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La Toscana nuova Luglio-Agosto 2022

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La Toscana nuova - Anno 5 - Numero 7 - Luglio/Agosto 2022 - Registrazione Tribunale di Firenze n. 6072 del 12-01-2018 - Iscriz. Roc. 30907. Euro 3. Poste Italiane SpA Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv.in L 27/02/2004 n°46) art.1 comma 1 C1/FI/0074


Emozioni visive

Viva Fiorenza!

Testo e foto di Marco Gabbuggiani

Finalmente siamo di nuovo in piazza Santa Croce ad assistere

alle partite del Calcio Storico Fiorentino. Una tradizione popolare

che ha assunto un valore sempre più importante per il

nostro turismo. A differenza del Palio di Siena, dove le contrade

rimangono divise e ostili per tutto l’arco dell’anno, qui, nonostante

questo apparente odio a cui si assiste in campo durante

le partite, l’aggressività non lascia strascichi una volta finita la

disputa. Infatti, salvo rari casi, gli stessi giocatori che lottavano

violentemente per realizzare una preziosa caccia fino ad un

minuto prima, li vedi spesso abbracciarsi a fine partita. Insomma,

uno spettacolo che (nonostante le apparenze) ha una sua

valenza di sportività molto più genuina di quella che si rileva in

tanti sport molto più pacifici. Questo spettacolo ha avuto origine

nel 1530 con la celebre partita giocata per schernire gli assedianti

spagnoli che, convinti della resa della città, si trovarono

invece di fronte i fiorentini a giocare a pallone, per niente intimo-

riti dall’assedio. Ancora oggi questo gioco, ormai diventato tradizione

a Firenze, attrae una miriade di turisti e da quest’anno

ha messo ulteriormente a frutto la sua notorietà grazie all’operato

del sindaco Dario Nardella e del presidente del Calcio Storico

Fiorentino Michele Pierguidi (anche consigliere speciale del

Comune per le Tradizioni Popolari) che sono riusciti a vendere i

diritti ad Indiana Production, la quale, a sua volta, ha ceduto a

Dazn la divulgazione televisiva a livello mondiale della manifestazione,

ottenendo oltretutto garanzie di qualità di ripresa con

tecnologie all’avanguardia e con il drone. Grazie a questa operazione,

oltre a creare un utile per le casse comunali, è stato possibile

per i fiorentini assistere alle partite in chiaro con immagini

qualitativamente migliori. Ma adesso mi fermo qui con lo scritto

perché voglio lasciare maggior spazio ad alcune foto delle due

semifinali. Se volete, potete trovarne molte altre sulla mia pagina

Facebook Marco Gabbuggiani.

marco.gabbuggiani@gmail.com

Da oltre trent'anni una

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LUGLIO/AGOSTO 2022

I QUADRI del mese

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Il trittico di Nicolas Froment torna in Mugello con il progetto Terre degli Uffizi

Ancora un attimo per favore: il viaggio nella memoria di Giovanni Bogani

Percorsi d’arte: il convento e la chiesa di Santo Stefano degli Agostiniani a Empoli

Archeologia: Gerusalemme, la città santa delle tre grandi religioni monoteiste

Mostre in Toscana: 15 fotografe contemporanee omaggiano Francesca Woodman a Prato

Francesca Woodman, fotografa dell’autoritratto come strumento d’introspezione

Riitta Nelimarkka: libertà e anticonformismo di un’artista fuori dagli schemi

Grandi mostre: le origini esoteriche del Surrealismo alla Collezione Peggy Guggenheim

Curiosità storiche fiorentine: la festa di Sant’Anna in Orsanmichele

La commedia toscana: un genere cinematografico dalla lunga storia nel libro di Fabrizio Borghini

Alessandro Grisolini, dalla recitazione all’insegnamento per amore del teatro

H Zero Museum: un nuovo spazio a Firenze dedicato all’immaginario del treno

Viaggi di luce nella pittura di Marcello Ciampolini

Obiettivo scuola: presente e futuro della didattica secondo l’insegnante Laura Scartabelli

Dimensione salute: masticare lentamente per vivere con consapevolezza il momento del pasto

Psicologia oggi: guarire dall’anoressia recuperando il piacere di mangiare

I consigli del nutrizionista: come affrontare l’emergenza sovrappeso e obesità

Giganti dell’arte: Rosso Fiorentino, maestro del manierismo alla prova con un angelo

Benessere psicofisico: estate, oltre ad una stagione, uno stato d’animo

Eccellenze toscane: un e-commerce in Cina per le piccole e medie imprese made in Tuscany

Aristide Bruno, pittore dal naturalismo all’informale attraverso il colore

Lo sguardo lento della fotografia poetica di Nicoletta Cantore

Movimento Life Beyond Tourism: i Luoghi Parlanti diventano una guida con il Touring Club

Tutela dell’ingegno: con lo stop alle copie del David, mille passi indietro dopo Expo 2022

Intervista ad Anna Bini, medaglista, orafa e docente dalla lunga e prestigiosa carriera

Arte nel week-end: Villa Medicea di Poggio a Caiano, la residenza di Lorenzo il Magnifico

Caos e ordine, la poetica degli opposti nella pittura di Preben Frydkjær

Piccole storie da raccontare: una riflessione di Moravio Martini sulla vita e sulla morte

Ombre e luci di una storia femminile nel libro di Maria Antonietta Cencetti Pazzagli

Lorenzo Querci: un forte equilibrio figurale tra atmosfere sognanti e simboli

Personaggi: Donatella Alamprese, il tango, una voce, tante storie

Polvere di stelle: Riccardo Muti, il piacere dell’onestà

Arte e scienza: gli inaspettati effetti della musica sulla qualità del vino

Giuliana Bertieri a Bolgheri con la personale Insolite cose comuni

Il cinema a casa: Her, la spersonalizzazione dell’uomo nella metropoli di Spike Jonze

Lo sguardo inedito di Luca Nossan sulla meraviglia del creato

Nuove proposte dell’arte: Sherry Farsad, la pittrice dell’anima

Itinerari del gusto: Fornace dei Medici, alta cucina sulle colline alle porte di Firenze

Arte del vino: il Viaggio di Landò

A Sesto Fiorentino, l’edizione 2022 del premio Medaglia Leonardiana

Eventi in Italia: i premiati della seconda edizione del Tamara Art Award 2022

Le “donne corsive” della scultrice Alexandra van der Leeuw conquistano Venezia

Riflessioni sulla fede: Carlo Acutis, una storia di santità al tempo di Internet

La ricerca della bellezza universale nei dipinti di Silvia Cerio

Toscana a tavola: spigola al Ronchì Pichi, un piatto per l’estate

“A tavola con” Pamela Villoresi, celebre attrice e regista con la Toscana nel cuore

Nuovi servizi e un’offerta superior per i clienti di B&B Hotels Italia

Cura della persona: proteggere pelle e capelli dopo l’esposizione al sole

Flavio Benvenuti, Ponte a Vicchio, olio su tela

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Loretta Casalvalli, Rose del nostro giardino,

olio su tavola, cm 50x60

loretta.casalvalli@live.it

In copertina:

Nicolas Froment (1430-1486), Resurrezione di Lazzaro, pannello centrale del trittico con Resurrezione di Lazzaro /

Storie di Marta e Maria (1461), olio su tavola, cm 134x350 (opera intera), Gallerie degli Uffizi (ph. Carlo Midollini)

Periodico di attualità, arte e cultura

La Nuova Toscana Edizioni

di Fabrizio Borghini

Via San Zanobi 45 rosso 50126 Firenze

Tel. 333 3196324

lanuovatoscanaedizioni@gmail.com

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Anno 5 - Numero 7 - Luglio/Agosto 2022

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Alberto Desirò

Lorenzo Franchi

Marco Gabbuggiani

Silvia Lelli

Carlo Midollini

Todd Rosenberg

Francesca Woodman

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Pola Cecchi e...

l’incredibile

magia

di un incontro

Può uno splendido

foulard sposarsi alle

linee sinuose dell’alta

sartoria e trasformarsi

in un prezioso

abito da sera?

Può da questo

prendere l’aspetto

brioso di un

abito da cocktail?

E ancora salire a bordo

di incantevoli yacht

esibendo le curve

morbide e intriganti di

un abito da barca?

La frusciante

leggerezza dell’estate

è un miracolo nato

dalla collaborazione tra

l’Associazione Amici

del foulard - disegno

dell’artista Grazia

Tomberli - e la verve

creativa di Pola Cecchi.

Qui, insieme, in piazza

Ognissanti, per la Cena

sotto le Stelle a favore

di ATT, Associazione

Tumori Toscana.

Modella per un giorno

Letizia Dei, soprano.

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Giuliacarla Cecchi

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via J. da Diacceto, 14 - Firenze

Sito:

www.giuliacarlacecchi.com

Facebook:

Atelier Giuliacarla Cecchi

Instagram:

ateliergiuliacarlacecchi



Eventi in

Toscana

Terre degli Uffizi a Scarperia e San Piero a Sieve

Dopo quasi duecento anni il trittico di Nicolas Froment torna nel Convento di Bosco ai Frati

Maria Grazia Dainelli / foto Carlo Midollini e Cristina Andolcetti

Dal 1° giugno al prossimo 6 novembre

il trittico con le Storie di Lazzaro,

Marta e Maria, realizzato dal

pittore francese del Quattrocento Nicolas

Froment, torna dopo duecento anni al Convento

di Bosco ai Frati (San Piero a Sieve)

da dove era stato rimosso, a seguito delle

soppressioni napoleoniche e granducali del

1808/10. Il dipinto venne allora trasferito a

Firenze, presso il monastero di San Niccolò

di Cafaggio, e successivamente nel 1841

nelle Gallerie degli Uffizi, dove, non facendo

parte della collezione esposta, fu conservato

nei depositi. L’iniziativa si inserisce

nell’ambito di Terre degli Uffizi, programma

espositivo promosso da Gallerie degli

Uffizi e Fondazione CR Firenze all’interno

dei rispettivi progetti Uffizi Diffusi e Piccoli

Grandi Musei, ed è organizzata dall’Unione

Montana dei Comuni del Mugello in collaborazione

con il Comune di Scarperia e San

Piero e lo stesso Convento di Bosco ai Frati.

L’opera, dipinta dal pittore avignonese Nicolas Froment

nel 1461, raffigura le storie di Maria e Marta di Betania e la

Il trittico di Nicolas Froment

resurrezione del fratello Lazzaro. Quest’ultimo episodio è

raffigurato nel pannello centrale, con Gesù che pronuncia

le parole che si vedono scritte sulla

sua veste in caratteri d’oro Lazare

veni foras e Lazzaro che si erge

dal sepolcro sotto lo sguardo atto-

via Provinciale 5 e

Scarperia e San Piero (FI)

055 8498108

Le due raffigurazioni sul verso del trittico: sull’anta destra il vescovo Francesco Coppini in preghiera e sull’anta

sinistra la Vergine con il Bambino

TERRE DEGLI UFFIZI

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Presentazione della mostra: da sinistra il presidente dell’Unione Montana Comuni del Mugello e sindaco di Dicomano Stefano Passiatore, il sindaco di Scarperia

e San Piero e assessore al Turismo dell’Unione Montana Comuni del Mugello Federico Ignesti, fra Mario Panconi, il presidente della Fondazione CR Firenze Luigi

Salvadori e il direttore delle Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt

nito delle sorelle Marta e Maria, entrambe piangenti. Sullo

sportello di sinistra è rappresentata la scena in cui Marta

va incontro a Gesù per avvisarlo della morte del fratello,

mentre sull’anta destra si vede Maria che rende omaggio

a Gesù ungendogli i piedi con un balsamo profumato; sul

verso dell’opera sono rappresentati invece la Vergine con

il Bambino (anta sinistra) e Francesco Coppini in ginocchio

(anta destra). Influenzato dalla pittura fiamminga, Nicolas

Froment delinea le fisionomie dei personaggi con

caratteri somatici molto caricati e manifesta un gusto per

il dettaglio portato all’estremo nella rappresentazione delle

vesti e degli oggetti che richiamano il fasto delle corti;

il paesaggio sullo sfondo evoca invece il mondo fiabesco

nordeuropeo del XV secolo. Sembra che l’opera sia stata

commissionata dal vescovo Francesco Coppini nel corso

delle sue missioni diplomatiche e che alla sua morte il dipinto

sia stato acquistato dalla famiglia Medici e donato

al convento mugellano da Piero il Gottoso, figlio di Cosimo

il Vecchio. Il trittico di Froment è attualmente ospitato

nella stessa sala del convento dove si trova anche il

Crocifisso ligneo attribuito a Donatello. Il direttore delle

Gallerie degli Uffizi Eike Schmidt ha così commentato l’iniziativa:

«Pochi sanno che alcuni capolavori assoluti della

storia dell’arte francese si trovano in Italia. Tra le opere

del primo rinascimento spicca il trittico di Froment appartenente

agli Uffizi e oggi tornato nel suo luogo di origine

dopo il restauro di alcuni anni fa finanziato dall’associazione

Amici degli Uffizi. Lo avevamo già presentato agli

Uffizi nella Sala del Camino per documentare il recupero

il dipinto e in un prossimo futuro farà parte di una nuova

sezione delle Gallerie dedicata al Rinascimento d’oltralpe.

Come già avvenuto per tutte le altre iniziative di Terre degli

Uffizi, sono certo che anche la mostra di Bosco ai Frati

avrà molti visitatori, i quali potranno ammirare l’opera in

un luogo spirituale che stimola all’osservazione e alla meditazione.

Un evento espositivo unico anche perché consente

di scoprire gli altri tesori del convento, del museo

e della chiesa di recente riapertura dopo il terremoto del

2019». «Questo affascinante progetto Terre degli Uffizi –

ha dichiarato il presidente della Fondazione CR Firenze Luigi

Salvadori – sta riscontrando grande successo perché

permette di riscoprire tesori meno noti del nostro territorio

ma non per questo meno affascinanti. È una grande

soddisfazione per me lavorare in squadra con gli Uffizi

per rilanciare il valore universale dell’arte soffermandosi

www.lalocandasanbarnaba.com

8 TERRE DEGLI UFFIZI


Il Convento di Bosco ai Frati (ph. Cristina Andolcetti) Il refettorio del convento con L’Ultima Cena in terracotta del 1934

sui significati e sulle intense emozioni

che questa riesce a sprigionare.

Il convento di San Piero a Sieve,

immerso tra i cerri e molto caro a

Cosimo il Vecchio, nella sua storia

millenaria ha visto passare ben cinque

papi e, tra queste mura, Donatello

e Beato Angelico hanno creato

alcuni dei loro maggiori capolavori.

Il ritorno della pala d’altare riaccende

i riflettori su questo gioiello nascosto

che, siamo certi, affascinerà

e sorprenderà coloro che visiteranno

quest’oasi di silenzio, preghiera

e stupefacente bellezza». Particolare

soddisfazione per l’iniziativa

è stata espressa anche dal presidente

dell’Unione Montana Comuni

del Mugello e sindaco di Dicomano Stefano Passiatore:

«Il Mugello è un territorio ricco di opere d’arte e di storia

che s’intrecciano con i nomi degli artisti che hanno fatto

grande Firenze e la Toscana. Oltre al Museo di San Bonaventura

a Bosco ai Frati, abbiamo un sistema museale di

altri diciassette piccoli musei che ci auguriamo possano

in futuro ospitare altri tesori delle Gallerie degli Uffizi, per

offrire a cittadini e turisti un’occasione a dir poco unica.

Il trittico di Froment, che torna dove è stato per secoli, in

un luogo vocato alla preghiera e all’introspezione, diventa

un segno di speranza, un’opportunità imperdibile oltre

che un motore di sviluppo territoriale e turistico». Il sindaco

di Scarperia e San Piero nonché assessore al Turismo

A sinistra il Crocifisso ligneo attribuito a Donatello e a destra il trittico di Nicolas Froment

dell’Unione Montana Comuni del Mugello Federico Ignesti

ha aggiunto: «È importante per noi ospitare questa mostra

sul nostro territorio perché ci ricorda che è possibile gustare

il bello solo quando si vive in pace e in democrazia,

cosa che purtroppo da altre parti del mondo non avviene.

La voglia di portare avanti valori di condivisione attraverso

la cultura e l’arte serve a far dialogare i popoli e ad avvicinare

la comunità ai luoghi che fanno parte della nostra

identità. In questo convento, dove San Bonaventura da Bagnoregio

ricevette gli abiti cardinalizi e dove ancora oggi

operano i francescani che hanno riaperto l’attività liturgica,

ci viene offerto un momento di riflessione interculturale

sulla dignità dell’uomo e sulla fratellanza. Questa

importante testimonianza del nostro

passato nobilita ulteriormente le terre

del Mugello e la loro storia, comunicando

i nostri costumi, il modo di vivere,

la democrazia e il bello, aspetti

sui quali si fondono valori e diritti di

una comunità civile».

Viale J.F.Kennefy 25

Scarperia e San Piero (FI)

0552029621

www.boscoaifrati.org

TERRE DEGLI UFFIZI

9


I libri del

mese

Giovanni Bogani

Ancora un attimo, per favore: un viaggio nella memoria che mette a nudo l’anima

di Erika Bresci

Andremo piano, una passeggiata al giorno, di ricordo

in ricordo, e quando non ci sarà più niente da ricordare,

mi canterò una piccola ninna nanna che

«sentirò solo io, e forse sentirai anche tu». Un camminare, lento,

questo di Giovanni Bogani – giornalista, critico cinematografico,

scrittore di saggi e di romanzi – che prende avvio da un evento

doloroso. La morte della madre. Una «straordinaria vita qualunque»,

spezzata in un giorno di marzo altrettanto qualunque.

Vissuto come feroce tradimento (della madre, del destino?), una

ferita nella carne difficile da rimarginare, se al titolo del primo

dei 496 attimi, uno per pagina, ripescati dalla memoria per essere

offerti all’occhio del cuore proprio e del lettore, diamo il giusto

peso: “Idi di marzo”. Chi eri, mamma? Che cosa è andato perduto

nel dialogo assente che non siamo mai riusciti a costruire,

lontani cento metri, due vite trascorse in parallelo, cosa si

nascondeva in quell’«amore arruffato, fuori tempo e fuori modo»?

Domande che pongono sul limite dell’abisso, e costringono

a sporgersi verso il nulla, per tentare la risposta. Ancora un

attimo, per favore è, per questo, prima e oltre tutto un libro coraggioso.

Perché non c’è retorica in alcuna delle parole gridate

e, per la maggior parte, sussurrate, in alcuno dei silenzi seminati,

in alcuna delle immagini riaffioranti dalla polla dei ricordi. Un

libro di disarmante nudità, in cui si è disposti a mostrare il petto

pur di arrivare a ricostruire, per quanto è possibile, la collana di

perle – spesso lacrime ma con pagliuzze iridescenti di ironia –

che corrispondono ai battiti di un tempo passato e sempre presente.

Dal quale emergono non solo la madre ma, tra gli altri,

soprattutto il padre, anima candida crocefissa in un corpo malato,

e la nonna Minnie, con cui evidenti sono le affinità elettive:

«I tuoi quadri erano fatti di memoria. Un po’ come forse, adesso,

accade a me, con questi piccoli quadretti, questi acquerelli

fatti di parole». Storia familiare e storia del Novecento si intrecciano

in percorsi comuni. Così i mille sogni della piccola borghesia

del dopoguerra, la seconda casa, un’automobile dignitosa, la

pelliccia e qualche gioiello da mostrare, sono anche i sogni domestici

di una madre (auto)confinata in una realtà di quartiere –

quello delle Cure prima, di Rifredi poi – che rivive nelle figure e

nelle cose di una Firenze che non c’è più. Dove si respira il ribollire

inquieto di una gioventù in aperto contrasto con le tradizioni

e il vecchio mondo dei padri, gioventù che supera la siepe del

borgo antico per esplorare quella che Europa non è ancora. Anni

di giradischi, chitarre, viaggi all’avventura, biciclette e motorini

Ciao (soppiantati poco più tardi dalla mitica Vespa). Una pagina,

un racconto. In ciascuno dei quali il lettore potrà ritrovare anche

una parte di se stesso, o imparare a conoscere le pieghe umorali

di un’Italia dalle mille speranze e dalle infinite contraddizioni.

Insieme ai tanti nomi dei personaggi incontrati – alcuni solo

di sfuggita, altri rimasti per sempre amici – da Giovanni Bogani

nei suoi anni di professione giornalistica, e qui ricordati. Anche

percorrere il libro sarà una scoperta. Lo si potrà fare saltando

qua e là, o fermandosi su un racconto a sera, o, come consiglio,

leggendolo tutto di seguito, rispettandone la scansione dei fogli

di cui si compone. Perché le «singole pagine concluse, perfette,

valide ciascuna per sé» sono «al tempo stesso inserite in un tutto

in progressione, come i cerchi concentrici nell’acqua di un lago

profondo», come rammenta Simone Casini nella postfazione.

Infatti nell’arco delle oltre cinquecento pagine, episodi riemersi

tornano, rivestendosi ogni volta di nuovi particolari, di scorci inediti,

di visuali prospettiche, di colori, come se in quella profondità

del pozzo ci fosse sempre acqua nuova da trarre alla luce.

Acqua e segreti. Tanti, confessati adesso alla madre che non c’è

più per dare un senso di pace a questo dedicato e appassionato

nostos. Libro di segreti svelati e di Mistero che resta invece irrisolto.

Perché al di là del velo di Maya, oltre le colonne d’Ercole,

Ulisse precipita nel silenzio di un infinito, di un’eternità che non

conforta. Noi ci proviamo, alla Marzullo, allora, cambiando un

solo accento al titolo: àncora un attimo, per favore. E restiamo in

rada, godendoci il tramonto. O forse l’alba.

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GIOVANNI BOGANI


A cura di

Ugo Barlozzetti

Percorsi d’arte

in Toscana

Il convento e la chiesa di Santo Stefano

degli Agostiniani a Empoli

di Ugo Barlozzetti

La chiesa di Santo Stefano si trova nel centro

storico di Empoli e fu eretta dagli agostiniani

nel 1367. Nel XVIII secolo andò incontro

a radicali modifiche e, con la soppressione del

1808, divenne proprietà demaniale. Subì inoltre molti

danni per opera dei tedeschi nel 1944, per poi essere

restituita al culto, mentre parte del complesso

conventuale è rimasto di proprietà comunale ed è

utilizzato per iniziative culturali. La chiesa del convento

aveva anche un elegante campanile alto 46

metri, progettato da Jacopo Landini ed eretto tra il

1618 e il 1686 sul modello del campanile della chiesa

agostiniana di Santo Spirito a Firenze. L’interno

è scandito da massicci pilastri nella parte centrale

che dividono l’ambiente in tre navate, con quattro

cappelle a sinistra, cinque a destra e tre absidali. La

copertura è a capriate in vista. La struttura ha due

grandi oratori dove ebbero sede la Compagnia della

Croce e la Compagnia della Santissima Annunziata,

che avevano anche cappelle all’interno della

Casa della cornice

www.casadellacornice.com

chiesa. Notevole è il patrimonio di scultura e pittura che testimonia

l’importanza del complesso grazie alla presenza di opere

di grandi maestri. La cappella della Santissima Annunziata

a destra dell’altare maggiore fu affrescata da Gherardo Starnina

(notizie tra il 1387 e il 1409), artista che aggiornò l’ambiente

fiorentino delle più recenti esperienze tardogotiche, con

un ciclo di storie della Vergine di cui restano un frammento

con un San Jacopo in loco e altri invece ora al Museo della

Collegiata di Sant’Andrea. Ancora più a destra vi è l’oratorio

della Compagnia della Santissima Annunziata che sull’altare

ha il gruppo dell’Annunciazione di Bernardo Rossellino (1409-

1464), uno dei protagonisti della scultura fiorentina del Quattrocento.

La cappella del Santissimo Sacramento è dal 1505

l’oratorio della Compagnia della Croce e aveva sull’altare una

Deposizione di Ludovico Cardi detto Il Cigoli (1559-1613), figura

di straordinario interesse, amico di Galileo Galilei oltre

che pittore, scultore, architetto, scenografo, interessato alla

musica e accademico della Crusca. La sua opera fu acquisita

dal granduca Ferdinando II e sostituita da una copia di Anton

Domenico Gabbiani (1652-1726), che a sua volta era uno

dei pittori più apprezzati a corte. La

cappella di Sant’Elena fu decorata

da Masolino (1383-tra il 1440 e il

1447) con Storie della Croce in gran

parte distrutte dai rimodernamenti

del 1792. La cappella della Maddalena,

la quarta a destra, conserva

affreschi con storie della vita della

Santa, opere di Stefano d’Antonio

Masolino da Panicale, Vergine col Bambino tra due angeli, affresco, lunetta nella chiesa di

Santo Stefano degli Agostiniani, Empoli

di Vanni (1405-1483), uno degli ultimi continuatori della pittura

di gusto tardogotico, collaboratore di Bicci di Lorenzo (1373-

1452). La cappella di Sant’Antonio di Tolentino, la prima a sinistra,

conserva un dipinto di Bicci di Lorenzo, San Nicola da

Tolentino che protegge Empoli dalla peste (1445), incorniciato

nel 1634 con una tela con la Madonna del Rosario di Francesco

Furini (1603-1646), uno dei più interessanti maestri della

pittura toscana della prima metà del Seicento. La cappella di

Santa Caterina fu affrescata da Ottavio Vannini (1585-1643)

e vi è anche un Martirio di Santa Caterina di Rutilio Manetti

(1571-1639) del 1621. Nella cappella dell’Assunta si trova

una Madonna assunta e Santi, opera del 1659 di Mario Balassi

(1604-1667), pittore che fu anche al seguito del condottiero Ottavio

Piccolomini, uno dei protagonisti militari della Guerra dei

Trent’anni. Nella cappella del presbiterio, a sinistra dell’altare

maggiore, c’è L’adorazione dei pastori di Domenico Cresti detto

Il Passignano (1559-1639), del 1621. Nella cappella della Purificazione

si trovava una pala di Jacopo Chimenti detto l’Empoli

(1551-1640), opera distrutta nel 1944 e sostituita da una

copia antica del San Giovanni Battista di Caravaggio. Di Masolino

vi sono inoltre un Sant’Ivo e i pupilli nel transetto, in una lunetta

con la Vergine col Bambino sopra la porta alla sagrestia.

Adiacente all’edificio ecclesiastico, il chiostro, di gusto rinascimentale,

è impostato su due livelli: la parte inferiore consta di

arcate a tutto sesto su colonne, la parte superiore è una loggia.

Per un’adeguata conoscenza di questo vero e proprio scrigno

vi è l’eccellente monografia di Walfredo Siemoni Santo Stefano

a Empoli / La chiesa e il convento degli agostiniani edito da Polistampa

a Firenze nel 2013.

SANTO STEFANO

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Quando tutto

ebbe inizio…

A cura di

Francesco Bandini

Gerusalemme, la città santa delle

tre grandi religioni monoteiste

Testo e foto di Francesco Bandini

Bandini con la copia del David del Verrocchio donata dalla città di Firenze alla

città di Gerusalemme per i tremila anni di storia dalla sua fondazione

Una vera e propria storia d’Israele, documentata come

tale, non data da prima dell’XI-X secolo a. C.,

mentre si pensa che la raccolta dei testi scritti che

formano la tradizione biblica non sia anteriore al ritorno

degli Ebrei dalla deportazione di Babilonia del V secolo a.

C. Da quel tempo si fa strada l’idea di un Dio unico grazie a

gruppi di ebrei “discendenti di Giacobbe”, residente in Egitto

in seguito alla dislocazione nella “terra di Gessen” (o dei

Gebusei), i quali sarebbero stati impressionati o comunque

ispirati dal “monoteismo solare” di Akhnaton. È probabile

che il nome che viene indicato “Yerushalaim” sia connesso

alla radice del verbo yarab (“fondare”) e col nome della divinità

semitica Shalim o Shalom, correlato alla parola che

indica la pace. Dai reperti archeologici sappiamo del primo

insediamento del paleolitico anche se la fondazione vera e

propria della città si ha nell’età del bronzo all’alba del II millennio

con la presenza degli Amorrei e la prima recinzione

di mura e torri. Più o meno mezzo millennio dopo, la città

sulla collina di Sion comincia ad essere popolata in modo

misto, con la prevalenza di un’aristocrazia militare e delle

genti hurrite di lingua indoeuropea. Nella seconda metà del

II millennio a. C. dagli Habiru (“nomadi”) dovrebbe derivare

il nome di ebrei, affine agli idiomi consonantici arabi che

invasero quella che la Bibbia chiamerà “la terra di Canaan”.

Appartenevano a questi gruppi di nomadi quelle genti che,

vantando una discendenza abramitica, si spostarono ad

ondate successive spinte dalle ricorrenti carestie in Egitto.

È nel XIII secolo a. C. che verosimilmente si colloca la storia

di Mosè (ma le fonti egizie non ne parlano), dalla sua

adozione nella famiglia reale egizia al suo matrimonio nella

regione di Madian, al fatidico colloquio con Dio nel roveto

ardente (l’attuale monastero di Santa Caterina nel Sinai

definito “dimora di Dio”), dove Mosè avrebbe poi ricevuto le

Tavole dei Comandamenti. Trascorsi quarant’anni nel deserto,

ecco di nuovo gli ebrei nella terra di Canaan dove si

trova, tra l’XI e il X secolo a. C., la città conquistata dal re

David, figlio di Jesse della tribù di Giuda. L’Arca dell’Alleanza

con le tavole e le reliquie dell’esodo venne posta nella

rocca sull’Ofel. Gerusalemme è così la nuova capitale

del regno. La massa del tempio domina ancora oggi l’impianto

urbano della città vecchia, quella tuttora circondata

dalle mura di età crociata. La parte superiore di quel che

resta dell’antica mole del tempio è occupata da un immenso

piazzale, l’Haram-ash-Sharif (“nobile recinto”) intorno al

quale sono disseminati vari edifici di grande importanza

storica. Tra essi si distinguono la Cupola della Roccia detta

anche Moschea di Umar, in onore del califfo che nel 638

conquistò la città togliendola al controllo dell’impero romano

d’Oriente. Il tempio viene edificato sul monte Moriah

dove, secondo la tradizione, Abramo avrebbe predisposto

il sacrifico d’Isacco. I musulmani chiamavano e continuano

a chiamare Gerusalemme “al Quds” la Santa. Secondo

una celebre tradizione, Muhammad fu trasportato in una

notte del 619 dalla Mecca fino alla al-Aqsa (“la lontana”)

in Gerusalemme per intraprendere l’ascesa ai cieli in sella

al cavallo al-Buraq, secondo la più citata opera poetico-religiosa,

il Kitab-al-Miraj (“il libro della Scala”), portato, nella

seconda metà del Duecento, in traduzione latina, dalla

Spagna a Firenze, da Brunetto Latini, che lo avrebbe fatto

conoscere al più illustre dei suoi allievi, Dante Alighieri.

Con detta leggenda, le maestranze islamiche intesero

in qualche modo far concorrenza alla cupola dell’Anastasi

con l’ascesa ai cieli di Gesù. Oggi Gerusalemme è di fatto

la capitale dello Stato ebraico d’Israele, ma sul piano internazionale

tutta la vita religiosa e lo straordinario patrimonio

archeologico della città, con la presenza di santuari

collegati ai vari culti (vedi la cattedrale costantiniana del

Santo Sepolcro), fanno sì che venga considerata “la santa

dimora di Dio in terra”, concetto condiviso da tutti i credenti

sparsi nel mondo. Ancora brevi cenni sulla recente

12

GERUSALEMME


Francesco Bandini, L'interno del Duomo della Roccia (o Moschea di Omar) a

Gerusalemme, penna e acquerello

La Cupola della Roccia

Francesco Bandini, L'ingresso alla basilica costantiniana del Santo Sepolcro,

penna e acquerello

storia. Ai tre secoli di sudditanza dell’impero bizantino di

Costantino seguirono gli Ommayadi, gli Abbasidi e i Fatimidi

che scatenarono una vera e propria persecuzione contro

i cristiani provocando così la prima crociata del 1099. Ancora

i Mamelucchi (1254-1382), i Circassi (1382-1517) e

lo splendido periodo del Califfo Solimano detto il Magnifico

(1542). Nel dicembre 1917, i Turchi, sotto l’incalzare

dell’offensiva alleata (guerra mondiale 1915-1918), abbandonarono

Gerusalemme e la città nel 1920 fu dichiarata

capitale della Palestina sotto mandato inglese, fino a quando

l’ONU nel 1947 rese la città internazionale. Seguiranno

scontri armati fra israeliani e giordani al termine dei quali

(1986), con la guerra detta “dei sei giorni”, la città fu dichiarata

capitale dello Stato d’Israele. Ma questa è storia

dei nostri giorni. Con il breve riferimento alla “guerra dei

sei giorni” mi permetto però di ricordare con orgoglio quello

che io ritengo essere un mio contributo personale. Proprio

in quegli anni avevo presentato al Forte Belvedere un

mio progetto di recupero delle antiche mura medievali di

Firenze. Il progetto pubblicato (Su e giù per le antiche mura,

Ed. Alinari) e l’intero apparato che

ne faceva parte furono esposti in varie

città di tutto il mondo, compresa

Gerusalemme dove combinazione

volle che la vedesse David Cassuto,

un giovane fiorentino andato volontario

a Gerusalemme, poi divenuto

vicesindaco di quella città. Fu in tale

occasione che Cassuto mi chiese

di collaborare al restauro delle mura

della Città Santa, dove in seguito ebbi

modo di collocare presso le stesse

mura (Porta di Giaffa), nella mia

veste di dirigente del settore cultura,

una copia bronzea del David del Verrocchio

quale dono della città di Firenze

alla città di Gerusalemme per

i tremila anni di storia dalla sua fondazione.

GERUSALEMME

13


Mostre in

Toscana

Mirrors

Dal 3 all’11 settembre a Prato quindici fotografe contemporanee omaggiano

Francesca Woodman con una mostra sull’autoritratto

di Maria Grazia Dainelli / foto Alberto Desirò

Dal 3 all’11 settembre 2022, la Sala Campolmi a Prato

ospita la collettiva di fotografia contemporanea intitolata

Mirrors. Promossa ed organizzata da AD Gallery

di Alberto Desirò, in collaborazione con Vittorio D’Onofri, Romina

Sangiovanni ed Erika Lacava, e patrocinata dal Comune

di Prato, la mostra vuole essere un tributo a Francesca Woodman,

una delle più importanti fotografe del secondo Novecento

vissuta fra gli Stati Uniti e l’Italia, in particolare Firenze e Roma.

Tutta la sua produzione fotografica, concentrata nell’arco

di tempo di nove anni, vive nel rapporto tra il corpo della Woodman,

oggetto e soggetto dei suoi scatti, e il suo sguardo. Protagoniste

della mostra quindici artiste – Arianna Marchesani,

Chiara Dondi, Giorgia Bellotti, Gloria Marco Munuera, Ilaria Feoli,

Ingrid Strain, Isabella Quaranta, Maria Chiara Maffi, Rossana

Battisti, Michela Goretti, Montserrat Diaz, Paola Tornambè,

Paola Perrone, Rossana Battisti, Teresa Letizia Bontà, Patrizia

Mori, Paola Rizzi, Giovanna Lacedra, Alita Santanatoglia, Annalisa

Lenzi, Erica Campanella, Greta Di Lorenzo, Federica Gonnelli,

Valeria Lobbia, Camilla Biella – che, ispirandosi al lavoro

della Woodman, si sono cimentate nell’autoritratto fotografico

allo specchio per indagare il proprio sé ed esprimere la propria

identità. L’autoscatto è molto diffuso come strumento di

introspezione e come momento di riflessione sulla percezione

di sé stessi sia come soggetto di narrazione che come oggetto.

Autorappresentarsi con lo strumento fotografico permette

all’artista di evitare mediazioni, funziona come uno specchio

attraverso l’utilizzo di due elementi magici: il corpo e la macchina

fotografica. Durante la serata inaugurale dell’evento le artiste

incontreranno il pubblico per spiegare i loro lavori.

www.adgallery.it/eventi/mirrors

MIRRORS - Evento di fotografia Contemporanea - Sala

Campolmi - Prato

AD Gallery Mirrors - Facebook: Mirrors

FOTOGRAFIA PASSIONE PROFESSIONE IN NETWORK

www.universofoto.it

Via Ponte all'Asse 2/4 - 50019 Sesto F.no (Fi) - tel 0553454164

14

MIRRORS


Alberto Desirò

Fotografo professionista, è fondatore e coordinatore di AD Gallery - Fotografia Contemporanea

di Maria Grazia Dainelli / foto Alberto Desirò

Fotografo professionista, fondatore e coordinatore di

AD Gallery - Fotografia Contemporanea, realtà espositiva

con sede a Firenze aperta soprattutto a fotografi

italiani per mostre personali e collettive, Alberto Desirò

è specializzato nei generi del ritratto, del nudo, della moda,

dello still life, dell’architettura, dell’arredamento e nella ideazione

di immagini pubblicitarie. Si occupa anche di reportage

per eventi e matrimoni e di fotografia pubblicitaria e

commerciale finalizzata alla produzione di cataloghi e pubblicazioni.

Parte integrante del suo lavoro è anche l’ideazione,

l’organizzazione e la curatela di progetti espositivi che

si contraddistinguono per la meticolosa cura dei particolari,

l’attenzione verso gli artisti e le loro opere e la relazione

costruita con il pubblico. Alla base vi

è una profonda conoscenza delle pratiche

curatoriali più innovative nel mondo

della fotografia contemporanea,

intesa come uno strumento capace di

costruire un rapporto unico con la realtà

e di far riflettere le persone sulle dinamiche

dell’odierna società. Nel 1991,

Alberto ha conseguito il Master in Fotografia

Pubblicitaria presso l’Istituto Europeo

di Design di Roma e nel 1999 il

Alberto Desirò

Master in Multimedia all’Istituto Europeo di Design di Milano.

Tra il 1999 e il 2016 si è occupato di formazione e ricerca

in particolare nei

settori di fotografia,

tecnologie software

per video e soluzioni

per il Web. È stato

inoltre docente in corsi

di teoria e tecnica

della fotografia del ritratto,

fotografia per

le aziende e fotografia

creativa per scuole

ed enti.

Hair

Intimo

www.adphotography.it

MIRRORS

15


Cinzia Pistolesi

www.cinziapistolesi.com

cinzpistol@virgilio.it


A cura di

Nicola Crisci e Maria Grazia Dainelli

Spunti di critica

fotografica

Francesca Woodman

La fotografa dell’autoritratto come strumento d’introspezione

di Nicola Crisci / foto Francesca Woodman

Nata nel 1958 a Denver (USA) da padre pittore e madre

ceramista, Francesca Woodman si cimenta nella

fotografia precocemente all’età di 13 anni. Vissuta

per diverso tempo in Italia, è morta suicida nel 1981 all’età

di 23 anni lanciandosi nel vuoto da un palazzo di New York.

Pur avendo avuto una breve carriera artistica, ha realizzato

molte fotografie e sei quaderni scritti tra il 1977 e il 1978

durante un soggiorno-studio a Roma. Nel gennaio del 1981

ha pubblicato la collezione di fotografie dal titolo Some Disordered

Interior Geometries, nella quale ricorrono alcuni dei

temi caratteristici della sua ricerca, vale a dire corpo e spazio,

presenza e assenza, identità e metamorfosi. Un’artista

dal talento visionario che continua ad affascinare il pubblico

ancora oggi, nonostante siano trascorsi trent’anni dalla

sua scomparsa. Filo conduttore delle sue fotografie è l’indagine

introspettiva attraverso l’autoritratto, mezzo con cui riprendere

se stessa per mettere a fuoco la propria identità.

Nella maggior parte delle fotografie ritrae il suo corpo celandolo

alla vista e nascondendo il volto con i capelli, con il taglio

dell’inquadratura oppure sfocando l’immagine. Il corpo

diventa un potente strumento espressivo messo in relazione

con l’ambiente circostante, in una sorta di mimetizzazione

che lo fa diventare evanescente fino quasi a scomparire.

La scelta di mimetizzarsi corrisponde alla necessità di uniformarsi

con il mondo senza tuttavia riuscirci perché il corpo

reagisce cercando di allontanarsi e di sfuggire in un costante

conflitto. Il nudo è per lei un’esigenza che va al di là delle

implicazioni di natura erotica per coincidere invece con

una ricerca di autenticità. L’autoscatto di Francesca Woodman

unisce il realismo della tradizionale fotografica americana

alla dimensione psicologica del surrealismo, anticipando

in un certo senso l’odierna moda del “selfie”. Rendendo se

stessa protagonista, ha raccontato la storia della sua vita,

l’ha scritta sulla pellicola attraverso l’unico linguaggio che

amava: la fotografia. A Roma, nelle cantine di Palazzo Cenci,

ha realizzato il progetto intitolato Self-deceit (Auto-inganno),

servendosi di uno specchio quadrangolare, o meglio di

un grande frammento di esso, per mettere in scena immagini

surreali che delineano un drammatico conflitto tra se stessa

e la propria immagine. Francesca Woodman ha arricchito

la fotografia tradizionale, soprattutto quella americana, con

la complessità del suo mondo interiore, del suo dialogo interno.

Di sé diceva: «La mia vita a questo punto è paragonabile

ai sedimenti di una vecchia tazza da caffè e vorrei piuttosto

morire giovane, preservando ciò che è stato fatto, anziché

cancellare confusamente tutte queste cose delicate».

FRANCESCA WOODMAN

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Riitta Nelimarkka

Libertà e anticonformismo di un’artista fuori dagli schemi

di Daniela Pronestì

Artista, produttrice, regista, esperta di

musica: quella di Riitta Nelimarkka è

una creatività a tutto tondo che ben

si riflette nella grande varietà di tecniche e di

spunti ispirativi alla base delle sue opere. Si

va dal fotomontaggio all’arte tessile – soprattutto

lana e velluti –, dal disegno alla serigrafia,

passando attraverso tematiche attinte dal

cinema, dalla letteratura, dalla musica e ovviamente

anche dall’esperienza personale. Il

risultato è un linguaggio dalle mille sfaccettature

e per questo difficile da incasellare in

un unico genere soltanto o in una precisa definizione.

Potremmo parlare piuttosto di un’opera

d’arte totale nella quale, ricalcando la

tradizione ottocentesca e romantica dell’intima

fusione tra le arti, si avverte l’aspirazione

al raggiungimento di una sintesi tra pittura,

musica, scultura, parola e danza. Il rilievo

materico dei tessuti, lo sviluppo coreografico del segno,

gli accordi e le dissonanze tra i colori, l’intreccio narrativo

che lega le forme alle figure: aspetti che rendono questi suoi

lavori di Riitta espressione di una totalità ottenuta non sommando

tra di loro linguaggi diversi, ma facendoli convivere

Apollon (1995), velluto, cm 95x135

l’uno con l’altro in maniera armonica, come parti di un tutto

e quindi interdipendenti. L’obiettivo è abbastanza chiaro:

rendere l’opera “viva”, universale, capace di accogliere al suo

interno tutta la complessità del reale, riunendo ciò che solitamente

è separato, creando unità dalla fusione di elementi

My very determined grand mother (2021), lana, cm150x250x4,5

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RIITTA NELIMARKKA


Magique, le pilote jaune (2019), serigrafia, cm 30x45

eterogenei. In questa ibridazione tra generi rientra anche la

combinazione tra registri aulici, con citazioni di grandi classici

della musica, del cinema e dell’arte, e tematiche tratte invece

dalla cultura popolare, includendo in quest’ultima anche

suggestioni tratte dal mondo giovanile e dalla grafica pubblicitaria.

Quelli di Riitta, in effetti, sono racconti il cui significato

cambia a seconda di chi li interpreta: l’osservatore attento

potrà cogliervi riferimenti ai meccanismi psichici dell’arte

surrealista, alla purezza e semplificazione coloristica della

pittura fauve, agli accenti simbolici e favolistici dell’immaginario

chagalliano; l’osservatore “comune” vi leggerà invece

similitudini con il linguaggio dei fumetti, l’illustrazione per

l’infanzia, i film di animazione per bambini. E sempre dallo

sguardo dell’osservatore dipende la capacità di individuare

in quest’arte colorata, energica, gioiosa, a tratti teatrale nella

maniera di rappresentare la varietà del mondo, la presenza

di un dramma nascosto dietro le quinte, di una riflessione

tragicomica sull’esistenza. Si tratta tuttavia di un’ambivalenza

raggiunta senza sforzi, in maniera “naturale”, verrebbe da

dire, come inevitabile conseguenza di un modo libero, anticonformista,

persino “anarchico”, se vogliamo, di intendere

e di vivere l’atto creativo. Perché limitarsi ad una sola tecnica,

ad un solo genere o linguaggio quando è possibile invece

far dialogare la bidimensionalità della pittura con la tridimensionalità

dell’arte tessile, il realismo della fotografia con i voli

pindarici della fantasia, le citazioni del mondo classico con

l’immaginario pop? In fin dei conti l’arte – sembra dire Riitta

Nelimarkka – deve saper fare anche questo: superare confini,

barriere ed etichette per essere libera, autenticamente libera,

doverosamente libera.

www.nelimarkka.com

Babylonia (1989), matite colorate, cm 30x35

Preludes, le faune de la terre rouge (2020), fotomontaggio su plexiglass, cm 80x100

RIITTA NELIMARKKA

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Milvio Sodi

Introspezioni

La personale dell’artista, in corso

dal 14 maggio al 30 giugno 2022

presso il Florence Dance di Marga

Nativo a Firenze, è stata prorogata

al 28 luglio.

Uno dei quattro lavori di Milvio Sodi

che saranno sul palco del Florence

Dance Festival nel chiostro grande

della Basilica di Santa Maria Novella

il prossimo 16 luglio come scenografia

per la coreografia intitolata

Introspezioni.


A cura di

Miriana Carradorini e Maria Grazia Dainelli

Grandi mostre in

Italia

Surrealismo e magia

L’esoterismo all’origine dello storico movimento d’avanguardia

nella mostra alla Collezione Peggy Guggenheim

di Miriana Carradorini / foto Miriana Carradorini e Matteo De Fina

Durante la sua attività come collezionista,

Peggy Guggenheim è entrata in contatto

con molti personaggi del mondo dell’arte

come André Breton, teorico del Surrealismo, e si è

imbattuta in numerose opere di artisti surrealisti,

rimanendo affascinata soprattutto da quelle di

Max Ernst, con il quale ha anche intrattenuto una

relazione sentimentale. In seguito a questo incontro

“magico”, Peggy ha iniziato a raccogliere nella

sua collezione diverse opere di questi artisti, molte

delle quali ancora oggi fanno parte della Collezione

Peggy Guggenheim a Venezia. Proprio negli

spazi espositivi del museo veneziano è in corso

attualmente la mostra Surrealismo e magia / La

modernità incantata, che approfondisce il rapporto

tra surrealismo, esoterismo, mitologia ed occulto

grazie anche ad opere concesse in prestito da alcuni

dei più grandi musei di arte contemporanea al mondo come

il Centre Pompidou di Parigi, il Museo Nacional Centro de

Arte Reina Sofia di Madrid e l’Art Institute of Chicago. Aper-

In queste due foto alcuni scorci della mostra

ta dallo scorso 9 aprile e in corso fino al prossimo 26 settembre,

è stata promossa in collaborazione con il Museum

Barberini a Potsdam in Germania, dove sarà spostata dal 22

ottobre 2022 fino al 29 gennaio 2023. La visita ruota attorno

all’enigmatico dipinto di Max Ernst La vestizione della sposa

(1940) e il percorso espositivo illustra le motivazioni e l’approccio

dei surrealisti al mondo dell’occulto. Attraverso le

diverse sezioni della mostra, il visitatore conoscerà in maniera

approfondita la poetica surrealista e l’importanza delle

dottrine esoteriche nel suo sviluppo. Alle opere di artisti

maggiormente conosciuti dal grande pubblico, come Salvador

Dalí, Giorgio de Chirico e René Magritte, si affiancano

quelle di artisti meno rinomati ma altrettanto importanti come

Remedios Varo, Óscar Domínguez e Leonor Fini. Il percorso

espositivo si apre con alcuni lavori e studi sui tarocchi

realizzati da vari artisti, passando poi a sezioni monografiche,

come la stanza dedicata a Ernst e una piccola parte sulle

artiste surrealiste come Leonora Carrington e Dorothea

Tanning, poco note ma molto attive all’interno del movimento

d’avanguardia. Accompagnato non solo da quadri ma anche

da sculture e testi studiati o realizzati dai surrealisti,

l’osservatore alla fine della visita avrà approfondito uno degli

argomenti più coinvolgenti e allo stesso tempo meno noti

del Surrealismo.

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SURREALISMO E MAGIA

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Curiosità storiche

fiorentine

A cura di

Luciano e Ricciardo Artusi

La festa di Sant’Anna in Orsanmichele

di Luciano e Ricciardo Artusi

Ogni anno, il 26 luglio, all’esterno della chiesa di Orsanmichele

vengono innalzate le bandiere che rappresentano

le insegne delle antiche corporazioni delle Arti fiorentine.

Questi ventidue vessilli (sette delle Arti Maggiori, quattordici

delle Minori ed uno del Tribunale della Mercatanzia) sono

il ricordo di un avvenimento politico che, nel Trecento, ai tempi

della Repubblica Fiorentina ebbe un importante significato.

Il 26 luglio, infatti, ricorre l’anniversario della cacciata del despota

duca d’Atene, alla quale contribuirono notevolmente gli

artigiani iscritti nelle ventuno Arti cittadine; un solenne avvenimento

per Firenze che oggi, a distanza di oltre sei secoli, è stato

dimenticato. Gualtieri di Brienne, impropriamente noto come

“duca d’Atene”, nel 1342 era fra gli uomini d’arme al soldo della

Repubblica Fiorentina già conosciuto in quanto nel 1326 era

stato vicario del duca di Calabria. La Signoria lo elesse, per la

durata di un anno, prima Capitano della Guardia e poco dopo Capitano

Generale col comando su tutte le milizie della Repubblica.

Con tale autorità il duca iniziò a dare corpo ai suoi propositi

di farsi proclamare Signore di Firenze. Egli cercò pertanto di accattivarsi

la simpatia dei ceti popolari assopendone, soprattutto

con i divertimenti, l’amore per la perduta libertà. Il popolo minuto

lo acclamava quando, con la sua scorta armata, lo incontrava

per le vie della città. Appena ritenne giunto il momento, Gualtieri

di Brienne comunicò ai Priori il suo desiderio di farsi nominare

Signore di Firenze col favore del popolo e, nonostante le loro

proteste, il 7 dicembre 1342 fece bandire per il giorno seguente

tutta la popolazione a parlamento in piazza Santa Croce. Giurando

che avrebbe mantenuto nella più ampia libertà, le leggi e gli

uffici della Repubblica, la mattina dell’8, con i suoi soldati ed un

largo seguito di popolani, il duca da Santa Croce si recò in piazza

della Signoria dove, dall’arengario, i Priori chiesero al popolo

se volesse o meno nominarlo per un anno Signore della città.

La risposta dei masnadieri e dei popolani fu unanime sconfinando

oltre la domanda: «Che sia Signore a vita». E di forza il duca

venne insediato nel palazzo. Non appena Gualtieri si sentì Signore

assoluto, allontanò i Priori e, contro il giuramento dato,

cancellò gli ordinamenti e le leggi repubblicane, governando tirannicamente

col solo scopo di arricchire se stesso e i suoi fidi.

Rimpiangendo la perduta libertà, i fiorentini iniziarono a tramare

congiure finché sfociarono, nella mattina di sabato 26 luglio

Luciano Artusi, a sinistra, con il figlio Ricciardo

Andrea Orcagna, Sant’Anna e la cacciata del duca d’Atene, affresco, Palazzo Vecchio

1343, giorno dedicato a Sant’Anna, con una violenta insurrezione

a “correre la città” in armi, a piedi e a cavallo al grido di «muoia

il duca, viva il popolo e la libertà». Barricate e blocchi furono

posti ad ogni sbocco di strada e sui ponti. I soldati del duca vennero

braccati, feriti, uccisi o presi prigionieri. Il duca d’Atene fu

assalito nello stesso Palazzo Vecchio dove si era barricato con

pochi dei suoi fidi, cercando di difendersi, mentre sulla piazza e

nei pressi si trovavano radunati oltre diecimila cittadini armati.

Dopo alcuni giorni di lotta, un consiglio di sette Grandi e sette

Popolani, eletto in Santa Reparata al fine di riformare lo Stato, si

recò a parlamentare dal duca nel Palazzo della Signoria per imporgli

l’abbandono di ogni suo potere. Gualtieri firmò la resa ed il

16 agosto, sotto scorta, uscì dalla Porta San Niccolò diretto nel

Casentino, mentre il popolo festante si recava spontaneamente

con tanta devozione in Orsanmichele all’altare della Madonna

per ringraziarla della grazia ricevuta nel giorno consacrato a sua

madre, alla quale iniziò a dedicare un particolare nuovo culto. Riacquistata

la libertà, la nuova Signoria di Firenze fra le prime decisioni

assunte deliberò che il 26 luglio di ogni anno, in perpetuo,

per ricordare la finita oppressione dello straniero duca d’Atene,

fosse considerato sacro alla libertà dei fiorentini ed onorato con

una solenne festività religiosa e politica nella loro particolare

chiesa-granaio di Orsanmichele. Sono passati quasi sette secoli

da quel lontano 26 luglio, quando sul sacro edificio si cominciò

a far garrire festosamente al vento le “bandiere di libertà” delle

Corporazioni di Arti e Mestieri; tradizione che continua invariabi-

Cornici Ristori Firenze

www.francoristori.com

Via F. Gianni, 10-12-5r

50134 Firenze

le ancor oggi unitamente alla venerazione di

Sant’Anna, pia sposa di Gioacchino che conobbe

solo in avanzata età la grande gioia

di divenire la madre della Madonna ed alla

quale i fiorentini, fino dal 1342, assegnarono

il valore civico oltre che religioso di protettrice

della loro città.

22

LA FESTA DI SANT’ANNA IN ORSANMICHELE


I libri del

mese

Fabrizio Borghini

La commedia toscana: aneddoti e protagonisti di un

genere cinematografico dalla lunga storia

di Erika Bresci

Con La commedia cinematografica toscana Fabrizio

Borghini si rivela ancora una volta tessitore di testi

di stupefacente maestria. Perché in sole novantasei

pagine (filmografia compresa), chiunque si interessi di cinema

– sia questi un cinefilo esperto, o un critico di mestiere

o, come me, un lettore curioso – potrà rintracciare quelle

coordinate (di date, protagonisti e luoghi) indispensabili per

orientarsi all’interno di un genere cinematografico la cui nascita

si fa coincidere con l’uscita di Amici miei (1975) – in

una sorta di passaggio di testimone con la moritura commedia

all’italiana – e la cui fine, nonostante i ripetuti e annunciati

de profundis, non può dirsi ancora annunciata. Nel mezzo

l’onda lunga di più di centocinquanta pellicole, che vede via

via rinnovare la propria cresta, con Benigni prima, i Giancattivi

e Alessandro Benvenuti, Francesco Nuti (una parabola di

successo e dannazione che parte da Madonna che silenzio

c’è stasera fino al tonfo finale di OcchioPinocchio), Leonardo

Pieraccioni (una “scommessa” felice di Rita Rusic e della

Cecchi Gori Group), Giorgio Panariello, Massimo Ceccherini,

Giovanni Veronesi, gli outsider labronici Paolo Virzì e Francesco

Bruni, e tanti altri poi. In una carrellata di nomi e aneddoti

incasellati in una mappa di assoluta perfezione. Il toscano,

guardato con sospetto e fastidio fino alla metà del secolo

scorso, dilaga ormai da più di quarant’anni nelle sale di proiezione

del Bel Paese (e non solo). In realtà, come si scopre

spigolando nelle pagine del libro, le radici della comicità to-

scana affondano in epoca assai

antica e, tutto sommato,

nell’humus proprio del carattere

di un popolo e di una terra

particolari. Così, in rapido

passaggio scorrono davanti

agli occhi il rimando alla poesia

giocosa (e al vetriolo) del

1300, la storia del teatrino della

Baldracca (del Cinquecento),

fino al ricordo di Luigi Del

Buono e il suo Stenterello, ultima

maschera della commedia

dell’arte antica (e siamo a

fine Settecento). «La comicità

nera e il cinismo di Amici miei

rimanda proprio al Decameron

di Boccaccio e alla Mandragola

di Machiavelli che è una

sintesi perfetta di comicità e

realismo. Per chi è toscano è

normale avere una comicità

“La commedia cinematografica toscana nasce

dalla commedia dell’arte; la sua origine

si perde nella notte dei tempi, fa parte del

nostro dna. C’era, fino dagli anni d’oro della

commedia all’italiana, dalla fine degli anni

Cinquanta ai primi anni Settanta, il recupero

di una tradizione antica”.

Mario Monicelli

spietata e corrosiva» ricorda Borghini, prendendo in prestito

le parole di Mario Monicelli. E in tutto il libro, tessute appunto

con passione e amore per la materia, si rincorrono testimonianze

e considerazioni dei protagonisti di questa straordinaria

stagione del cinema italiano. Così la storia di incontri

e collaborazioni, di ruoli in continuo mutar di forma – registi

che diventano attori, attori che si fanno registi, e ancora si

trasformano in autori – si vivifica di sempre nuove esperienze

(con esiti felici o di rottura), raccontate in presa diretta.

Altre tre “voci” impreziosiscono il volume, in apertura: quella

del presidente della Regione Eugenio Giani, che ci ricorda

come «non esiste una sola Toscana… E anche tipi toscani ce

ne sono tanti, si sa…», auspicando che «i toscani che la interpretano

abbiano lunga vita, fervida fantasia e gioiosa voglia

di alimentare ancora questo sogno»; quella di Masolino d’Amico,

che individua quale ingrediente di elisir di lunga vita del

filone il fatto che «I Benigni, i Benvenuti, i Nuti, più tardi i Pieraccioni

e i Ceccherini, e numerosissimi altri erano lì pronti a

scendere in campo, ciascuno con i suoi numeri, diversi ma

condividendo lo stesso linguaggio e lo stesso modo spregiudicato

di commentare il mondo»; quella, infine, di Giovanni

Bogani, che vede in questo racconto «un mondo immenso, di

grandi personaggi o di grandi anime dentro personaggi che rischieremmo

di dimenticare. E che Fabrizio Borghini ci porta

davanti agli occhi e alla mente, con questo suo libro, immenso

album di fotografie».

ISBN 978-88-6039-553-5

E 10,00 (IVA inclusa)

LA COMMEDIA CINEMATO GRAFiCA TOSCANA 1975-2022 FABRIZIO BORGHINI

Masso delle Fate Edizioni

FABRIZIO BORGHINI

LA COMMEDIA

CINEMATOGRAFiCA

TOSCANA

1975-2022

FABRIZIO BORGHINI

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Dal teatro al

sipario

A cura di

Doretta Boretti

Alessandro Grisolini

Dalla recitazione all’insegnamento sempre nel segno di

un amore viscerale per il teatro

di Doretta Boretti / foto courtesy Alessandro Grisolini

Attore, regista, autore e docente,

Alessandro Grisolini, dopo aver conseguito

la laurea in Letteratura inglese,

sta dedicando la sua vita al teatro. A

breve ci “prenderà per mano” e ci condurrà

nel suo straordinario mondo artistico.

Quando è nato in te l’amore per il teatro?

A scuola quando avevo 15 anni. La professoressa

di italiano dedicò tutto il suo tempo

per insegnarci cosa fosse il teatro; ricordo

che ci portò a vedere le prove di attori professionisti

quali Dario Fo e il Gruppo della

Rocca. Da quella esperienza scrissi di getto

il mio primo testo teatrale.

Con il passare del tempo è sempre stata

una scelta confermata? E quali ostacoli

hai incontrato?

La mia famiglia era contraria. Per me volevano il “posto fisso”,

in banca magari. Ma il mio bisogno del mondo del teatro

era ed è ancora più forte di tutto il resto.

Hai recitato i vari generi linguistici anche all’estero. Che

difficoltà comporta per un attore recitare in luoghi con una

cultura diversa dalla nostra?

In questa e nelle altre foto Alessandro Grisolini mentre interpreta alcuni suoi personaggi

Non trovo difficoltà, anzi, piuttosto il piacere di incontrare

altre culture. Dipende dal soggetto dello spettacolo che si

presenta. Ma dato che siamo molto globalizzati, risulta più

facile esprimere dei concetti comprensibili. Incontrare e lavorare

con una equipe di un altro paese ti arricchisce perché

ti viene presentato un altro modo di vedere l’impostazione

del lavoro e come raggiungere il risultato finale della rappresentazione.

Alcuni anni or sono hai presentato anche spettacoli di marionette.

Questa esperienza ha lasciato un segno nella tua

vita professionale?

Sto continuando ancora oggi, e piano piano imparo a gestire

bene i personaggi che manipolo. Fare anche il marionettista

mi ha dato più fiducia in me, perché pensavo di essere

completamente negato e all’inizio manifestavo un forte rifiuto,

dovuto prevalentemente all’insicurezza e alla convinzione

di non essere adeguato. Ma in alcune situazioni ho dovuto

mettermi alla prova e allora mi sono buttato e adesso provo

molto divertimento quando muovo una marionetta.

Quando sei approdato all’insegnamento?

Per la carriera di un insegnante in tarda età. Avevo più o meno

36 anni.

Adesso dove insegni e a quale fascia di età?

Faccio soprattutto progetti teatrali nelle scuole, in lingua italiana

e in lingua inglese. Ultimamente lavoro anche su progetti

di inclusione all’interno di classi di studenti con difficoltà

di vario genere.

24

ALESSANDRO GRISOLINI


Grazie a queste nuove riaperture,

dopo la grande pandemia, la

stagione estiva 2022 si presenta

ricca di eventi. Che cosa hai

da proporre ai nostri lettori?

Sono stato a Sesto Fiorentino

alla Biblioteca Ragionieri l’11

giugno per uno spettacolo di marionette

sulla gestione della rabbia

nei bambini. Il 26 giugno, a

Pian di Mesola, comune di Reggello,

ho presentato un Don Chisciotte

per bambini, e il 13 luglio,

invece, sempre a Sesto Fiorentino,

racconterò la storia di Sedna,

personaggio della cultura Inuit.

Una storia che gli adulti del popolo

Inuit narrano ai loro bambini

dall’inizio dei tempi: una donna

vive nel fondo del mare e cura

tutti gli animali marini. Ma come lei sia arrivata nelle profondità

dell’oceano lo scoprirete venendo a vedere uno

spettacolo con attori, marionette e un video animato prodotto

dalla associazione TeatroLà. Inoltre, per saperne di

più, potete andare sul sito della mia associazione culturale:

www.teatrola.it.


Eventi in

Toscana

H Zero Museum

Apre a Firenze un luogo che celebra l’immaginario del

treno attraverso il più grande plastico d’Europa

di Barbara Santoro / foto courtesy H Zero

Anche all’epoca dell’alta velocità ferroviaria, il treno continua

a toccare corde emotive profondissime perché

alimenta suggestioni e visioni che talvolta rendono

marginale la capacità del mezzo di trasportare persone e merci

da un luogo all’altro. Dalla passione per i treni e per il modellismo

nasce H Zero Museum, nuova realtà espositiva inaugurata

a Firenze lo scorso 29 maggio nella storica sede del Cinema

Ariston, a pochi passi dal Museo del Novecento e da piazza

Santa Maria Novella. Curato da Alberto Salvadori, project manager

con grande esperienza nelle gestioni delle istituzioni

culturali, e sostenuto dalle Ferrovie dello Stato, questo nuovo

progetto museale vede il treno come simbolo di modernità e

fulcro di infinite sensazioni. Il progetto architettonico è di Luigi

Fragola e la collaborazione dello studio milanese Karmachina

e dei musicisti di Tempo Reale ha permesso di creare un

ambiente immersivo attraverso video proiezioni, sonorizzazioni

ambientali e una speciale illuminazione. Fulcro del museo e

anche motivo ispiratore l’enorme plastico – il più grande d’Europa

con quasi 300 m² di superficie – realizzato nel corso della

sua vita dal marchese Giuseppe Paternò Castello di San Giuliano,

che negli anni ha coinvolto amici e conoscenti come Carlo

Brandolini d’Adda e il modellista Marco Baldi nello sviluppo dello

scenario su cui si posano i binari e i relativi treni in scala da 1

a 87. Le rocce sono realizzate in gesso colato in stampi di gomma

siliconata, mentre il mare, i laghi e i fiumi sono in resina; la

grande diga ispirata a quella del Brasimone è una struttura di

compensato. Fino alla sua dipartita il marchese si è dedicato

con grande entusiasmo a questa realizzazione, coltivando il sogno

di realizzare a Firenze qualcosa di simile al Miniature Wunderland

che tanto l’aveva affascinato ad Amburgo. Sono stati

i figli Diego, Giulia e Maria a concretizzare questo suo sogno

con l’apertura di H Zero, un

museo per gli appassionati

di modellismo e non solo,

perché il treno porta con sé

una fascinazione che interessa

tutti, grandi e piccini.

Sono ben trecentocinquantanove

le tratte per quasi 1 km

di binari, mille lampioni stradali,

oltre mille semafori, più

di cinquanta altoparlanti per

la diffusione sonora e la possibilità

di variare l’ambientazione

da giorno a notte. Il marchese Giuseppe Paternò Castello

All’interno dei treni ci sono di San Giuliano, creatore del grande

persino i passeggeri seduti. plastico all’origine del museo

Si tratta insomma di un’esperienza

di visita davvero insolita ed affascinante che attirerà l’interesse

di appassionati e curiosi. A questo proposito, vale la

pena ricordare che molti personaggi famosi hanno subito il fascino

del treno, come il baritono fiorentino Gino Bechi, il quale

negli anni Cinquanta e Sessanta mise insieme una collezione di

trenini davvero eccezionale che portò alla trasmissione Lascia

o raddoppia di Mike Bongiorno, il presidente della Repubblica

Giovanni Gronchi, che in una stanza del Quirinale fece posizionare

un plastico ferroviario, e poi ancora il presidente americano

Ronald Reagan, l’attore Frank Sinatra, il pilota d’automobili

Riccardo Patrese e i cantanti Renato Zero, Peppino di Capri e

Sergio Endrigo.

www.hzero.com

Vista d’insieme del plastico

Un particolare dell’installazione

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H ZERO MUSEUM


Ritratti

d’artista

Marcello Ciampolini

Viaggi di luce

di Vincenzo Mollica

Ci vuole coraggio per dipingere il tempo breve che attraversiamo,

immersi nelle sintonie urbanistiche che

nascondono lo smarrimento e la solitudine della comunità.

Molti di coloro che praticano questa arte preferiscono

sentieri più leggeri e più evasivi. Marcello Ciampolini,

pittore empolese, con credo viscerale e tecnica maniacale,

avvantaggiato da una veggenza dei fatti che lasciano spiazzati,

naviga la tempesta guidato dall’orizzonte basso delle

stelle. Per chi assiste alla esposizione dei suoi lavori, il suo

può apparire un racconto solitario derivato dall’osservazione

della realtà. Possiamo assicurare, frequentandolo da molti

anni, che i temi della sua tavolozza sono quelli che gli divorano

la mente da più decenni. Maturità pittorica? Anche, ma

principalmente bisogno di raccontare le sue ansie interiori.

Questo scontro manifesto tra le forze del bene e del male, in

una convergenza che sembra assegnare punti di vantaggio a

quest’ultimo, approssima l’uomo, dice lui, a un bivio che non

prevede un vincitore certo, ma che consegnerà a quelli che

lo vivranno un mondo diverso. Il suo itinerario pittorico, coerente

e raffinato nella preziosa trasparenza, parla chiaro: la

scoperta del Grande Libro diventa fonte di nuove verità che

La via angelica, cm 90x90

Mitosi cosmica, cm 50x50

prendono il posto di fedi tradite. Tutto diventa più intimo e

gonfio di domande. Si aprono i cieli e l'universo, e cominciano

i viaggi della luce che conducono

verso quella immaginata come la più

abbagliante. Ma lui sa di essere ancora

sulla Terra e di dover condividere il suo

destino sanguinante. Allora in attesa di

confrontarsi con il giudizio del Padre,

bisogna chiedere al Figlio, che si affaccia

da dentro la corona di spine a tendere

una mano ed offrirci le speranze

di potercela ancora fare. Marcello vive

da asceta e da esule e, quale portatore

di un messaggio, svolge questo ruolo

attraverso un linguaggio semplice e

complesso allo stesso tempo. Si comprende

che questo modo di operare è

lontano non poco dai recinti dei mercati

pittorici, e che mai Ciampolini potrebbe

trasformarsi in autore di serie. I

tempi dei suoi lavori sono lenti e meditati,

con ritorni sull'opera fin quando

egli non ritiene di avere ottenuto dal colore

quello che gli aveva chiesto. Marcello

sta dicendo cose importanti, in un

tempo distratto dalla superbia e pieno

della sua fretta. Noi che abbiamo il piacere

di averlo vicino, ci riteniamo fortunati

di poter attraversare questa follia

cavalcando i suoi binari.

MARCELLO CIAMPOLINI

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Obiettivo

Scuola

Laura Scartabelli

Il punto di vista di un’insegnante su didattica a distanza e nuovi

modelli di apprendimento

di Doretta Boretti

In questi ultimi tre anni, in Italia, si sono svolte molte indagini

per rilevare quali e quante conseguenze negative

avrebbe potuto portare agli studenti la Dad cioè l’insegnamento

a distanza. Ci troviamo in compagnia della professoressa

Laura Scartabelli, docente di Lettere in una scuola

secondaria di primo grado, in provincia di Pistoia, e parleremo

con lei della sua vita professionale e anche della sua

esperienza, e di quella dei suoi allievi, in tempi di pandemia.

Che cosa secondo lei è cambiato dal punto di vista generazionale

tra l’insegnamento dei suoi inizi di carriera e quelli

più recenti?

scono superficialmente un

po’ tutto ciò che le circonda;

quindi, il compito dell’insegnante

non è più quello di

mettere i ragazzi in contatto

con nuovi saperi, ma cercare

di dare ordine, di sistematizzare,

di approfondire quelle

conoscenze che già hanno

nelle varie discipline. Un lavoro

molto faticoso: disfare

per rifare.

La professoressa Laura Scartabelli

In quarant’anni ho assistito a molti cambiamenti nella scuola

italiana; non è stata esente da mode metodologiche

passeggere e poi attraversata da una lenta, radicale trasformazione

nel modo di pensare l’insegnamento, le discipline,

gli insegnanti e l’utenza stessa. Attualmente nella scuola le

competenze, il saper fare, sono l’obiettivo primario; le conoscenze,

dalle quali, a mio avviso, le competenze sono imprescindibili,

un fardello del quale sbarazzarsi, almeno in parte.

Proliferano interventi di esterni, ciascuno con un pacchetto

di informazioni da dispensare, senza una evidente ricaduta

sull’apprendimento dell’alunno, senza nemmeno quelle caratteristiche

specifiche che fanno, di uno o più interventi, un

progetto. Il tutto a scapito delle ore curricolari. Insegnare è

uno slalom tra i progetti altrui. Le attuali generazioni, quando

arrivano a scuola, sanno già usare le tecnologie, cono-

Non credo che in questi anni le fosse mai capitata una cosa

come la pandemia da Covid-19...

Non mi ero mai trovata ad affrontare un situazione così

drammatica. La scuola, nelle emergenze, è sempre stata un

punto di riferimento. In questo caso non ha potuto svolgere,

se non a distanza, la sua azione di supporto.

Che disagi ha comportato per lei l’insegnamento a distanza?

Per me il disagio maggiore è stato quello di vincere la mia resistenza

a gestire e utilizzare le nuove tecnologie. Ma i miei

colleghi si sono gentilmente resi disponibili ad aiutarmi e il

loro aiuto ha dato i suoi frutti. Nella didattica a distanza sono

emerse in modo più netto le differenze tra gli alunni: quelli

realmente interessati e motivati hanno trovato

nella indiretta richiesta di un loro maggiore

impegno (in Dad gli alunni non hanno

un controllo così continuo come in presenza)

il modo di crescere. Direi che i più hanno

migliorato la capacità di organizzarsi e si sono

sentiti più direttamente responsabili del

loro successo scolastico; per altri ragazzi è

stata un’occasione da utilizzare per un’inaspettata

vacanza dallo studio.

Pensa che per gli studenti sia stato un periodo

psicologicamente difficile?

Sì, penso che per i ragazzi sia stato un periodo

difficile da gestire a livello emotivo. I miei

studenti vivono in campagna e questo li ha

notevolmente favoriti perché hanno continuato

a vedersi all’esterno, a condividere qualche

interesse, non ultimo quello sportivo.

28

LAURA SCARTABELLI


Questo semestre 2022 è stato svolto tutto in presenza. Siete

riusciti a recuperare quello che era stato impossibile gestire

da casa?

Forse abbiamo recuperato la serenità dei ragazzi. Per quanto

riguarda la preparazione, se inadeguata, non darei la colpa

alla Dad ma al fatto che niente dei vecchi insegnamenti

sembra più importante: dall’ortografia alla sintassi, dalle

conoscenze specifiche della letteratura a quelle della storia

o delle scienze. Oggi la parola d’ordine non è sapere,

è saper fare. Ma fare cosa, se poi, una volta finito il ciclo

di studi, se ad esempio vuoi insegnare, ai concorsi non ti

chiedono se sai costruire un depliant o utilizzare una mappa,

ma se hai delle conoscenze specifiche, e quindi: le vecchie

nozioni.

Che legame si crea tra docente e allievo? E con alcuni allievi,

che adesso saranno grandi, ha continuato a seguire

le loro orme?

Con una classe di alunni del 1993 ci siamo dati appuntamento

al compimento dei loro 20 anni. Una bella emozione! Di

altri ho notizie da colleghi o dal personale scolastico, mentre

altri li incontro ancora in paese. Ho insegnato a centinaia

di ragazzi, i legami che si creano sono alquanto diversi: di

alcuni non ricordi nemmeno il nome, altri sono parte di una

classe ed è quella con la quale hai stabilito un legame bello

anche se passeggero; e poi ci sono degli incontri particolari,

delle facce che non dimentichi perché la loro storia ti è

entrata dentro, si è fusa con il tuo percorso di vita, c’è stato

un arricchimento reciproco, stima, fiducia. A volte basta poco

per risollevare un ragazzo con scarsa autostima, a rimetterlo

in carreggiata; e questo, l’adulto che diventerà, non lo

dimentica.

Quasi al termine di un’onorata carriera, quali gioie e quali

disagi le ha portato il suo lavoro?

La gioia deriva dalla consapevolezza di aver svolto un lavoro

molto importante e di averlo fatto seriamente. Poi la gioia

anche di aver lavorato in un ottimo ambiente in cui ho trovato

bravi insegnanti, simpatici compagni di viaggio e alcuni

amici. Il dispiacere è vedere il cambiamento, in peggio, della

scuola. I ragazzi, come dicevo, sapranno anche “risolvere

problemi” in team, ma sono molto ignoranti, proprio nel senso

letterale del termine.

LAURA SCARTABELLI

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Dimensione

salute

A cura di

Stefano Grifoni

Masticare lentamente per vivere con consapevolezza

il momento del pasto

di Stefano Grifoni

Chi mastica più lentamente e chi dedica più tempo

ai pasti restando seduto per più di 20 minuti, aiuta

il metabolismo a tenere sotto controllo l’introito

calorico e quindi il peso corporeo e ad equilibrare i livelli

di colesterolo nel sangue. Questo grasso è necessario per

il nostro organismo ma un suo eccesso è pericoloso per il

cuore e il cervello perché la formazione di placche aterosclerotiche

all’interno dei vasi arteriosi riduce la quantità

di sangue che arriva agli organi aumentando il rischio di

ictus e infarto. Il ruolo più importante per controllare i livelli

di colesterolo spetta alla dieta: piatti leggeri e pochi

grassi, dieta mediterranea ricca di frutta e verdura sono

la migliore prevenzione, senza dimenticare l’importanza di

un corretto stile di vita e di una regolare attività fisica.

Masticare lentamente quindi non è una cura ma ci ricorda

che dobbiamo riappropriarci del tempo per vivere consapevolmente

il momento del pasto. Mangiare bene vuol dire

stare bene.

Stefano Grifoni è direttore del reparto di Medicina e Chirurgia di Urgenza del pronto soccorso

dell’Ospedale di Careggi e direttore del Centro di riferimento regionale toscano per la diagnosi

e la terapia d’urgenza della malattia tromboembolica venosa. Membro del consiglio nazionale

della Società Italiana di Medicina di Emergenza-Urgenza, è vicepresidente dell’associazione

per il soccorso di bambini con malattie oncologiche cerebrali Tutti per Guglielmo e membro tecnico

dell’associazione Amici del Pronto Soccorso con sede a Firenze.

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MASTICARE LENTAMENTE


A cura di

Emanuela Muriana

Psicologia

oggi

Anoressia: guarire recuperando il piacere di mangiare

di Emanuela Muriana

L’anoressia fa paura. Spaventa non solo i genitori ma anche

i medici e gli psicoterapeuti. Paiono invece non temerla

coloro che ne soffrono poiché ne sono sedotti. «È

paradossalmente amata dalle sue vittime che quasi quasi le riservano

un culto» dicono Giorgio Nardone ed Elisa Valteroni autori

del libro L’anoressia giovanile (Tea 2021). È una malattia in

linea con i nostri tempi che affiancano abbondanza di cibo e modelli

di magrezza eccessivi. L’anoressia fa paura anche perché le

terapie si sono dimostrate spesso inadeguate quando non controproducenti.

Le terapie per l’anoressia sono state le meno efficaci

nell’ambito della psicopatologia con un’efficacia al di sotto

del 40%, casi migliorati ma non guariti e questo non è sufficiente

perché spesso prepara il terreno a severe recidive che tendono

poi a cronicizzarsi. Secondo gli ultimi dati, c’è stato un aumento

nella popolazione giovanile dal 2% di dieci anni fa all’attuale

10%, e un ulteriore aumento è dovuto anche al periodo Covid.

Il tasso di mortalità è intorno al 25%. Il dato preoccupante e inquietante

è l’abbassamento dell’età media in cui questa psicopatologia

si sviluppa, arrivando fino agli 11-12 anni. Rimane una

psicopatologia declinata al femminile nonostante recentemente

si noti un incremento anche nella popolazione maschile. Gli

interventi messi a punto al centro di Terapia Breve Strategica –

tarati su un campione altamente significativo – mostrano attualmente

un tasso di guarigione molto più elevato rispetto alla

media di tutti gli interventi terapeutici. L’anoressia è caratterizzata

da un processo di progressiva astinenza dal cibo fino ad

arrivare ad un vero e proprio rifiuto di esso. La tendenza all’astinenza

non è solo per il cibo ma anche nei confronti di ogni altra

sensazione piacevole vissuta come pericolosa. Il risultato è

un’armatura mentale che non protegge ma imprigiona. I familiari

hanno un ruolo fondamentale perché mettono in atto dei tentativi

di intervento ragionevoli ma che non calzano all’irragionevolezza

del problema. L’intervento clinico dell’anoressia con la

Terapia Breve Strategica prevede un approccio pragmatico che

punta ad utilizzare manovre terapeutiche sul come si forma e

Per approfondire la conoscenza dell’anoressia in tutte le

varianti cliniche:

G. Nardone, E. Valteroni,

L’anoressia giovanile (Ponte alle Grazie ed. 2017- Tea 2021)

G. Nardone,

Al di là dell’amore e dell’odio per il cibo (Bur ed. 2003)

come si mantiene il problema nel presente anziché cercare cause

ipotetiche nel passato. La terapia che funziona di più per l’anoressia

giovanile è quella applicata al contesto familiare, con

conseguente responsabilizzazione dei genitori a mettere in atto

le necessarie prescrizioni terapeutiche. Una terapia che preveda

un’esperienza clinica per una patologia che richiede un intervento

immediato e precoce senza esitazioni. Gli psicofarmaci non

sembrano aver mostrato una sufficiente efficacia, anzi talvolta

sono deleteri perché rendono i pazienti ancora più oppositivi. Il

ricovero in ospedale è necessario solo quando le condizioni fisiche

sono critiche. Il lavoro psicoterapeutico con le pazienti si

basa sull’innescare il meccanismo del piacere: dall’anoressia si

guarisce solo se si recupera il piacere di mangiare, ecco perché

l’alimentazione meccanica è inefficace.

Emanuela Muriana è responsabile dello Studio di Psicoterapia Breve

Strategica di Firenze, dove svolge attività clinica e di consulenza.

È stata professore alla Facoltà di Medicina e Chirurgia presso

le Università di Siena (2007-2012) e Firenze (2004-2015). Ha pubblicato

tre libri e numerosi articoli consultabili sul sito www.terapiastrategica.fi.it.

È docente alla Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategica.

Studio di Terapia Breve Strategica

Viale Mazzini 16, Firenze

+ 39 055 242642 - 574344

emanuela.muriana@virgilio.it

ANORESSIA

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Lucia Menchini

La signora dei “cocci”

La signora dei cocci, mosaico con ceramiche di recupero, cm 42x52

luciamosaici@alice.it


A cura di

Silvia Ciani

I consigli del

nutrizionista

Emergenza sovrappeso e obesità in adulti e bambini:

come affrontarla con un supporto nutrizionale ed emotivo

di Silvia Ciani

Nel mese di maggio di quest’anno l’OMS ha presentato e

pubblicato il Rapporto 2022 sull’obesità. Dal documento

emerge che il 59% degli adulti europei e quasi 1 bambino

su 3 (29% dei maschi e 27% delle femmine) è in sovrappeso

o è affetto dall’obesità. L’Italia purtroppo primeggia con una distribuzione

non omogenea e prevalenza nelle regioni del sud. In

Toscana, dagli ultimi dati esaminati (fonte: Okkio alla Salute dati

2019), è emerso che il 7% dei nostri bambini è obeso e il 21%

in sovrappeso. Dal Rapporto dell’OMS sovrappeso e obesità sono

tra le principali cause di morte e disabilità in Europa e stime

recenti suggeriscono che causano più di 1,2 milioni di decessi

all’anno, corrispondenti ad oltre il 13% della mortalità totale.

Purtroppo la situazione non sembra migliorare nel tempo e notiamo

un aumento dei casi in quasi tutti i paesi; dai dati sembrerebbe

che nessuno dei 53 stati membri della regione europea

sia sulla buona strada per perseguire l’obiettivo dell’OMS sulle

malattie non trasmissibili e fermare l’aumento dell’obesità en-

tro il 2025. Inoltre, la pandemia di Covid-19 sembra aver peggiorato

la situazione. I dati preliminari suggeriscono infatti che in

questo periodo le persone hanno avuto una maggiore esposizione

ai fattori di rischio dell’obesità a causa dell’aumento dello stile

di vita sedentario e del consumo di cibi non sani. Le evidenze

scientifiche più recenti dimostrano come un peso corporeo inadeguato

nei primi anni di vita possa influenzare la tendenza futura

a sviluppare l’obesità. È fondamentale quindi agire ancor più

tempestivamente e in maniera determinata sulla prevenzione e

attuare interventi mirati di educazione alimentare incoraggiando

comportamenti e stili di vita corretti nei bambini per far sì che

questa tendenza si inverta. Presso lo studio artEnutrizione di Firenze

accogliamo anche piccoli pazienti in età scolare a rischio

di sovrappeso e obesità e le loro famiglie, cercando di offrire un

supporto non solo dal punto di vista nutrizionale ma anche emotivo,

relazionale e psicologico, in un ambiente non medicalizzato,

tranquillo e sereno.

Biologa Nutrizionista e specialista in

Scienza dell’alimentazione, si occupa

di prevenzione e cura del sovrappeso

e dell’obesità in adulti e bambini attraverso

l’educazione al corretto comportamento alimentare,

la Dieta Mediterranea, l’attuazione di

percorsi terapeutici in team con psicologo, endocrinologo

e personal trainer.

Studi e contatti:

artEnutrizione - Via Leopoldo Pellas

14 d - Firenze / + 39 339 7183595

Blue Clinic - Via Guglielmo Giusiani 4 -

Bagno a Ripoli (FI) / + 39 055 6510678

Istituto Medico Toscano - Via Eugenio

Barsanti 24 - Prato / + 39 0574 548911

www.nutrizionistafirenze.com

silvia_ciani@hotmail.com

SOVRAPPESO E OBESITÀ

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I giganti

dell’arte

A cura di

Matteo Pierozzi

Rosso Fiorentino

Il maestro del Manierismo alla prova con un angelo

di Matteo Pierozzi

Rosso Fiorentino, Angelo musicante (1521), olio su tavola, cm 39x47, Gallerie degli Uffizi, Firenze

Un giovane angelo china il volto sullo strumento a

corde che si prende la quasi totalità della scena;

le ali e il volto, in forte scorcio prospettico, quasi

si nascondono al di sopra della tastiera del liuto su cui la

mano sta disegnando un accordo. Colpiscono l’occhio dello

spettatore il colore rosso delle ali e l’ocra intenso dello strumento

che lo sfondo scuro contribuisce a risaltare. Stiamo

parlando dell’Angelo musicante, piccola opera pittorica attribuita

con certezza a Giovan Battista di Jacopo di Gasparre

detto il Rosso Fiorentino solo nei primi dell’Ottocento. L’opera

fu dipinta dal maestro all’età di trent’anni, nel 1521. Il

Rosso Fiorentino viaggiò molto, fermandosi a lungo soprattutto

a Venezia, per inseguire sempre nuove commissioni.

Ebbe un carattere controverso che gli procurò anche nume-

rosi contrasti ed inimicizie durante la sua vita. Cresciuto a

bottega da Andrea del Sarto, scelse come riferimenti per la

sua arte, caratterizzata da figure molto realistiche e talvolta

grottesche, maestri quali Donatello, Michelangelo e Raffaello,

diventando un

grande esponente del

Manierismo. Terminò

la sua vita in Francia

a Fontainebleau nel

1540, in circostanze

mai chiarite, presso

la corte di Francesco

I, dove s’impose come

artista di rilievo.

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ROSSO FIORENTINO


A cura di

Maria Concetta Guaglianone

PsicHeArt

Estate

Oltre ad una stagione, uno stato d’animo

di Maria Concetta Guaglianone

Estate: le prime immagini che tale parola mi evoca sono

distese di papaveri e di grano, sole, mare, montagna, il

colore azzurro che dipinge il cielo di giorno e distese di

stelle nelle notti in cui a volte fa capolino la luna, e il suono delle

cicale che accompagnano i sogni. Benjamin Alire Sáenz, scrittore

e poeta statunitense, scrive: «L’estate doveva essere libertà e

giovinezza e nessuna scuola e la possibilità, l’avventura e l’esplorazione.

L’estate era un libro pieno di speranza. Ecco perché ho

amato e odiato le estati. Perché mi hanno fatto venire voglia di

crederci». Estate: solo una stagione o qualcosa di più, un vero e

proprio stato dell’animo? Per molti è il periodo dell’anno più bello,

con le sue giornate calde e lunghe, le luci, i colori, gli odori e i

sapori che influenzano positivamente lo stato psico-fisico, ma è

anche il momento più atteso perché coincide spesso con le ferie

e permette di recuperare le energie utili per affrontare un nuovo

anno lavorativo e un nuovo inverno. Al suono dell’estate danzano

il piacere e la voglia di godere a pieno la meritata pausa e di dedicarsi

ad attività a contatto con la natura, tra passeggiate in montagna,

al mare o anche in città, e con il sole, che ci consente di

sintetizzare meglio la vitamina D e di attivare una maggiore produzione

di serotonina, importanti fattori protettivi per la salute, il

sistema immunitario e il tono dell’umore. L’aspetto fondamentale

è mettersi “offline” dal lavoro, da telefoni, computer e pratiche

da gestire, per concedersi lo spazio e il tempo necessari a rigenerare

corpo e mente. Il periodo estivo può essere una grande

opportunità per ricaricarsi e prendersi cura di sé, e può servire,

come per osmosi, ad inondare di sensazioni positive la ripresa

delle attività lavorative e ad affrontare al meglio la quotidianità

nei periodi a seguire. Non per tutti, però, questo periodo dell’anno

coincide con la parola benessere. Sono numerose le persone

che vivono, invece, un peggioramento delle proprie condizioni fisiologiche,

percepiscono malessere di natura psicologica, fisica

e comportamentale. Tale condizione stagionale, definita anche

“mal d’estate”, è caratterizzata da uno stato di sofferenza, disagio

e fastidio, da sintomi depressivi – ansia, irritabilità, tristezza,

insonnia –, difficoltà legate alle alte temperature o a gestire

i cambiamenti nello stile di vita e nel ritmo circadiano e di sonno-veglia,

senza dimenticare lo “stress da vacanza” legato alla

difficoltà di programmare nuovi impegni e ritmi differenti o all’ansia

che viene attivata al solo pensiero del rientro lavorativo. Nel-

la fase storica che stiamo attraversando lo stato di malessere

può essere anche legato alla presenza del Covid-19 e alla preoccupazione

di poter contrarre il virus. Bisogna inoltre considerare

tutte le persone che invece un lavoro non ce l’hanno e l’andare

in vacanza non è di certo il loro primo pensiero, quelle che vivono

in solitudine o che per motivi economici o condizioni di malattia

non hanno modo di vivere l’estate in leggerezza e serenità.

Se per taluni fermarsi e “staccare la spina” apporta benefici psico-fisici,

per altri l’estate diventa un vero e proprio elemento “trigger”

di un malessere tenuto sotto soglia durante l’anno. L’arrivo

della pausa estiva, quindi, può essere una grande opportunità di

ricarica energetica ma anche un periodo estremamente faticoso,

problematico e delicato da gestire. Non c’è un unico modo di vivere

e percepire l’estate, c’è il proprio modo, risultante della propria

storia, da tratti di personalità, situazioni e condizioni di vita.

L’estate addosso, estate come un vento che anima o come sabbie

mobili bollenti che tirano giù; estate da vivere che accende o

estate che spegne, oppure semplicemente estate per la stagione

che è. Ma la cosa più importante è questa: dovunque tu sia, qualunque

cosa tu faccia, fa sì che il tuo sguardo sia sempre rivolto

a te stesso, entra in ascolto con ciò che senti nel corpo, entra in

contatto con le tue emozioni e i tuoi pensieri. Fai caso all’energia

che uno stato di benessere attiva, ma fai anche caso quando

avverti uno stato di down e, se il malore incombe e aumenta, non

esitare a chiedere aiuto. Nel bene e nel male, sei tu lo scrittore del

libro della tua esistenza, in cui si alternano fasi e stagioni del capitolo

“Estate” che porta la tua firma.

Psicologa specializzanda presso la Scuola di Psicoterapia dell’Istituto Psicoumanitas di Pistoia, Maria Concetta

Guaglianone ha frequentato la scuola biennale di Counseling Psicologico presso Obiettivo Psicologia

di Roma, dove ha svolto anche la propria attività professionale collaborando come tutor nel Master di

Psicologia Perinatale. È autrice di numerosi articoli sul portale Benessere 4you - Informazioni e Servizi su Salute e

Benessere Psicologico. Attualmente svolge la propria attività professionale presso Spazio21 - Studi Professionali

di Discipline Bio Naturali e Psicologia (via dei Ciliegi 21 - 50018 Scandicci).

+39 3534071538 / + 39 348 8226351 / mariaconcetta.guaglianone@gmail.com

ESTATE

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Eccellenze toscane

in Cina

A cura di

Michele Taccetti

Un e-commerce in Cina per le piccole e

medie imprese toscane

di Michele Taccetti

Nasce in Cina nel 2022 il nuovo

negozio online dedicato

alle piccole e medie imprese

italiane e China 2000 cura in via

esclusiva le piccole e medie imprese

della Toscana. Fra i prodotti

maggiormente richiesti dal mercato

figurano: prodotti per l’infanzia,

complementi di arredo, oggetti artistici,

vasi per fiori, oggetti artistici

e decorativi per la casa, accessori

per cucina e per la tavola, pelletteria,

moda, accessori moda e bigiotteria.

L’e-commerce è ben sviluppato

in Cina e dà lavoro a molta gente soprattutto

perché con i soli negozi fisici

è impossibile coprire un territorio

di circa 9 milioni e mezzo di km quadrati

e servire oltre 1 miliardo di persone.

Inoltre, è più comodo e più

economico acquistare online senza

doversi muovere, ricevendo la merce

consegnata direttamente a domicilio. Col nostro e-commerce

le aziende spediscono in Cina solo merce già venduta e

pagata anticipatamente: non esistono resi né conto vendita.

Le aziende non devono neppure fare magazzino, bensì devono

solo incassare i pagamenti ed evadere l’ordine, trasporto

e sdoganamento sono interamente a carico della nostra società.

Nell’ultimo periodo organizzare missioni commerciali

in presenza da e verso la Cina così come la partecipazione

alle fiere è diventato complicato. Queste attività promozionali

sono comunque costose e non sempre raggiungono

gli obiettivi sperati. Ad oggi i movimenti delle persone sono

limitati, ma i movimenti delle merci no; anche per questo

motivo l’e-commerce è lo strumento ideale per vendere in

Cina. Attraverso l’e-commerce, inoltre, si ottiene un riscontro

diretto dal mercato con un feedback reale sui gusti del

consumatore cinese. Tutte informazioni utili per sviluppare

una strategia di vendita a medio e lungo termine. Questa

piattaforma e-commerce è radicata in Cina ma è 100% italiana

sia nell’offerta che nel management, e questo garantisce

un corretto posizionamento sul mercato cinese. Il valore

aggiunto sta proprio nella qualità dei prodotti proposti, che

vengono promossi in modo mirato ad una clientela di fascia

medio-alta. Potremmo definire questo e-commerce come

una “boutique” online di prodotti selezionati, artigianali, originali,

di nicchia, di eccellenze italiane per un’élite di clienti

cinesi che amano il “vero ed originale made in Italy”. I principali

vantaggi della piattaforma e-commerce China2000 per

le piccole e medie imprese toscane possono essere riassunti

come segue: non occorre avere personale in azienda che

parli cinese né una perfetta conoscenza del mercato locale

né un export manager dedicato; inoltre, non è necessario

creare un magazzino o recarsi fisicamente in Cina. Le traduzioni

in cinese, le attività di promozione e vendita, la gestione

degli ordini, lo sdoganamento, le spedizioni dall’Italia

e in tutta la Cina sono interamente a nostra cura e carico,

senza rischi, commissioni o ulteriori costi per le aziende oltre

all’esiguo costo di affiliazione che garantisce questi nostri

servizi.

Per informazioni scrivere a: china2000@china2000.it

Amministratore unico di China 2000 SRL e consulente per il

Ministero dello Sviluppo Economico, esperto di scambi economici

Italia-Cina, svolge attività di formazione in materia di

marketing ed internazionalizzazione.

michele.taccetti@china2000.it

China 2000 srl

@Michele Taccetti

Michele Taccetti

Michele Taccetti

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E-COMMERCE IN CINA


Ritratti

d’artista

Aristide Bruno

Un percorso dal naturalismo all’informale attraverso il colore

di Jacopo Chiostri

Nel fluire, inarrestabile, della creatività dei nostri artisti

s’incontrano continuamente nuove frontiere

espressive delle quali occorre tener conto per meglio

comprendere i tempi che viviamo e di cui, queste, sono

esplicazione sia artistica che sociale. È il caso di Aristide

Bruno, solido pittore barese di nascita e fiorentino d’adozione

(vive a Sesto Fiorentino), il quale, dopo un passato

pittorico nella figurazione, è approdato a quello che lui

stesso riconosce come “figurativo informale”, il linguaggio

pittorico che rappresenta al meglio le sue emozioni e il suo

sguardo sul mondo. Il termine non è inedito ma non è bastante

per spiegare la complessità della sua poetica. Bruno

si è avvicinato alla pittura a Lecce, dove ha trascorso

i primi anni e dove ha frequentato corsi di disegno dal vivo

dimostrando una precoce predisposizione per il ritratto.

La sua pittura degli esordi, e poi nei tempi immediatamente

successivi, era rivolta ai temi classici della figurazione:

nature morte – ricche di pathos –, ritratti, scorci paesaggistici.

Una rappresentazione intimistica, con contrasti decisi

tra luci e ombre, nella quale la personalità dell’artista

traspare potente; nella paesaggistica si riconoscono, piuttosto

evidenti, le influenze della “macchia”. È pittura autorevole

che non lascia nulla alla spettacolarizzazione, che

non cerca l’applauso, che va oltre. Con i soggetti ritratti si

avverte una comunione di sensi, si affidano all’artista consci

che non verrà loro rubata l’anima, ma solo rappresentata

la propria interiorità. Questo vale per la raffigurazione di

una madre con figlio, di un’anziana

col volto segnato dal

tempo come per il ritratto di

un alto prelato nel quale convivono

ufficialità, sacralità e

umanizzazione del soggetto.

È poi attorno al 2004 che

avviene una svolta decisa e

decisiva nell’arte di Bruno.

Quell’anno a Parma, a dieci

anni dalla sua morte, si tiene

una grande retrospettiva di

Carlo Mattioli, la cui pittura,

assieme ad alcuni riferimenti

a Sergio Scatizzi, avrà una

sostanziale influenza sulla

nuova produzione di Bruno.

Si tratta di quel “realismo informale”

che non diverrà una

vera e propria corrente istituzionale,

ma che, forse più di

ogni altra forma espressiva

Campo uno, olio su tela, cm 100x150

recente, è stata capace di farsi “terrazza sul mondo”. Il linguaggio

ora muta, la figurazione non scompare, ma è poco

più che abbozzata; Bruno continua a usare la pittura a

olio, ma la pennellata si fa nervosa, veloce, il colore diviene

spesso, sulla tele fluiscono le sue emozioni davanti allo

spettacolo della natura. La natura che è riprodotta nella

sua eleganza ma anche nel suo continuo cangiare, sembra

voler ricordarci che da un momento all’altro può cambiare

la nostra esistenza e quindi dovremmo fermarci a riflettere

sulla caducità del nostro passaggio. In queste opere la

coloristica, frutto di tanta avvertibile sperimentazione, si

avventura su inediti accostamenti cromatici, ne deriva un

equilibrio compositivo e tonale di ottima fattura. L’osservatore

è guidato a confrontarsi con lo sgorgare, apparentemente

(solo apparentemente) spontaneo di una poetica

nella quale si fondono stupore di fronte al creato e preoccupazione

per l’uso che ne viene fatto. Tra i primi lavori di

Bruno si ricorda un ritratto del presidente Spadolini, commissionatogli

dal Partito Repubblicano di Lecce e il ritratto

dell’arcivescovo di Taranto. A Sesto Fiorentino, dove si è

trasferito nel 1992, lavora ed espone a Sesto Arte; è inoltre

socio del Circolo degli Artisti Casa di Dante dove nel 1998

ha tenuto un’importante personale. Tra i premi assegnatigli

si ricorda con l’opera Le mele verdi la vittoria al premio

Gastone Razzaguta.

aristidebruno@ymail.com

ARISTIDE BRUNO

37


Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Nicoletta Cantore

Lo sguardo lento di una fotografia poetica

di Daniela Pronestì / foto Nicoletta Cantore

Il segreto di una “buona” fotografia non risiede nella qualità

dello strumento utilizzato e ancor meno nel soggetto immortalato.

Può sembrare un paradosso ma tutto ciò che

di buono c’è in uno scatto va cercato all’esterno dell’immagine,

nell’occhio del fotografo, nel modo in cui ha saputo filtrare la realtà

facendosi guidare dalla propria sensibilità. In quest’ottica,

la fotografia non è affatto un freddo documento della realtà ma

un’interpretazione che, pur non potendo intervenire sulla verità

del dato oggettivo – ad eccezione ovviamente di modifiche apportate

con tecniche di fotoritocco –, riesce però ad attribuire

alle cose un nuovo significato. Questa premessa serve ad introdurre

il lavoro di Nicoletta Cantore, pittrice per necessità, fotografa

per scelta. Infatti, mentre alla pittura si è avvicinata quando era

ancora adolescente, spinta dal bisogno di assecondare una naturale

quanto precoce inclinazione, alla fotografia è arrivata più

avanti, con la maturità di un’artista che, volendo condurre la propria

ricerca verso nuove mete, ha scelto di trasferire in fotografia

l’esperienza maturata dipingendo. Non è stato quindi soltanto un

passaggio da un linguaggio ad un altro, ma un ben più complesso

travaso di valori estetici e criteri compositivi dalla tela dipinta

all’immagine fotografica. Questo non significa che la Cantore

non abbia fin da subito riconosciuto e valorizzato le specificità

espressive della fotografia, a partire ad esempio dalla possibilità

di servirsene per cimentarsi in nuovi soggetti. È altrettanto vero

però che l’essere anche pittrice ha influito non poco sia sul suo

modo di osservare la realtà che di raccontarla attraverso le im-

magini, tanto da porre in atto una vera e propria sintesi tra questi

due diversi sistemi di rappresentazione. Un esempio in tal senso

è dato dalle foto scattate lungo le strade cittadine, nelle quali

si ha l’impressione che lo sguardo dell’autrice si muova con lentezza

rispetto al procedere frenetico del contesto urbano. Mentre

tutto il resto intorno si sposta con velocità, il suo sguardo si

concede il tempo di osservare le cose con attenzione: si posa su

palazzi, monumenti e persone, si allunga nelle prospettive strette

dei vicoli, s’interroga su cosa far rientrare nel campo visivo e

cosa invece escludere. Solo dopo aver considerato tutti questi

aspetti – in un processo tutt’altro che lento ma condensato nei

tempi brevi di un occhio sensibile e ormai esperto –, può finalmente

scattare la foto, consapevole del fatto che, malgrado tanta

attenzione, andrà incontro quasi certamente a degli imprevisti:

un dettaglio in più o uno in meno, una luce sfocata o uno sfondo

poco nitido, tanto per fare degli esempi. Del resto, si sa: la realtà

è sempre in vantaggio sul fotografo che tenta di catturarla. Ma

né la forza comunicativa di una fotografia né il suo valore poetico

dipendono dalla precisione di tutti questi particolari. Quello che

conta, negli scatti di Nicoletta Cantore, è che alla fine l’immagine

parli a chi l’osserva con voce piena di emozione; la stessa emozione

che sovrintende e guida il suo sguardo attraverso l’obiettivo,

attribuendo alla tecnica un ruolo mai predominante, se non

addirittura secondario. Quanto basta a definire queste fotografie

“riuscite” nella misura in cui rifuggono dall’esattezza dello scatto

tecnicamente perfetto per concentrarsi invece sulla capacità

Atene


Attesa

Salisburgo

narrativa dell’immagine. Capacità che per la Cantore si nasconde

spesso in frammenti di realtà all’apparenza secondari: un effetto

di luce riflesso sulla strada; un volto di donna intenta a bere

in un bar; la magia di un luogo scoperto per caso nel bailamme

cittadino; il contrasto tra le architetture di ieri e gli innesti urbani

dell’oggi. E se da un lato individua con devota attenzione questi

protagonisti, dall’altro lato, nella fase di post-produzione, interviene

a conferire all’immagine un effetto grafico-pittorico, accentuando

i contorni, saturando le luci, avvalendosi del bianco e nero

per ottenere contrasti chiaroscurali simili a quelli di un disegno.

Vista con gli occhi di una pittrice, la fotografia è qualcosa di diverso:

un connubio di due linguaggi che insieme raccontano la vita

e la complessità del mondo, scovando scampoli di bellezza e

di poesia dove nessuno se li aspetta.

Rouen

People

NICOLETTA CANTORE

39


Movimento

Life Beyond Tourism

Travel To Dialogue

I Luoghi Parlanti diventano una guida sfogliabile

in collaborazione con Touring Club Italiano

Dai Luoghi Parlanti a The World in Florence 2022 attraverso i racconti dei locals

di Stefania Macrì

Èstata pubblicata la prima guida dei Luoghi Parlanti®,

il progetto di “turismo sostenibile” del Movimento Life

Beyond Tourism – Travel to Dialogue che propone un

nuovo modo di esplorare il territorio, a metà strada tra innovazione

e passaparola. La pubblicazione, che raccoglie i primi territori

in Italia e all’estero, dal titolo Luoghi Parlanti – Viaggiare per conoscere

il mondo, realizzata in collaborazione con Touring Club

italiano, è stata presentata mercoledì 15 giugno presso la prestigiosa

Accademia delle Arti del Disegno di Firenze. Al centro

del volume c’è la genesi del modello di Luogo Parlante, un sistema

di targhe interattive, dotate di tecnologia NFC/QR code, che,

apposte nei luoghi strategici e di interesse, danno la possibilità

di accedere a informazioni, cenni storici, suggerimenti per completare

il proprio percorso di visita dei territori interagendo con

i locals attraverso l’unico accessorio veramente indispensabile

al viaggiatore contemporaneo: lo smartphone. Modernità e tecnologia

digitale si fanno quindi veicolo di conoscenza e esplorazione

dei tesori del passato e di un patrimonio storico-culturale

da riscoprire nella sua interezza. Con la possibilità di interagire

e condividere foto, suggerimenti, esperienze, il proprio posto del

cuore, e di caricarli sulla apposita piattaforma digitale, visibile

su www.luoghiparlanti.com. L’evento di presentazione del volume

presso l’Accademia delle Arti del Disegno ha visto la presenza

e l’intervento di Cristina Acidini, presidente dell’Accademia,

Paolo Del Bianco, presidente emerito della Fondazione Romualdo

Del Bianco, Mounir Bouchenaki, consigliere speciale del direttore

generale UNESCO e presidente onorario della Fondazione

Romualdo Del Bianco, Carlotta Del Bianco, presidente Movimento

Life Beyond Tourism e Fondazione Romualdo Del Bianco, Aurora

Savelli, docente presso l’Università di Napoli L’Orientale e

membro del Comitato Consultivo Life Beyond Tourism. Dichiara

Carlotta del Bianco: «Siamo emozionati di essere qui oggi a presentare

questo volume, in cui trovano rilievo le realtà che hanno

già scelto di raccontare il proprio territorio attraverso la voce di

chi lo abita. Intendiamo così dare inizio a un percorso che porterà

alla realizzazione della prima guida vera e propria dei Luoghi

Parlanti, dove ogni destinazione verrà narrata proprio in un’ottica

glocal, ribaltando culturalmente la figura del viaggiatore che

così diventa un vero e proprio residente temporaneo del luogo

che lo ospita. Il Movimento Life Beyond Tourism nasce per mettere

in pratica i princìpi della filosofia teorizzati dalla Fondazione

Romualdo Del Bianco nella sua ultratrentennale esperienza

di dialogo tra culture per il rispetto reciproco, la valorizzazione

dei territori e dei loro saperi e saper fare. Luoghi Parlanti nasce

e si inserisce in questo contesto e si pone come un’esperienza

itinerante che invita alla scoperta e interviene sul territorio

per creare un legame più profondo, una conoscenza autentica

e una connessione diretta con la comunità locale. La situazione

internazionale degli ultimi anni ha segnato un solco tra il mondo

di ieri e quello che si va a profilare per il futuro, restituendoci

un presente ricco di punti di domanda. Le vicissitudini mondiali

hanno confermato l’importanza della visione di Life Beyond

Tourism: superare il turismo di massa, quello mordi e fuggi che

ha finito per depauperare i territori, e affermare un nuovo modo

di viaggiare nel rispetto di luoghi, persone, culture e tradizioni. Il

racconto parte da istituzioni, soggetti privati e stakeholder vari,

ma sarà implementato dai residenti di tutto il mondo grazie alla

possibilità di inserire foto e commenti direttamente sulla piattaforma

interattiva con l’obiettivo anche di aprirsi a collaborazioni

nazionali e internazionali per favorire una sinergia anche con

progetti già esistenti ma che hanno una scala più locale. Questo

volume sancisce anche l’avvio della collaborazione con Touring

Club Italiano per prendersi cura assieme del nostro bene comune».

Nella guida trovano anche posto una raccolta di esperienze

ed espressioni culturali raccontate attraverso gli occhi e la creatività

dei giovani della rete internazionale di università e istituzioni

della Fondazione Romualdo Del Bianco, raccolte a novembre

scorso durante il festival The World in Florence, Festival della Diversità

delle Espressioni Culturali, la cui nuova edizione si terrà

dal 16 al 18 novembre presso il Cenacolo di Santa Croce a Firenze.

Una serie di contenuti dettagliati provenienti dalle più sva-

40 MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE


Un momento della presentazione nella sede a

Firenze dell’Accademia delle Arti del Disegno

Paolo Del Bianco, presidente emerito

della Fondazione Paolo Del Bianco

Cristina Acidini, presidente

dell’Accademia delle Arti del Disegno

riate parti del mondo, dai territori di Asia, Africa ed Europa, che

costituiscono il punto di partenza per la creazione di una nuova

dimensione del viaggio, basato sulle relazioni e la scoperta profonda

delle culture e delle comunità ad esse legate. Un percorso

che coinvolge Azerbaijan, Camerun, India, Cina, Georgia, Giappone,

Russia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Kosovo, Lituania, Polonia

e Italia (da Milano a Firenze, da Fiumicino a Napoli, ai nove

comuni del Mugello e alle Terre Canavesane). Mounir Bouchenaki,

archeologo, alto dirigente dell’Unesco e dell’Iccrom, da poco

nel board di Fondazione Romualdo Del Bianco, ha dichiarato

durante la presentazione: «Avere conoscenza del luogo che si

sta visitando, grazie al coinvolgimento delle comunità locali, per

vivere come un glocal è un vero passo avanti nel modo di promuovere

un territorio. Da qui si evince lo spirito del Movimento

Life Beyond Tourism e della Fondazione Romualdo Del Bianco,

un approccio positivo alle nuove tendenze del mondo contemporaneo.

Non è un caso l’utilizzo di tecnologia NFC, che rende

l’esperienza condivisibile e implementabile da tutti, secondo

una vera e propria logica di rete. A questo è connesso il festival

che celebra la diversità culturale The World in Florence, che

avrà un focus sulla convenzione Unesco per la tutela del patrimonio

culturale immateriale. Il patrimonio culturale fornisce a

tutti noi Il senso di identità e di appartenenza, e dovrà giocare

sempre di più un ruolo principale nello sviluppo economico

sociale e umano, per consentire la sopravvivenza delle persone

e dell’ambiente naturale, per le prossime generazioni. Non ci

può essere sviluppo senza partecipazione e inclusione, di questo

siamo profondamente convinti».

Dai Luoghi Parlanti a The World in Florence 2022

I Luoghi Parlanti che si stanno attivando nel corso del 2022 saranno

presenti durante la seconda edizione del Festival Internazionale

della Diversità delle Espressioni Culturali The World in Florence che

si terrà dal 16 al 18 novembre 2022 presso il Cenacolo di Santa

Croce, a Firenze. Durante la seconda edizione della manifestazione,

il mondo sarà riunito a Firenze per raccontarsi grazie agli storytelling

che pubbliche amministrazioni, enti di promozione territoriale,

università e istituzioni formative stanno realizzando. I luoghi del

mondo saranno accessibili e fruibili da viaggiatori responsabili che

potranno divenire così residenti temporanei dei territori. C’è ancora

tempo fino al 31 luglio per presentare il racconto del proprio territorio

e partecipare alla seconda edizione del festival a Firenze. Per

maggiori informazioni www.theworldinflorence.com.

Il Movimento Life Beyond Tourism Travel to Dialogue srl è una società

benefit. Nasce e si sviluppa seguendo i princìpi di Life Beyond Tourism

® , ideati dalla Fondazione Romualdo Del Bianco al fine di promuovere

e comunicare il patrimonio naturale e culturale dei vari territori insieme

alle espressioni culturali, il loro saper fare e le conoscenze tradizionali che

custodiscono. Offre progetti e soluzioni di visibilità e rafforzamento delle

identità locali dei vari luoghi, crea eventi basati sul dialogo tra il territorio e

i suoi visitatori grazie a una rete di relazioni internazionali di alto prestigio.

Per info:

+ 39 055 290730

info@lifebeyondtourism.org

www.lifebeyondtourism.org

MOVIMENTO LIFE BEYOND TOURISM TRAVEL TO DIALOGUE

41


La tutela

dell’ingegno

Stop alle copie del David

I mille passi indietro dopo l’Expo 2022

di Aldo Fittante

Lo scorso maggio un provvedimento del tribunale di

Firenze ha vietato agli studi d’arte Cave Michelangelo

di Carrara di riprodurre una qualsiasi immagine

del David, opera simbolo della città di Firenze. Nel 1501

Michelangelo Buonarroti inizia a lavorare alla creazione

del David. La statua, terminata nel 1504, venne poi esposta

in piazza della Signoria, diventando in poco tempo un’icona

nel mondo dell’arte e nella scultura. Adesso, dopo

anni in cui il David è stato modello in tutte le scuole d’arte,

il ministero della Cultura ha chiesto di cancellare ogni

riproduzione riferibile al Buonarroti dalle pagine Internet

del celebre atelier di Carrara perché «sviliscono l’immagine

del bene culturale facendolo scadere ad elemento distintivo

della qualità dell’impresa». Decisione, seppur non

ancora definitiva essendo il processo a Roma ancora in

corso, che lascia perplessi in molti, a partire dal diretto-

re dell’Accademia di Carrara, Luciano Massari, che sostiene

fermamente quanto i modelli delle opere d’arte servano

per fare scuola e approfondimento, e quanto riuscire a copiarli

sia «sinonimo dell’alta professionalità dell’artigiano

che ci lavora, professionalità che ha appreso con anni

di perfezionamento che ora si vorrebbero andare a svilire,

distruggendo persino tutti gli strumenti utilizzati per

la riproduzione». Opinione più che condivisibile, specialmente

se si considera che, attualmente, il David presente

in piazza della Signoria non è l’originale, bensì una fedelissima

copia; nel 1873, infatti, venne deciso di trasportare il

David dall’arengario di Palazzo Vecchio fino alla Galleria

dell’Accademia poiché i troppi secoli di esposizione agli

agenti atmosferici stavano mettendo a dura prova la resistenza

del gigante di marmo. Fu quindi necessario metterlo

al riparo da ulteriori danni, sistemandolo nel nuovo

La scultura originale custodita alla Galleria dell'Accademia di Firenze

42

STOP ALLE COPIE DEL DAVID


spazio all’interno della Galleria, che in quel periodo ancora

era in costruzione. Agli inizi del Novecento venne indetto

un concorso pubblico: Luigi Arrighetti, scultore di Sesto

Fiorentino, si aggiudicò il bando e nel 1910 finalmente

quel posto vacante da decenni venne di nuovo occupato

da una riproduzione così fedele all’originale da indurre

tutt’oggi in errore alcuni turisti. Altro esempio di quanto

la riproduzione – di qualità – non sia necessariamente

da considerare con accezione negativa, è il progetto promosso

dal commissariato per la partecipazione dell’Italia

a Expo Dubai con il ministero della Cultura e la Galleria

dell’Accademia di Firenze. Al centro del padiglione dell’Italia,

infatti, fino a marzo 2022 è stato possibile ammirare

una copia sorprendente del David di Michelangelo ottenuta

tramite una lunga e accurata digitalizzazione della

scultura che ne ha permesso la riproduzione grazie a una

stampante 3D di ultima generazione. L’opera, che pesa 450

chili, è stata realizzata grazie al coordinamento della professoressa

Grazia Tucci, direttrice del laboratorio di geomatica

per l’ambiente e la conservazione dei beni culturali

dell’Università di Firenze, in collaborazione con i tecnici di

Hexagon Italia, azienda specializzata nel settore dei sensori,

dei software e delle soluzioni autonome. Il processo

di riproduzione della statua ha portato alla creazione di

quattordici pezzi, assemblati da esperti restauratori che

ne hanno curato il rivestimento marmoreo, riproducendo

fedelmente l’originale in tutte le sue parti. Sul piano nazionale,

l’Expo di Dubai ha rappresentato un appuntamento

importante per l’Italia che ha avuto l’opportunità di promuovere

la bellezza delle sue città d’arte per garantire la

ripartenza del turismo e attrarre nuovi investimenti utili

per tutti i settori produttivi del paese. Dopo questo enorme

passo in avanti, in un periodo storico in cui la tecnologia

Particolare della copia del David in Piazza della Signoria a Firenze

scandisce sempre più il mondo dell’arte e di tutti i settori

produttivi, il rischio è quello di farne altri mille indietro,

con possibili conseguenze dannose per tutto l’artigianato

artistico e non solo, considerando che gli artisti, anche i

più moderni, per creare tante opere prima devono imparare

la tecnica e che per farlo, da sempre, si copia l’antico.

La copia realizzata per il padiglione Italia all’Expo di Dubai

STOP ALLE COPIE DEL DAVID

43


Emo Formichi

L’arte di far rivivere le cose quotidiane

Atelier e studio:

via Secondo Risorgimento 1

53026 Pienza (SI)

Angelo del giudizio (1998), collettore, tromba e falci, h cm 135


Cavaliere elettrico (1996), supporti metallici di tralicci

delle linee elettriche, h cm 145


Ritratti

d’artista

Anna Bini

Figlia d’arte, vanta una lunga e prestigiosa carriera come medaglista,

orafa e docente di storia e tecnica dello smalto in Italia e all’estero

di Fabrizio Borghini

Tu sei figlia d’arte, tuo padre Bino Bini è stato orafo,

scultore, medaglista fra i più importanti a livello

anche internazionale. Quanto ha influito nelle tue

successive scelte di vita e professionali?

Questo confronto con un padre famoso, l’ho vissuto molto bene.

Ho avuto con lui, per più di trent’anni, un rapporto splendido;

avevamo una scuola di oreficeria, che si chiamava Arte dei

Metalli, dove venivano allievi ma anche docenti a specializzarsi

da tutto il mondo, soprattutto dal Giappone. Io insegnavo

la mia materia, lo smalto a fuoco, ma anche oreficeria, mentre

mio padre teneva i corsi di oreficeria, sbalzo e cesello. Con

noi avevamo anche una docente giapponese che impartiva le

lezioni nella sua lingua. Grazie a questi artisti che venivano a

perfezionare la loro tecnica da noi, abbiamo continuato a mantenere

i rapporti col Giappone. Nel 2007 ho fatto una mostra,

con i miei smaltati, insieme all’orafa Yumiko Saganuma, con i

suoi gioielli, alla galleria Bungeisyunjyu di Ginza, il cuore commerciale

di Tokyo. Loro hanno un’antica tradizione nello smalto

per cui lo apprezzano in maniera particolare. Sia nel 2020

che ora nel 2022 sono stata invitata alla Biennale Internazionale

del Gioiello d’Arte che si tiene a Tokyo.

Bracciale in argento e smalto, tecnica plique à jour su plexiglass

Hai imparato le tecniche guardando lavorare tuo padre o

lui aveva una naturale predisposizione per trasmettere agli

altri i segreti delle sue tecniche?

Mio padre è sempre stato molto generoso con i suoi allievi e

naturalmente anche con me sia quando insegnava all’Istituto

d’Arte di Firenze sia quando era docente all’Istituto Margaritone

di Arezzo che è una scuola professionale. Svelava

anche quegli accorgimenti che spesso gli artigiani non sono

soliti insegnare per paura di essere soppiantati.

Avete realizzato qualche opera insieme?

In collaborazione con mio padre ho realizzato alcuni lavori fra

cui un ciborio in argento e smalti per la chiesa di San Francesco

ad Arezzo, un ciborio e due candelieri per la cattedrale di Fiesole,

un calice in argento e smalti donato dalla diocesi di Fiesole

alla città di Cafarnao in Terra Santa. Altre mie opere si trovano al

Cathedral Museum di Malta, nel medagliere della Biblioteca Vaticana

a Roma e nel medagliere del Museo del Bargello a Firenze.

Essere nata a Firenze, nella città di Benvenuto Cellini e di

tanti maestri orafi, quanto ha influito nella scelta di dedicarti

all’arte?

Croce in argento, oro, smalti e perle realizzata per l’incontro con Papa Benedetto XVI

Vivere a Firenze è un vantaggio perché fin da bambino assi-

46

ANNA BINI


Bracciale in argento e smalto, tecnica champlevè

mili un gusto del bello; quanto può incidere, in seguito, dipende

da quello che uno fa nella vita.

Una volta terminati gli studi?

Dal 1981 al 2018 ho insegnato Storia e Tecnica dello Smalto

a Fuoco presso la Scuola dell’Arte della Medaglia dell’Istituto

Poligrafico e Zecca dello Stato a Roma. In questa

veste, nel 2004, su incarico dell’Istituto Italo Latino Americano

e del Ministero degli Esteri, ho tenuto un corso di

smalto in Perù e successivamente, nel 2011 e 2012, ho

realizzato dei corsi di smalto su incarico della Regione

Toscana. Nel 2018 e 2019 mi è stato affidato un corso

speciale di smalto nella scuola Lao (Le Arti Orafe) a Firenze,

la città dove sono nata e dove, nello studio di via Bolognese,

continuo a tenere lezioni di smalto e oreficeria per

i miei allievi.

Hai sempre svolto l’attività di docente parallelamente a

quella di artista; infatti, dal 1970 ad oggi sono state numerosissime

le mostre che ti hanno vista protagonista sia

in Italia che all’estero e altrettanto numerose sono state

le partecipazioni alle più significative kermesse di medaglistica:

a Roma, Rieti, Udine, Vicenza, Ravenna, Milano e,

Ali, bracciale, oro, smalto e perle

ANNA BINI

47


L’albero della vita di 120 centimetri con pannelli smaltati per il

seminario missionario Pontificio Istituto Missioni Estere – PI-

ME di Firenze mentre per la cattedrale di Fiesole ho realizzato

un grande candeliere in argento e smalti di 110 centimetri.

Oggi, oltre ad essere membro del Soroptimist International

di Firenze e accademica d’onore dell’Accademia delle Arti

del Disegno, sei anche presidente della quasi coeva Antica

Compagnia del Paiolo che ha avuto in te la prima donna

presidente dopo 500 anni di storia…

Preistoria, pendente, oro, smalto e perle

all’estero, a Cincinnati, Varsavia, Malta, Budapest, Cracovia,

Seixal in Portogallo, Limoges. Quali sono stati i momenti

più importanti di questa lunga e prestigiosa carriera?

Nel 2011, in occasione di un’esposizione per celebrare i sessant’anni

di sacerdozio di Papa Benedetto XVI, su invito del

Pontificio Istituto di Cultura, ho realizzato una croce in oro, argento,

smalti e perle, tuttora custodita in Vaticano. Per la Zecca

Italiana ho modellato, nel 1983, la medaglia ufficiale per il

centenario della morte di Richard Wagner. Ho realizzato anche

Fin da piccola ho vissuto la vita del Paiolo perché mio padre

entrò a farne parte subito dopo la rifondazione nei primi anni

Cinquanta. Per questo l’ho sempre considerata come una

seconda famiglia. La domenica gli artisti si trovavano a pranzo

alla trattoria da Fortunato in piazza Santa Maria Novella

dove si bisticciavano e si prendevano in giro pur mantenendo

sempre grande rispetto tra di loro e stima reciproca. Ho ancora

alle pareti di casa molti dei quadri di quegli artisti che,

a dimostrazione del forte legame che li univa, me ne fecero

dono in occasione del matrimonio. Però non avrei mai potuto

immaginare che un giorno ne sarei diventata la presidente; è

stata una vera sorpresa e mi sto impegnando con il consiglio

per mantenere in vita questo antico sodalizio anche se i tempi

non sono più quelli effervescenti di quando fu rifondato.

E fra un impegno e l’altro, cosa fai?

Faccio corsi di smalto e cerco di mandare avanti quest’arte

particolare, poco conosciuta ma affascinante...

Meteore, collana, oro, smalto e perle

48 ANNA BINI


Arte nel

week-end

Villa Medicea di Poggio a Caiano

Affreschi rinascimentali, scorci ameni e un teatro per la

residenza voluta da Lorenzo il Magnifico

di Doretta Boretti

Per trascorrere una giornata tra

“beltate e canoscenza” e respirare

aria pura tra piante ornamentali

e alberi secolari dovremmo

recarci alle propaggini del monte Albano

e visitare la splendida Villa Medicea

di Poggio a Caiano (PO). Forse qualche

lettore ancora non sa che quella dimora

è una delle ville medicee più famose.

Lorenzo il Magnifico, verso il 1480, acquistò

il castello, già esistente su quel

terreno, dal proprietario Pala di Noferi

Strozzi, e commissionò a Giuliano da

San Gallo di modificare l’edificio precedente

e costruire una villa che Lorenzo

chiamò “Villa Ambra”. Non è una villa

fortezza, come quella di Careggi, ma

un nuovo esempio architettonico rinascimentale

nato come dimora signorile

di campagna. Scoprire tutto quello che

custodisce al suo interno è come iniziare

un viaggio all’insegna del bello, tra

gli stupendi affreschi di Pontormo, Filippino Lippi, Andrea

del Sarto e poi raggiungere una mirabile opera di grandi dimensioni

di Giorgio Vasari (Cristo deposto con la Vergine, i

Santi Cosma e Damiano e un angelo con i simboli della Passione).

Tra le numerose stanze, tutte di un interesse unico,

ce n’è una, al piano terra, dove, in un’ampia sala variopinta,

Il teatro all'interno della storica residenza

Facciata della Villa Medicea di Poggio a Caiano

si erge un palcoscenico che conserva ancora oggi un sipario

dipinto nel 1806 da Luigi Catani: una meraviglia! Il teatro

fu fatto costruire nel 1666 circa da Margherita Luisa d’Orlean,

cugina di Luigi XIV e sposa, poco amata, di Cosimo III;

Margherita lo fece realizzare prima di tornare definitivamente

in Francia. Il teatro ancora oggi ospita rappresentazioni

teatrali, liriche e musicali; vi si è addirittura esibito

anche il grande Paganini. La dimora è stata

sempre residenza estiva dei Medici e ha ospitato

le promesse spose della famiglia provenienti

da luoghi lontani prima del loro arrivo a Firenze.

Nel 1536 vi fu anche celebrato il matrimonio tra

Alessandro de’ Medici e Margherita d’Austria.

Alcune curiosità: nel 1919 la Real Casa donò

la villa allo Stato italiano che ancora la detiene;

durante la terza guerra mondiale fu usata come

rifugio, nei suoi sotterranei, di grandi opere

d’arte, e anche molti civili vi trovarono riparo

dalle bombe. Nel 1965, nella villa e nei suoi ampi

giardini, fu girato il film di John Schlesinger

Darling. La villa è visitabile martedì, mercoledì,

venerdì, sabato, la seconda e terza domenica

del mese, dalle 8:30 alle 15:30. Adesso non

resta che visitarla davvero, e quale migliore occasione

di questa estate per farlo.

VILLA MEDICEA

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Occhio

critico

A cura di

Daniela Pronestì

Preben Frydkjær

Caos e ordine, la poetica degli opposti

di Daniela Pronestì

Un senso di profonda e pacifica liberazione e al tempo

stesso una gestualità pervasa da un furore creativo che

spinge e lotta per esprimersi. Le opere dell’artista danese

Preben Frydkjær si fondono sulla polarità di concetti e fattori

espressivi opposti tra loro: caos e armonia, staticità e movimento,

colori caldi e tinte fredde, controllo della struttura compositiva

e spontaneità del segno. La naturale tensione tra questi elementi,

il loro inevitabile confliggere e contrapporsi, si risolve tuttavia in

una sintesi che vede ciascuna parte dialogare con l’altra in un insieme

unitario e coerente. Alla base risiede la consapevolezza che

se non può esserci vita senza dialettica tra gli opposti, è possibile

però sublimare questa lotta in un superiore equilibrio, ed è possibile

farlo attraverso l’arte. Più che di un’ambizione si tratta di un

bisogno che spinge Preben Frydkjær a far confluire sulla tela forze

contrastanti eppure necessarie l’una all’altra, espressione tutte

insieme di una totalità che serve a dare ordine alle cose, attribuire

loro un posto ed un significato. Se da un lato quindi queste

forze emergono dal profondo in maniera apparentemente casuale

e caotica, dall’altro lato, una volta traslate sul supporto, trasformano

la loro spinta “primitiva” e irrazionale in un’energia sempre

vigorosa ma più “ragionata” e meno effimera. Un processo che impegna

l’artista tanto sul piano astratto con l’elaborazione raziona-


le di queste spinte emotive, quanto sul piano pratico adottando

una tecnica che procede per successive addizioni di segni, forme

e colori, in un progressivo dipanarsi sulla tela di memorie, sensazioni

e stati interiori. Compenetrandosi strato dopo strato, le

forze “oscure” dell’istinto diventano più leggibili, si staccano dal

magma informe da cui hanno avuto origine per conquistare ciascuna

una propria voce all’interno del dipinto. Non più una massa

indefinita quindi ma un accordo di suoni interiori che insieme portano

alla luce una profondità nascosta. L’idea che la tela sia una

porta socchiusa sul mistero – sia quello che abita dentro l’individuo

sia quello all’origine dell’esistente – si evince dalla presenza

in questi dipinti di forme simili ad aperture oltre le quali lanciare

lo sguardo per esplorare nuove dimensioni, scoprire aspetti celati

nel cuore dell’opera. In altri casi, invece, il segno si fa scrittura,

tracciato nervoso di un’emozione improvvisa e non controllata;

altre volte, il tempo entra nell’opera con una precisa indicazione

numerica, sovrapponendosi in questo modo al tempo non misurabile

dell’interiorità. Quello che viene configurandosi in questi dipinti

è un orizzonte astratto sul quale però rifulgono anche le luci del

mondo naturale, nella gamma di azzurri, rossi e verdi che lasciano

intuire parvenze di cieli al tramonto, movimenti d’acqua, scampoli

di paesaggio. Lo spazio dell’opera diventa allora un diaframma

che mette in comunicazione il mondo dentro e il mondo fuori, in

uno scambio osmotico di suggestioni trasferite sulla tela per mezzo

del gesto e del colore. Il “qui ed ora” dell’esecuzione artistica

s’incontra dunque con il “sempre” di emozioni universali che la pittura

di Preben Frydkjær cattura e fissa indelebilmente sul supporto,

sottraendole così alla transitorietà dell’esperienza.

PREBEN FRYDKJÆR

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Piccole storie da

raccontare

Moravio Martini

Una riflessione poetica sulla vita e sulla morte

Sono ancora vivo

Bussano alla porta.

Chi è? Chiedo io.

Sono la Morte.

Chi?

La Morte.

Che cosa vuole da me?

Se mi fa entrare glielo dico.

Neanche per sogno. Chi l’ha mandata?

Ci sono tanti che mi hanno mandata.

Tanti chi?

La gente, gli amici, i conoscenti, i dottori per esempio… e poi il COVID.

Guardi che Lei si sbaglia perché tutti mi vogliono bene. Molto bene.

Non lo metto in dubbio ma dicono, purtroppo, che lei è un’eccezione alla sua età ancora vivo.

Io sto molto bene, non ho bisogno di niente anche se ho il Covid 19.

Non è vero. Lei mente a se stesso perché, come tutti alla sua età, è pieno di acciacchi.

Questi fatti sono miei e non la riguardano.

Non è vero, potrei fare un elenco di tutto ciò che la affligge. Mi faccia entrare.

Guardo dallo spioncino della porta ma al di là non c’è nessuno. Le domando ma che Morte è Lei se non ha un corpo?

Io sono la Morte e basta, la Morte è come il tempo c’è ma non si vede, si sente. Mi apra!

Scusi ma io le sembro un tipo che apre la porta al primo venuto?

Io non sono il primo venuto: sono la fine della vita.

D’accordo, si nasce per morire ma io non ne ho ancora voglia.

Lei non può cambiare le leggi della natura. Mi apra e facciamola finita.

Non faccia la prepotente, ho detto no. NOOO!

Guardi che butto giù la porta.

Si provi che chiamo le guardie.

Ma quali guardie. Qui non si gioca a guardie e ladri, si gioca la vita!

Mi scusi tanto ma, per curiosità, non le sono bastati i morti palestinesi, vietnamiti, serbi, ucraini, russi, curdi, iracheni?

Io, in confronto, cosa vuole che sia… uno più o uno meno. Mi faccia il piacere: si levi dalle palle! Scusi, dimenticavo, dica

a quelli che mi vogliono morto che SONO ANCORA VIVO! VIVOOO! Però, siccome Proust disse che IL TEMPO È UNA

CORSA VERSO LA MORTE, Le dispiace se ne riparliamo un’altra volta.

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MORAVIO MARTINI


I libri del

mese

Maria Antonietta Cencetti Pazzagli

Storia di Marianna, ombre e luci di una vita fuori dal comune

di Erika Bresci

In Storia di Marianna Maria Antonietta Cencetti Pazzagli

traccia con limpida semplicità le linee ortogonali

che delimitano lo spazio di vita di una donna solo apparentemente

come tante, racchiusa tra una «nascita particolare»,

come recita il sottotitolo, e il «sonno oblio» cui

essa deliberatamente si abbandona sul viale del tramonto.

E se in copertina la bella scultura di Enzo Pazzagli, Mani,

sembra suggerire l’auspicio benevolo a un’accoglienza,

a un abbraccio e a un supporto materno che la protagonista

di questa toccante storia non ha mai avuto e che l’ha

condizionata per sempre, in tutto il libro è l’occhio, insieme

organo di senso e tramite psicologico, che guida il lettore

alla scoperta delle vicende che segnano un percorso

esistenziale irto di inciampi. Marianna, «figlia della

menopausa», e per questo “unica” seppure con

due fratelli ormai adulti e con prole, è costretta a

confrontarsi assai presto con lo sguardo assente

della madre, colpita da Alzheimer, che le fa vivere

la sensazione dolorosa di essere una «figlia

mai stata» «per una mamma mai avuta». Una volta

cresciuta, è l’occhio di donna innamorata che

non le fa scorgere i segnali di una tempesta apocalittica

che la travolge nel giorno del suo venticinquesimo

anniversario di matrimonio. Ma è

ancora e sempre l’occhio, desideroso di conoscere

luoghi e persone distanti dalla quotidianità vissuta,

che la spinge a viaggiare in terre lontane e

non, fino a farle incontrare un nuovo amore e una

nuova vita. E infine vi è l’occhio interiore. Quello

che la guida, giovanissima, a inventare e condurre

un programma radiofonico rivolto a persone

sole, quello che la fa discutere con il secondo marito,

uomo di cultura e riflessivo, su questioni etiche

– il rapporto uomo donna, soprattutto, nelle

sue anche più drammatiche risoluzioni –, condividendone

l’urgenza di un intervento tempestivo

su entrambi i fronti (è possibile anticipare il cortocircuito

che spinge alla violenza?), quello che

la fa accendere invece in disaccordo se il filo dei

pensieri conduce sul terreno scivoloso della fede.

E infine, quando un glaucoma spegne la luce sul

mondo esterno, la decisione drammatica di cercare

un nuovo sguardo, quello del sogno, perché

solo «attraverso il sogno trovo la luce, in un mondo

dove vedo bene le persone, le immagini, i paesaggi,

posso guidare la macchina, vedere le cose

strane che succedono e che sembrano tali perché

hanno tempi e spazi diversi da quelli della vita reale.

Ma è solo la fantasia della realtà». Marianna,

un giorno, si distende in un letto e non vi esce più. Se non

per espletare le funzioni vitali essenziali. E la realtà diventa

sogno. Unico ponte con il mondo che resta fuori, le lettere

accorate dell’amica Ginevra, che le racconta di uno strano

virus che tiene reclusi in casa tutti quanti. In un incubo diverso

ma ugualmente straniante. In pagine distillate come

a volerne tirare fuori il succo essenziale, Maria Antonietta

Cencetti Pazzagli si fa portavoce dei disagi più evidenti

della società contemporanea, apre prospettive nuove di

interpretazione, coinvolge con l’intensità partecipata degli

eventi che incalzano, lasciando però sempre al lettore la

possibilità di far propri, di meditare in silenzio e altrove i

semi seminati di questa storia “comune”.

MARIA ANTONIETTA CENCETTI PAZZAGLI

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Ritratti

d’artista

Lorenzo Querci

Un forte equilibrio figurale tra atmosfere sognanti e simboli

di Lodovico Gierut

Pur seguendo da qualche tempo l’attività creativa di Lorenzo

Querci, ci siamo incontrati di persona soltanto

tempo fa, nel corso di una mostra di gruppo alla quale

partecipava, presso la Galleria del San Leone, a Pietrasanta,

la cittadina versiliese definita molti anni fa dal grande storico

dell’arte Antonio Paolucci “la piccola Atene”. Pur se non parrebbe,

data la qualità delle sue opere che spaziano tematicamente

dalle figure femminili ai cavalli, e ad atmosfere sognanti dove

riaffiorano, alla stregua di pagine di diario cucite all’infanzia lune,

giocattoli lignei, orsacchiotti e altro ancora, Querci dipinge

in maniera continuativa e ben motivata solo da un quinquennio,

pur le sue capacità grafiche sono assai datate. Nel tutto sosta,

anzi, pulsa un forte equilibrio figurale che nei temi antecedentemente

citati sono spesso caratterizzati da simbologie connesse

alla natura e allo spazio (foglie, nubi colorate...) pur se in alcuni

oli su tela ama collocare carte con cuori e fiori, e scacchi. Mi

sembra opportuno, a questo punto, proporre quanto ha affermato

Querci nel corso del colloquio avuto con me e con la storica

e saggista toscana Marilena Cheli Tomei: «La pittura per me

Lorenzo Querci

Cavallo di Cuori, olio su tela, cm 50x70

Apollo, olio su tela, cm 50x70

54

LORENZO QUERCI


Caronte, olio su tela, cm 70x50

Musa, olio su tela, cm 50x70

non è un gioco, bensì un momento di riflessione sulla vita e sulla

tutela della natura». Dicevo di Cheli Tomei la quale, a proposito

dei dipinti di Querci dedicati ai cavalli – evidentemente le

sono particolarmente piaciuti –, ha testualmente scritto sul libro

delle firme: «Agili, possenti, veloci come il vento, emergenti

da brume sono gli splendidi cavalli di Querci, simbolo del concetto

di libertà, di una potenza non ancora ingabbiata. Da sempre

protagonisti del mondo dell’arte per la loro plastica bellezza,

rappresentano un vero e proprio banco di prova per ogni artista,

brillantemente superato dall’artista». Osservandone i lavori,

quali siano i temi, penso che il nostro li abbia ben collegati, cosicché

non è arduo capire che i vari capitoli sono inseriti in una

interessante intelaiatura, sì da garantirne una logica, autentica e

autonoma narrazione. In poche parole il mondo di Lorenzo Querci

è garanzia di validità, proprio perché ha preso quota in forme

aventi un proprio linguaggio che ha il merito di comunicarne le

emozioni e i pensieri. La precisazione dell’idea si concretizza,

dunque, sia nelle figure mai statiche dei suoi cavalli, anatomicamente

precisi, sia nelle “donne pensose e pensanti”, così mi

piace definirle, che danno il senso della continuità in un insieme

perfettamente coerente con la sua indole riflessiva. Un giudizio

finale? Credo che spetti al pubblico che ne sta seguendo

l’attività, e al tempo, ma in ogni modo noto che sa linearmente

navigare nelle acque della forma e che, come ho scritto in passato

per un altro artista con similari caratteristiche contenutistiche

– il concetto è ampio, da portare in essere in altra sede –, ha

sì “guardato ad altri naviganti” ma, operando con schiettezza e

passione nelle acque dell’espressività, vi ha inserito una logica

degna di lode e di particolare attenzione.

LORENZO QUERCI

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Personaggi

Donatella Alamprese

Il tango, una voce, tante storie

di Rosanna Bari / foto Antonio Desantis e Lorenzo Franchi

Isuoi spettacoli sono un viaggio attraverso i più suggestivi

luoghi dell’anima, per dare voce alle donne e alle

loro storie». Questo il pensiero del giornalista e scrit-

«tore Marcello Lazzerini su Donatella Alamprese, cantante lucana

dalla formazione classica, che vanta molteplici esperienze in

diversi ambiti musicali: dalla lirica al jazz, dal pop al rock e alla

sperimentazione. Inoltre, attratta dalla conoscenza di nuove

culture, si laurea in Lingue e Letterature Straniere, studio che le

permette di cantare in più di otto lingue. Le sue canzoni, da lei

interpretate con travolgente energia, descrivono tante realtà e

affrontano tematiche in cui, principalmente, le donne sono protagoniste,

quelle donne che, durante la loro vita, hanno lasciato

un segno indelebile nella società. Mentre la sua arte indaga

il profondo dell’anima per tradurre i suoi pensieri e le sue emozioni

in infinite e vibranti storie da raccontare. I suoi concerti

spettacolo sono quindi il prodotto di un viaggio emozionale tra

passato e presente dove, in una fusione di lingue e culture diverse,

affiora un appassionante intreccio di musica e poesia.

Pur avendo esordito in Rai con Renzo Arbore in DOC e Indietro

tutta, ti sei poi allontanata dal mondo della televisione,

come mai questa scelta?

Perché, assecondando la mia natura, ho preferito dedicarmi

alla ricerca e ad un altro genere di musica e di spettacolo.

Attualmente ti sei consacrata al tango di cui, tra l’altro, sei

una delle figure più rappresentative nel panorama internazionale;

quand’è cominciata questa avventura?

Nel 2003, quando ho conosciuto il chitarrista Marco Giacomini.

Con lui ho debuttato in teatro con uno spettacolo dedicato al

Tango Canciòn. Da allora, riemerse le mie sopite origini argentine,

mi sono dedicata con passione a questo genere, spaziando

In questa e nell’altra foto Donatella Alamprese durante alcuni suoi spettacoli

dal tango classico di Gardel alle composizioni di Borges, Piazzolla,

Blazquez, Cosentino e altri autori contemporanei.

Hai ricevuto tanti premi, qual è quello che più ti fa sentire

cittadina del mondo?

Nel 2021, nell’ambito dell’evento Calici di Stelle, ho ricevuto il

premio Note d’Italia nel mondo. Un riconoscimento, quindi, che

racchiude in sé un grande significato di universalità.

Ed è proprio nella ricerca di universalità che il suo ultimo spettacolo,

Bandiera sconosciuta, la vede impegnata a scoprire un’unica

bandiera che appartenga ad ognuno ma che nel contempo

accomuni tutti i popoli. Grazie al suo impegno, unito alla sua bravura

e all’affascinante presenza, la straordinaria artista è così riuscita

a conquistare il suo pubblico ovunque nel mondo.

www.donatellaalamprese.it

Donatella Alamprese

@donatellaalamprese

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DONATELLA ALAMPRESE


A cura di

Giuseppe Fricelli

Polvere di

stelle

Riccardo Muti, il piacere dell’onestà

di Giuseppe Fricelli

Ho avuto la gioia di essere amico e frequentare in

giovane età Riccardo Muti. Tutto questo nei primi

anni della sua carriera quando venne a Firenze

come direttore stabile del Maggio Musicale Fiorentino.

Poi, impegni artistici mondiali portarono il maestro napoletano

sempre più lontano ed irraggiungibile per me. Muti

e la sua deliziosa moglie Cristina erano legati da profonda

amicizia a mio padre e mia madre. Spesso ospiti in casa

da noi, abbiamo trascorso insieme indimenticabili serate

anche con altri amici quali Eduardo De Filippo, Pupella

Maggio, Paolo Emilio Poesio, Piero Bargellini, Rio Nardi,

Vito Frazzi e tanti altri. Ho sempre ammirato in Riccardo

la sua profonda professionalità non solo di musicista ma

anche di didatta sia per cantanti che strumentisti. Difensore

accanito della Scuola Musicale Italiana, la sua formazione

era stata tutta concepita nei conservatori di Bari,

Napoli e Milano con docenti come Nino Rota, Vincenzo Vitale

ed Antonino Votto. Divulgatore del repertorio operistico

e sinfonico di compositori italiani, Muti non si è mai

abbassato a compromessi artistici e tutti noi dobbiamo riconoscergli,

oltre alle innate capacità di grande direttore

e concertatore d’orchestra, una profonda onestà di musicista

e di uomo. Sicuramente il maestro è stato l’esecuto-

Riccardo Muti (© Todd Rosenberg Photography - courtesy of riccardomutimusic.com)

re più vicino all’arte di Arturo Toscanini. Grazie Riccardo

per tutto quello che ci hai donato con il tuo meraviglioso

talento e per ciò che hai costruito in tanti anni di devoto

amore per la musica.

© Silvia Lelli - courtesy of riccardomutimusic.com

www.florenceartgallery.com

Nato nel 1948, Giuseppe Fricelli si è formato al Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze diplomandosi

in Pianoforte con il massimo dei voti. Ha tenuto 2000 concerti come solista e

camerista in Italia, Europa, Giappone, Australia, Africa e Medio Oriente. Ha composto musiche

di scena per varie commedie e recital di prosa.È stato docente di pianoforte per 44 anni presso

i conservatori di Bolzano, Verona, Bologna e Firenze.

RICCARDO MUTI

57


Arte e

scienza

Gli inaspettati effetti della musica

sulla qualità del vino

di Serena Gelli

La musica può migliorare il vino? A questa curiosa domanda

Thomas Koeberl e Markus Bachmann rispondono

di sì. I due gastronomi viennesi sono convinti infatti

che far risuonare in cantina la Sinfonia n. 41 di Mozart durante

la fermentazione migliori la qualità del vino. Pensare che la

musica abbia il potere di intervenire durante questo processo

sembra strano. Eppure potrebbe esserci una spiegazione scientifica:

le onde sonore propagate dalle casse acustiche all’interno

della cantina potrebbero infatti interagire con l’azione dei

lieviti, migliorando così il processo di fermentazione. Esiste un

progetto analogo realizzato già qualche anno fa in Val d’Orcia

dall’imprenditore Carlo Cagnozzi, che nei vigneti della sua tenuta

ha distribuito alcune casse acustiche attraverso le quali

diffonde opere di musica classica, in particolare di Vivaldi e

Mozart. Le viti, influenzate da questa tipologia di musica, sono

cresciute il doppio rispetto alla norma. Un’altra testimonianza

del legame tra vino e musica proviene dall’artista Ezio Bosso

che, nel 2016, ha creato, per l’azienda Rocche dei Manzoni

dell’imprenditore Rodolfo Migliorini, la composizione musicale

Sinfonia per il vino capace di agire durante il processo di affinamento

del vino e di esercitare un effetto sulla rifermentazione

in bottiglia. Così nel 2016 l’azienda Rocche dei Manzoni ha presentato

sul mercato lo spumante Valentino Brut Cuvée Speciale

Door 185 th, affinato con la musica composta da Bosso. Un’ulteriore

riprova di quanto la musica faccia bene non solo all’anima

ma anche, e inaspettatamente, al vino…

58 EFFETTI DELLA MUSICA SUL VINO


Mostre in

Toscana

Giuliana Bertieri

Protagonista a Bolgheri della personale Insolite cose comuni

di Jacopo Chiostri

Autodidatta come Alberto Burri – e l’accostamento ovviamente

non è casuale – Giuliana Bertieri rappresenta

oggi un bell’esempio di artista “militante”. La

pittrice mugellana impegna, infatti, la sua arte per sostenere

con forza l’attenzione e l’urgenza dovute alle problematiche

della sostenibilità ambientale, e questo, in un’ottica a un

tempo sociale e culturale, diviene l’elemento-fulcro dei suoi lavori.

In una commistione di realismo, arte povera, arte ecologica

e informale materico, la Bertieri riesce a coniugare nelle

sue opere concettualità ed estetica. Il punto di partenza della

sua poetica che nasce da un pensiero forte – una sorta di

mantra, come lei stessa dice – è che in un ciclo vitale che non

finisce mai, tutto si rigenera: morire per rinascere (die to reborn),

questo è. Ed ecco allora l’inserimento di materiali riciclati,

carta, gusci di uova, polvere di marmo con cui nascono

opere di pittura materica arricchite e completate con l’utilizzo

di materiale di recupero più complesso, introducendo cioè al

loro interno scarto plastico industriale. Portare ad una nuova

ed inaspettata vita questi materiali, dare loro un senso ed una

nuova identità tramite un uso finalizzato ad una rappresentazione

prettamente estetica, si traduce in un messaggio forte,

profondamente emozionale. Del resto è la Bertieri stessa

a dirci che sua intenzione è: «Dar voce alla parte più intima di

noi, far vibrare corde poste in profondità e quindi liberamente

immaginare, vedere, in attesa del colpo sferrato dal colore».

Giusto, il colore. Sono stati il fascino che emanano il colore

e la materia, tangibile, non uniforme, i motori che hanno acceso

nella Bertieri la passione per la pittura e in particolare

per la sperimentazione cromatica e sui materiali. Ne ha fatto

gli strumenti di un lungo, interessante discorso che non è

Senza titolo, acrilico e stucco su legno, cm 115x150

la prima volta, lo sappiamo, che viene pronunciato, ma questa

volta ci investe con quella energia e assieme quell’eleganza

che, dopotutto, differiscono sempre a seconda delle parole

che scegliamo. Così quell’ossimoro che la Bertieri chiama indirettamente

in causa a proposito della nostra propensione

a consumare (e forse esaurire le risorse) di cui disponiamo

e la possibilità che ha il pianeta di rigenerarle, assume nuova

forza. A differenza di certa street art, punk art, cleaning

art, e di art in art discorrendo, come Burri

– artista di riferimento – nelle opere della

Bertieri la materia prende il sopravvento

sul quadro stesso, semmai nei suoi lavori

è assente del tutto la forma che, al contrario,

sia pure elementare, fu una delle peculiarità

del gruppo “Origine” di cui Burri fu tra

i fondatori. Altro artista che la Bertieri sente

profondamente vicino per il suo impegno

sociale sull’emarginazione e l’esclusione è

Anselm Kiefer, discusso artista tedesco ora

in esposizione a Palazzo Ducale a Venezia,

in concomitanza con la Biennale 2022. Tra

le prossime personali della Bertieri, la mostra

Insolite cose comuni che si terrà dal 7

al 13 luglio a Bolgheri (Largo Nonna Lucia)

con apertura 10:00/13:00 e 16:00/ 24:00.

Senza titolo, acrilico su legno, cm 45x50

Particolare materico di un’opera

giulianabertieri@live.it

GIULIANA BERTIERI

59


Il cinema

a casa

A cura di

Lorenzo Borghini

Her: la spersonalizzazione dell’uomo

nella metropoli firmata Spike Jonze

di Lorenzo Borghini

Siamo in un futuro prossimo concettualmente non troppo

distante dal nostro presente. Theodore Twombly

(uno straordinario Joaquin Phoenix) vive in una metropoli

imprecisata, che si differenzia molto dalle altre viste su

grande schermo; i colori sono caldi, così caldi che volti e contorni

di ciò che circonda Theodore, di ciò che sta all’esterno,

sembrano liquefarsi, sfumare piano piano in qualcosa di ectoplasmatico.

È il risultato della spersonalizzazione dell’uomo

nella grande città, ma più che di spazi qui si parla di consistenza:

l’uomo è solo non perché piccolo puntino in mezzo a

distese chilometriche di palazzi di cui non si vede la fine, ma

perché si è creato un carcere di solitudine, un’ampolla in cui si

culla senza rendersi conto che il punto di non ritorno è più vicino

di quanto egli creda. Theodore è diverso dalla massa, ha

un animo sensibile, scrive lettere di corrispondenza per conto

di terzi con una gentilezza e attenzione ormai rara, si traveste

di volta in volta da amante, amico, marito, quasi

come se li conoscesse davvero, analizzando le foto

che gli vengono inviate nei minimi dettagli, per recuperare

più indizi possibili sui destinatari, mostrandoci

che i dettagli sono ancora importanti in un mondo invaso

dall’avvento tecnologico. È un momento duro per

Theodore, la vita gli ha voltato le spalle quasi un anno

prima, e lui ha scoperto il fianco, vulnerabile per come

è finito il suo matrimonio si lascia cadere in una spirale

di depressione che gli farà perdere di vista tutto,

perfino il suo lavoro che ha tanto di autentico, di dolce,

ma lui dirà al collega che sono solo lettere, sminuendo

il suo magnifico operato, sbriciolando tutto

ciò che lo rende un animo nobile. Nel mondo di Theodore

sembra esserci una soluzione per tutto, per strada

volti copia e incolla si aggirano con cellulari tenuti

come figli, auricolari pigiati negli orecchi come ovatta,

quasi a non voler sentire il lamento di un’era, quasi a

non voler sentire il proprio prossimo, come se bastasse

una voce elettronica per sostituire tutto ciò che ci

sta intorno, tutto ciò che è carne e sangue. Per questo

anche Theodore trova il modo di uscire da quell’ampolla

che è diventata la sua vita, la soluzione è a portata

di mano, ed è il sistema operativo Samantha (la

bellissima voce di Scarlett Johansson). Samantha è la

compagna perfetta, non invade gli spazi di Theodore,

è sempre lui che decide quando e come parlarci. Lei

ascolta e asseconda tutto ciò che le viene detto con

spirito di osservazione, e a poco a poco inizierà ad interrogarsi

su tutto, proprio come un essere in carne ed

ossa, e Theodore rimarrà abbagliato da questa voce

calma e docile, dalla sua voglia di scoprire il mondo,

di emozionarsi per le piccole cose così tanto da innamorarsene.

Spike Jonze dopo molti film buoni ma mai eccelsi arriva

a compiere il tanto atteso passo di maturità con Her, che ci

mostra un mondo dalle emozioni fredde, rarefatte, sfuggite di

mano alla maggior parte della popolazione, ma ce lo mostra

con amore, con sentimenti caldi, con primi piani di Theodore

che piange sdraiato sul letto, che vive stritolato dai suoi ricordi,

di un matrimonio ormai finito, di un passato che non

ritorna, ma da cui è difficile distaccarsi, un po’ come dal cordone

ombelicale; anche qui per voltare pagina c’è bisogno di

un taglio netto, c’è bisogno di continuare a credere nell’essere

umano. A volte basta una semplice voce per far ricominciare

tutto, per far girare di nuovo gli ingranaggi della vita, e la lettera

di Theodore alla ex moglie Catherine è il simbolo del superamento

del dolore, la presa di coscienza che la vita va avanti

con noi e senza di noi, quindi perché non farne parte?

60

HER


Ritratti

d’artista

Luca Nossan

Un punto di osservazione inedito sulla meraviglia del creato

di Jacopo Chiostri

Giovane, dotato di pacato ma sano furore, una capacità

passionale e ben articolata di sostenere con l’interlocutore

le ragioni intime e costruttive della sua

poetica, un invito la primavera scorsa ad esporre alla Pro

Biennale: Luca Nossan, natali in Sudafrica, studio a Milano,

ha di recente esposto a Castiglione della Pescaia. La mostra,

“coperta” da Toscana Cultura con un servizio su Italia

7, era intitolata Alchimie di colore e si è tenuta nella centrale

Lucerna Art Gallery dell’omonimo hotel che, con una

scelta coraggiosa, ha dedicato alle mostre d’arte uno spazio

apposito ed esclusivo. Nossan ha esposto sedici opere

tutte abbastanza recenti. Hymn to life, Sailing on fire, Dreaming

Tokyp, The key of everything: questi alcuni dei titoli, in

lingua inglese «perché», ci diceva, «oggi che la comunicazione

viaggia sui social, l’uso della lingua più diffusa è un obbligo».

Questo giovane artista, del resto, ha idee chiare; nella

brochure, dove presenta un compendio della sua pittura, ha

scritto: «Se metti qualcosa su un muro per molto tempo, potrebbe

essere una buona idea scegliere qualcosa che ti faccia

sentire bene». La frase è preceduta dalle foto di ambienti

dove campeggiano alcune sue opere oggi di proprietà di collezioni

private, ma il concetto cardine è quel “ti faccia star

bene”, sì perché lo scopo della sua arte è, anche, quello di

trasmettere emozioni positive e risvegliare gioiosi processi

introspettivi, possibilmente pescando nella natura. Le tele di

Nossan, sovente di dimensioni generose, ricordano qualcosa

che non esiste, e il controsenso è soltanto apparente. Perché

nel magma, potente, delle opere lo spettatore sembra ravvisare

suoni e parole a lui noti, mentre quello che ha davanti

è una partitura inedita che gli offre un nuovo punto di osservazione

sulla meraviglia del creato. È un mondo che prende

forma davanti ai nostri occhi: prima non esisteva ma appare

immediatamente familiare. Ed ha un’armonia tutta musicale,

a volte consolatoria, altre aspra, talvolta misteriosa. Sulla

tela si avverte l’urgenza del gesto, l’istinto dell’azione, ma

anche il controllo, indispensabile per l’armonia compositiva

complessiva, che è equilibrio di segni e di toni. Il colore si

distende, si muove, si espande; si riconoscono i passi della

creazione, l’utilizzo del pennello, della spatola, finanche delle

dita, talora la tinta viene fatta gocciolare sulla tela posta sulla

terra. In genere l’osservazione richiede di allontanarsi, ma

è solo da distanza ravvicinata che si percepisce la minuziosità

del lavoro, l’attenzione rivolta agli accostamenti cromatici,

il loro confliggere o esaltarsi reciprocamente, e si gode

a pieno il segno quando si fa materico, pregno di colore. Dal

punto di vista istituzionale, le opere di Nossan sfuggono a

ogni qualsivoglia catalogazione; certo non è pittura informale,

la forma è presente, eccome, semplicemente lo è in termini

diversi da quelli che conosciamo; così come non mancano

le simbologie. Nossan ama gli impressionisti, poi Chagall, le

sue rappresentazioni così simili ad un insieme di suoni armoniosamente

diffusi e l’uso, libero, di pesi e contrappesi

farebbero anche pensare a certe opere di Kandinsky. Come

dicevamo all’inizio, Nossan ha le idee ben organizzate sulla

sua arte, non corre dunque il rischio di girare in tondo. Nella

sua storia ci sono già importanti riconoscimenti, come la citata

presenza alla Pro Biennale. La strada è tracciata, ne sentiremo

parlare ancora.

Hymn to life

Nightlife

LUCA NOSSAN

61


Nuove proposte dell’arte

contemporanea

A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Sherry Farsad

La pittrice dell’anima

di Margherita Blonska Ciardi

Niente è fisso, tutto quello che pensiamo e che nutriamo

con la nostra energia diventa poi realtà e

si materializza: questo è il messaggio che l’artista

persiana cresciuta in Australia Sherry Farsad vuole trasmettere

con le proprie opere. Le sue tele sono avvolte

dal mistero e pervase da un misticismo dal quale dipende

la grande spiritualità dei soggetti rappresentati. Le figure

femminili ritratte in meditazione e con gli occhi socchiusi

alludono alla necessità di ognuno di noi di trovare un

proprio equilibrio energetico in connessione con il mondo.

62

SHERRY FARSAD


Dopo una carriera nel ramo informatico-contabile

(è laureata in Scienze Informatiche),

Sherry ha deciso di dedicarsi

totalmente alla vera passione della sua

vita: la pittura. Secondo lei, l’arte è un

mezzo per trasmettere alcune sue riflessioni

sul mondo nel quale viviamo e sulla

società contemporanea che ha avuto

modo di conoscere da vicino lavorando

nel campo del marketing. Da due anni risiede

a Roma, dove l’integrazione fra diverse

civiltà e culture è palpabile grazie

alle stratificazioni delle antiche costruzioni.

La scelta della capitale italiana

come luogo dove dedicarsi alla pittura e

alla realizzazione dei propri sogni non è

stata casuale, ma determinata dall’aver

percepito l’unione energetica tra questa

città e il resto dell’universo e dal sentimento

di appartenenza dell’artista che si

è formata grazie all’incontro con diverse

culture. Nelle sue composizioni traspare

una grande attenzione per la bellezza e

per l’equilibrio che trasmettono una sensazione

di pace. L’armonia dei colori e le

morbide pennellate aiutano a scorgere

l’energia che scorre intorno a noi. Le figure

rappresentate sono cariche di sensualità

e di amore, immerse in uno spazio trascendentale

fatto di stelle e di flussi celesti che ci connettono con l’universo.

Attraverso la sua pittura Sherry cerca di far capire

che siamo fatti della stessa sostanza dell’universo al quale

apparteniamo e che tutto intorno a noi è

in perpetuo cambiamento. Secondo lei

siamo tutti esseri spirituali che vivono

per un breve periodo l’esperienza umana.

Possiamo scoprirlo fermandoci un

attimo a contemplare le sue opere in silenzio,

lontano dai rumori e dallo stress

della vita quotidiana. In questo modo,

lasciandoci trasportare dall’osservazione

attenta delle sue tele, possiamo potenziare

la nostra connessione con il

mondo e con la natura per scoprire chi

siamo davvero. Nelle sue opere l’equilibrio

compositivo dipende dal ritmo delle

pennellate che spesso ricalcano le note

della musica che l’artista ascolta mentre

dipinge. All’accostamento di ombre

e luci si aggiunge la scelta di alternare

tonalità fredde con colori caldi. Spesso

le donne rappresentate sembrano

fermarsi nel tempo, che a sua volta si

protrae all’infinito, proiettandoci verso

la totalità del cosmo. Secondo l’artista,

contemplando le sue opere possiamo

scoprire il nostro amore e l’appartenenza

al creato, diventando persone più

complete e forti.

SHERRY FARSAD

63


Itinerari del

gusto

A cura di

Filippo Cianfanelli

La Fornace dei Medici

L’alta cucina incontra la storia sulle colline alle porte di Firenze

Testo e foto di Filippo Cianfanelli

Strano destino quello della villa medicea di Pratolino fatta

costruire alla metà del Cinquecento da Francesco I

de’ Medici, primo Granduca di Toscana. La sua imponente

struttura ebbe vita breve e, progressivamente abbandonata,

andò in rovina nei secoli successivi venendo infine completamente

demolita nell’Ottocento. La sola Paggeria fu risparmiata

e venne acquistata dalla famiglia Demidoff e trasformata in

una villa principesca oggi nota appunto come Villa Demidoff.

Poco lontano da Pratolino, in località Viliani, presso Bivigliano,

in un terreno argilloso e ricco di acqua, è ancora esistente l’antica

fornace dove vennero cotti tutti i manufatti in terracotta che

permisero la costruzione dell’acquedotto che portava l’acqua alla

villa medicea e ai suoi splendidi giardini, oltre a tutti i materiali

fittili necessari alla realizzazione della villa stessa. L’antica

fornace è stata recentemente restaurata dalla famiglia Ciatti e

dal 2020 è diventata sede dell’agriresort Le Colline del Paradiso,

una splendida struttura che si è guadagnata “cinque girasoli”

corrispondenti alle stelle per gli agriturismi. Purtroppo, poco

dopo l’inaugurazione, la pandemia ha portato ad alcuni mesi di

chiusura forzata ma fortunatamente, soprattutto grazie ai turisti

nordeuropei che in estate hanno raggiunto le colline toscane in

auto, la struttura ha riaperto rapidamente e le ottime recensioni

hanno fatto il resto. Oggi, accanto all’agriturismo, è aperto il ristorante

La Fornace dei Medici, con eleganti tavoli posti all’ombra

di un grande dehor riscaldato e un ampio giardino all’ombra

di un gattice secolare. Per chi desidera stare al coperto, all’interno

è disponibile un’ampia sala e alcune salette più piccole anche

per eventi per poche persone. La struttura ospita inoltre una

spa con sala massaggi, sauna finlandese e due Jacuzzi con vista

sulle colline toscane. In cucina l’abilità dello chef Vittorio

Celentano è facilitata dalle materie prime di alta qualità, dalla

cacciagione proveniente dalla riserva di caccia della struttura,

dai formaggi di Pienza, gli insaccati di Norcia, fino alle verdure e

alla frutta biologica coltivate in loco. La selezione delle etichette

è il fiore all’occhiello del locale e nasce da una lunga ricerca

L’esterno del ristorante la Fornace dei Medici

del proprietario Guido Ciatti, sommelier, portata avanti con l’obiettivo

di far scoprire eccellenze vinicole prodotte da aziende

emergenti. Sui tavoli un elegante menù cartaceo: ogni piatto è

accompagnato una degustazione dei vini più adatti ad ogni pietanza.

Si comincia con una selezione di antipasti, a partire da

asparagi grigliati serviti sulla loro crema con frittelle di salvia,

passando ad una selezione di affettati e formaggi, per giungere

ad un carpaccio di Chianina su letto di misticanza con maionese

alla salvia. Molto interessante una coloratissima crema di

tuberi e verdure locali servita come piatto di passaggio insieme

a crostini e biglie di pecorino senese. Il grano Verna, un grano

antico prodotto nella tenuta, è alla base dei primi piatti. Si parte

dalle pappardelle al ragù di cinghiale, cacciato nella loro riserva,

per giungere ad un piatto di tagliatelle servite con un’ottima salsa

al tartufo e interamente coperte da fettine di scorzone (tuber

aestivum); come alternativa, dei ravioli ripieni ai quattro formaggi

con una salsa ai pomodori del loro orto. Passando ai secondi,

da segnalare la presenza di un piatto adatto anche ai vegetariani,

un ottimo uovo cotto al vapore in acqua di timo e successivamente

fritto e servito su radicchio spadellato in agrodolce. Non

abbiamo assaggiato il classico peposo o la bistecca di Chianina

preferendo provare piatti più originali. Molto interessante il

filetto di cinta senese lardellato servito con il proprio fondo di

cottura accompagnato da una variazione di verdure. Lo stesso

dicasi del coniglio ripieno servito con indivia alla griglia. La lunga

esperienza dello chef in ristoranti francesi si rivela soprattutto

al momento del dessert: accanto ai classici cantucci fatti in

casa serviti con il vinsanto e al tiramisù, degni di nota un millefoglie

caldo alla crema pasticcera e una cheesecake ai frutti di

bosco guarnito con una foglia d’oro zecchino. Un tocco di classe

per chiudere in bellezza una splendida serata durante la quale

tutti i cinque sensi sono stati appagati.

Tagliatelle di grano antico Verna con crema di tartufo e tartufo scorzone grattugiato

www.fornacedeimedici.com

64 LA FORNACE DEI MEDICI


A cura di

Paolo Bini

Arte del

vino

Il Viaggio di Landò

di Paolo Bini / foto Paolo Bini e courtesy Il Viaggio di Landò

Uniamo la competenza di

un professionista della

vigna, l’intuizione di una

brava giornalista, l’indiscutibile genio

di un maestro disegnatore e il

gioco è… quasi fatto! Il vino non è

aritmetica, è calcolo sì, ma senza

risultato certo perché la sentenza

arriva solo passando dal calice

e dai sensi. Il Viaggio di Landò

è però una sfida che pare vincente

sin dalle sue “prime fermate”. David

Landini è un talentuoso agronomo

ed enologo già noto per i

risultati ottenuti nelle Terre di Pisa

con Villa Saletta. Il suo nuovo

“viaggio” è qualcosa che però tocca

l’anima e sorta di commistione

La vigna di Landò

fra sogno, cultura, filosofia e sperimentazione. Un’idea nata

dalla dedizione per il lavoro e per la vigna, concepita per

recuperare l’antico patrimonio ampelografico regionale e diventata

realtà grazie al recente acquisto di un piccolo terreno

agricolo a Palaia con viti quasi secolari. Un piccolo cuore

di vigna toscana a 180 metri che l’agronomo gestisce in maniera

naturale, con estrema cura, con passo lento e animo

sperimentatore. Da qui è partito il nuovo Viaggio di Landò,

un progetto così chiamato grazie alla brillante fantasia della

giornalista Roberta Perna e che ha già regalato agli appassionati

una serie da tremila bottiglie numerate di canaiolo.

Prima fermata 2020 è un vino convincente che riassume nel

calice l’essenza di questa tradizionale uva toscana: fragranti

essenze di piccoli frutti rossi su petali di rosa e violetta che

in bocca si tramutano in succosa bevibilità dal gusto di ciliegia

e arancia rossa; di buon corpo ma per niente pesan-

te, scivola sulle papille con grande piacevolezza, lievissima

astringenza e invito a nuovo sorso. Siamo davanti a uno di

quei vini particolarmente versatili che riescono ad accompagnare

un primo di carne, una zuppa di pesce o momenti

gioviali di aperitivo anche giocando sull’abbassamento della

temperatura di servizio. Piacevole in degustazione e davvero

bello anche alla vista. È stato infatti il maestro Sergio Staino,

amante del buon vino, a disegnarne l’etichetta. Bobo e

Bibi, i personaggi a lui più cari, qui rappresentano la gioia del

bere bene, della natura, dell'amore universale e sono insieme

su di un'antica carrozza ottocentesca, il “Landò”, senza

briglie né freni, sospesa fra cielo e terra e trainata dalla potenza

della passione. Disegno poetico e accattivante riproposto

con minima variazione anche sul neonato vino bianco:

il Seconda fermata 2021 de Il Viaggio di Landò. Ancora un

vino da suggerire per l’estate, ancora viti antiche e vitigni

storici: trebbiano e malvasia

che Landini ha voluto come

protagonisti non del classico

vinsanto ma bensì di un

prodotto secco vinificato in

modo da valorizzare le peculiarità

di entrambe le varietà.

Pesca bianca, cedro, ginestra

e vaniglia sono gli aromi

che principalmente escono

in assaggio da un nettare luminoso

che in bocca sprizza

vitalità e invita al brindisi

conviviale o all’abbinamento

con salumi, formaggi freschi

e primi in bianco. Aspetteremo

anche alle prossime fermate,

fa buon viaggio Landò!

IL VIAGGIO DI LANDÒ

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Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Sala San Sebastiano Centro Espositivo Culturale

Medaglia Leonardiana all’idea e al merito

L’edizione 2022 si è svolta a Sesto Fiorentino lo scorso 18 giugno

Premiati giornalisti, editori, registi e attori

di Fabrizio Finetti / foto Tiziano Buti

Sabato 18 giugno, nella sala del chiostro della

pieve di San Martino di Sesto Fiorentino, si è

svolta la seconda edizione della premiazione

- spettacolo Medaglia Leonardiana 2022 all’idea

e al merito. Il premio è promosso dal Centro

Espositivo Culturale San Sebastiano di Sesto Fiorentino,

la cui sede è adiacente alla pieve; sponsor

dell’evento, Orazio Guerra delle Rubinetterie Fiorentine.

La premiazione è stata condotta dall’attore

e regista Alessandro Calonaci, alla presenza

dell’assessore alla Cultura del Comune di Sesto

Fiorentino Jacopo Madau. Numerosi gli ospiti che

hanno fatto da cornice alla manifestazione: la direttrice

della Casa Museo di Dante, Cristina Manetti,

il designer Luciano Manara, il parroco don

Daniele Bani, l’archeologo Enrico Ciabatti e il dottore

in Medicina Giuseppe Paladino. Hanno ricevuto

il riconoscimento, Stefano Rolle della casa

editrice Apice Libri per la pubblicazione, a titolo

gratuito, per la San Sebastiano del libro di racconti

brevi La grande stazione, il cui ricavato è stato

devoluto totalmente al banco alimentare Caritas

della parrocchia San Giuseppe Artigiano di Sesto

Fiorentino; Stefano Cecchi, giornalista e scrittore,

per la trasmissione televisiva La Bibbia della

fede viola; Alessandro Sarti per la regia del film

Fabrizio Finetti premia Alessandro Sarti

Stefano Cecchi premiato da Jacopo Madau

Il parroco don Daniele Bani Patrizia Ferretti Stefano Rolle

66 CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO


Centro Espositivo Culturale

San Sebastiano

Luciano Manara premia Sergio Forconi

Orazio Guerra e Alessandro Calonaci

Quel genio del mio amico e Sergio Forconi, attore,

per l’interpretazione del ruolo di Leonardo da Vinci

nel medesimo film; Patrizia Ferretti, attrice, per

l’interpretazione della commedia teatrale Otto

giallo lungo il crinale. Gli ospiti sono stati intervistati

dal giornalista Fabrizio Borghini per la rubrica

Arte Incontri di Italia 7 e il servizio fotografico è

stato realizzato da Tiziano Buti.

Foto di gruppo dei premiati e di alcuni rappresentanti del Centro Espositivo Culturale San Sebastiano

CENTRO ESPOSITIVO CULTURALE SAN SEBASTIANO

67


Eventi in

Italia

Alma Sheik, Jules Vissers e He Si’en

I tre vincitori della seconda edizione di Tamara Art Award 2022 a Venezia

di Margherita Blonska Ciardi

Si è conclusa da poco

a Venezia la seconda

edizione della rassegna

internazionale Tamara Art

Award, mostra-concorso d’arte

dedicata alla figura della

donna contemporanea. L’evento

vuole essere un omaggio

alla vita e all’attività artistica

della regina dell’Art Déco Tamara

de Lempicka, la quale,

con il suo stile inconfondibile

ed unico e la sua vita straordinaria,

è stata d’esempio per

tante donne su come affrontare

la carriera e raggiungere la

propria indipendenza. La sua

storia è attuale anche oggi, a

tal punto che molti personaggi del mondo dello spettacolo,

come Jack Nicholson, Lady Gaga, Madonna, Barbra Streisand

e tanti altri, sono tra i più grandi collezionisti delle sue opere

che spesso usano come immagine per promuovere la loro attività.

Non solo i suoi quadri offrono lo spunto per creare il look

accattivante e vincente di tante pop stars, ma l’intera sua

vita ha un valore esemplare per far capire agli artisti come

creare il proprio stile e insistere nel perseguimento dei propri

obiettivi. Quest’anno tra i finalisti del concorso, che ha visto

partecipare artisti provenienti da diversi paesi del mondo,

sono stati scelti i lavori della pittrice norvegese Heidi Fosli,

degli artisti e docenti polacchi Kinga Lapot Dzierwa ed Ernest

Zawada, del designer taiwanese Te-Sian Shih, della pittrice

israeliana Michal Ashkenasi, dell’astrattista americana

He Si’en

Alma Sheik

Jules Vissers

Stephanie Holznecht, del professore cinese He Si’en, della pittrice

belga Christine Hilarius, dell’artista digitale del Lussemburgo

Karin Monschauer e del film-maker filippino Amable

Tikoy Aguiluz. Dopo un’attenta valutazione da parte dello Studio

Artemisia, in collaborazione con de Lempicka Estate, sono

stati selezionati i vincitori dell’edizione 2022 del concorso,

a partire dal terzo posto assegnato ad He Si’en per i suoi interessanti

lavori che uniscono fotografia, installazione, grafica

e digitale per rendere omaggio alla bellezza e alla fragilità della

donna. Si tratta di un artista già conosciuto in Italia per aver

partecipato a diverse rassegne internazionali tra cui Florence

Biennale, Art&Integration, Vinart e al Premio Firenze dove nel

2017 è stato insignito del Fiorino d’oro per la sezione Grafica.

Seconda classificata del Tamara Art Award, l’artista tessile

olandese Jules Vissers per i suoi arazzi

contemporanei che interpretano in

maniera originale il busto femminile. Il

primo premio è stato attribuito invece

all’artista olandese originaria del Suriname

Alma Sheik per la sua singolare

ricerca che coniuga l’antica tradizione

del mosaico all’arte astratta, integrando

la cultura orientale con quella occidentale

per rappresentare la sensualità

e la fascinazione che la donna esercita

da sempre attraverso la danza. In occasione

della premiazione, che si è tenuta

presso la Scuola Grande di San

Teodoro a Venezia, è stato possibile visitare

una mostra delle serigrafie originali

di Tamara de Lempicka.

68

ALMA SHEIK, JULES VISSERS E HE SI’EN


A cura di

Margherita Blonska Ciardi

Nuove proposte dell’arte

contemporanea

Alexandra van der Leeuw

Le “donne corsive” della scultrice olandese conquistano Venezia

nell’ambito del Tamara Art Award

di Margherita Blonska Ciardi

Nell’ambito della seconda edizione della rassegna Tamara

Art Award, da poco conclusasi a Venezia, grande

successo hanno riscosso le sculture di Alexandra

van der Leeuw, che in questa occasione ha ricevuto il Premio

al merito per la sua attività artistica, mentre lo scorso anno,

durante Florence Biennale, è stata insignita del primo premio

come scultrice. Parlando di questa artista bisogna ricordare

che per anni è stata collaboratrice del famoso artista e architetto

veneto Gianni Aricò, con il quale ha avuto un rapporto di

amicizia e di rispetto professionale. Il maestro Aricò, essendo

“all’antica” e ritenendo la donna poco adatta a cimentarsi nella

scultura in pietra, quando vide per la prima volta Alexandra

all’opera rimase talmente sorpreso da attribuirle il soprannome

di “leonessa”, prendendo anche spunto dal significato del

suo cognome. Per ironia della sorte, proprio il felino è uno dei

soggetti più ricorrenti nella scultura della Van der Leeuw, parola

quest’ultima che vuol dire appunto “leone”. Laureata in

Moda all’Accademia di Amsterdam, Alexandra van der Leeuw

ha aperto il suo primo atelier nel 1986, nel cuore storico della

capitale olandese. Dopo anni di lavoro come stilista, nel 2002

è passata alla scultura, studiando nudo e anatomia all’Accademia

di Belle Arti di Laren e sviluppando successivamente il

proprio stile. La sfida tra perfezione e imperfezione regola la

composizione figurativa delle sue sculture femminili, spesso

lasciate grezze per aumentarne l’espressività, ricordando così

il contrasto tra finito e non finito degli schiavi di Michelangelo.

Essendo cresciuta a stretto contatto con la cultura italiana

grazie ai frequenti viaggi fatti con i genitori, ha subito il

fascino dell’arte antica, che si traduce nell’inconscia ricerca

di un estetismo assoluto. I corpi delle sue donne sono volutamente

allungati e stilizzati e ricordano sia le figure del mondo

della moda che l’arte etrusca. Lo notiamo soprattutto nelle

Donne corsive con tessuto, che sembrano muoversi a passi di

danza, sfoggiando con grazia ed eleganza un telo ed alludendo

alle divinità etrusche. Il bronzo, volutamente lasciato grezzo,

a volte viene trattato con pigmenti fissati con il fuoco che

donano all’opera una patina coloristica contemporanea ed innovativa.

In questo modo i suoi bronzi assumono tonalità che

vanno dalle sfumature del blu all’azzurro, dal verde al bordeaux,

distinguendosi per unicità e raffinatezza da altre sculture

eseguite nello stesso materiale. Si tratta infatti di una nuova

tecnica che si chiama “patiner”. Lavora su vari temi, cercando

di rappresentare l'esperienza del momento, senza concentrarsi

su un concetto fisso. Spesso le sue sculture sembrano

metafisiche per gli inserti di figure come androgeni, sfingi e

chimere dalle sembianze feline, soggetti che raccontano il lato

oscuro della donna, le sue movenze e gli istinti. Alexandra

si serve di vari materiali come pietra, bronzo, terracotta e cera,

ma anche di materiali sintetici e il vetro mescolato con diversi

pigmenti. Nel 2016 si è trasferita a Venezia dove ha aperto

il suo atelier e dove ha incontrato il maestro Gianni Aricò,

con il quale ha da subito instaurato un'amicizia contraddistinta

da reciproca stima, lavorando poi insieme a lui a vari importanti

progetti.

Alexandra van der Leeuw, Donne corsive con tessuto, bronzo

ALEXANDRA VAN DER LEEUW

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Riflessioni

sulla fede

A cura di

Stefano Marucci

Carlo Acutis

Una storia di santità al tempo di Internet

di Stefano Marucci

Con questo articolo cerchiamo di raccontare quello che

al mondo di oggi appare una cosa molto strana, ma

che esiste da tempi lontani: la via della santità. Lo

facciamo attraverso un ragazzo di oggi che, come tutti i suoi

coetanei ma anche come tanti adulti, è appassionato di informatica.

Ma, a differenza di molti altri, questo ragazzo ha visto

in Internet un “veicolo di evangelizzazione e di catechesi”.

Stiamo parlando di Carlo Acutis, 15 anni, una grande voglia

di vivere, una prorompente allegria, ma soprattutto una profonda

fede in Dio. Sul Web si trova ancora la mostra virtuale

(www.miracolieucaristici.org), da lui progettata e realizzata

a 14 anni, che testimonia come davvero per Carlo l’eucaristia

sia stata “un’autostrada per il cielo”. Nato il 3 maggio del 1991

a Londra, dove i suoi genitori si trovano per lavoro, cresce a

Milano in maniera non dissimile da altri bambini, con la sola

differenza di avere una particolare inclinazione per le pratiche

religiose che a 12 anni lo porta alla messa e alla comunione

quotidiana. Ma non è tutto: con l’adolescenza arriva anche il

rosario quotidiano e l’adorazione eucaristica, convinto com’è

che «quando ci si mette di fronte al sole ci si abbronza, ma

quando ci si mette dinnanzi a Gesù con l’eucaristia si diventa

santi». Già, la santità: è il suo chiodo fisso, il suo obiettivo,

la molla che lo fa stare in modo “diverso” sui banchi di scuola,

in pizzeria con gli amici o in piazzetta per la partita di pallone.

Non è geloso del suo “kit per diventare santi”, che regala generosamente

a tutti e che, molto semplicemente, contiene un

desiderio grande di santità, messa, comunione e rosario quotidiano,

una razione giornaliera di Bibbia, un po’ di adorazione

eucaristica, la confessione settimanale, la disponibilità a

rinunciare a qualcosa per gli altri. Per lui, che così tanto desidera

la santità, è normale cercare amici in cielo; così nel suo

sito Internet c’è la sezione “scopri quanti amici ho in cielo”, dove

compaiono i santi “giovani”, quelli che hanno raggiunto la

santità in fretta. Anche lui è convinto di non invecchiare. «Morirò

giovane» ripete, ma intanto riempie la sua giornata di vorticosa

attività: con i ragazzi del catechismo, con i poveri alla

mensa Caritas, con i bambini dell’oratorio. Tra un impegno e

l’altro trova ancora il tempo per suonare il sassofono, giocare

a pallone, progettare programmi al computer, divertirsi con i

videogiochi, guardare gli adorati film polizieschi, girare filmini

con i suoi cani e gatti. Oltre a studiare, naturalmente, perché

frequenta con profitto (pur senza essere il primo della classe)

il Liceo Leone XIII a Milano. Dagli amici è amato per la ventata

di allegria che sa portare nella compagnia, anche se lui non

cerca lo sballo come gli altri, sempre misurato e padrone dei

Carlo Acutis

suoi sentimenti e dei suoi slanci. Così, anche chi lo avversa e

lo deride, finisce per subirne il fascino e per lasciarsi attrarre

da lui. Poi, improvvisa come un fulmine a ciel sereno, arriva

la leucemia, quella acuta che non lascia scampo, e che lui

accoglie con un sorriso, offrendo la sua vita per il Papa e per

la Chiesa. Cerca la guarigione perché ama la vita, ma sorride

alla morte come all’incontro con l’Amato e perché sa che oltre

ad essa non c’è il nulla. Muore il 12 ottobre 2006 e lo seppelliscono

nella nuda terra ad Assisi, la città di San Francesco,

che più di altre ha amato e nella quale tornava così volentieri

per ritemprare lo spirito. Proprio nel cimitero cittadino di Assisi

viene sepolto, ma nel gennaio 2019 i suoi resti mortali sono

stati riesumati, per essere traslati, il 6 aprile dello stesso

anno, nella chiesa di Santa Maria Maggiore nella stessa città.

Appena trascorsi i cinque anni previsti dalle norme canoniche,

la diocesi di Milano, nel cui territorio si trova Monza, ha dato

inizio alle fasi preliminari della sua causa di beatificazione e

canonizzazione. Il 15 febbraio 2013 la Conferenza Episcopale

Lombarda ha dato il proprio assenso all’inizio della sua causa,

seguito, il 13 maggio 2013, dal nulla osta da parte della Santa

Sede. La prima sessione si svolge il 12 ottobre 2013, l’ultima

il 24 novembre 2016. Il 5 luglio 2018 Papa Francesco autorizza

la promulgazione del decreto con cui Carlo viene dichiarato

“Venerabile”. Intanto, in Italia e all’estero sono cresciute sempre

più la fama e la stima per questo ragazzo che ha cercato

la santità in modo straordinario, pur nell’ordinarietà della sua

vita. Il 14 novembre 2019 la Consulta Medica della Congregazione

delle Cause dei Santi esprime parere positivo circa un

presunto miracolo avvenuto nel 2013, ovvero la guarigione di

un bambino brasiliano affetto da importanti disturbi all’apparato

digerente. La beatificazione di Carlo si svolge il 10 ottobre

2020, nella Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi,

e la memoria liturgica è fissata al 12 ottobre, giorno esatto

della sua nascita al cielo.

70

CARLO ACUTIS


Ritratti

d’artista

Silvia Cerio

Una pittrice alla ricerca della

bellezza universale

di Jacopo Chiostri

La storia della pittrice Silvia Cerio racconta di un grande

amore rimasto sopito per lungo tempo e che, mai dimenticato,

è riesploso quando, sistemate le incombenze della

vita, è stato possibile rituffarcisi. La sua passione per la pittura

risale agli anni della scuola media, quando l’insegnante di educazione

artistica, notato nell’allieva una evidente predisposizione

per il disegno e per le arti figurative, consigliò l’iscrizione al liceo

artistico; poi, si sa, la vita richiede spesso delle rinunce, e la giovane

artista in erba finì invece a studiare ad un istituto commerciale.

«Soffrivo a non avere più in mano una matita, comprai materiali

da disegno e un cavalletto» racconta la Cerio. Poi gli impegni di lavoro,

la famiglia. È stato in prossimità della pensione che, visitando

la mostra di un amico, la passione per la pittura si è riaffacciata

fino a concretizzarsi, oggi, in un impegno stabile, fatto di costanza,

dedizione e soprattutto passione. «La strada per raggiungere

i risultati che voglio non è semplice» spiega l’artista, impegnata

in una ricerca continua e appagante. Le risorse di cui dispone la

Cerio sono anzitutto la capacità di essere una critica severa nei

confronti di se stessa, una certa ironia, e poi una grande carica

emozionale-creativa, assieme, come detto, alla perseveranza nel

desiderio di migliorarsi. È nel 2018 che la decisione è presa con

l’iscrizione ad un corso di pittura. Nascono opere che spaziano

tra soggetti vari, ma sempre con una rivisitazione personalissima

nell’universo figurativo, ed è poco dopo che, partecipando quasi

per gioco, a un evento artistico, la Cerio si aggiudica il primo premio

con il quadro La pandemia che ha ottenuto ampi consensi di

pubblico e critica. Non ama le soluzioni accademico-classiche,

rifugge l’iperrealismo per la sua freddezza formale e non le appartiene,

all’opposto, l’informale. Invece è consapevole che qualsiasi

soggetto, se colto nella giusta illuminazione, con ombre e

luci convincenti, può farsi interessante: a questo si accompagna

la personale capacità nel disegno. Ed è il disegno la qualità più

manifesta di questa artista, un segno deciso, quantunque armonico,

esaltato dai chiaroscuri e dalla ricerca espressiva dei soggetti,

Nudità dell’anima, olio su tela, cm 50x70

Donna guerriera con bimbo, olio su tela, cm 50x60

ovviamente di particolare evidenza nei ritratti che rimane il campo

espressivo prediletto. I soggetti per lo più sono femminili, donne

dagli occhi grandi, nelle quali cogliere quel mix magico che è fatto

di forza e di dignità; dal punto di vista formale soggetti come le

donne africane con la loro pelle scura e i copricapi coloratissimi

sono adattissimi ad esprimere il postulato costituente della sua

poetica: vitalità, ricerca della bellezza universale, armonia. Tecnicamente

parlando, dipinge a olio ma adopera anche la penna, la

sanguigna, le matite colorate, l’acquerello e la fusaggine

(carboncino). Dopo aver letto le biografie di tanti

pittori – «Mi ha commosso la storia di Van Gogh, il

suo crescere come grandissimo artista, inconsapevole

di esserlo, e il suo bisogno di affidare alla tela le proprie

emozioni» –, la Cerio sta scrivendo la sua di storie,

quella di «un puledro imbizzarrito in attesa di essere

domato» che vuole arrivare – come faceva da bambina,

quando, innamorata della danza classica, non poté

frequentare una scuola di danza – infine a volteggiare

sulle punte dei piedi per sentirsi libera e in accordo con

il creato. Come una farfalla.

cresilv@libero.it

SILVIA CERIO

71


Mauro Mari Maris

La natura come dimensione dell'anima

www.mauromaris.it

mauromaris@yahoo.it

+ 39 320 1750001


A cura di

Franco Tozzi

Toscana

a tavola

Spigola al Ronchì Pichi, un piatto per l’estate

di Franco Tozzi

Visto l’approssimarsi delle vacanze estive, avendo tempo

per cercare il pesce giusto, proponiamo questa ricetta

originale e gustosa. La spigola, che in Liguria e

zone limitrofe chiamano branzino, è un pesce saporito e con la

carne soda quanto basta per poterlo cucinare sia in teglia/casseruola

che in forno. La nostra ricetta, considerando che siete

al mare, si prepara nella teglia e non in forno viste le temperature

bollenti, a meno che non vi troviate in montagna…

La ricetta: spigola al Ronchì Pichi

Ingredienti:

- 1 spigola di almeno 1kg

- 1 limone

Per la marinata (fredda):

- 1 cucchiaio di aceto balsamico

- ½ bicchiere di Ronchì Pichi

- sale

- pepe bianco

- un pizzico di zenzero

- 1 cucchiaino di farina bianca

Per la salsa:

- ½ bicchiere di Ronchi Pichi

- sale

- un pizzicotto di zucchero

- ½ bicchiere di brodo (anche di dado)

- 1 bicchiere di olio di oliva

- 1 porro

- zenzero (due pizzicotti)

- 150 gr. di funghi champignon (anche

in scatola, se freschi vanno sbollentati

bene)

Squamare e pulire bene il pesce,

lavarlo, asciugarlo e metterlo su

di un piatto strofinandolo da tutte

le parti con limone a spicchi.

In una ciotola unire tutti gli ingredienti

per la marinata e miscelarla

bene; prendere la spigola,

inciderne in profondità il dorso

ed anche l’interno, metterla in un

contenitore stretto in modo che

la marinata la copra tutta. La salsa

si presenta più complicata:

versare nella casseruola tutto

l’olio, aggiungere e far rosolare

il porro ben affettato; quando comincia

a colorire, mettere lo zenzero

e levare dal fuoco. La salsa

va preparata mescolando il Ronchì

Pichi con il sale, lo zucchero

e il brodo; nella casseruola sistemare il pesce e farlo

cuocere 3/4 minuti per parte; rimettere la salsa aggiungendovi

i funghi, coprire la casseruola e fare cuocere

lentamente per una mezz’ora con attenzione, rigirando il

pesce a metà cottura e avendo cura di far entrare la salsa

anche all’interno.

Accademia del Coccio

Lungarno Buozzi, 53

Ponte a Signa

50055 Lastra a Signa (FI)

+ 39 334 380 22 29

www.accademiadelcoccio.it

info@accademiadelcoccio.it

SPIGOLA AL RONCHÌ PICHI

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A tavola

con...

A cura di

Elena Maria Petrini

Pamela Villoresi

Dopo gli esordi a Prato i successi di una carriera internazionale come

attrice e regista sempre con la Toscana nel cuore

di Elena Maria Petrini / foto courtesy Pamela Villoresi

Questo nuovo appuntamento della rubrica dedicata al

“cibo della memoria” ospita Pamela Villoresi, attrice

di teatro e di cinema e regista, attualmente direttrice

del Teatro Stabile Biondo di Palermo. Inizia giovanissima

lo studio della recitazione al Teatro Metastasio di Prato

e debutta, all’età di 14 anni, con il ruolo della principessa

Henriette nella fiaba di Evgenij Schwarz Il Re Nudo. Ma la notorietà

al grande pubblico arriva nel 1975 quando interpreta il

ruolo di Bice nel melodramma tragico Marco Visconti, uno dei

primissimi sceneggiati televisivi realizzati a colori dalla Rai

per la regia di Anton Giulio Majano; l’anno successivo recita al

Piccolo Teatro di Milano sotto la direzione di Giorgio Strehler.

Ha perfezionato l’interpretazione della poesia ed è stata voce

narrante in diversi melologhi; ha diretto molti spettacoli mettendo

in scena anche nuovi testi drammaturgici e teatrali da

lei commissionati. Nel cinema ha recitato in oltre trenta pellicole

dirette da grandi registi come i fratelli Taviani, Marco Bellocchio,

Giuliano Montaldo e Paolo Sorrentino che, assieme

a Toni Servillo, Sabrina Ferilli e Carlo Verdone, l’ha diretta nel

ruolo di Viola nel film La grande bellezza, premio Oscar 2013

come miglior film straniero. Nella sua prestigiosa carriera ha

vinto numerosi premi tra i quali due Maschere d’oro, due Grolle

d’oro, due premi Ubu e le è stata assegnata anche la Medaglia

d’oro del Vaticano, compresa tra i cento artisti del mondo

che favoriscono il dialogo con la spiritualità.

Com’è nata la sua passione per la recitazione?

Ho avuto la fortuna di nascere con una determinazione precisa,

con le idee chiare su ciò che volevo fare: infatti sin da

Con Verdone, Sorrentino e Jaja Forte alla consegna dell’Oscar

per il film La grande bellezza

Pamela Villoresi

bambina ho sempre voluto recitare e già alle elementari, quando

c’erano i saggi dalle suore, io ero la protagonista. Fortunatamente

vivevo in una città culturalmente molto attiva che si

dava da fare per i giovani e dove al Teatro Metastasio potevo

assistere a spettacoli e concerti. Non ho potuto frequentare

l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica perché avevo solo

13 anni e mezzo e ce ne volevano 16, ma per fortuna il Metastasio

di Prato era aperto nel pomeriggio per i ragazzi e la sera

per i dilettanti e quindi ho potuto cominciare subito a studiare

recitazione, facendo anche incontri importanti sul palco, come

quello con Roberto Benigni. All’età di15 anni, per il saggio

di fine corso, ho avuto il ruolo di protagonista ottenendo anche

il mio primo libretto di lavoro. Da allora ad oggi sono trascorsi

ben cinquant’anni di carriera. Agli inizi ho fatto un po’ da tutore

di me stessa: mettevo da parte i soldi, prendevo lezioni di canto,

imparavo le lingue come autodidatta, e questo mi ha permesso

di recitare anche in cinque lingue.

74

PAMELA VILLORESI


mi piace definirlo. Poche settimane fa ho rifatto a nuoto la

traversata dello stretto di Messina nella quale mi ero già cimentata

quattro anni fa. Scrivo delle belle lettere e dei bei

messaggi ma non sono una scrittrice, credo di essere brava

ad interpretare le parole degli altri.

Qual è il suo rapporto personale col cibo? Le piace cucinare?

Sul set de La grande bellezza

Dove ha girato il suo primo film?

Tra i primi film c’era Il gabbiano di Marco Bellocchio. Lo abbiamo

girato a Treviso in un’ansa del fiume che sembrava un

lago. In Vizi privati e pubbliche virtù di Miklós Jancsó eravamo

invece nell’ex Jugoslavia; siamo stati tre mesi a nord di

Zagabria e Maribor, ricordo le campagne meravigliose e intonse,

con grandi distese di girasoli ed antiche ville che ricordavano

l’impero austro-ungarico.

Può raccontarci qualche ricordo legato ad uno spettacolo

teatrale o alle riprese di un film?

Tra i ricordi più belli c’è quello di aver sempre portato con me

nei viaggi di lavoro i miei tre figli fino a quando è stato possibile

ovviamente, facendo le “capriole” per poter gestire tutto. Mi

ha aiutata mio marito, Cristiano Pogany, che, essendo direttore

della fotografia e quindi anche lui libero professionista, ha

potuto alternarsi con me in modo che uno dei due fosse sempre

a casa oppure disponibile a raggiungere l’altro con i bambini.

Un ricordo molto bello è quello di quando eravamo al Teatro

d’Europa fondato con Strehler e Jack Lang, perché andavo con

i bambini a Parigi e stavo lì anche per un mese prendendo in

affitto case ammobiliate per stranieri. I miei figli

giocavano al Jardin du Luxembourg con le antiche

giostre dell’Ottocento. Un altro ricordo piacevole

è quando recitavo l’Otello ed avevo mio figlio

Tommaso con la tata in camerino; mentre ero in

scena capivo quando era il momento di allattarlo

dal fatto che cominciavo a gocciolare latte dal vestito.

Un bel ricordo di questa Desdemona strangolata

col vestito intriso di latte...

Mi piace molto cucinare per la mia famiglia quando posso e

quando siamo tutti insieme, cosa che non avviene spesso. Per

le feste però siamo sempre assieme e mi piace stare in cucina

anche in quelle giornate dove ci riuniamo per divertirci con i

giochi da tavolo. Per quanto mi riguarda, mangio una sola volta

al giorno, alla sera, mi scelgo il vino da bere ed il cibo da cucinare

perché mi piace gustarmi questo momento anche se sono

da sola. Adoro le verdure, carne ne mangio pochissima: non

sono vegetariana ma le verdure sono il mio paradiso alimentare

assieme alla pasta di cui sono molto ghiotta. Non mi piacciono

i dolci però mangio il tradizionale “pan con l’uva” ma senza

lo zucchero sopra, fatto un po’ alla contadina, oppure il castagnaccio.

Faccio una pappa al pomodoro tra le migliori del pianeta,

ci metto due giorni a prepararla, mi riesce molto bene. Un

piatto che adoro è la pasta con i tenerumi, una specialità siciliana,

che sono le foglie della zucchina lunga da fare con pomodorini

freschi, un piatto di grande gusto. Mi piace molto anche la

panzanella, mentre non mi viene molto bene la ribollita.

Il suo “cibo della memoria”?

Ricordo con affetto i cibi tedeschi che preparava mia madre

per la vigilia di Natale: zuppa di funghi, piccoli knödel al formaggio,

punch natalizio e strudel. I cibi toscani che porto nel

cuore sono i fritti della nonna paterna Rina, carciofi, zucchine

e cervella, che anche io preparo qualche volta. Ricordo poi la

sua pommarola che era buonissima, la preparava a settembre

e la conservava in cantina, dove io, allora bambina, ne bevevo

una bottiglia. Sono ghiottissima di salsa di pomodoro

ed amo i cibi poveri, quelli del riuso.

Ha altre passioni?

A parte leggere, sono molto sportiva e gareggio

nella categoria Master di canottaggio con

i colori del Circolo Lauria-Mondello. Agli ultimi

campionati nazionali over 60 femminili abbiamo

vinto la medaglia d’oro. E poi amo il nuoto e soprattutto

il mare, il mio “amante azzurro” come

A teatro con Un angelo sopra Bagdad (2012)

PAMELA VILLORESI

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B&B Hotels

Italia

Nuovi servizi e un’offerta superior per i clienti di B&B Hotels

di Chiara Mariani

Entro la fine del 2022 il piano di sviluppo B&B Hotels in

Italia prevede il raggiungimento di oltre 60 hotel con l’obiettivo

di aprire nuove destinazioni e rafforzare la presenza

in quelle già presidiate. Non solo sviluppo sul territorio,

ma anche implementazione di un’offerta più ampia che vede

B&B Hotels in campo per garantire una proposta di ospitalità –

differenziata e con servizi superior – volta ad andare incontro

al viaggiatore contemporaneo sempre più esigente e alla ricerca

di un’offerta smart, flessibile e tecnologicamente avanzata.

Il focus diventano così i servizi e il comfort, sempre più di qualità

e necessari per migliorare il soggiorno di ogni cliente. L’esperienza

del viaggiatore parte sicuramente dalle camere in cui

alloggia e proprio per questo motivo B&B Hotels ha introdotto

la possibilità di scegliere di pernottare in camere superior,

sottolineando così la volontà dell’azienda di garantire un’offerta

di ospitalità differenziata capace di rispondere alle necessità

di tutti i target. Le camere superior offrono un kit di accoglienza

più ricco, doppio cuscino per un relax migliorato, acqua e un

servizio biancheria più confortevole. Tutte le camere superior

si trovano, inoltre, ai piani più alti con vista di maggior impatto

sulle città e molte dotate di terrazze panoramiche. A proporle,

ad esempio, il B&B Hotel Firenze Pitti Palace al Ponte Vecchio,

una meravigliosa struttura a meno di 100 metri da Palazzo Pitti

con una vista a 360° sul centro della città di Firenze. Sempre

nel capoluogo toscano, anche il B&B Hotel Firenze Laurus

al Duomo offre camere eleganti e spaziose, decorate con colori

chiari e parquet, che dispongono di aria condizionata, connessione

Wi-Fi gratuita, minibar e TV a schermo piatto. Flessibile,

smart e accessibile, l’esperienza di viaggio contemporanea non

può non tener conto delle nuove esigenze dei lavoratori. Strutture

come il B&B Hotel Affi Lago di Garda, vincitore del primo

posto nella categoria “Miglio spazio per meeting” all’Italian Mission

Awards 2022, sono infatti la scelta perfetta per organizzare

meeting grazie a 3 sale modulabili, tutte dotate di equipaggiamento

audio/video di ultima generazione e una connessione superveloce

con fibra fino a 300Mb/s, e al termine della giornata

lavorativa, vivere comodamente le bellezze del territorio. Anche

il B&B Hotel Cherasco Langhe propone 84 camere moderne, eleganti

e di categoria superior, in una struttura che si pone come

punto di riferimento per il turismo congressuale piemontese

con la sua sala meeting modulabile che permette di ospitare fino

a 50 persone e il ristorante adiacente all’hotel con specialità

enogastronomiche tipiche della tradizione locale. Il nuovo

concept di ospitalità lanciato dal gruppo è rappresentato perfettamente

anche dal B&B Hotel Chioggia Airone, una struttura

“Sun&Beach” situata nella “Venezia in Miniatura”, città considerata

dal New York Times come una delle tre località italiane da

visitare nel 2022. L’hotel, con 97 camere in tipologia standard

e superior, è ideale per viaggi di piacere ma anche per eventi

speciali, cerimonie, matrimoni e meeting aziendali grazie ai

ristoranti interni alla struttura per assaporare i gusti del territorio.

L’hotel offre inoltre una vasta gamma di servizi per sod-

La piscina del B&B Hotel Chioggia Airone

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B&B HOTELS ROMA


Una camera del B&B Hotel Passo Tre Croci Cortina

disfare tutte le esigenze: accesso diretto alla spiaggia privata

con ombrelloni e lettini, piscina per grandi e piccini con giochi

d’acqua, animazione durante tutta l’estate con spettacoli serali,

noleggio di biciclette per percorrere le piste ciclabili della città,

Wi-Fi superveloce fino a 300 Mb/s gratuito in tutto l’albergo,

servizio lavanderia e E-station per la ricarica delle auto elettriche.

Nell’ottica di un servizio più completo, B&B Hotels propone

in due destinazioni di eccellenza, come il B&B Hotel Passo Tre

Croci Cortina e il B&B Hotel Palermo Quattro Canti, esperienze

enogastronomiche da provare per vivere il piacere di una cena

o un aperitivo in un ottimo ristorante. All’ultimo piano dell’albergo

di Palermo si trova infatti un ristorante che offre piatti tipici

della cucina siciliana, aperto tutte le sere per cenare, prendere

un aperitivo o organizzare eventi sull’esclusiva terrazza godendo

di un’incredibile vista su tutta la città. Punti di forza della meravigliosa

struttura di Cortina sono, invece, l‘ampio ristorante e

il bar bistrot, nuovo concept della catena dove poter sorseggiare

cocktail o cenare con piatti tipici della tradizione, circondati

da un’atmosfera tipica e accogliente. E se la “buona tavola” è

uno dei tratti distintivi dell’ospitalità italiana, la colazione resta

sicuramente uno dei momenti più amati dalla maggior parte dei

viaggiatori. Nelle strutture del gruppo è possibile godere di un

buffet ricco, vario e delizioso con prodotti di alta qualità e regionali.

La colazione comprende numerose opzioni per gli amanti

del dolce e del salato come brioche, pane, marmellate e fette biscottate,

ciambelle, torte, muffin, cereali, yogurt, uova strapazzate,

wurstel, formaggio, bibite, caffè e molto altro. Un occhio di

riguardo viene prestato anche ai prodotti bio e gluten free: il buffet

si completa infatti con plum-cake e tortine senza lattosio e

senza glutine, frutta e altri prodotti “veg” per chi preferisce scegliere

un’alimentazione vegana. Un’accoglienza che garantisca

comfort e servizi di fascia superiore, dove attenzione ai dettagli

e alta qualità sono valori imprescindibili. Per questo B&B Hotel

propone all’interno delle proprie strutture il B&B Shop con gustose

soluzioni food & beverage, prodotti per la cura della persona,

articoli tech e Welcome Dog, per gli amici a 4 zampe.

La terrazza panoramica del B&B Hotel Palermo Quattro Canti


Benessere e cura

della persona

A cura di

Antonio Pieri

Proteggere pelle e capelli dopo l’esposizione al sole

di Antonio Pieri

Finalmente è arrivata la stagione del mare e delle tintarelle.

Ma come sempre dobbiamo fare molta attenzione a

proteggere la pelle dai raggi UV e alla successiva idratazione.

Dopo aver preparato la pelle in modo adeguato per essere

esposta al sole, dobbiamo anche prendercene cura dopo l’avvenuta

esposizione. In che modo? Idratandola e nutrendola con

prodotti naturali e non aggressivi.

Nutrire la pelle

Dopo una giornata al mare, la pelle ha bisogno di rigenerarsi con

una crema doposole nutriente e idratante. Applicarla dopo l’esposizione

prolungata al sole è assolutamente essenziale in

modo da ristabilire la giusta idratazione della pelle. Nonostante

la continuativa e ripetitiva applicazione della giusta protezione

solare, i raggi UVA e UVB abbassano il livello di idratazione

del film idrolipidico causando diversi problemi alla cute stessa

come, ad esempio, le scottature, ed è qui che arriva in soccorso

il doposole, in grado di idratare, rinfrescare la pelle scottata e riparare

gli eventuali danni dovuti a una prolungata esposizione al

sole. Inoltre, serve a mantenere più a lungo una pelle abbronzata

e un colorito sano. È consigliato utilizzare doposole con formulazioni

naturali in quanto non aggrediscono la pelle, ma la

nutrono e la idratano in profondità. Nella linea Prima Spremitura

di Idea Toscana la crema corpo fluida idratante, grazie alla sua

formulazione con olio extravergine di oliva toscano IGP biologico,

è perfetta da utilizzare dopo l’esposizione al sole. Contiene

olio extravergine di oliva toscano IGP biologico, burro di karitè e

oli essenziali naturali nutrienti ed emollienti. È pensata e studiata

per lenire la pelle dopo una giornata al mare e, soprattutto, ha

il potere di ristabilire la giusta dose d’acqua del film idrolipidico.

Prevenire irritazioni intime

L’acqua salata, la sabbia e il materiale del costume possono provocare

fastidiose irritazioni intime. Si può prevenire il problema

utilizzando un sapone intimo naturale che non aggredisca la

pelle. Il sapone intimo della linea Prima Spremitura è un detergente

dolce e universale, adatto a donne e uomini che amano

la tipica sensazione di pulizia profonda e tonificante che solo un

sapone ispirato alla tradizione marsigliese in versione liquida riesce

a dare. In base alle valutazioni cliniche effettuate, rispetta

l’equilibrio fisiologico cutaneo della zona intima femminile non

creando alcuna sensazione di bruciore, prurito, irritazione o allergia.

In aggiunta dona una piacevole sensazione di sollievo,

freschezza e comfort in uso.

Attenzione anche ai capelli

Molto spesso non ci pensiamo, ma la prolungata esposizione al

sole può causare danni anche ai nostri capelli. Infatti possono

risultare secchi, sfibrati e poco luminosi. La prima cosa da fare

per porre rimedio a questa situazione è detergere i capelli con

prodotti naturali e biologici come lo shampoo naturale normalizzare

della linea Prima Spremitura di Idea Toscana che ha come

principio attivo principale l’olio extravergine di oliva toscano

IGP biologico. Oltre allo shampoo è importantissimo utilizzare

anche un balsamo naturale ristrutturante che migliori le doppie

punte, restituisca luminosità ai capelli e li renda più facili da

pettinare. Il balsamo ristrutturante della linea Prima Spremitura

grazie alla ricchezza del formulato, con olio extravergine di

oliva toscano IGP biologico, donerà lucentezza alla capigliatura

rendendola facile da pettinare. Fissandosi maggiormente sulle

parti del capello più bisognose di cure, il prodotto svolge un’efficace

azione sostantivante e ricondizionante, aiutando così a

prevenire le antiestetiche doppie punte e conferendo al capello

corpo e pettinabilità.

Nell’augurarti buona estate, ti invitiamo a venire a trovarci nel

nostro punto vendita in Borgo Ognissanti 2 a Firenze per scoprire

tutti i nostri prodotti naturali e biologici.

Antonio Pieri è amministratore delegato dell’azienda il Forte srl

e cofondatore di Idea Toscana, azienda produttrice di cosmetici

naturali all’olio extravergine di oliva toscano IGP biologico.

Svolge consulenze di marketing per primarie aziende del settore,

ed è sommelier ufficale FISAR e assaggiatore di olio professionista.

antoniopieri@primaspremitura.it

Antonio Pieri

78

PROTEGGERE PELLE E CAPELLI


PROFUMO AMBIENTE IDEA TOSCANA

fragranze naturali per la casa

NUTRIMENTO NATURALE PER LA TUA PELLE

Dimentica irritazioni e fastidi dovuti all’esposizione solare

Natural Nourishment for your Skin

Forget irritation and discomfort from sun exposure

IDEA TOSCANA - Borgo Ognissanti, 2 - FIRENZE | Viale Niccolò Machiavelli, 65/67 - SESTO FIORENTINO (FI) |

Tel. 055.7606635 |info@ideatoscana.it | www.ideatoscana.it


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per terra, la tua.

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