contribuito a valorizzare

attraverso l’arte e la cultura la fiorentinità nel

mondo prima come assessore poi come scrittore

e regista, premio Porcellino 2022 ad Alessandro

Sarti”. Se poi al premio Porcellino si va ad aggiungerne

un altro appena ricevuto all’International Cilento

Film Festival che si è concluso sabato sera,

si può senz’altro dire che per Sarti questo è davvero

un periodo entusiasmante. Il regista ed ex assessore

era tra i candidati con il suo film dedicato alla

figura di Leonardo da Vinci intitolato Quel genio del

mio amico che vede protagonista il sempre bravo Sergio Forconi.

Insieme a lui, nel cast, tanti volti noti del cinema toscano

come Athina Cenci, Katia Beni, Daniela Morozzi, Rosanna

Susini, Bruno Santini, Alessandro Calonaci, Alessandro Riccio,

Piero Torricelli, Giovanni Lepri, Renato Raimo, Jerry Potenza,

Pietro Fornaciari e tanti altri. “Per la capacità di rendere moderna

una figura storica così importante come Leonardo da Vinci,

con l’ironia e l’arguzia tipica toscana, senza banalizzarlo”: con

questa motivazione Sarti ha conquistato il premio della critica

in un festival di cinema che sta crescendo in qualità e prestigio,

anno dopo anno. L’edizione 2022 ha visto la partecipazione

di autentiche leggende del mondo dello spettacolo come Pupi

Premio Porcellino: un momento della premiazione da parte di Vincenzo Ferrara

dell’Osteria del Porcellino (ph. Umberto Visintini)

Cilento Film Festival: la presidente della Fondazione MIdA Sabrina Capozzolo consegna il

premio ad Alessandro Sarti; accanto a lui l’attore Sergio Forconi (ph. Sandro Zagli)

Avati, Giancarlo Giannini, Sergio Castellitto, Renato Carpentieri,

Andrea Roncato, Francesco Baccini, Lello Arena e la livornese

Enrica Guidi. «È stato tutto bellissimo, all’insegna della

professionalità. Il target del festival era davvero elevato e la lista

dei presenti lo conferma», ricorda con entusiasmo Alessandro

Sarti. «Un premio così importante – prosegue – con quella

motivazione per una produzione come la nostra, non può che

riempirmi di gioia. Non solo me come regista ma anche tutti i

miei collaboratori, la troupe e il cast e lo stesso Sergio Forconi

che ad 81 anni ha avuto questa grandissima soddisfazione».

Dunque, la figura del genio di Leonardo riletta da Sarti ha

davvero “stregato” la critica del Cilento Festival. Ennesima affermazione

per un piccolo film – in senso produttivo

s’intende – che si è imposto nel tempo grazie al passaparola.

Ma Sarti è da tempo al lavoro per un nuovo

lungometraggio la cui lavorazione è iniziata da mesi.

Un progetto subito “sposato” da una grande diva del cinema,

Sandra Milo, che ha accettato di prendere parte

a Che bella storia la vita, questo il titolo del nuovo film

che vedremo nel 2023. Con la partecipazione di un’altra

star del mondo dello spettacolo, Gene Gnocchi. In

attesa di vedere la mitica Sandrocchia – così era chiamata

da Fellini – di nuovo sul grande schermo diretta

da Sarti, sarà un piacere gustare la performance di

Sergio Forconi e il suo Leonardo da Vinci, un po’ invecchiato

e un po’ stanco ma con un premio in più. Una

maniera insolita e divertente di raccontare “il genio”

che sta facendo incetta di riconoscimenti importanti.

ALESSANDRO SARTI

39


Movimento Life Beyond Tourism Travel To Dialogue

Arte e innovazione: a Firenze i tabernacoli ora “parlano”

grazie alla tecnologia

Il programma dei Luoghi Parlanti® si arricchisce di nuovi itinerari

Altari a cielo aperto per celebrare

messa durante le pestilenze; edicole

che segnavano il cammino dei condannati

a morte; immagini capaci di attirare

tanti devoti da dover chiudere al traffico

le strade limitrofe. E ancora, affreschi presso

cui hanno dimorato Cimabue, Giotto e

Buffalmacco e altri di fronte ai quali si sono

consumati efferati delitti: per le vie della città

37 gioielli d’arte e architettura si raccontano

tra tech e passaparola, entrando nella

rete internazionale dei Luoghi Parlanti ® . L’iniziativa

è di Movimento Life Beyond Tourism

- Travel to Dialogue in collaborazione con

Amici dei Musei e dei Monumenti Fiorentini

- Comitato per il Decoro ed il Restauro dei

Tabernacoli, nell’ambito del 2° Festival delle

Associazioni Culturali. Trentasette gioielli

d’arte e architettura, nascosti in piena vista

per le strade della città, che si rivelano a ap-

passionati, residenti e passanti attraverso un sistema di targhe

interattive. È così che i tabernacoli fiorentini diventano

Luoghi Parlanti ® , entrando a far parte dell’omonimo progetto

di “turismo sostenibile” di Movimento Life Beyond Tourism -

Travel to Dialogue che propone un nuovo modo di esplorare

di Stefania Macrì

La presentazione del progetto sui tabernacoli del Movimento Life Beyond Tourism in occasione del

Festival delle Associazioni Culturali: da sinistra, Francesca Fiorelli, Antonia Ida Fontana, Carlotta Del

Bianco e Lorenzo Manzani

il territorio grazie a una rete di QR code e all’unico strumento

davvero indispensabile per il viaggiatore contemporaneo: lo

smartphone. Una selezione di tabernacoli del centro storico

della città, tornati all’antico splendore dopo le operazioni di

restauro (a cura del comitato stesso), si raccontano a chiunque

voglia ascoltarli, ma non solo. Avvicinando il telefono

all’apposita targa digitale si potrà accedere a informazioni,

cenni storici, curiosità e suggerimenti per completare

il proprio percorso di visita sul territorio, ma anche interagire,

condividere foto, suggerimenti e esperienze caricandole

sulla apposita piattaforma digitale, visitabile su

www.luoghiparlanti.com. I tabernacoli entrano così nella

rete che ha già attivi oltre venti territori nazionali, da

Trieste a Roma, da Milano a Napoli (a Firenze il primo

luogo parlante è Palazzo Coppini, dimora storica, museo

e centro congressi internazionali, sede del Movimento Life

Beyond Tourism), ai nove comuni del Mugello e alle Terre

Canavesane, appena approdata su scena internazionale

in Repubblica Ceca con i tredici distretti e Praga; da

Tabernacolo in via del Porcellana

40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Tabernacolo delle Fonticine

poco i Luoghi Parlanti ® sono anche una guida cartacea,

grazie alla collaborazione con il Touring Club italiano. Tra

le opere di maggior rilievo che sarà possibile riscoprire ci

sono il celebre tabernacolo delle Fonticine in via Nazionale,

splendido esempio di arte robbiana; quello all’angolo tra

piazza Santa Maria Novella e via della Scala, voluto dall’Arte

dei Medici e degli Speziali; quello tra via del Porcellana e via

Palazzuolo, preziosa testimonianza della vocazione all’assistenza

di questo angolo di città, legato all’antico Spedale

del Porcellana. E poi il tabernacolo cosiddetto “delle cinque

lampade”, di fronte a cui nel 1731 fu perpetrato un delitto che

sconvolse la città ai danni di Tommaso Bonaventuri, funzionario

di corte del granducato di Toscana, al tempo

del granduca Gian Gastone de’ Medici. Si aggiunge

poi il tabernacolo tra via Sant’Antonino e via Faenza,

contenente un’immagine mariana – ritenuta protettrice

di inquilini e sfollati – che nel periodo a cavallo

tra le due guerre fu protagonista di un fatto di cronaca:

una mattina del 1926 le strade limitrofe dovettero

essere chiuse al traffico, talmente era ingente la folla

di persone, radunate presso il tabernacolo. E infine

l’opera suggestiva posizionata su un angolo smussato

dell’edificio tra via del Leone e via della Chiesa,

attribuita al figlio di un allievo di Giotto. Per chi invece

è interessato a percorsi più articolati, sono stati

pensati cinque diversi itinerari suddivisi per zone. Il

concetto alla base della una rete in costante crescita

dei Luoghi Parlanti ® è quello di narrare ogni destinazione

in un’ottica glocal, ribaltando culturalmente la

figura del viaggiatore che così diventa un vero e proprio

residente temporaneo del luogo che

lo ospita. Il Movimento Life Beyond Tourism

nasce per mettere in pratica i principi

della filosofia teorizzati dalla Fondazione

Romualdo Del Bianco nella sua ultratrentennale

esperienza di dialogo tra culture

per il rispetto reciproco, la valorizzazione

dei territori e dei loro saperi e saper fare.

Luoghi Parlanti ® si inserisce in questo

contesto e si pone come un’esperienza

itinerante che invita alla scoperta e interviene

sul territorio per creare un legame

più profondo, una conoscenza autentica

e una connessione diretta con la comunità

locale, superando il turismo di massa,

quello mordi e fuggi che ha finito per depauperare

i territori, e affermando un nuovo

modo di viaggiare nel rispetto di luoghi, persone, culture

e tradizioni. Il racconto parte da istituzioni, soggetti privati e

stakeholder vari, ma viene implementato dai residenti di tutto

il mondo grazie alla possibilità di inserire foto e commenti direttamente

sulla piattaforma interattiva con l’obiettivo anche

di aprirsi a collaborazioni nazionali e internazionali per favorire

una sinergia anche con progetti già esistenti ma che hanno

una scala più locale. Il progetto dei “tabernacoli parlanti”

è stato presentato nell’ambito del Festival delle Associazioni

Culturali Fiorentine dello scorso settembre. Per maggiori

informazioni sui percorsi di visita dei tabernacoli e sul programma

consultare il sito: www.luoghiparlanti.it.

Tabernacolo delle cinque lampade

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism

® , ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme

alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che

custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle

identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e

i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

41


Personaggi

Aldo Fittante

Avvocato dell’anno 2021 per il diritto d’autore secondo Le Fonti Awards, è

uno dei professionisti più autorevoli nella tutela del Made in Italy

di Jacopo Chiostri / foto courtesy Aldo Fittante

Nel 2021, Aldo Fittante, uno dei più autorevoli esperti

italiani in diritto industriale e d’autore, è stato insignito

del prestigioso premio Le Fonti Awards come

avvocato dell’anno per il diritto d’autore. In questa intervista

parliamo della sua l’attività non solo come avvocato ma anche

professore universitario e autore di numerose pubblicazioni

scientifiche.

Quali sono gli ambiti di pertinenza del suo studio legale?

Lo studio opera in Italia e nel mondo da oltre 30 anni e svolge

la propria attività principalmente nell’ambito del diritto

d’autore, del diritto industriale, nella protezione del Made

in Italy, nella tutela della concorrenza e del diritto dell’innovazione,

occupandosi di tali materie sia nell’esercizio della

professione forense, sia in ambito istituzionale ed accademico.

Ci piace definirci da sempre una boutique artigiana

incastonata nei network moderni delle law firm internazionali,

con lo scopo di garantire ai clienti una risposta tempestiva

e qualificata alle loro specifiche esigenze di difesa

ed offrendo un’assistenza legale adatta ai loro concreti obbiettivi,

sia in sede stragiudiziale sia in fase di litigation. I

nostri clienti – operanti principalmente nei settori dell’arte,

della fotografia, della moda, del lusso, del manifatturiero e

del design – hanno ormai chiaro che l’intellectual property

è strategica per lo sviluppo e la valorizzazione del patrimonio

aziendale come elemento competitivo più rilevante

in particolare per i prodotti di eccellenza del Made in Italy.

La nostra struttura si compone di un team con partnership

nelle più importanti aree del mondo – Usa, Gran Bretagna,

L’avvocato Aldo Fittante a Milano durante la consegna del premio Le Fonti Awards

42

ALDO FITTANTE


Ha inoltre preso parte alla realizzazione della riforma

che ha dato vita alle sezioni specializzate

in materia di impresa: quali novità ha introdotto?

Quella dell’istituzione di un giudice specializzato

per la soluzione delle controversie in materia di diritto

industriale e d’autore è un’altra grande riforma

alla quale ho avuto il privilegio di partecipare.

Le sezioni specializzate in materia di impresa sono

state istituite presso i tribunali e le corti d’appello

aventi sede nel capoluogo di ogni regione: in

questo modo, controversie che prima potevano essere

trattate da centinaia e centinaia di magistrati,

vengono ora affidate alla cognizione di un numero

molto inferiore di giudici civili, con una concentrazione

del contenzioso industrialistico presso sezioni

con competenza specialistica. Una riforma

che, attribuendo ad un giudice specializzato le liti

in materia di privative industriali, di diritto d’autore

e di concorrenza sleale interferenti, lascia

chiaramente trasparire un duplice obbiettivo perseguito

dal nostro legislatore: da un lato realizzare

una concentrazione della trattazione delle controversie

presso un numero ridotto di uffici giudiziari,

dall’altro ridurre drasticamente i tempi di definizione

delle controversie industrialistiche, nelle quali

una risposta rapida si rivela spesso vitale.

E l’attività accademica?

Cina, Francia, Germania, Spagna e Russia – potendo dunque

offrire consulenza ed assistenza anche a livello internazionale.

Sul piano istituzionale, ha partecipato alla redazione del

nuovo Codice della Proprietà Industriale. Una sfida importante

Sì, in qualità di esperto scientifico, sono stato nominato, dal

Ministero dello Sviluppo Economico, membro della Commissione

ministeriale incaricata dell’elaborazione del Codice della

Proprietà Industriale, che ha svolto e svolge un’importanza

strategica per il riassetto della disciplina relativa alla proprietà

industriale secondo criteri di omogeneità, chiarezza e

semplificazione tali da stimolare la ricerca, l’innovazione e, di

conseguenza, la competitività delle imprese. Il Codice ha infatti

sostituito oltre quaranta testi normativi previgenti, operando

una completa riorganizzazione sistematica dell’intera

normativa sostanziale e processuale. L’intervento di unificazione

della materia industrialistica ha permesso di garantire

una maggiore certezza del diritto ed una migliore fruibilità

complessiva del sistema in termini di facilità di comprensione

ed applicazione delle norme, con conseguente accresciuta

efficacia e rapidità della tutela, e favorendo al contempo il

potenziamento della competitività delle imprese nazionali ed

il rilancio della ricerca e dello sviluppo tecnologico.

Credo molto nell’insegnamento e nell’importanza

dello studio approfondito del diritto, anche nelle facoltà

più tecniche. Sono infatti titolare, ormai da molti anni, del

corso in Diritto della Proprietà Industriale presso il Corso

di Laurea in Disegno Industriale dell’Università degli Studi

di Firenze, nonché ricercatore – sempre nell’ambito dell’Ateneo

fiorentino – in tema di “protezione legale del Made

in Italy”. In precedenza, ho svolto attività di docenza accademica

– in particolare dal 2008 al 2015 – presso l’Università

Lum “Jean Monnet” (Bari-Casamassima), presso la

quale sono stato titolare del corso in Industrial and Intellectual

Property. Ho inoltre pubblicato numerosi manuali

legati al diritto industriale e d’autore, l’ultimo nel 2020,

dal titolo Lezioni di Diritto Industriale, che tratta prevalentemente

di marchi, disegni e modelli, contraffazione e Made

In Italy.

I suoi principali contributi in ambito scientifico?

Ho organizzato numerosi ed importanti convegni dedicati

alle materie del diritto industriale e d’autore e pubblicato

monografie ed articoli scientifici dedicati ai medesimi temi.

Ho avuto il piacere di essere relatore nell’ambito dei seminari

organizzati nell’ambito della convenzione per la diffusione

della cultura brevettuale con la CC.I.AA. di Firenze e

Unioncamere e di svolgere numerosi seminari annuali di aggiornamento

professionale dei dirigenti nazionali di CNA.

ALDO FITTANTE

43


Emo Formichi

L’arte di far rivivere gli oggetti quotidiani

Atelier e studio:

via Secondo Risorgimento 1

53026 Pienza (SI)

Cerbiatto (2012), motore fuoribordo, forcelle e spazzola da ferro, h cm 81


Ph. Raffaella Zurlo

La Paparazza (2010), tubi di scappamento ed oggetti vari, h cm 162


Ritratti d’artista

Riccardo Salusti

Un attento osservatore del

vivere quotidiano

Non sono il primo a dire che le opere del fiorentino Riccardo

Salusti posseggono una solidità impegnata, cioè

a dire che in molte – facenti parte di un percorso particolarmente

ricco, come qualità ed esposizioni – è facile notare

un messaggio che, se capito e accettato dai più, darebbe luce ad

una collettività come la nostra, purtroppo scalfita e ferita in questi

tempi non soltanto dalla “non conoscenza”, ma anche e soprattutto

da un egoismo imperante vestito di superficialità. Mi

soffermo ad ammirare alcuni dei suoi dipinti, ricchi di equilibrio

e di armonia. Uno è Il portatore di amore, un altro è Salvare quello

che conta, ma ce ne sono altri e i titoli si accavallano gli uni

sugli altri vestendosi di contenuti. Ciò che emerge dalla stesura

supportata da un ottimo impianto grafico, è un pullulare di simbologie,

pagine facenti parte del gran libro della sua creatività,

ed ecco la “barca”, cioè il viaggio, l’arca piena di vita e di cultura

che raffigura quella che di Salusti definisco “coscienza sociale”,

un modo per indicare ad altri una via onde far superare, o speradi

Lodovico Gierut

Il portatore di amore, olio e acrilico su tela, cm 70x100

Il costruttore di sogni, acrilico su tela, cm 60x90

Salvare quello che conta, olio e acrilico su tela, cm 100x70

re di farlo, le tragedie di cui non è opportuno in questa sede fare

un elenco, fin troppo lungo. Dicevo dei “simboli”, ed ecco qua

e là bianche creature alate, messaggi di speranza che a stormi

evocano l’aggregazione positiva, e c’è la “scala” a significare “salvezza”

o ancora “percorso verso la conoscenza” e pure – per alcuni

– “la facoltà del giusto sapere”. Osservando ancora le tele

dell’impegnato Salusti non posso non dare evidenza alla complessità

del “sogno”, mi riferisco a quel “costruttore di sogni”, forse

l’artista stesso, un giovane che pensa ad un futuro migliore ed

è in attesa di partire, ricordando altrui perdite di equilibrio e raccogliendo

pezzi di memorie. Il tutto è definito da un insieme pittorico

dove il linguaggio è lineare, nitido e con un’impostazione

piena di positivo sentimento. La poetica cromatica del nostro si

affolla di introspezione e al tempo stesso di una piena vitalità in

cui cieli azzurri e in alcuni casi persino di un plumbeo asprigno,

si uniscono talvolta a visioni di volta in volta affollate o deserte.

Pure qui non manca un’impegnata ricerca che racconta e raccoglie

fatti quotidiani di tempi e modi d’essere diversi nel tempo,

permeata dalla sua partecipazione, velata da un poco di malinconia.

Riccardo Salusti è un osservatore attento del quotidiano,

lo fa senza forzature esprimendosi con una sicura impostazione

stilistica e con quel suo modo d’essere che, a mio giudizio, è una

risposta culturalmente impegnata ad un’epoca come la nostra,

spesso arida. Per fortuna c’è ancora l’Arte!

www.riccardosalustiart.com

riccardo.salusti67@libero.it

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RICCARDO SALUSTI


Eventi in Toscana

Lions Club Mugello

Presentato a San Piero a Sieve, alla presenza delle istituzioni locali, il programma

dell’annata lionistica 2022-23: molte ed ambiziose le iniziative a favore di salute,

ambiente, scuola, giovani, sport e comunità

di Fabrizio Borghini / foto Adriano Buccoliero

Domenica 2 ottobre, nella splendida sede dell’azienda

K-Array di San Piero a Sieve, si sono riuniti i trentadue

membri del Lions Club Mugello per la presentazione, da

parte del nuovo presidente Simone Bettini, del programma da realizzare

nel corso dell’annata lionistica 2022-23. Bettini, importante

imprenditore mugellano che è stato anche a capo della

Confindustria Fiorentina, ha stilato un progetto di grande respiro

che prevede interventi impegnativi, sotto ogni punto di vista,

che se interamente realizzati potrebbero rappresentare un vero e

proprio valore aggiunto sostanziale per tutto il territorio. Lo hanno

dimostrato, con la loro presenza in sala, il sindaco di Borgo

San Lorenzo Paolo Omoboni, quello di Vicchio Filippo Carlà Campa

e l’assessore allo Sviluppo economico del comune di Scarperia-San

Piero a Sieve Elena Seriotti, che hanno entusiasticamente

accolto le molteplici proposte di lavoro di Bettini concedendo incondizionatamente

il patrocinio a tutte le iniziative. Un segno di

stima nei confronti del Lions Club Mugello ma, soprattutto, nella

persona del presidente che ha avuto la forza di affrontare un

impegno ambizioso e molto articolato. Cinque sono le voci relative

ad altrettanti settori di intervento: salute, ambiente, scuola,

giovani e sport, comunità. Le sottosezioni sarebbero lunghe

da elencare e per questo ci limitiamo a segnalare quelle più originali

e significative. Senz’altro la novità più eclatante è stata

la presentazione del “barattolo dell’emergenza” cioè la fornitura

gratuita a tutti gli anziani del territorio di un contenitore all’interno

del quale viene riposta una piccola brochure con il quadro

clinico del destinatario nella quale sono riportate le patologie e

i farmaci assunti. Verranno conservati in frigorifero, considerato

il luogo più sicuro per preservarli anche da eventuali incendi o

altre calamità, dove i soccorritori potranno agevolmente e velocemente

reperirli per poi provvedere ai primi soccorsi in caso di

Bettini con alcuni sindaci e assessori del Mugello presenti alla presentazione

del programma lionistico 2022-23

Simone Bettini, presidente Lions Club Mugello

necessità. E, sempre in ambito sanitario, la raccolta di occhiali

usati e quella del sangue e poi l’utilissima manifestazione “i medici

in piazza”. Per quanto riguarda l’ambiente, sono previsti fondamentali

interventi nel Parco Carlo Zoppi di Scarperia, creato

proprio dal Lions Mugello anni fa, che verrà dotato di acqua, luce

e panchine. Sempre in tema di ambiente verranno, in sintonia

con le istituzioni, studiati sistemi per la messa in sicurezza degli

alberi pericolosi a bordo strada e proposto nuove piantumazioni

di alberi “ripiantati” a distanza di sicurezza senza ridurre o addirittura

incrementando il patrimonio verde esistente. L’impegno

nei confronti della comunità non può prescindere dalla celebrazione

del centenario della nascita di don Milani che in Mugello,

dove è sepolto, ha lasciato un’impronta profonda e tuttora attuale.

E, insieme a lui, verrà ricordata un’altra figura importante del

cattolicesimo fiorentino, don Facibeni. È previsto anche l’inizio

del restauro del monumento ai caduti americani sulla Linea Gotica

che si trova in località Ponzalla. Scuola, giovani e sport pienamente

coinvolti in varie iniziative, in primis il progetto Martina

che mira alla lotta ai tumori partendo dalla prevenzione e per

questo dalla sensibilizzazione dei giovani dai 14 ai 18 anni. Un’altra

originale proposta è quella di reintrodurre nelle aule scolastiche

le vecchie e mai dimenticate carte geografiche che saranno

acquistate a prezzo agevolato dall’Istituto Geografico Militare di

Firenze, che quest’anno compie 150 anni, per donarle alle scuole.

Sempre in ambito militare e rivolti soprattutto ai giovani sono

gli incontri con i reparti di carabinieri cinofili e, rimanendo in tema

di cani, il presidente, da luchese doc, ha preso l’impegno di

ricordare nel suo paese, il fedelissimo Fido che, inconsapevole

che il suo amico uomo, un tempo si sarebbe detto padrone, era

perito sotto un bombardamento, per 15 anni ha percorso il tragitto

dalla casa di Luco del signor Soriani fino alla corriera aspettandolo

inutilmente. Verrà apposta una targa per ricordare una

storia di amicizia e affetto che non deve essere dimenticata.

LIONS CLUB MUGELLO

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Nikla Biagioli

nikla.29@hotmail.it

Girasole (2017), digital art, cm 52x75


I libri del mese

Domenico Russello

Il mare, eterno scenario di storie e amori nell’esordio letterario del

giornalista e conduttore siciliano

di Rosanna Bari

«

Il mare sei tu. Nella tua serenità o nel tuo tormento,

(...) nella realtà di una paura che ti opprime, nella

bellezza che ti rasserena nel profondo, il mare

sei tu». Queste parole sintetizzano l’importanza che viene

attribuita al mare, protagonista e filo conduttore del primo

libro di Domenico Russello, C’è sempre il mare, pubblicato

da L’Erudita, Giulio Perrone Editore, Roma 2021. Giornalista

e conduttore, Domenico Russello è nato a Catania dove si è

laureato in Lettere, vive e lavora a Gela. Appassionato di teatro,

da undici anni si occupa di arte e cultura per il quotidiano

catanese La Sicilia, per il quale ha condotto sui canali

web e social il programma Still Life - Foto di Sicilia, prodotto

da Frame Garage. Come autore fa parte della Demea

Eventi Culturali diretta da Antonio Oliveri. Per la sua attività

di giornalista e autore ha ricevuto numerosi premi e riconoscimenti

sia a livello locale che nazionale. C’è sempre il

mare, raccolta di racconti dall’intensa carica poetica, si può

leggere tutto d’un fiato o si può centellinare per far sì che,

cullati dagli affetti più cari, il sapore di Sicilia, di mare e di

buon cibo, possa restare con noi il più a lungo possibile. In

un inno d’amore per la propria terra, con la raffinatezza del

linguaggio e l’eleganza della forma, il libro affascina il lettore

già dalle prime battute attraverso il racconto di storie

semplici, quotidiane ed intense che arrivano sin nel profondo

del cuore. L’autore, infatti, nell’interpretare le emozioni

Domenico Russello

dell’animo, è riuscito a creare e descrivere singolari atmosfere

sospese in un’aura di soave attesa.

Qual è il significato che nel libro attribuisci al mare?

Il mare è visto come “metafora della vita”, come un qualcosa

che è sempre vivo e presente, pronto ad accoglierti e consolarti,

rappresenta una certezza su cui poter sempre contare.

Il libro, finalista al Premio Letterario Internazionale Dostoevskij

2021 di Aletti Editore, continua a riscuotere un gran

successo, pensi di scriverne un altro?

Sicuramente questo risultato, unito alla calorosa accoglienza

del pubblico, è un grande incoraggiamento. Sì, può darsi che

in futuro possa scriverne un altro.

C’è sempre il mare, il mare che placa l’inquietudine, sana le ferite

e custodisce i ricordi, a lui, quindi, possiamo sempre affidare

le nostre paure o le nostre speranze, il mare è lì, come

un’ancora di salvezza che non ci abbandonerà mai.

domenico.russello@live.it

Domenico Russello

mimmo_russello

DOMENICO RUSSELLO

49


Scienza e società

L’importanza della socialità per conoscere

sé stessi e vivere meglio

L’uomo è per natura un animale sociale. Lo sosteneva

già il filosofo Aristotele, vissuto in Grecia nel IV

secolo a. C., nel primo libro del saggio intitolato Politica.

Grande studioso della natura umana e attento osservatore

dei tratti che accomunano la nostra specie, il filosofo

spiega e riassume uno dei tratti più caratteristici dell’essere

umano, la sua “politicità”, ovvero il bisogno di confronto e di

rapporto senza il quale sarebbe un comune animale solitario.

La socialità è anche importante nel processo che porta

alla conoscenza. Non possiamo trovare il sapere in noi

stessi: dobbiamo fare esperienze della natura che ci circonda,

degli oggetti che la compongono e soprattutto dell’altro,

del nostro simile. Stare con gli altri non può fare altro che

arricchirci, contribuire al nostro percorso di formazione; ci

apre a nuove conoscenze, nuove idee, nuovi punti di vista.

Anche un altro celeberrimo filosofo sottolinea l’importanza

degli altri nelle nostre vite: Georg Wilhelm Friedrich Hegel.

Nella sua complessa trattazione intitolata Fenomenologia

dello spirito, Hegel sottolinea la necessità dei rapporti sodi

Serena Gelli

ciali che nasce dall’incapacità della coscienza individuale

di comprendersi e riconoscersi in autonomia. L’intersocialità,

il “vedere gli altri”, è di fondamentale importanza affinché

il singolo individuo possa capire prima di tutto se

stesso. Gli altri sono necessari a noi come noi siamo necessari

agli altri. In particolare, secondo Hegel senza l’esperienza

del mondo e della socialità rimaniamo vuoti, chiusi in

un mondo illusorio, incapaci di vedere quello che realmente

ci circonda. Numerosi studi scientifici dimostrano che il ritiro

sociale o l’impossibilità di passare del tempo con le altre

persone rappresentano una difficoltà, a riprova del fatto che

l’interrelazione è una peculiarità dell’essere umano. In particolare

molte evidenze scientifiche mostrano come l’isolamento

sociale abbia ripercussioni negative sulla salute. Le

attività di socializzazione si pongono infatti come protettive

rispetto allo sviluppo delle patologie neurodegenerative,

in quanto permettono da una parte di ricevere maggiori stimoli

a livello cognitivo, dall’altra di mantenere un migliore

tono dell’umore.

50 L’IMPORTANZA DELLA SOCIALITÀ


Ritratti d’artista

Patrizia Tummolo

Dal caos all’ordine attraverso il colore

Patrizia Tummolo, genovese, artista internazionale, da

sempre percorre una strada personalissima nella quale

non vi è spazio per compromissioni esterne, il dna del

pensiero, forte, che genera la sua pittura, è, infatti, intimamente

connesso al suo io interiore, e risponde solo alle sollecitazioni

dell’inconscio dando vita ad una nuova realtà da esplorare e

da capire. Il processo creativo che si rintraccia nelle opere della

Tummolo, siano esse pittura o scultura, racconta dell’elaborazione

a carattere speculativo del suo mondo interiore. La pittura

nasce come un puzzle, anche se, a differenza di un puzzle, l’esito

non è noto in anteriori e si costruisce per passaggi ordinati,

ciascuno coincidente e generato dai precedenti ma in divenire e

quindi sottoposto ad una continua rielaborazione. Pittura che ricorda

il cubismo è stato detto, e il dato appare scontato, ma la

destrutturazione e ricomposizione dei soggetti qui non rispondono

a finalità meramente tecnico-formali, bensì sono parti, ciascuna

necessaria, di una narrazione che si serve un linguaggio

inedito, non meno autentico e credibile e autorevole degli infiniti

idiomi che non conosciamo. Con questo racconta le sue città,

i suoi paesaggi, e, nella scultura, in genere riconducibile assiedi

Jacopo Chiostri

Matrix, olio su tela, cm 70x90

Donna al sole, tasselli di cartoncino in rilievo su base materica

e colore acrilico, cm 70x90

me a figurativo e astratto, opere anche a carattere musicale. La

Tummolo doma il caos, quello che appartiene a ciascuno di noi

e alla nostra esistenza; caos che non è necessariamente mancanza

di ordine o di raziocinio, anzi nelle sue opere è piuttosto

un affollarsi di stimoli, di emozioni e, in ultimo, di pensiero, da

controllare, carezzare e organizzare per consentirne una lettura

allo spettatore. Tutto questo avviene riuscendo a far coesistere

incanto visionario e coerenza formale, richiami metafisici con

esigenze compositive. La coloristica tiene dietro ad un sapiente

uso degli accostamenti cromatici, ma la sua finalità precipua è

di rappresentare stati d’animo; e l’occhio, che percorra la superficie

della tela o, indifferentemente, delle superfici delle sculture,

è guidato con piglio deciso a percepire suggestioni contrastanti,

ora carezzevoli, ora simili a inciampi visivi, quelli che nelle sculture

ottiene utilizzando materiali diversi, marmo, rame, ottone,

bronzo, acciaio, resine. Il tutto realizzato con un’autorevolezza

e spigliatezza sorprendenti. La Tummolo ha compiuto gli studi

artistici nella sua Genova, ha completato la propria formazione

nello studio dello scultore Balàzs Berzeny a Lorsica - Moconesi

(Genova); a conferma della sua ecletticità vanno ricordati gli

interventi scenografici al teatro del centro turistico di Squillace-Catanzaro

e al Teatro della Gioventù di Genova. Innumerevoli

e significative le sue presenze in sedi istituzionali in Italia e all'estero:

New York, Mosca, Ungheria, Bulgaria,Cina, Islanda, North

Carolina(USA). Opere in permanenza: Ungheria (Lago Balaton),

South Carolina (USA), Genova, Istituto Chiossone, Museo degli

Angeli, Muro dell'Arte piazza De Ferrari, Chiesa San Giuseppe e

Padre Santo (Ge-Nervi).

ppittyart@gmail.com

PATRIZIA TUMMOLO

51


Firenze mostre

Poesia del vero

Al Circolo degli Artisti “Casa di Dante” tre artiste del figurativo a confronto

di Daniela Pronestì

Tre donne vocate al linguaggio della figurazione,

tre artiste dotate di spiccata sensibilità nel modo

di rappresentare il vero soltanto dopo averlo riletto

in chiave poetica. Da qui bisogna partire per introdurre

la mostra Poesia del vero che, dal 15 al 27 ottobre 2022, al

Circolo degli Artisti “Casa di Dante” a Firenze, vedrà Joanna

Aston, Patrizia Gabellini e Giovanna Ugolini confrontarsi

sul terreno del realismo figurativo con tre proposte artistiche

tanto diverse sul piano tecnico-espressivo quanto intimamente

collegate dal medesimo afflato lirico. Per Joanna

Aston, artista inglese da anni residente in Toscana, la pittura

è prima di tutto un diario degli affetti familiari, un modo

per fissare sulla tela frammenti del quotidiano destinati altrimenti

a perdersi nell’inarrestabile fluire degli eventi. Se

esiste una poesia misteriosamente sottesa ad ogni aspetto

del mondo visibile – figure umane, oggetti, contesti di vita

–, l’unico modo per dare corpo a questa “sostanza” segreta,

alla sua ineffabilità, al suo essere presenza immateriale

nella materialità delle cose, è renderla visibile attraverso la

luce. Ecco allora che, nella pittura della Aston, tutto nasce

dalla luce, dalla maniera in cui questa amorosamente si posa

su volti, oggetti e figure definendone i volumi, stabilendone

la posizione nello spazio, decretando il rapporto nella

composizione di ciascun elemento con l’altro. Questa luce,

carezzevole e avvolgente, si diffonde nell’aria come un pulviscolo

che, sfumando i contorni e diluendo il colore, esalta

l’intima e poetica connessione tra le figure e le ambientazioni

del vivere quotidiano, tra il perenne fuggire dell’esistente

e la memoria conservata per sempre nell’immagine dipinta.

Per Patrizia Gabellini, principio di ogni realtà è il segno,

testimonianza, per lei, del “qui ed ora”, del suo esserci, corpo

e mente, davanti al soggetto raffigurato e del tentativo

di “catturarlo” con un tracciato lineare dallo sviluppo nervoso,

tormentato, più simile ad uno schizzo che ad uno studio

di figura. L’intento è evidentemente quello di ribaltare i dettami

del disegno accademico – che l’artista in questo caso

ben conosce – per fare sì che il segno incarni non già una

regola ma un impeto di libertà. Con i suoi stupefacenti giochi

grafici – talvolta simili ad una danza dal ritmo frenetico

talaltra ad una scrittura che riempie la pagina in maniera

compulsiva –, la Gabellini si affranca dal vincolo della rappresentazione

facendo nascere le figure sul foglio in maniera

quasi accidentale, usandole più che altro come pretesto

per dare libero sfogo all’incontenibile vitalità del segno. A

riprova di come nell’arte non vi sia nulla di più “astratto” di

un disegno, che non è mai soltanto strumento al servizio del

“visibile” ma è anche e, in questo caso, soprattutto incarnazione

di un pensiero, di un esercizio immaginativo che pesca

a piene mani nell’interiorità. Il cerchio si chiude con le

nature morte di Giovanna Ugolini, mirabili interpretazioni di

un grande classico della pittura che in questi dipinti rivive

da un lato conservando la componente intimista, riflessiva,

di pacata meditazione propria di questo genere, dall’altro lato

ammantandosi di un’atmosfera nuova, più gioiosa e interessata

ad indagare la vita segreta delle cose, il loro dialogo

muto. Ed è proprio la curiosità dell’artista, il muoversi lento

ma preciso del suo sguardo, ad animare queste rappresentazioni,

lasciando intuire tutti i passaggi che l’hanno vista

prima scegliere gli oggetti da raffigurare – fiori, piante, vasi

–, poi combinarli insieme su di un tavolo in modo da farli

“dialogare” e quindi procedere con la trasposizione pittorica

mantenendo intatta l’armonia dell’insieme: armonia delle

forme che, sebbene mai troppo definite, conservano una

presenza plastica; armonia degli accordi cromatici scaturiti

dall’emozione dell’artista; armonia tra gli elementi ben

definiti in primo piano e l’aspetto sfuggente e appena abbozzato

dello spazio intorno. Un “vedere” che, pur essendo

ancora legato ai sensi, riesce allo stesso tempo a superarli,

a preservare il palpito fugace del vero senza rinunciare alla

profondità di una visione interiore.

52

POESIA DEL VERO


Turismo e innovazione

Crocus Trip

Il nuovo progetto per un turismo alternativo, etico e slow

di Elisabetta Mereu

Rivoluzionare il mondo del turismo: è questo l’intento

di cinque ragazze toscane che hanno riunito esperienze

e competenze professionali per dare vita ad un progetto

che propone tour alternativi e itinerari culturali diversi da

quelli abitualmente “in cartellone“ a Firenze e in Toscana. Una

mission riassunta anche nel nome: Crocus Trip - Social Tour Revolution.

«Ci siamo ispirate al crocus etruscus – spiega Francesca,

una delle ideatrici – cioè il tipico zafferano di Toscana,

perché vogliamo dare un colore e un sapore nuovo a ciò che

proponiamo a turisti e cittadini, perché spesso neanche questi

ultimi conoscono molti dei contesti in cui vivono. Perciò abbiamo

scelto di fare un lavoro di nicchia e di non agganciarci alle

principali piattaforme consultate dal turismo di massa in tutto

il mondo». «Vogliamo definire nuovi orizzonti di fruizione anche

negli ambiti più classici – aggiunge Benedetta – creando non

solo situazioni di accrescimento culturale da noi riproposte in

maniera inedita, ma persino di svago e comunque mai banali. In

questo modo speriamo di rispondere alle esigenze di chi cerca

qualcosa di unico ed esclusivo, magari anche come originale

idea regalo per parenti e amici». «Il nostro obiettivo – continua

Valentina – è anche creare il presupposto per una nuova socialità

attraverso il mezzo turistico. Quindi organizziamo visite in

musei o borghi dimenticati e facciamo incontrare le persone

su percorsi in cui la gente non cammina più da anni, permettendogli

così di provare sensazioni e profumi sconosciuti. Per

esempio, questa estate abbiamo fatto visitare Villa Il Ventaglio,

nella zona di Campo di Marte a Firenze, una delle prime opere

di metà Ottocento dell’architetto Giuseppe Poggi, con uno

straordinario parco all’inglese». È un’attività svolta a passo lento,

quella del team Crocus Trip, riducendo al massimo l’impatto

sull’ambiente, come dimostrano gli adesivi in carta riciclata

e biodegradabile, i biglietti da visita ottenuti dalle bucce d’arancia

o i gadget in cotone realizzati a mano dalle loro mamme. Il

loro progetto rappresenta insomma una biodiversità che spicca

nella routine della consueta giostra turistica. «Qualche giorno

fa – dice Chiara Jean – abbiamo accompagnato dei gruppi

a scoprire le Gualchiere di Remole e conoscere Piero Gensini,

uno scultore che vive e lavora lì a custodia di un luogo che risale

al medioevo ed ha una fortissima rilevanza storica. Questo

edificio era strutturato per lavorare i panni di lana sfruttando la

forza delle acque dell’Arno e la sua fiorente commercializzazione

contribuì ad accrescere la potenza economica di Firenze nel

Trecento. È dunque uno straordinario esempio di archeologia

industriale sul fiume Arno, quasi più conosciuto all’estero che

dai fiorentini stessi (visitato sia dalla regina d’Olanda che dal re

Carlo d’Inghilterra ndr)». «Fare la guida – conclude Francesca

P. – per noi vuol dire rendere il cittadino, il viaggiatore, il turista

partecipante attivo di una città o di un territorio che ha molteplici

storie da far conoscere, riscoprire

e raccontare».

www.crocustrip.com

info@crocustrip.com

+ 39 375 7085075

Crocus Trip

crocustrip

CROCUS TRIP

53



Ritratti d’artista

Riccardo Lolli

Un’originale rilettura della tecnica rinascimentale della tarsia lignea

di Jacopo Chiostri

Non è frequente vedere in mostra opere realizzate

con la tecnica della tarsia lignea. Così viene facile

capire come un’esposizione di opere del genere,

proposta a fine settembre nella saletta Barbano dello Spazio

Espositivo San Marco a Firenze, abbia destato particolare

interesse tra i visitatori. L’artista che ha esposto una

ventina di opere – la mostra si è inaugurata domenica 25

settembre – è Riccardo Lolli, uno dei non molti virtuosi di

questa forma espressiva, della quale ha dimostrato assoluta

padronanza. Diffusa già nel Trecento, la tarsia lignea

conobbe la sua massima fioritura nei due secoli successivi,

quando fu utilizzata da artisti come Brunelleschi e Leon

Battista Alberti e fu studiata anche da Paolo Uccello e Piero

della Francesca; ne scrive, tra gli altri, il Vasari ne Le vite

dicendo così: «Sono state fatte dai nostri vecchi di piccoli

pezzetti di legno commessi ed uniti assieme nelle tavole

del noce e colorati diversamente: il che i moderni chiamavano

lavoro di commesso, benché a vecchi fosse tarsia». Uno

studioso come André Chastel la definì “il cubismo del Rinascimento”.

Riccardo Lolli si è accostato alla tarsia lignea

dopo aver studiato a lungo la pittura rinascimentale e dopo

aver sperimentato la costruzione e la problematicità di un

dipinto realizzato con la stesa di velature. Questo – ci racconta

– gli ha permesso di raggiungere un’elevata capacità

di sintetizzare ed esaltare l’espressività dei soggetti che

è alla base della sua poetica. Allo Spazio Espositivo San

Marco Lolli ha presentato una panoramica dei suoi lavori,

alcune decine di opere in

genere di dimensioni raccolte:

tavole che, oltre alla

bellezza naturale del

legno, emanano anche

una certa dose di mistero.

I soggetti spaziavano

dai volti noti di cantanti come

Leonard Cohen, Guccini,

De André e Elvis Presley

a panorami, vedute cittadine,

nature morte e soggetti

religiosi tra cui una Pietà

di rara bellezza con uno

struggente Cristo morto. Il

dato centrale di questi lavori

deriva dalla peculiarità

della tarsia: l’uso di piccoli

pezzi di legno di colore diverso

che, ritagliati in maniera

idonea, definiscono i

Pietà (omaggio a Michelangelo), tarsia lignea, cm 50x40

soggetti in termini di fisiognomica, espressività, profondità,

volume, luci ed ombre. L’abilità dell’artista consiste nella

scelta dei legni e nella sagomatura delle piccole parti che

andranno a completare il soggetto che viene inizialmente

abbozzato con un disegno sulla tavola (anche questa di legno)

e completato successivamente con infinita pazienza.

La scelta del legno adatto ovviamente non è casuale, anzi.

Perché ciascun legno ha una diversa risposta alla luce che

occorre conoscere e sperimentare. Le piccole tessere vengono

incollate (stupefacente è il fatto che non ci sia spessore),

quindi, a lavoro ultimato, avviene la lucidatura che in

ultimo prevede un trattamento con la gomma lacca. Sono

lavori che richiedono tempi lunghi, non di rado settimane.

Ma la vera difficoltà – confessa l’artista – è oggi la reperibilità

dei materiali. A Firenze c’è rimasto molto poco. «Il legno

– dice Lolli – lo cerco e lo acquisto online, in Germania

e Inghilterra, quelli più pregiati e la maggiore disponibilità

di scelta». Poi c’è la questione degli scarti: «Dopo aver scelto

le tarsie necessarie – continua – è inevitabile trovarsi

con dei resti inutilizzabili». Una tecnica antica e affascinante

che fortunatamente ha ancora dei cultori appassionati,

anche ben organizzati, ed è stato, infatti, non più tardi del

luglio scorso che alcuni maestri della tarsia lignea si sono

trovati per discutere della loro arte. È successo a Sorrento

nel museo-bottega della tarsia lignea.

ricky27113@gmail.com

Francesco Guccini, tarsia lignea, cm 50x40

RICCARDO LOLLI

55


Eccellenze toscane in Cina

A cura di Michele Taccetti

Italy Lifestyle and Culture

Un progetto per promuovere il dialogo culturale e commerciale tra Italia e Cina

Testo e foto di Michele Taccetti

China 2000 continua la politica di promozione del dialogo

culturale fra Italia e Cina attraverso la promozione

in Cina delle aziende gestite e riunite nel programma

Italy Lifestyle and Culture. La strategia di Italy Lifestyle and

Culture è quella di presentare unite sul mercato cinese le imprese

italiane con i loro marchi e prodotti, in sinergia con le

istituzioni ed organizzazioni culturali e politiche del territorio

di appartenenza, creando un dialogo con i territori della Cina.

Obiettivo principale di Italy Lifestyle and Culture è aprire

il mercato cinese attraverso la vendita dei prodotti e dei servizi

dei singoli membri, attraverso la creazione di partnership

con organizzazioni e istituzioni cinesi sfruttando la presenza

stabile ultradecennale di China 2000 in Cina. Così facendo si

promuove anche il territorio in modo tale da incentivare l’incoming

turistico, culturale e commerciale cinese. In settembre

il gruppo ha partecipato a due importanti eventi in Cina

entrambi patrocinati dalle istituzioni italiane in partnership

con le municipalità cinesi sedi delle manifestazioni. Dall’1 al

5 settembre, grazie anche al supporto della sede China 2000

a Pechino, il gruppo Italy Lifestyle and Culture era presente

all’importante Fiera CIFTIS nella capitale cinese, manifestazione

leader nel campo del commercio dei servizi e uno degli

eventi di settore fra i più importanti al mondo. Mentre dal 23

al 25 settembre, grazie al supporto dell’ufficio China 2000 di

Shanghai, ha partecipato alla 4^ edizione del Suzhou Grand

Canal Culture and Tourism Expo, una delle vetrine più importanti

in Cina per il dialogo fra i territori per la promozione

del turismo locale, dello sport e dei prodotti tipici. Entrambi

gli eventi sono serviti per aumentare la visibilità delle aziende

presenti in Cina, promuovere il progetto Italy Lifestyle and

Culture e stringere importanti relazioni con investitori locali e

soprattutto istituzioni locali interessate a sostenere lo scambio

culturale e commerciale fra le città. Nei prossimi mesi sono

in programma partecipazioni ad altri importanti eventi in

Cina, ed entro l’anno partirà una collaborazione con i media

nazionali cinesi.

Lo stand del progetto Italy Lifestyle and Culture alla Fiera CIFTIS di Pechino

Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il

Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici

Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di

marketing ed internazionalizzazione.

michele.taccetti@china2000.it

China 2000 srl

@Michele Taccetti

Michele Taccetti

Michele Taccetti

56 ITALY LIFESTYLE AND CULTURE


Firenze mostre

Antonio Signorini

Guerrieri e danzatrici “invadono” Firenze per la mostra dello scultore

internazionale alla Oblong Contemporary Art Gallery

Dopo aver fatto tappa, dal 16 luglio al 30 settembre,

nella sede di Oblong Contemporary Art Gallery a

Forte dei Marmi, la mostra Attraverso di Antonio Signorini

si sposta a Firenze, dall’8 ottobre 2022 al 31 gennaio

2023, per l’inaugurazione della nuova sede della galleria

nel capoluogo toscano. Una mostra a cielo aperto con opere

monumentali inedite di oltre 5 metri che vedranno Guerrieri

e Danzatrici correre e ballare nelle piazze della città gigliata.

Due Cavalli Volanti di 10 metri accompagnati da altre opere

completeranno un itinerario artistico e culturale dedicato a

Firenze. Le sculture esposte rappresentano il periodo di piena

maturazione di Signorini dal punto di vista formale, come

ben esemplificato dal critico e curatore della mostra Luca

Beatrice: «Antonio Signorini, che di mestiere fa lo scultore,

si pone fin da subito la questione: come riuscire a restituire

corpo e sostanza a una forma senza appesantirla, la leggerezza

di quel tratto sul foglio di carta, la rapidità del guerriero

o se preferite la sintesi del passo di danza che trovi nelle ballerine

di Dégas o ancora la sequenza del movimento prima

del cinema, quando ancora non c’era la possibilità di riprendere

un’immagine dinamica e Muybridge tentava di riprodurla

con scatti fotografici ravvicinati. Per trovare finalmente il

superamento della staticità nella scultura bisogna arrivare

ai Mobiles di Calder, dove il minimo spostamento determina

una reazione a catena, armonica e musicale, tra le singole

parti». Attraverso le sue opere, Signorini racconta gli stilemi

di antiche civiltà che si proiettano nell’oggi da un tempo pas-

sato dirigendosi verso l’avvenire:

danzatrici, guardiani,

cavalli, prendono forma nello

spazio, ma senza occuparlo

in una leggerezza incorporea.

I suoi studi sull’arte primitiva

iniziati nel 2003, lo portano a

visitare i siti archeologici europei

e mediorientali, in particolare

le regioni libiche, il

Saudi Arabia e le grotte irachene

che stimolano in lui un

profondo interesse per i ritrovamenti

archeologici più antichi.

L’artista si interroga su

quel passato artistico. Mentre

la sua ricerca si dipana fra

Europa e Mesopotamia, inizia

a sviluppare le prime opere

scultoree note come The War-

di Gherardo Dardanelli / foto courtesy Oblong Contemporary Art Gallery

riors. Scaturiti come miraggi dalle grotte della Libia sahariana,

dal Regno dell’Arabia Saudita e da alcune regioni interne

dell’Algeria, i Guerrieri si susseguono uno dopo l’altro come

un antico racconto la cui narrazione usa il linguaggio figurativo,

il segno tridimensionale e prende la sua forma attraverso

l’arte, diventando simbolo dell’umanità tutta. I guerrieri

sono guardiani del nostro patrimonio culturale; essi si schierano

a difesa dei valori dell’umanità tutta. Segue e completa

The Warriors, un’altra serie scultorea, The Dancers: le danzatrici

per Signorini sono forza assoluta. La loro lotta per l’esistenza

non necessita di armi; è una danza che attraversa lo

spazio, una musica antica che ne ripercorre la storia. L’interesse

dell’artista intorno agli archetipi non è però il solo protagonista

della sua ricerca espressiva. Il suo studio, infatti,

ruota sempre intorno al movimento, una perenne sfida alla

forza di gravità. È proprio questa ricerca di leggerezza ad essere

il cuore della collezione The Flying Horses. Ogni cavallo

rimane in piedi in un equilibrio impossibile, sorretto solo

da punti di appoggio quasi inesistenti. I problemi di ingegneria,

usando il bronzo in tale maniera, sono stati abbinati alla

complessità di produrre una patina degradata, un effetto

ottenuto attraverso un lungo processo con fiamme libere e

acidi. Oggi Signorini si divide tra Firenze e Dubai, dove molte

sue opere sono esposte in aree pubbliche e dove lo studio

tra la coesistenza di antiche civilizzazioni e le strutture

architettoniche ultramoderne è divenuto fonte di ispirazione

e di confronto.

Le opere di Antonio Signorini in mostra alla Oblong Contemporary Art Gallery a Forte dei Marmi

ANTONIO SIGNORINI

57


Occhio critico

A cura di Daniela Pronestì

Sabrina Seck

Ritratti iconici di un femminile

senza tempo

di Daniela Pronestì

Un femminile gioioso, dirompente, traboccante di

energia, immagine simbolo di un’identità che ha

bisogno di affermare se stessa con forza per abbattere

gli stereotipi che la ingabbiano. Le opere di Sabrina

Seck, artista tedesca, propongono una visione della

donna che se da un lato intercetta i modelli estetici veicolati

dal linguaggio massmediatico, dall’altro lato trasforma

questi stereotipi nell’espressione di una protesta

contro chi strumentalizza il femminile svuotandolo così

di significato. Abbiamo già visto questi volti sulle pagine

delle riviste patinate o negli spot pubblicitari diffusi

dalla televisione e dai social network: la differenza è che

in queste rappresentazioni la bellezza non ha più nulla di

1

strumentale, non serve più a raggiungere uno scopo, ma

è un valore che basta a se stesso, senza bisogno di altro

a completarlo. Con i loro volti iconici, queste donne

incarnano l’essenza femminile in tutta la sua carica simbolica,

esaltandone, insieme ad alcuni aspetti caratteristici

come grazia, delicatezza e mistero, il collegamento

con madre natura e con i suoi significati. Da qui la presenza

di fiori ed animali perfettamente integrati con le fisionomie

femminili, ad indicare una simbiosi che riconosce

nella donna l’emblema del principio vitale e dell’origine di

ogni cosa. Quelli raffigurati, in effetti, non sono ritratti di

donne reali ma rappresentazioni di alcuni dei significati

da sempre associati al femminile, fin dalle veneri paleolitiche,

passando attraverso un numero sconfinato di

interpretazioni artistiche nel corso dei secoli. Ieri come

oggi, la figura femminile continua ad essere la più adatta

a celebrare tutto ciò che in natura è trasformazione, ciclicità,

nutrimento, forza generativa; come tale viene proposta

anche in questi dipinti, nei quali tuttavia il riferimento

– sia pure solo concettuale – all’iconografia del passato

non entra in contrasto con l’obiettivo, del tutto evidente

nelle intenzioni dell’artista, di offrire una riflessione sul-

2

1 • Wild nature

2 • Close to nature

58

SABRINA SECK


le necessità ed aspirazioni delle donne nel

nostro tempo. Ecco perché pur rendendo

onore ad una visione idealizzata della

bellezza, spesso rileggendo in chiave moderna

i canoni femminili del passato, questi

volti non si fermano alla “superficie”, ad

una concezione puramente estetizzante

del bello, ma scavano nel profondo per cercare,

sotto la patina del tempo, quel che da

sempre accomuna le donne, le loro lotte, il

bisogno di ribellarsi, il cammino spesso faticoso

per affermarsi in una società ostile.

Tutto questo viene reso attraverso una pittura

sempre “raggiante”, energetica, piena

di ottimismo, come suggerisce l’incredibile

varietà di colori che si legano alla figura

proiettandola in una dimensione fuori

dal tempo. Un modo per far convivere realtà

e astrazione nello spazio del dipinto, ma

anche per rimarcare l’ideale continuità tra

l’oggi e il sempre dei valori più radicati ed

autentici nel mondo femminile.

www.sabrina-seck.de

3 • Rebell

4 • Danielle

5 • Longer time

3

4 5

SABRINA SECK

59


Eventi in Toscana

Panathlon Firenze Medicea 488

Il nuovo club dell’associazione ispirata ai valori etici e culturali dello sport

Porta la data del 26 marzo 2022

l’ultimo nato nel contesto internazionale

del Panathlon distretto

Italia, Area 6 Toscana: nella sala

“Firenze capitale” in Palazzo Vecchio

è stato presentato il nuovo Club Panathlon

Firenze Medicea 488. Alla cerimonia

erano presenti le autorità cittadine,

metropolitane e regionali sia istituzionali

che sportive. Gli onori di casa sono

stati fatti dalla vicepresidente del Consiglio

Comunale di Firenze, Maria Federica

Giuliani; sono inoltre intervenuti

Nicola Armentano, consigliere delegato

allo Sport della Città Metropolitana,

Damiano Sforzi, consigliere Coni e responsabile

Anci Sport Toscana, Fausto

Merlotti, consigliere della Regione Toscana,

Paolo Crescioli, consigliere Coni

e referente Toscana Associazioni Centenarie,

Gabriele Fredianelli, consigliere

Coni Point Firenze, il governatore dell’Area

6 Toscana Andrea da Roit, il vicego-

vernatore Filippo Mastroviti, la vicepresidente del Panathlon

International Orietta Maggi, il vicepresidente del Distretto

Italia Leno Chisci ed i club Panathlon di Firenze, Pistoia/

Montecatini, Pontremoli/Lunigiana, Lucca, Valdarno e Versilia/Viareggio.

Il Panathlon, associazione culturale in campo

sportivo fondata a Venezia nel 1951 e benemerita riconosciuta

del Coni, ha come scopo l’affermazione dell’ideale sportivo

e dei suoi valori morali e culturali quale strumento di

formazione ed elevazione della persona e di solidarietà tra gli

uomini e i popoli. L’associazione è apolitica ed aconfessionale,

senza distinzioni di sesso o razze e senza finalità di lucro.

La sede è stata collocata a Lastra a Signa presso l’Acli (via

Filippo Turati, 4) ma opera a Firenze città e in tutti i comuni

della cintura fiorentina. Fini statutari sono l’etica nello sport

di Fabrizio Borghini / foto courtesy Panathlon Firenze Medicea 488

panathlon.firenzemedicea@gmail.com

presidente.firenzemedicea@gmail.com

Panathlon Club Firenze Medicea

Il direttivo del nuovo Club Panathlon Firenze Medicea 488

e nel sociale, la cultura e l’arte sportiva, il collegamento con

altre benemerite del Coni, il rapporto con istituzioni locali, enti

e società sportive del territorio, con particolare attenzione

alla scuola. Il fiorentino Ugo Ercoli è stato eletto presidente

del nuovo Club Firenze Medicea, il segretario è il lastrigiano

Gianni Taccetti, vicepresidenti Fabio Cannone e Marika Pollicina,

Francesco Lonero è cerimoniere e tesoriere, mentre i

consiglieri sono Roberto Bellocci, Fabrizio Boni, Marco Ceccantini,

Laura Morini e Fabio Niccolai. Altri soci costituenti:

Leonardo Cappellini, Giovanna Ciampi, Lapo Ercoli, Stefano

Marino Fransoni, Alessandro Lonero, Luca Lonero, Gian Luca

Migliorini, Mara Miniati, Maria Angela Muccignato, Stefano

Nistri, Giuseppe Pandolfini, Serena Raggi, Maria Grazia Scichilone,

Paolo Sommazzi, Andrea Tenani. «Siamo di diversi

comuni della città metropolitana e opereremo sul territorio

fiorentino – affermano gli organizzatori –, siamo un pezzo

importante della nostra grande Firenze, orgogliosi di esserlo

e sempre pronti a buttare il cuore oltre gli ostacoli per i valori

universali della solidarietà. In momenti così difficili lanciamo

insieme ad altri amici un nuovo club con lo sguardo a tutto

questo territorio, splendore di un’epoca irripetibile ma da

cui tanto possiamo ancora imparare». L’attività del club consisterà

in momenti formativi, iniziative di solidarietà, premi

speciali, mostre di arte e sport, presentazioni di libri sportivi

e cultura in generale. Durante le conviviali ci saranno momenti

di incontro e presentazione di personaggi pubblici sia dello

sport che della cultura.

60

PANATHLON FIRENZE MEDICEA 488


Firenze mostre

Odara

Una personale a Firenze per

celebrare la magia della luna

di Jacopo Chiostri

Dal prossimo 7 novembre la Taverna degli Artisti,

nell’omonima via fiorentina, ospiterà la mostra di

Claudia Macchiaroli, conosciuta con lo pseudonimo

di Odara; la mostra s’inaugurerà nel corso di una delle tradizionali

cene degli artisti e avrà durata per tutto il mese. La

data non è stata scelta a caso, perché precede di un giorno

quell’otto novembre nel quale è prevista un’eclissi di luna

totale; l’esposizione s’intitola, infatti, Aspettando l’eclissi

ed è centrata su quello che l’artista definisce: «Il mistero e

la magia di quest’astro privo di luce propria ma che con solo

il sette per cento di luce solare esercita però una forte influenza

sui liquidi, sulla fertilità (maree e agricoltura) nonché

in psicologia coordina il ritmo e la stabilizzazione delle funzioni

inconsce dell’anima». Odara esporrà gli ultimi lavori, e

c’è quindi attesa per conoscere le nuove frontiere di un’artista

tra le più complesse ed ermetiche del panorama a noi

noto. Lei racconta che, dopo la pandemia, ha deciso che il

suo fare artistico – una sintesi tra lo spazio-tempo della metafisica

di de Chirico, l’ermetismo enigmatico di Magritte e

lo studio di libri a carattere religioso ed esoterico – non sarebbe

stato più ribelle e in contraddizione con il grande pensiero

comune. Questi lavori sono infatti il connubio di una

nuova modalità di ascolto di se stessa e di un percorso dove

ancora non domina, ma si avverte, una nuova luce e, in

ogni caso, c’è un allontanamento dall’ombra verso, come dice

Odara stessa, “un sentiero più celestiale”. Le sue creature

spirituali hanno ora un volto, vestono colori e sono identificabili,

non più esseri ombrosi, quindi, ma vestali intente a rituali

sui quali l’influenza benefica del nostro satellite si traduce

in un’inedita consapevolezza, e gioca un ruolo decisivo risvegliando

quel bisogno di conoscenza che solo può produrre

armonia. Gli elementi che vi si ritrovano sono quelli tipici della

sua poetica: gli alberi, serbatoi di acqua, uno dei principi

del cosmo perché la conoscenza delle acque è il primo passo

per “l’alta magia” e di acqua necessitiamo per purificarsi

e crescere il nostro albero; le lune, rappresentazione ideale

dell’inconscio, della sensibilità, dell’intuizione, della fantasia

e dei nostri istinti. Quando questi elementi si trovano a terra

significa che siamo poco coscienti della vita e siamo collegati

solo allo strato superficiale della nostra esistenza. I dipinti

di Odara, metafisici, surreali e con una forte componente

onirica, attraggono chi li osserva, non si riesce a distogliere

lo sguardo e, anche senza possedere l’enorme bagaglio di

conoscenza derivato dalle letture (dalla Torah al Libro della

Scala, versione del viaggio notturno di Maometto nell’aldilà,

e perfino la Blavatsky e il suo Libro dello Dzyan, dalla cui lettura

difficilmente si esce incolumi) e dagli studi dell’artista,

il nostro inconscio ne esce emozionato. Tornando alla mostra

alla Taverna degli Artisti ricordiamo che parte del ricavato

della vendita dei quadri è destinato all’Operazione Mato

Grosso, un progetto al quale Odara

è particolarmente affezionata, anche

perché sua figlia vi ha partecipato

la scorsa estate: «Così come

la luna – spiega – anch’io voglio riflettere

un po’ di luce».

odaraghimell@gmail.com

odara ghimell

Casa della cornice

www.casadellacornice.com

ODARA

61


Kristi Po

Una sua opera nella collezione del celebre

critico e storico dell’arte Vittorio Sgarbi

Kristi Po insieme a Vittorio Sgarbi con la sua opera Blobs che il noto critico e

storico dell’arte ha definito “un nuovo Giotto”

kristina.poplitskaya@gmail.com


Ritratti d’artista

Rita Susini

Scultrice e raffinata interprete dell’antica arte della medaglistica

Scultrice, medaglista considerata una delle più importanti

sul territorio nazionale e non solo, Rita Susini

vanta una lunga storia nell’arte del modellare che l’ha

accompagnata nella carriera artistica, e non solo, giacché già

all’età di ventiquattro anni era titolare della cattedra di Discipline

plastiche all’Istituto d’Arte di Firenze. Giovanissima, diplomatasi

all’Accademia di Belle Arti, ha avuto illustri maestri

come Marcello Tommasi, Sergio Benvenuti, lo scultore Oscar

Gallo e il maestro Mario Moschi, col quale ha collaborato alla

realizzazione delle porte bronzee della chiesa del Sacro Cuore

a Sassari. Erede di quella cultura che discende dalle botteghe

rinascimentali, la Susini ha al suo attivo un significativo

curriculum di opere eseguite, busti, ritratti, medaglioni, targhe

e, come modellista, di realizzazioni come design per ditte di

argenteria e ceramica. Tanti i materiali di cui si è servita per

scolpire: il bronzo, la creta, il legno, il cemento. Come accennato,

la medaglistica è stata, e continua a essere, la punta di

diamante della sua attività artistica. È una delle poche che riesce

ad applicare i principi dello “stiacciato”, tecnica di cui

rimase folgorata agli inizi, tecnica che, lo ricordiamo, fu prodi

Jacopo Chiostri

Passione (2020), terracotta patinata, h cm 26x21x14

pria di grandi scultori come

Donatello e Benedetto

da Maiano e che, detta in

parole povere, consiste

nel realizzare un rilievo

con variazioni minime e, in

genere, con spessori che

diminuiscono dal primo

piano verso lo sfondo così

da conferire profondità

all’opera (Donatello applicò

una sorta di “prospetti-

ritratto del Pontormo (1994), argento, mm 40

Medaglia con Cosimo I de’ Medici da un

va lineare centrica” prima

dello stesso Brunelleschi). I lavori della Susini sono eseguiti

con la tecnica classica del pennino intinto nell’inchiostro; il

tratto è essenziale, veloce, espressivo e, in quei piccoli spazi

che sono la superficie di una medaglia, sono condensate simbologie,

atmosfere, memorie, associazioni di pensiero, il tutto

accompagnato da un’indubbia nobiltà, non solo d’intenti,

ma soprattutto di quella bellezza che solo l’essenzialità e l’espressività

conosciute per lunga consuetudine sanno offrire.

Della tecnica della coniazione parla Benvenuto Cellini nella

sua opera intitolata Trattati di oreficeria, ma i primi medaglisti

sono rimasti sconosciuti, tra questi coloro che realizzarono

le medaglie per la corte dei Medici (tra cui quella del botticelliano

ritratto di Cosimo il Vecchio conservato agli Uffizi).

A Rita Susini è dunque affidata una memoria storica, quella

di una grande tradizione che risale quanto meno al Quattrocento

e che in anni a noi più vicini ha visto impegnati artisti

come Antonio Berti, Bino Bini, il già citato Mario Moschi e

Pietro Annigoni. La Susini ha un lungo chorus line di esposizioni

in Italia e all’estero; ha tenuto per anni un corso di modellato

all’Università dell’età libera del Comune di Firenze. Di

lei hanno scritto Enzo Carli, Sergio Benvenuti, Antonio di Lorenzo,

Mario Moschi, Franca Nesi, Severino Ragazzini, Stelio

Tavanti ed è stata intervistata per canali TV da Marcello Catania,

Vincenzo Mollica, Ascanio Torrini. Nel 1982 ha realizzato

(coniata in 100 esemplari) una medaglia per il Centro Dantesco

di Ravenna dei frati minori conventuali per l’ottavo centenario

della nascita di San Francesco. Sue opere si trovano al

Museo Dantesco di Ravenna, al Museo della Medaglia di Malta,

al Bargello, al Museo della Medaglia in Vaticano, allo Smithsonian

Institution di Chicago, nella pinacoteca comunale di

Rocca San Giovanni e in collezioni pubbliche e private in tutto

il mondo. Ricordiamo anche la medaglia per l’Anno Santo del

1975, per il venticinquennale della FAO, in ricordo di Silvestro

Lega, del Ghirlandaio, del Pontormo, di Stradivari, per l’elezione

dei pontefici Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto

XVI, e per il Giubileo del 2000.

RITA SUSINI

63


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Rinasce l’estro creativo di Gualtiero Risito con i

ritratti delle “quattro moschettiere dell’estetica”

di Alessandra Bruscagli

Gualtiero Risito, artista molto amato e conosciuto,

è uscito dal tunnel del Covid mantenendo

intatta la passione per il disegno e la

pittura e per le arti in generale. «Creare dona libertà

– afferma Risito – e io ho iniziato faticosamente a

mettere sulla tela quello che la fantasia mi suggeriva.

Lo stimolo maggiore per proseguire me lo ha

dato la richiesta di un quadro su Pinocchio per una

grande mostra collettiva e itinerante che, prendendo

l’avvio da Collodi, girerà tutta l’Italia e forse toccherà

anche l’Europa. Tanti amici hanno partecipato

con me e si sa che lavorare insieme regala gioia e

soddisfazione. Il ritratto intriga e affascina ma non

potevo cimentarmi in questo settore perché il disegno

porta a rispettare certe regole per cui non mi

sentivo ancora pronto». Sostenuto dalla moglie Stefania,

la vita è sembrata di nuovo bella e rivestita di

speranza. Ma questa storia non è fatta solo di arte,

ma anche di persone, casualità, amore, riconoscenza,

amicizia, lati importanti che meritano di essere

sottolineati con la matita rossa. Ma continuiamo a

narrare questa rinascita: vicino alla casa di Gualtiero

Gualtiero Risito

si trova un’attività commerciale dove lavorano quattro

ragazze, tutte estetiste: Agata, Ylenia, Titti e Sara,

quest’ultima titolare di By Sara Salon. Capita spesso,

come con i parrucchieri, che tra estetista e cliente si

inizi a raccontarsi reciprocamente; così è accaduto

tra Gualtiero e Agata che, incuriosita, dopo aver visto

alcuni dei suoi tanti lavori artistici, gli ha timidamente

chiesto se poteva esaudire il suo desiderio di

di LUCHINI LUDOVICO & NUTI SIMONE s.n.c.

Via del Colle, 92 - 50041 Calenzano (FI)

Tel. 055 8827411 - Fax 055 8839035

www.carrozzeriailcolle.it info@carrozzeriailcolle.it

Le quattro ragazze del salone estetico ritratte da Risito

64 CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Agata

Titti

Ylenia

avere un ritratto a matita. In principio questo ha un

po’ imbarazzato l’artista, ma, non volendo deludere

la ragazza, si è sentito nuovamente spinto e sollecitato

e, messosi all’opera, ha realizzato e donato il

disegno ad Agata, che con orgoglio lo ha mostrato

alle colleghe, le quali, trascinate dall’entusiasmo, si

sono anche loro fatte avanti... Ma si sa che gli artisti

possiedono una sensibilità esagerata, acuita in questo

caso dalle giornate tremende, dai mesi trascorsi

in ospedale. E così Gualtiero Risito, anche su suggerimento

dell’attenta e generosa moglie Stefania, ha

eseguito un ritratto per ognuna di loro e sono nati i

disegni qui pubblicati. «Moschettiere dell’estetica»

le ha definite l’artista, che ha continuato dicendo:

«Grazie alla loro fiducia ne ho acquistata tanta anch’io

in me stesso, adesso sono davvero soddisfatto

e pieno di gratitudine verso di loro». Questo lungo e

nero periodo gli ha permesso di vedere i sentimenti

e le sensazioni sotto una luce completamente diversa,

dando loro una valenza e un’importanza che

forse prima non avevano, una luce più radiosa e

sfolgorante ma anche più modesta e più vera, a misura

d’uomo oltre che d’artista.

Sara (titolare del salone di estetica)

CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO

65


Ritratti d’artista

Rosella Giorgetti

La potenza di una pittura in cui “esplodono” le emozioni

Anche se di primo acchito

viene naturale ricondurre

l’arte di Rosella

Giorgetti – pittrice di origini

marchigiane, cresciuta a Pomezia

e quotata negli ambienti

artistici nazionali – nell’alveo

dell’arte fluida, poi, a un’analisi

più approfondita, si capisce

che non è solo questo e che la

poetica di quest’artista, in realtà,

è molte cose assieme. Occorre

muovere dalla tecnica

che la Giorgetti adotta: questa

consiste nel calare il colore

sulla tela, e quindi trarre ispirazione

dalle forme che, con

un certo nesso di casualità, si

sono formate libere e coglierne

la potenza evocativa; il lavoro

di “costruzione” dell’opera

inizia allora. Con pennelli molto

sottili, con le dita, con col-

pi di spatola, perfino con una cannuccia che convoglia il

fiato, la Giorgetti dà vita alle forme fantastiche, ricche di

simbologie e di rimandi al suo io interiore e al proprio vissuto,

che sono le sue creazioni. In alcuni casi, queste forme,

che effettivamente appaiono fluide, piene di colore e

di forma (pur nel loro essere in definita stilizzate), ricordano

figure che riconosciamo, ma il più delle volte è come

se fosse avvenuta una nuova creazione. Questo è. La

Giorgetti crea immagini che non abbiamo ancora visto, e

in questo senso è come un’esploratrice che scenda negli

abissi alla ricerca di nuove forme di vita, oppure, più evidente,

che sia capace di rappresentare visivamente stati

d’animo, concetti, brevi racconti ed emozioni. Questo vale

per l’intera sua produzione, anche per i fiori policromi, sì

riconoscibili, ma funzionali prima di tutto ad assecondare

le “decisioni” dell’artista, la quale occupa lo spazio e lo riempie

con un’estetica meditata, forse sofferta, che affonda

in maniera viscerale nel suo background esperienziale.

Sono forme rigogliose che sembrano prossime a richiudersi

per poi aprirsi ancora. È pittura che si muove, che dà

l’impressione di muoversi, di parlarci come facciamo noi

umani, aprendo cioè le labbra. Le composizioni risultano

– ed è, a nostro parere, uno dei maggiori pregi – dinamiche

nel loro essere al massimo equilibrate, pesi e contrappesi

si trovano dove ci aspettiamo di trovarli, segno che al

momento creativo si accompagna uno studio accurato di

di Jacopo Chiostri

quella che dovrà essere l’armonia complessiva del dipinto.

Ci sono poi delle sorprese. Come nel quadro Esplosione di

emozioni, dove nei petali, sia sulla destra che sulla sinistra,

si nascondono un volto di donna, una specie di putto

e dei corpi umani: ulteriore conferma che lo scopo dell’artista

non è la riproduzione meccanica, o peggio accademica,

dei soggetti, ma una loro rappresentazione visionaria e

semmai allegorica. Su tutto domina la sensibilità, artistica

non vi è dubbio, con cui modula il colore, lo assembla,

lo separa, lo sparge e lo guida, in genere per linee diagonali:

al colore è affidato il compito di darci indicazioni sul

processo introspettivo compiuto dalla pittrice. La Giorgetti

si guarda attorno, immagazzina, nella retina e nella mente,

immagini che non devono essere solo forma o estetica,

ma devono conservare un impatto emozionale che possa

essere vantaggiosamente rappresentato con la forza della

pittura, e che abbiano in sé anche il nutrimento indispensabile

per uno spirito libero. È in questa direzione che

si volge la sua necessità personale di sperimentare, lo fa

con esiti certo metafisici, ma al di là di ogni possibile interpretazione

e considerazione, tutto il complesso ed accattivante

lavoro di Rosella Giorgetti ha come referente

primario l’amore per l’arte. Non è lecito (né d’altra parte

possibile) dimenticarsene.

arte.rosellagiorgetti@gmail.com

66

ROSELLA GIORGETTI


Polvere di stelle

A cura di Giuseppe Fricelli

Ave Ninchi

Indimenticabile caratterista del cinema e del teatro italiano

di Giuseppe Fricelli

Ho composto musiche di scena per

la Clizia di Machiavelli, famosa

commedia, interpretata da Ave Ninchi,

storica ed apprezzata attrice del cinema

e del teatro italiano. Alfredo Bianchini

era regista e attore del lavoro teatrale. Fu

uno spettacolo riuscito che ebbe più di centocinquanta

repliche in tutta Italia. Un vero

successo di pubblico e critica. La prima rappresentazione

avvenne al Teatro Metastasio

di Prato. Raggiungevo ogni tanto la compagnia

in giro per la tournée. La signora Ninchi,

in quel periodo, recitava in una famosa

pubblicità televisiva che le era molto redditizia.

Ogni volta a cena o a pranzo con Ave

non riuscivo ad offrirle un pasto. Mi avrebbe

fatto tanto piacere ma non c’era verso.

Mi diceva sempre: «Giuseppe, tu fai la pubblicità

al pollo? Credimi ti sono grata della

tua gentilezza. Non sono io che ti offro il

pasto ma è lui... il pollo». Questa attrice di

puro ed innato talento ha scritto una pagina

importante nella storia del cinema e del

teatro non solo nelle vesti di caratterista.

Era apprezzata anche da registi stranieri di

fama internazionale come Clément, Carné,

Zinnemann e tanti altri. È stata diretta da

Monicelli, Steno, Zampa, Zeffirelli e tanti altri

ed ha recitato spesso con Fabrizi e Totò,

creando con loro un affiatamento artistico

straordinario. Indimenticabili le sue presenze

in spettacoli televisivi. Era un’attrice poliedrica

che sapeva realizzarsi in qualsiasi

personaggio da lei proposto. Non dimentichiamoci

delle Sorelle Materassi con Sarah

Ferrati e Rina Morelli, registrate per la televisione,

un vero capolavoro nel quale le tre

interpreti danno prova di una mirabile padronanza

scenica e teatrale. Una straordinaria

interprete che ricordo con sincera ammirazione,

stima ed affetto profondo.

Ave Ninchi con Aldo Fabrizi nel film Parigi è sempre Parigi (1951) di Luciano Emmer

Con Anna Magnani nel film Lʼonorevole Angelina (1947) di Luigi Zampa

www.florenceartgallery.com

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

AVE NINCHI

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STEPHANIE HOLZNECHT

Fan Fare (2018), cm 91,4x91,4

acrilico e lacche su tela

www.aqvart.com


AQVART 2022 Venezia

Si è conclusa la quarta edizione di Aqvart

a Venezia, che riscuote sempre più successo

di pubblico e stampa tanto da meritarsi

di essere inserito ormai come appuntamento

fisso nel palinsesto degli eventi promossi

dalla Regione Veneto. La mostra, inaugurata

lo scorso 3 settembre, ha previsto un omaggio

alla memoria di Gianni Aricò, architetto

ed artista, e di Uri de Beer, architetto israeliano,

e si è aperta con lo spettacolo di danza

eseguito dalla scuola della professoressa

Marina Prando. Hanno esposto i loro ultimi

lavori artisti internazionali venuti numerosi

da diverse parti del mondo, tra questi: la scultrice

polacca Mira DeMartino, che vive e lavora

negli Stati Uniti; l’astrattista americana

Stephanie Holnecht; la giovane artista italiana

Valeria Disabato, che sperimenta l’uso di

nuovi materiali; l’artista polacco esponente

della nuova corrente chiamata Orapismo Krzysztof

Konopka; la lussemburghese Karin

Monschauer vincitrice di diversi premi internazionali

per la digital art; l’architetto, artista

ed esperta d’arte Margherita Blonska; la pittrice

olandese di origine surinamese Alma

Sheik, che per le sue tele informali prende

spunto dalle pavimentazioni a mosaico delle

chiese venete; la pittrice persiana cresciuta

in Australia Sherry Farsad con lavori carichi

di spiritualità; la pittrice e professoressa Kinga

Lapot Dzierwa proveniente da Cracovia;

l’artista e decano universitario Ernest Zawada

da Bialystok; l’artista belga Christine Hilarius;

la pittrice e designer di gioielli spagnola Ana

Andras attiva tra Barcellona e Miami; l’artista emergente

proveniente da Danzica Konrad Poniewaz; il ve-

Scultura di Mira DeMartino, quadro di Krzysztof Konopka

nezuelano Jorge Goncalves Romero, che vive e lavora

a Vienna. In esclusiva sono state esposte anche alcune

serigrafie originali di Tamara de Lempicka, la quale

è stata sempre molto legata alla città di Venezia

(oltre che a Firenze), traendo ispirazione, nella ricerca

del proprio stile, dai lavori dei maestri del manierismo

italiano e dai colori della laguna. La rassegna è stata

ripresa dalla rete televisiva Televenezia che ha trasmesso

durante il proprio telegiornale per ben cinque

giorni un programma dedicato alla mostra e agli artisti.

Quest’anno è stata importante la partecipazione

di Caralli Big Mat come principale sponsor della manifestazione,

azienda che, essendo all’avanguardia, capisce

la sinergia che intercorre tra architettura ed arte

e crede che ogni opera edilizia possa diventare un’opera

d’arte e viceversa. Stanno nascendo grandi progetti

per il futuro di Aqvart, fatto che è stato notato

anche dalla televisione veneta. Sono iniziati inoltre i

preparativi per la quinta edizione della rassegna, che

sorprenderà tutti visitatori con i concetti nati dalla collaborazione

con gli artisti e con gli sponsor.


KINGA LAPOT DZIERWA

Ballerina (2021), olio su tela, cm 65x80

www.aqvart.com


Itinerari del gusto

A cura di Filippo Cianfanelli

Trattoria Baldini

Il gusto della migliore tradizione toscana a Firenze

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

Alla fine dell’Ottocento, la zona di Porta al Prato a Firenze

non era più un’area erbosa come nei secoli precedenti,

bensì un grande spazio acciottolato fra l’omonima

porta, rimasta isolata dopo l’abbattimento delle mura trecentesche,

e la loggia, oggi chiusa, all’inizio di Borgo Ognissanti dove

in passato il granduca assisteva alla tradizionale corsa dei barberi,

i cavalli scossi partiti dal Ponte alle Mosse che, dopo aver

attraversato le vie del centro, avevano il traguardo nell’attuale

piazza Beccaria. La strada è ancora oggi caratterizzata dalla

grande mole del palazzo dei Principi Corsini, nelle cui adiacenze

è possibile vedere l’immenso portone ligneo della rimessa

del “Brindellone” protagonista dello scoppio del carro che allora

avveniva il sabato santo. Proprio in quegli anni, al numero

96 rosso, vicino alla Porta, nasceva una piccola trattoria a conduzione

familiare. All’inizio si chiamò Trattoria con giardino, nome

dovuto ad un piccolo spazio ricavato nella corte dove con

un po’ di ghiaia e qualche pianta veniva simulato un giardinetto.

Negli anni successivi il nome cambiò in Leone di Caprera in

Pappa al pomodoro

onore di Garibaldi a cui era stata dedicata non lontano da lì una

piazza e una statua. Per decenni il locale è stato gestito dalla

famiglia Baldini, che, dai primi del Novecento fino al 1985, l'ha

tramandato di padre in figlio dandogli il nome che ancora oggi

conserva. Attualmente sono tre i soci che lo gestiscono: Antonio

Balducci, Alfiero Meini e Stefano Pieri, sempre affabili e

pronti alla battuta sia con i numerosi turisti ma soprattutto con

i numerosi fiorentini che ogni sera affollano il locale per gustare

una cucina tradizionale e respirare aria di Toscana. All’interno

lo stile è quello delle vecchie trattorie fiorentine, con le belle

tovaglie a scacchi, le stoviglie bianche di porcellana e il classico

fiasco di vino “a calo”, cioè fatto pagare secondo quanto se

n’è bevuto. Per i più esigenti la carta di vini offre una discreta

scelta di etichette divisa per produttori e per zone geografiche

della Toscana. Il menù rispecchia in pieno la tradizione della regione,

partendo dagli antipasti, passando alle minestre, i primi,

gli arrosti, i fritti, le carni grigliate o cotte in padella, fino ai contorni

e ai classici dolci. Ho avuto la possibilità assaggiare molti

piatti, dai più tradizionali ai più originali e, fra gli antipasti, devo

riconoscere che il crostone di cavolo nero mi ha piacevolmente

sorpreso perché il cavolo, servito sulla classica fetta di pane

arrostito, era stato prima cotto con un tradizionale battuto. Anche

il carpaccio di cervo era ottimo, benché il gusto della carne

fosse un po’ troppo coperto dal succo di limone. Niente da

dire sulle minestre, in particolare la ribollita, la pappa al pomodoro

e l’antica stracciatella che mi hanno riportato alla mente

i sapori di una volta. Vale lo stesso per gli altri primi fra i quali

ho ritrovato le ormai rarissime lasagne fatte in casa, rigorosamente

in parte verdi e in parte bianche, con il classico ragù di

carne e abbondante besciamella. Da segnalare anche gli spaghetti

alla carrettiera, le penne strascicate, i tortelli alla maremmana

e soprattutto le ottime pappardelle al cinghiale. Per un

pasto più leggero, consiglio gli spaghetti alla “crudaiola”, conditi

solo con olio extravergine di oliva e verdure crude. Ampia la

scelta di arrosti, fra agnello, arista di maiale e carré di vitella. Lo

stesso vale per i fritti: oltre al pollo e al coniglio vengono serviti

il classico cervello di vitella e le costine di agnello. La bistecca

alla fiorentina è il piatto forte del locale, soprattutto per gli

stranieri, ma anche i vegetariani non rimarranno delusi dall’ottima

scamorza con verdure grigliate. È d’obbligo ricordare inoltre

la trippa alla fiorentina, le salsicce con i fagioli e il cinghiale

alla maremmana, piatti tradizionali ma sempre apprezzati, senza

inutili elaborazioni nella presentazione. Per chiudere la serata

con il dolce non potevano mancare i cantucci col vin santo

e una coppa di ottimo gelato alla vaniglia ricoperto di cioccolato

fuso.

www.trattoriabaldini.com

TRATTORIA BALDINI

71


A tavola con...

A cura di Elena Maria Petrini

Daniela Morozzi

“A tavola con” l’attrice fiorentina volto noto di alcune fiction televisive molto

amate dal pubblico e maestra nell’arte dell’improvvisazione

di Elena Maria Petrini / foto Gianni Ugolini

Questo mese incontriamo l’attrice cinematografica

e televisiva Daniela Morozzi, fiorentina doc conosciuta

dal grande pubblico per la serie televisiva

di Canale 5 Distretto di Polizia dove ha interpretato

il ruolo della poliziotta Vittoria Guerra. Talentuosa caratterista,

dalla recitazione fresca e spontanea, inizia la sua

carriera di attrice negli anni Ottanta, specializzandosi nel

difficile ed impegnativo genere dell’improvvisazione teatrale

e successivamente entrando a far parte della Lega Italiana

Improvvisazione Teatrale, prima come insegnante e poi

come direttrice artistica. Al cinema la troviamo nel cast di

Ritorno a casa Gori di Alessandro Benvenuti del 1996; l’anno

successivo è presente nel film Ovosodo e nel 1999 anche

in Baci e abbracci, entrambi per la regia di Paolo Virzì.

Nello stesso anno è diretta da Enrico Montesano nella serie

televisiva di RAI 1 Pazza famiglia. Nel 2002 è Gianluca Greco

a dirigerla nella commedia Nemmeno in un sogno e nel

2011 interpreta il personaggio di Niki, diretta dalla regista

tedesca Margarethe von Trotta, nel film drammatico La fuga

di Teresa. Ne I primi della lista di Roan Johnson ha il ruolo

della mamma di Lulli, uno dei protagonisti; nel 2013 recita

in Uscio e bottega diretta da Marco Daffra con un cast eccezionale,

dove troviamo tra gli altri Giorgio Panariello, Antonio

Petrocelli, Carlo Monni, Novello Novelli, Sergio Forconi,

Cristiano Militello, Giancarlo Antognoni e Carlo Conti come

voce narrante. Partecipa anche ad altre fiction come Il mio

amico Babbo Natale per la regia di Franco Amurri e alla serie

televisiva di RAI 1 Il commissario Manara. Il teatro la vede

protagonista di ruoli brillanti in commedie come Terapia,

terapia, Se non ci fossi io e Mangiare bere dormire - Storie di

badanti e badati, tutte per la regia di Augusto Fornari.

Com’è nata la sua passione per la recitazione?

Ho iniziato molto giovane, in realtà ho sempre avuto questa

passione, fin da quando ero bambina. Vengo da una famiglia

che non faceva questo lavoro, perché mio padre era operaio

e mia mamma infermiera caposala, originari di Monghidoro e

Firenzuola. Una famiglia contadina molto numerosa che col

teatro c’entrava poco…

Quando ha iniziato?

Da subito, già dalle scuole superiori, organizzando corsi di teatro,

cinema e fotografia. La prima esperienza è stata con la

scuola d’arte drammatica Teatro Laboratorio Nove, poi ho frequentato

un corso di improvvisazione teatrale che mi ha fol-

gorata a tal punto da

spingermi ad entrare

nella Lega Italiana

di Improvvisazione

Teatrale. Mettevamo

su un particolare tipo

spettacolo che si

chiamava “match”, un

format nato in Canada,

con il quale per

molti anni ho potuto

girare il mondo. Tornando

a Milano, visto

che avevamo aperto

tante scuole, abbiamo

organizzato un

corso d’improvvisazione

e di teatro comico

che si chiamava

Zelig, ma non quello

famoso che oggi

vediamo in TV. Allora

Zelig era un cen-

Daniela Morozzi (ph. Gianni Ugolini)

tro culturale dedicato alla comicità e al cabaret. È qui che

ho conosciuto Dario Ballantini, l’imitatore di Striscia la Notizia,

il quale mi disse che la sua agente cercava un’attrice come

me per il film del regista livornese Paolo Virzì, allora agli

inizi della carriera. Ho fatto un ruolo prima in Ovosodo, poi in

Baci e abbracci e dopo mi hanno chiamato a fare Distretto di

Polizia e da lì è partito tutto. Oggi faccio molto teatro con la

compagnia Lo stanzone delle apparizioni e col teatro di Castelnuovo

Berardenga. Mi dedico anche all’organizzazione di

eventi, l’ultimo in ordine di tempo è stato Make news - nel cuore

dell’informazione, tre giornate di dialogo e confronto a Firenze,

lo scorso agosto, sul tema del giornalismo, altra mia

grande passione. Per un periodo ho collaborato al giornale

fiorentino La Città, dove ho conosciuto il giornalista Francesco

Tei, oggi caporedattore di RAI 3, e mi occupavo di una rubrica

teatrale dedicata ai giovani.

Ha qualche ricordo o aneddoto legato ad un film o ad uno

spettacolo teatrale?

La cosa che ricordo con particolare piacere è quando con

la Lega Italiana di Improvvisazione Teatrale abbiamo vinto

una competizione mondiale a Lille, nel nord della Francia,

battendo la squadra dei canadesi, proprio loro che hanno

72

DANIELA MOROZZI


inventato questo tipo di spettacolo. La competizione consisteva

nel confronto tra due squadre entrambe impegnate

ad improvvisare su temi a sorpresa, lasciando poi al pubblico

il compito di decretare la squadra migliore. Ogni sera

avevamo circa tremila persone a guardarci, un’esperienza

emozionante e bellissima. Ovviamente per poter fare improvvisazione

occorre tutto un lavoro di preparazione prima

di andare in scena. Questo, oggi, lo insegno in tante

scuole, come ad esempio all’Accademia Golden di Roma,

ma anche in altri corsi in tutta Italia. È un percorso propedeutico

all’improvvisazione che lavora sulla fantasia e sul

lavoro di gruppo.

A chi o che cosa s’ispira per scrivere i suoi testi?

Adoro la letteratura, ma non mi ritengo una scrittrice, scrivo

le cose per me, insieme ad un gruppo di colleghi. I miei

due monologhi, ad esempio, sono nati sull’onda di quello

che mi andava in quel momento di raccontare; ho scritto

una traccia e poi l’ho rielaborata e sviluppata, inserendo

la parte comica, insieme agli autori Stefano Santomauro e

Matteo Marsan. Un monologo s’intitola Da consumarsi preferibilmente

in equilibrio; racconta la storia di una donna di

mezza età che rivaluta il proprio rapporto con i figli e con il

cibo per cercare una nuova normalità. C’è una parte divertente

in cui l’effetto comico nasce dal racconto dei tortellini

che preparava mia nonna. Nell’altro monologo, invece, prendo

spunto dalle montagne di Firenzuola, dove era nato mio

padre. Entrambi gli spettacoli sono stati realizzati con Stefano

“Cocco” Cantini, sassofonista e pianista anche lui toscano

fra i migliori jazzisti al mondo dal quale ho imparato

tanto a proposito, per esempio, del valore che le pause hanno

nella musica e devono avere anche nella recitazione. Attualmente

sono a Sinalunga con lo spettacolo Le ragazze

di San Frediano insieme ad Anna Meacci e Chiara Riondino.

Il prossimo spettacolo intitolato Eretici andrà in scena il 2

dicembre prossimo al Teatro Puccini. Nasce dalla collaborazione

con Tomaso Montanari, celebre storico dell’arte e

magnifico rettore dell’Università per Stranieri di Siena autore

dell’omonimo libro in cui racconta grandi personaggi come

Caravaggio, Piero Calamandrei e Tina Anselmi.

Che rapporto ha con il cibo? Le piace cucinare?

No, non mi riesce cucinare, ma adoro il cibo e sono grata

a chi cucina per me. In famiglia sono sempre stata contornata

da donne che sapevano cucinare benissimo, mia nonna

era una specialista dei tortellini. Mi ricordo che ogni

Natale a casa mia venivano dieci donne a preparare i tortellini;

li facevano con un “arriccio” perfetto, dei piccoli capolavori

che venivano stesi sui cartoni ad asciugare. Oltre

ai tortellini, mi piacciono gli gnocchi di patate, i “topini”,

soprattutto se riscaldati il giorno dopo, e la pappa al pomodoro.

Un “cibo della memoria” legato agli affetti o ad un ricordo?

La pasta fatta in casa, come tagliatelle e gnocchi, e condita

con il classico ragù. In casa mia le dosi erano sempre

una “quintalata”, del resto eravamo ben ventisette cugini.

La mia era una famiglia di fungaioli, altro piatto che mi piace

moltissimo. Apprezzo molto la marmellata di more, anche

questa legata ai miei affetti.

Un ricordo divertente che riguarda il cibo?

Per noi attori la tavola è un po’ il “post” lavoro perché si

va a mangiare tutti insieme a mezzanotte. In queste occasioni

mi è capitato spesso di essere a dieta mentre gli

altri attori insieme a me potevano mangiare di tutto. Difficile

resistere! Anche nella famiglia mi sono dovuta sempre

trattenere perché il cibo abbondava ed era ottimo. Ho

anche realizzato uno spettacolo ambientato in cucina dove

io cucinavo. S’intitolava La cena perfetta al Teatro Bobbio

di Trieste, con Nicola Pistoia, Nini Salerno, Blas Roca

Ray, Ariele Vincenti e Monica Rogledi.

Ha mai bevuto un Negroni, lo storico cocktail nato a Firenze

circa un secolo fa?

Sì, l’ho bevuto una sera a Castelnuovo Berardenga ed ho

preso una “ciucca” pazzesca perché sono praticamente

astemia, ma ricordo ancora che il sapore era buonissimo.

Nella mia immaginazione, i cocktail sono legati al piacere

più sfrenato, alle notti dove si rimane in pochi a bere e a

chiacchierare.

DANIELA MOROZZI

73


Mauro Mari Maris

La vita oltre l’orizzonte

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


Toscana a tavola

A cura di Franco Tozzi

Arista, un nome toscano per un piatto

adatto a tutti i palati

di Franco Tozzi

L’arista è un taglio di carne di maiale, la lombata con

le costole, e con questo nome è conosciuta solo in

Toscana; si prepara per tradizione al forno o arrosto

in tegame ed è usanza servirla fredda. È un piatto facile che

si conserva anche per giorni dopo la cottura, mentre messa

sottolio può durare per mesi. Per l’origine del nome bisogna

tornare un bel po’ indietro nel tempo e smentire quanti sostengono

che questo nome sia stato dato dai vescovi greci

ospiti della Signoria che, entusiasti del piatto, esclamarono

nella loro lingua “aristos” ossia “il migliore”. Con questo nome,

l’arista appare già nel 1287 nel registro degli acquisti per

la mensa dell’abate di Santa Trinita di Firenze in alternativa

alla “lonza di porcho”; inoltre, è anche protagonista di una novella

del Sacchetti, della fine del Trecento, così come appare

nel Quaresimale Fiorentino del 1305. Quindi, niente origini

greche bensì toscane per il nome artista…

La ricetta: artista al forno

Ingredienti:

- 1 arista di maiale con l’osso (del peso

minimo di circa un chilo e duecento

grammi e “intaccata” dal macellaio)

- 1 bicchiere di olio extravergine di oliva

- 3 spicchi di aglio sbucciati

- 3 rametti di ramerino fresco

- sale e pepe abbondanti

- 1 bicchiere abbondante di acqua

Preparare un battuto con aglio, ramerino, pepe

e sale; fate dei fori profondi nella carne e

steccarli con il battuto, con l’avanzo massaggiare

il filetto. Intanto scaldare il forno fino a

160°, mettere l’arista in una teglia con l’olio e

l’acqua e infornare per almeno un’ora e mezzo.

L’acqua, evaporando, dà umidità alla carne

rendendola morbida; c’è chi usa il brodo, ma

cambia il sapore del maiale. Come norma generale,

bisogna tenere presente che, qualsiasi

sia il peso, dovrà cuocere un’ora a chilo. Essendo

buona anche fredda (non di frigo), è opportuno

togliere l’arista, disossarla, affettarla

e sistemarla su un vassoio di portata. Si cuociono

poi le patate a tocchetti nell’unto dell’arista;

se quest’ultimo è scarso, aggiungere

olio di oliva e quindi servire in tavola a temperatura

ambiente con patate e sugo ben caldi.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

ARISTA

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B&B Hotels Italia

Vacanze in bicicletta godendo dell’ospitalità

di B&B Hotels

di Francesca Vivaldi

Terrazza panoramica del B&B Hotel Budapest City

L’estate è finita ma con lei non finisce la voglia di viaggiare.

Con B&B Hotels, catena internazionale con più

di 650 hotel in Europa e nel mondo, è possibile godersi

tantissime destinazioni, dal mare alla montagna, oppure

scoprire alcune delle città più affascinanti sfruttando l’inizio

di questo autunno, che ricorda ancora il sapore dell’estate.

Con la complicità delle giornate ancora lunghe e un docile

sole settembrino perché non scoprire i migliori posti proprio

in sella ad una bici? Alternativa di mobilità sostenibile, il cicloturismo

è uno dei trend del momento. In sella ad un bici

possiamo godere di spazi aperti ed ammirare la natura più incontaminata,

esplorando territori ricchi di bellezze e ancora

poco scoperti. Ecco tre itinerari perfetti per questo periodo.

Ciclovia delle isole veneziane: in bici da Chioggia a Venezia

New York Times, tra i cinquantadue luoghi da visitare nel

mondo. Dopo una giornata all’insegna della scoperta del

paesaggio, il ristorante Oltremare offre una pausa relax

all’insegna del gusto, con un’offerta menù sia a buffet che

a la carte. Design raffinato e ricerca del comfort sono le

caratteristiche di tutte le novantasei camere dell’hotel, disponibili

nelle tipologie singola, economy, deluxe e family.

Ogni stanza è dotata di aria condizionata regolabile, mini-frigo

e di un bagno privato con bidet, doccia e asciugacapelli.

Per un soggiorno più smart la struttura mette a

disposizione una connessione Wi-Fi illimitata e gratuita e

Smart TV 32" con Chromecast integrata. L’hotel dispone

anche di un appartamento di lusso di 140 mq all’ultimo piano

con due camere da letto, cucina attrezzata, jacuzzi, sauna

e una splendida vista sul mare.

Un percorso che parte da Chioggia, attraversa l’isola

di Pellestrina, il Lido, per terminare poi in un

tramonto mozzafiato sull’eterna Venezia. Una delle

più strepitose ciclabili del mondo, da percorrere rigorosamente

piano, pedalata dopo pedalata, assaporandone

suoni, profumi e colori. È questo il primo

consiglio di B&B Hotels Italia che proprio nel cuore

della “piccola Venezia” ha da poco inaugurato il

B&B Hotel Chioggia Airone, ideale per chi cerca il

relax senza dover rinunciare alla tipica aria vacanziera

delle località di mare e alle numerose attività

che offre il territorio. Per chi non fosse già provvisto

di proprie bici, la struttura propone un servizio

di noleggio, permettendo di scoprire questa meravigliosa

destinazione, al primo posto nella lista del

B&B Hotel Budapest City

76 B&B HOTELS


Itinerari ciclabili a Cortina

Dai percorsi per mountain bike tra storia e natura

su tracciati segnalati alla bici da strada per scoprire

le vie più tipiche dei borghi, fino al freeride per i più

esperti. E perché no, alle escursioni in e-bike per una

vacanza più rilassante, per tutta la famiglia. Cortina

è sicuramente una tappa imperdibile per gli amanti

delle vacanze “a due ruote”. Punto di partenza perfetto

per muoversi alla scoperta del territorio patrimonio

dell’Unesco è sicuramente il B&B Hotel Passo

Tre Croci Cortina, una splendida struttura che sorge

nel territorio di Cortina D’Ampezzo, a 1.858 metri di

quota, incastonata fra le pendici del monte Cristallo

a nord e dei monti Sorapiss e Faloria a sud. L’hotel

dispone di centoventiquattro camere nella tipologia

singola, doppia, matrimoniale, tripla, quadrupla, ognuna dotata

dei comfort necessari per godersi il viaggio in pieno relax,

rispettando la qualità da sempre garantita da B&B Hotels. Disponibili

i migliori servizi: noleggio di e-bike, climatizzazione

autoregolabile, mini frigo, cassaforte elettronica, connessione

Wi-Fi a 300 Mb/s illimitata e gratuita in tutti gli spazi della struttura

e Smart TV 43" con Chromecast integrata, un parcheggio

gratuito, un ristorante a buffet ed un bistrot (Bar&Bistrot) dove

gustare i piatti tipici della tradizione locale.

Budapest in bicicletta

Budapest è una città davvero interessante da girare in bicicletta:

la capitale ungherese offre oltre 300 km di piste ciclabili dislocate

in tutta la città e nei dintorni. Il B&B Hotel Budapest

City si trova a meno di 1,5 km dal centro di Budapest, nelle immediate

vicinanze del ponte Petőfi, e a solo 1 km dal Great Market

Hall, il più antico e grande mercato coperto della capitale,

dove è possibile gustare il miglior street food ungherese della

Una stanza del B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina

città e godersi, in sella alla propria bici, gli angoli nascosti della

città. La struttura, dallo stile ricercato e originale, e animata da

pezzi di design e dispone di duecentoquattordici camere nella

tipologia singola, doppia e familiare dal design moderno ispirato

alla cultura del territorio. Il B&B Hotel Budapest City garantisce

agli ospiti tutti i servizi smart che contraddistinguono la

catena tra cui: WI-FI veloce e gratuito nelle camere e nelle aree

comuni, Smart TV con Chromecast integrato, aria condizionata

e una ricca colazione a buffet con una vasta scelta di prodotti

dolci e salati. In aggiunta, una fitness room attrezzata, un

locale lavanderia e un comodo garage sotterraneo a pagamento

con quattro stazioni di ricarica per veicoli elettrici. Nella hall

dell’hotel, a disposizione di tutti gli ospiti, il B&Bar, dove si possono

degustare le specialità del giorno, in un ambiente moderno

e di design. Infine, dopo un tour della città o gli impegni di

lavoro, ci si può rilassare sulla terrazza all'ultimo piano ed ammirare

un panorama davvero mozzafiato della città.

www.hotelbb.com


Benessere e cura della persona

A cura di Antonio Pieri

Olio extravergine di oliva toscano IGP biologico:

alleato numero uno per il benessere della pelle

di Antonio Pieri

Con il freddo alle porte, è importante preparare

la pelle al cambiamento di temperatura per

evitare spiacevoli inconvenienti come screpolature,

arrossamenti o i cosiddetti “geloni”. Per fare

questo è essenziale l’utilizzo di prodotti per nutrire e

idratare la pelle in profondità, ovviamente naturali e

senza la presenza di parabeni, SLS e SLES.

Olio extravergine di oliva non solo in cucina

Un ottimo alleato per queste esigenze è l’olio extravergine

di oliva toscano IGP biologico. Infatti, questo

fantastico prodotto non è solo un ingrediente

immancabile nella tradizione culinaria italiana, ma è

anche un toccasana per la pelle. Grazie alla sua azione

antiossidante, l’olio extravergine di oliva toscano

IGP biologico previene l’invecchiamento cellulare e

cutaneo, contrasta i dannosi effetti dei radicali liberi

e la rarefazione dell’elastina e del collagene, responsabili

del progressivo stato di atonicità e secchezza

della pelle. Inoltre, nutre in profondità e aiuta a

ricostruire il naturale film idrolipidico superficiale,

fondamentale per la difesa dalle aggressioni esterne

(sole, luce, smog, fumo, etc.). L’olio extravergine

di oliva toscano IGP biologico non è un olio qualunque,

ma è unico nel suo genere. Si tratta infatti di una vera e

propria spremuta di olive, ricca di sali minerali e dalle forti

proprietà emollienti, lenitive e antinfiammatorie. Grazie

alla ricchezza delle sue sostanze benefiche, negli ultimi

anni la comunità scientifica internazionale e studi dermatologici

di comprovata serietà l’hanno accreditato come

l’alleato numero uno della pelle umana. Proprio per tutte

queste proprietà lo abbiamo scelto come principio attivo

basilare nella linea Prima Spremitura.

Una nuova veste grafica

In occasione della frangitura delle olive abbiamo deciso

di presentare la nuova veste grafica della linea Prima

Spremitura e i nuovi formati. I classici tubi in plastica da

200 ml di bagnoschiuma, shampoo, crema corpo e bal-

samo sono stati sostituiti con i più pratici tubi in plastica

riciclata da 100 ml. La scelta è stata dettata dal

nostro impegno quotidiano verso l’ambiente e dalla volontà

di renderli ancora più comodi da portare ovunque.

Infatti il formato da 100 ml può essere inserito senza problemi

anche nel bagaglio a mano dell’aereo. Abbiamo anche

aggiornato l’esclusivo formato “a cubo” da 500 ml di

bagnoschiuma, shampoo, crema corpo e sapone liquido.

Un formato pratico e comodissimo per le famiglie che

adesso presenta un erogatore verde che richiama ancora

di più le nostre amate olive e il principio attivo principale

dei prodotti Prima Spremitura: l’olio extravergine di oliva

toscano IGP biologico.

Vieni a scoprire i nuovi formati della linea Prima Spremitura

nel nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze.

Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

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OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA


Cosmetici Naturali e Biologici per il Benessere

La qualità naturale

si fa ancora più green

Natural quality

becomes even greener

nuovi tubi

in plastica

riciclata


Una banca coi piedi

per terra, la tua.

www.bancofiorentino.it

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